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lunedì 2 marzo 2015

Banco de los Colonos e altre risposte, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 1*/3/15

Sul Banco de los Colonos, domanda la lettrice Ada M. Smith Machado, direttrice della succursale 296 del Banco Metropolitano sita in Juan Delgado y Lacret, Santos Suarez.
Ada afferma nel suo messaggio che sono molti i clienti che continuano chiamando Banco de los Colonos questa entità bancaria ed è “interesse mio –afferma – conoscere la storia della sua nascita e il motivo per cui gli fu dato questo nome”.
Guillermo Jiménez nel suo libro Las empresas de Cuba.1958, pubblicato dall’Editorial Ciencias Sociales nel 2004, dice che con relazione ai suoi depositi – 22 milioni di pesos – occupava il dodicesimo posto come importanza fra le banche cubane. Aveva la sua casa madre nella calle Aguíar 360 e contava con sette succursali. Quella di Juan Delgado e Lacret, annota per conto suo lo scriba, dev’essere stata una delle ultime ad essere aperte, non viene segnata nell’elenco telefonico dell’Avana corrispondente al 1958 e che raccoglie informazioni anteriori al 31 dicembre del 1957.
La banca contava con 3000  azionisti. Il proprietari della maggioranza, col 54% delle azioni, era Gastón Godoy Loret de Mola che dopo il colpo di Stato del 10 marzo 1952 presiedette il Consiglio Consultivo batistiano; nel 1953 fu ministro della Giustizia e presiedette la Camera dei Rappresentanti tra il 1954 e il 1958. Quest’ultimo anno, nelle elezioni spurie del 3 dicembre, venne eletto vice presidente della Repubblica, carica che avrebbe dovuto assumere il 24 febbraio del 1959. La vittoria della Rivoluzione gli precluse questa possibilità. Assieme a sua moglie e suo figlio lasciò il Paese verso la Repubblica Dominicana con lo stesso aereo in cui lo fece il dittatore Fulgencio Batista.
Jiménez considera Godoy il più elevato fra gli alti dirigenti del Governo batistiano. Oltre alla banca era padrone di una compagnia di assicurazioni e di una azienda che si dedicava al commercio di lubrificanti per l’uso in zuccherifici, ferrovie, trattori e macchine agricole, così come una che operava nei moli e magazzini del porto e che faceva anche da compagnia di navigazione a Santiago di Cuba. Era azionista dello zuccherificio Andorra, dove anche Batista aveva interessi e controllava i due terzi della produzione nazionale di miele.
Figlio di spagnolo, nacque in Perù e assieme alla sua famiglia non tardò a stabilirsi a Santiago. Fu un prestigioso avvocato, specializzato in temi relativi allo zucchero, ma al tempo di Machado difese, da penalista, antimachadisti prigionieri e dopo l’abbattimento della dittatura, assunse la difesa di machadisti portati davanti al Tribunale Penale. Nel 1941 difese il colonnello José Eleuterio Pedraza nel giudizio a cui fu sottoposto per il suo tentativo di colpo di Stato contro Batista.
Gastón Godoy Agostini, padre di Godoy Loret de Mola, promosse la fondazione della banca nel 1943. A Cuba si chiamavano coloni i raccoglitori di canna da zucchero. Quaranta di loro, in maggioranza di origine canaria, si involucrarono nell’impresa col proposito di stimolare i piccoli coloni. In breve, gli azionisti maggiori capeggiati da Godoy padre, cominciarono a pressionare gli azionisti minori affincé vendessero le loro partecipazioni e a partire dal 1952, la banca abbandonò il suo proposito iniziale di aiutare i piccoli coloni e si convertì essenzialmente, nella fornitrice di prestiti a proprietari de zuccherifici. Così in quella data, l’80 per cento dei suoi prestiti beneficiava l’industria zuccheriera e solo il 9 per cento i coloni. I suoi principali clienti erano l’Associazione Nazionale dei Coloni di Cuba, la nuova Compagnia Zuccheriera di Gómez Mena, la centrale Andorra che aveva difficoltà di pagamenti; la centrale Narcisa...
La situazione finanziaria, la politica creditizia, la solvibilità e le utilità, anche se non dichiarate, erano buone nel Banco de los Colonos, scrive Guillermo Jiménez ne Las empresas de Cuba.1958. La sua amministrazione era sicura ed efficiente anche se cominciò a risentire della presidenza di Gastón Godoy figlio.

Ebrei a Cuba

La pubblicazione di Herejes (Eretici, n.d.t.), il romanzo più recente di Leonardo Padura, ha sollevcato interesse per la presenza ebraica a Cuba. Del tema si interessa il lettore José Antonio Herrera Pita.
I primi ebrei arrivarono a Cuba con Colombo. Nei suoi viaggi per l’America, navigarono con l’Ammiraglio circa 160 ebrei, sicuramente convertiti o che nascondevano la loro origine per sfuggire all’Inquisizione. Di loro si ricordano i nomi di Martín Alonso Pinzón, Rodrigo de Jerez e Luis de Torres, poliglotta consumato che fu il primo latifondista ebreo a Cuba e colui che introdusse il tabacco in Europa. Furono ebrei portoghesi, d’altra parte, che portarono la canna da zucchero.
Anche così fu arduo il compito degli ebrei nello sforzo di gettare radici a Cuba e in tutto il Nuovo Continente, ebbene quando si autorizzò l’arrivo dei figli degli arsi dall’Inquisizione, gli si impose la limitazione che non potessero occupare cariche pubbliche. Gli si ostacolava la mobilità sociale e non fruttavano i loro espedienti di “pulizia del sangue”, Carlos V, nel 1552, proibì la vendita di onorificenze nobili a coloro che avessero un antenato condannato per  “vergogna pubblica”, ai discendenti dei comprometari ai sospettati di eresia o di discendere da ebrei. I successori dell’Imperatore, a partire dal XVII secolo, flessibilizzarono la vendita di questo privilegio.In ogni caso era ebrea convertita Isabel de Bobadilla che sostituì suo marito, Hernando de Soto, come governatore dell’Isola e ispirò l’artista che scolpì la Giraldilla.
Non fu fino al 1881 quando il Governo di Madrid autorizzò l’emigrazione degli ebrei.
È a partire da allora che si può parlare di una comunità ebrea a Cuba, sebbene non esistesse la libertà di culto martí ebbe ebrei fra i suoi collaboratori vicini e fu notevole l’apporto della comunità ebraica di Key West alla Guerra d’Indipendenza nella quale si evidenziarono combattenti ebrei.
Nel 1906 assommavano a circa mille gli ebrei radicati a Cuba. Erano essenzialmente uomini d’affari, fondarono un’istituzione sociale e una sinagoga all’Avana e un cimitero a Guanabacoa. Tra il 1910 e il 1917 arrivarono circa 4000 ebrei sefarditi dal Marocco e dalla Turchia. Nel 1919, arrivarono 2000 ebrei askenaziti provenienti da Polonia, Russia e Lituania e questa cifra raddoppierà verso il 1924.
I sefarditi cercavano zone suburbane o rurali. Erano venditori ambulanti e introdussero il credito nella loro pratica commerciale. Gli askenaziti si dedicavano al commercio a ella piccola industria all’Avana, sopratutto durante la II Guerra Mondiale e dopo. Nel 1945 si contavano circa 25000 ebrei a Cuba. Le più nutrite immigrazioni ebbero luogo nelle decadi del ’20 e del ’30 sopratutto all’Avana Vecchia, stabilirono scuole, botteghe, ristorant, negozi per la vendita di tessuto e mercerie...introdussero l’industria del taglio dei diamanti. Due giornali in yiddish e uno in spagnolo, si editavano per questa comunità che svolgeva un’attiva vita culturale e sociale sia nella capitale come nelle province. Molti di questi ebrei, con la fine della Guerra, tornarono in Europa o passarono a risiedere negli Stati Uniti o in Canada.
Questa comunità entrò in crisi a partire dal 1960, la nazionalizzazione del commercio e l’industria provocò l’emigrazione della maggioranza dei suoi appartenenti, generalmente commercianti o professionisti. Di cosa si sarebbe nutrita? Il Patronato Ebraico dell’Avana convocò tutti coloro che avessero tracce di giudaismo nella stirpe. A Cuba erano contate le coppie che avessero ascendenza diretta e dal 1965 le unioni matrimoniali erano miste, ebbene quasi mai un ebreo o ebrea poteva sposarsi con qualcuno della propria fede. Il Patronato adottò il rito conservatore che è molto più moderno e d’accordo coi tempi che il rito ortodosso. In quest’ultimo, incrostato in antiche tradizioni, è la madre che assegna legittimità ai suoi discendenti. Adesso si trattava che tutte le famiglie miste, o no, si considerassero ebree.
Quale sarà il destino di questa comunità a Cuba? Da nni, lo scrittore ebreo Jaime Sarusky diceva: “A Cuba gli ebrei affrontano la drammatica disgiuntiva di dissolversi o tentare di ritrovarsi e conseguire una coesione, per precaria che sia. È impossibile vaticinare come sarà la  comunità ebraica a Cuba nel 2025 o nel 2050. Ma se per allora rimanesse viva e attiva, certamente avrà caratteristiche molto proprie nelle quali saranno fuse, in una entità singolarmente caraibica, due tradizioni: l’ebrea e la cubana”.

Ferrara

Varie interroganti sono formulate nel suo messaggio dal lettore Miguel A. López Fernández, avvocato di Unión de Reyes, Matanzas. Impossibile rispondere a tutte. La morte di Gonzalo Castañon la affrontò lo scriba già da molto tempo ed ò impossibile adesso riferirne i dettagli per ragioni di spazio. D’altra parte, ignoro se il politico machadista camagüeyano Rogerio Zayas Bazán, morto nel 1932 in un duello irregolare, era parente di Carmen, la moglie di José Martí, anche lei camagüeyana. Zayas Bazán fu segretario (ministro) nel primo gabinetto di Machado e con questa carica fu il braccio visibile della pretesa politica di rigenerazione morale della vita cubana, orchestrata da machado. Perseguì con accanimento prositute e protettori, ciò che gli valse il plauso e riconoscimento e il suo nome si associa alla costruzione del Carcere Modello dell’Isola dei Pini. In quel periodo, la stampa gli dedicava tanto spazio come quello che dedicava a Machado. Rinunciò al suo incarico di ministro nel maggio 1928 e nell’aprile del 1931 il :Partito Liberale lo porta al Senato della Repubblica. Abitava all’angolo di L e 21 nel Vedado, dove adesso c’è un parcheggio.
Sull’italiano Orestes Ferrara (1876-1972) ha pubblicato, lo scriba, fino a non poterne più. López fernández domanda come arrivó a Cuba, quando e dove si laureò da avvocato. Era studente e si entusiasmó con la guerra che i cubani avevano contro la Spagna. Un giorno senza che i suoi si rendessero conto, uscì dalla sua casa di Napoli e giunse a New York. Venne a Cuba come membro della spedizione del sesto viaggio del vapore Daunteless che sbarcò nella provincia di Oriente. Passò un periodo in questa provincia e in quella di Camagüey fino a che varcò la linea da Jùcaro a Morón e si incorporò come comandante ausiliario alla prima divisione del quarto corpo dell’Esercito di Liberazione che operava a Las Villas agli ordini del generale José Miguel Gómez col quale partecipò ai combattimenti di Bacuino e Peña e nella presa di Arroyo Blanco, fra altre azioni.
Conclusa la guerra, tornò in Italia col grado di colonnello e terminò gli studi di Diritto. Tornò all’Isola e si dedicò al Diritto Penale fino a che si rese conto che era più producente dedicarsi a rappresentare gli interessi delle grandi compagnie nordamericane a Cuba.
Fu Rappresentante all camera, il massimo incarico eleggibile al quale poteva aspirare vista la sua condizione di straniero e occupò la presidenza di questo corpo legislativo. Fu ambasciatore negli USA e cancelliere al tempo di Machado. Fuggì alla caduta della dittatura (1933) e tornò nel 1937. Alla fine degli anni ’40, fu nominato ambasciatore all’Unesco e rimase con questa carica fino a che il governo cubano lo destituì nei primi giorni di gennaio del 1959.
Impartì all’Università del’Avana i corsi di Diritto Romano. Fu un buen professore. Si dice che non bocciò mai nessun alunno per incapace che si mostrasse agli esami. Quando i suoi compagni del tribunale gli rimproveravano quelle promozioni, Ferrara aveva una frase invariabile: “Promuoviamoli adesso che li boccerà la vita”.





Banco de los Colonos y otras respuestas
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
28 de Febrero del 2015 19:19:32 CDT

Sobre el Banco de los Colonos inquiere la lectora Ada M. Smith
Machado, directora de la sucursal 296 del Banco Metropolitano, sita en
Juan Delgado y Lacret, Santos Suárez. Afirma Ada en su mensaje que son
muchos los clientes que siguen llamando Banco de los Colonos a esa
entidad bancaria y “es interés mío --afirma-- conocer la historia de su
surgimiento y el motivo por el que se le dio ese nombre”.
Guillermo Jiménez en su libro Las empresas de Cuba. 1958, publicado
por la Editorial de Ciencias Sociales en 2004, dice que, en atención a
sus depósitos --22 millones de pesos-- ocupaba el décimosegundo lugar en
importancia entre los bancos cubanos. Tenía su casa matriz en la calle
Aguiar 360, y contaba con siete sucursales. La de Juan Delgado y
Lacret, apunta por su cuenta el escribidor, debe haber sido de las
últimas en inaugurarse, pues no aparece consignada en el Directorio
Telefónico de La Habana correspondiente a 1958 y que asienta
informaciones anteriores al 31 de diciembre de 1957.
Contaba el banco con 3 000 accionistas. El propietario principal, con
el 54 por ciento de las acciones, era Gastón Godoy Loret de Mola, que
tras el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952 presidió el Consejo
Consultivo batistiano; fue, en 1953, ministro de Justicia y encabezó
la Cámara de Representantes entre 1954 y 1958. En ese último año, en
las elecciones espurias del 3 de diciembre, resultó electo
vicepresidente de la República, cargo que debía asumir el 24 de
febrero de 1959. El triunfo de la Revolución le cerró esa posibilidad.
Junto con su esposa y su hijo, salió del país rumbo a la República
Dominicana en la misma aeronave en que lo hizo el dictador Fulgencio
Batista.
Jiménez considera a Godoy como el más encumbrado propietario entre los
altos dirigentes del Gobierno batistiano. Además del banco, era dueño
de una compañía de seguros y de una empresa dedicada al comercio de
grasas y aceites para uso en centrales azucareros, ferrocarriles,
tractores y equipos agrícolas, así como de una operadora de muelles y
almacenes que oficiaba asimismo como agencia de vapores en Santiago de
Cuba. Era accionista del central azucarero Andorra, donde Batista
también tenía intereses, y controlaba las dos terceras partes de la
producción nacional de mieles.
Hijo de español, nació en Perú, y, junto con su familia, no demoró en
radicarse en Santiago. Fue un abogado prestigioso, especializado en
temas azucareros, pero en tiempos de Machado defendió, como
criminalista, a antimachadistas presos y tras el derrocamiento de la
dictadura asumió la defensa de machadistas llevados ante los
Tribunales de Sanciones. Defendió, en 1941, al coronel José Eleuterio
Pedraza en el juicio que se le siguió por su intento de golpe de
Estado contra Batista.
Gastón Godoy Agostini, padre de Godoy Loret de Mola, promovió la
fundación del banco en 1943. En Cuba se llamaba colonos a los
cosecheros de caña. Cuarenta de ellos, de origen canario en su
mayoría, se nuclearon en la empresa con el propósito de refaccionar a
pequeños colonos. Pronto los accionistas mayores, encabezados por
Godoy padre, empezaron a forzar a los accionistas menores para que
vendieran su participación y, a partir de 1952, el banco rehuyó su
propósito inicial de ayudar a los pequeños colonos y se convirtió, en
lo esencial, en prestamista de dueños de centrales azucareros. Así, en
esa fecha, el 80 por ciento de sus préstamos beneficiaba a la
industria del azúcar, y solo el nueve por ciento a los colonos. Sus
principales clientes eran la Asociación Nacional de Colonos de Cuba,
la Nueva Compañía Azucarera de Gómez Mena, el central Andorra, que
tenía dificultades de pago; el central Narcisa...
La situación financiera, la política crediticia y la solvencia y las
utilidades, aunque estas no las declaraba, eran buenas en el Banco de
los Colonos, escribe Guillermo Jiménez en Las empresas de Cuba. 1958.
Su administración era segura y eficiente, aunque comenzó a resentirse
bajo la presidencia de Gastón Godoy hijo.

Judíos en Cuba

La publicación de Herejes, la más reciente novela de Leonardo Padura,
ha despertado el interés por la presencia judía en Cuba. Por el tema
se interesa el lector José Antonio Herrera Pita.
Los primeros judíos llegaron a Cuba con Colón. En sus viajes a América
navegaron con el Almirante unos 160 judíos, seguramente conversos o
que ocultaban su origen para escapar de la Inquisición. De ellos se
recuerdan los nombres de Martín Alonso Pinzón, Rodrigo de Jerez y Luis
de Torres, políglota consumado que fue el primer terrateniente hebreo
en Cuba y el introductor del tabaco en Europa. Fueron judíos
portugueses, por otra parte, los que trajeron la caña de azúcar.
Aun así fue ardua la tarea de los judíos en su afán de echar raíces en
Cuba y en todo el nuevo continente,  pues cuando se autorizó la venida
de los hijos de los quemados por la Inquisición, se les impuso la
restricción de que no ocupasen cargos públicos. Se les obstaculizaba
su movilidad social y no fructificaban sus expedientes de <<limpieza de
sangre>>. Carlos V, en 1552, prohibió la venta de hidalguías a los que
tuviesen un antepasado condenado por <<pública infamia>>, a los
descendientes de los comuneros y a los sospechosos de herejía o de
descender de judíos. Los sucesores del Emperador, a partir del siglo
XVII, flexibilizaron la venta de ese privilegio. De todas formas, era
judía conversa Isabel de Bobadilla, que sustituyó a su esposo,
Hernando de Soto, como gobernadora de la Isla, e inspiró al artista
que esculpió La Giraldilla.
No fue hasta 1881 cuando el Gobierno de Madrid autorizó la migración
de los judíos. Es a partir de entonces que puede hablarse de una
comunidad judía en Cuba, si bien no existía la libertad de cultos.
Martí tuvo judíos entre sus colaboradores cercanos y fue valioso el
aporte de la comunidad judía de Cayo Hueso a la Guerra de
Independencia, en la que sobresalieron combatientes judíos.
En 1906 sumaban unos mil los judíos radicados en Cuba. Eran en lo
esencial hombres de negocios y fundaron una institución social y una
sinagoga en La Habana y un cementerio en Guanabacoa. Entre 1910 y 1917
arribaron unos 4 000 judíos sefarditas procedentes de Marruecos y
Turquía. En 1919, llegaban 2 000 hebreos askenazis provenientes de
Polonia, Rusia y Lituania, y esa cifra se duplicaría hacia 1924.
Los sefarditas buscaban zonas suburbanas o rurales. Eran vendedores
ambulantes e introdujeron los créditos en su práctica comercial. Al
comercio y a la pequeña industria se dedicarían en La Habana los
askenazis, sobre todo durante la  II Guerra Mundial y después. En 1945
se contaban unos 25 000 judíos en Cuba. Las más nutridas migraciones
habían tenido lugar en las décadas de los 20 y los 30 y en La Habana
Vieja, sobre todo, establecieron escuelas, bodegas, cafés,
restaurantes, tiendas para la venta de tejidos y retazos... e
introdujeron la industria de la talla de diamantes. Dos periódicos,
uno en yiddish y otro en español, se editaban para esa comunidad, que
desplegaba una activa vida cultural y social tanto en la capital como
en las provincias. Muchos de esos judíos, con el fin de la Guerra,
volvieron a Europa o pasaron a radicarse en Estados Unidos o Canadá.
Esa comunidad entró en crisis a partir de 1960, cuando la
nacionalización de comercios e industrias provocó la emigración de la
mayoría de sus componentes, por lo general comerciantes y
profesionales. ¿De qué fuentes se nutriría? El Patronato Hebreo de La
Habana convocó a todo el que tuviera briznas de judaísmo en su
estirpe. Eran contadas en Cuba las parejas que tenían ascendencia
directa y desde 1965 las uniones matrimoniales eran mixtas, pues casi
nunca un judío o una judía podían casarse con alguien de su misma
creencia. El Patronato adoptó el rito conservador, que es mucho más
moderno y acorde con los tiempos que el rito ortodoxo. En este último,
enquistado en tradiciones antiguas, es la madre la que otorga
legitimidad a sus descendientes. Ahora se trataba de que todas las
familias, mixtas o no, se asumieran como judías.
¿Cuál será el destino de esta comunidad en Cuba? Decía hace varios
años el escritor judío Jaime Sarusky: “En Cuba, los hebreos enfrentan
la dramática disyuntiva de disolverse o intentar reencontrarse y
conseguir una cohesión, por precaria que sea. Es imposible vaticinar
cómo será la comunidad hebrea en Cuba en el 2025 o en el 2050. Pero si
aún entonces permanece viva y activa, seguramente tendrá
características muy propias, en las que estarán fundidas, en una
entidad singularmente caribeña, dos tradiciones: la hebrea y la
cubana”.

Ferrara


Varias interrogantes formula en su mensaje el lector Miguel A. López
Fernández, abogado de Unión de Reyes, Matanzas. Imposible dar
respuestas a todas. La muerte de Gonzalo Castañón la abordó el
escribidor hace ya mucho tiempo y es imposible referir ahora los
detalles por cuestión de espacio. Por otra parte, desconozco si el
político  machadista camagüeyano Rogerio Zayas Bazán, muerto en 1932
en un duelo irregular, era familia de Carmen, la esposa de José Martí,
también camagüeyana. Zayas Bazán fue secretario (ministro) de
Gobernación (Interior) en el primer gabinete de Machado y desde ese
cargo fue el brazo visible de la pretendida política de regeneración
moral de la vida cubana orquestada por Machado. Persiguió con saña a
prostitutas y proxenetas, lo que le valió aplausos y denuestos y su
nombre se asocia a la construcción del Presidio Modelo, en Isla de
Pinos. En ese tiempo, la prensa le dedicaba tanto espacio como el que
le dedicaba a Machado. Renunció a su puesto de ministro en mayo de
1928 y en abril de 1931 el Partido Liberal lo llevó al Senado de la
República. Vivía en la esquina de L y 21, en el Vedado, donde ahora
hay un parqueo.
Sobre el italiano Orestes Ferrara (1876-1972) ha escrito el escribidor
hasta decir no quiero más. Pregunta López Fernández cómo llegó a Cuba
y cuándo y dónde se graduó de abogado. Era estudiante y se entusiasmó
con la guerra que los cubanos libraban contra España. Un día, sin dar
cuenta a los suyos, salió de su casa, en Nápoles, y llegó a Nueva
York. Vino a Cuba como miembro de la expedición del sexto viaje del
vapor Daunteless, que desembarcó en la provincia de Oriente. Pasó un
tiempo en esa provincia y en la de Camagüey hasta que cruzó la trocha
de Júcaro a Morón y se incorporó como comandante auditor a la primera
división del cuarto cuerpo del Ejército Libertador que operaba en Las
Villas a las órdenes del general José Miguel Gómez, con quien
participó en los combates de Bacuino y Peña y en la toma de Arroyo
Blanco, entre otras acciones.
Al concluir la guerra, con grados de coronel, volvió a Italia y
terminó sus estudios de Derecho. Regresó a la Isla y se dedicó al
Derecho Penal hasta que se percató de que era más productivo dedicarse
a representar los intereses en Cuba de las grandes compañías
norteamericanas.
Fue Representante a la Cámara, el máximo cargo elegible al que podía
aspirar dada su condición de extranjero, y ocupó la presidencia de ese
cuerpo colegislador. Fue embajador en EE.UU. y canciller en tiempos de
Machado. Huyó a la caída de la dictadura (1933) y regresó en 1937. A
finales de los años 40 se le nombró embajador ante la Unesco y en ese
cargo permaneció hasta que el Gobierno cubano lo cesanteó en los
primeros días de enero de 1959.
Impartió en la Universidad de La Habana la asignatura de Derecho
Romano. Fue un buen profesor. Se dice que jamás suspendió a alumno
alguno por incapaz que se mostrara en el examen. Cuando sus compañeros
de tribunal le reprochaban aquellos aprobados, Ferrara tenía una frase
invariable: “Aprobémoslo ahora, que ya lo suspenderá la vida”.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Placido

PLACIDO: Michele, Beniamino o Domingo?

domenica 1 marzo 2015

Pizza

PIZZA: noia mortale

sabato 28 febbraio 2015

Pistola

PISTOLA: stupido (Milano)

venerdì 27 febbraio 2015

Piscina

PISCINA: orina di bambini

Secondo giro di colloqui. A Washington

Oggi le delegazioni statunitense e cubana si ritrovano, per un secondo incontro, a Washington a continuazione di quello dello scorso mese all'Avana. Le attese e speranze sono molte e anche in Europa, Italia compresa, c'è molta fibrillazione. Questi colloqui che fra l'altro sono ancora preliminari, sono diretti al primo passo: quello della normalizzazione dei rapporti diplomatici che di fatto esistono con i rispettivi Uffici d'Interesse rappresentati in ambo i Paesi dalla Svizzera. Normalizzazione vuol dire passare da questo rapporto di "secondo livello" a uno di primo, con il semplice cambio di nome delle sedi, però accompagnato dagli Ambasciatori e non più da "Incaricati d'Affari Consolari". Come si vede un cambiamento più di forma che di sostanza e che comunque è ancora di la da venire...
Ci sono aspettative di piccoli e medi investitori per un possibile "mercato" cubano. Al di la che questi colloqui sono ben lontani dall'abolizione dell'embargo, non mi farei molte illusioni di possibilità commerciali, se non per prodotti di "nicchia", provenienti dallo Stivale o comunque dall'Europa. Gli Stati Uniti sono a sole 90 miglia e i prezzi sono competitivi anche per via del trasporto. Nel caso di investimenti immobiliari non mi farei illusioni sul medio termine: i grandi investimenti, per adesso non statunitensi, sono già operanti e vengono incrementati dalla nuova legge che interessa specialmente la Zona Franca del Mariel. Il mercato immobiliare, sopratutto turistico e per una infima parte dedicata agli stranieri residenti, è gestito e credo lo sarà per un bel po' dallo Stato che prende in considerazione, appunto, grandi investimenti. Il deposito minimo di garanzia dev'essere di 2 milioni di dollari. Credo che per un lungo periodo ci si possa scordare di comprare il bell'appartamento o la casa di prestigio da un privato cubano per uno straniero.
in ogni caso, la strada è ancora in salita, sia nei colloqui bilaterali che per la stessa situazione interna degli USA. È comunque vero che giorno dopo giorno si compiono piccoli passi di riavvicinamento. Ma 90 miglia a nuoto....sono lunghe.

giovedì 26 febbraio 2015

Colpo di pistola per il via a cambio generazionale nella direzione del Paese

Fonte El Nuevo Herald

Cuba da pistoletazo de largada al relevo de generación gobernante
CARLOS BATISTA/AFP

Una mujer compra en el 2010,el documento marco para el VI Congreso del Partido Comunista de Cuba (PCC). Analistas consideran que en el 2014 se incia el relevo generacional en la cúpula gobernante. STR EFE
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LA HABANA 
El Congreso del Partido Comunista de Cuba (PCC) y la reforma electoral anunciados marcan el inicio del relevo generacional en la cúpula gobernante de la isla, en busca de un proceso ordenado y continuista después de Fidel y Raúl Castro adaptado a los nuevos tiempos, estimaron analistas este miércoles.
El X Pleno del Comité Central del PCC, partido único, acordó el lunes celebrar el VII Congreso en abril del 2016 y aprobar una nueva ley electoral antes de los comicios generales del 2018, entre otras medidas.
“El proceso (…) marca la primera transición intergeneracional a nivel de los máximos poderes después de la revolución (de 1959). Las evidencias hasta ahora indican que será un cambio ordenado, con la promoción a la primera secretaría (del PCC) de Miguel Díaz-Canel”, ahora número dos del gobierno, dijo a la AFP el analista Arturo López-Levy, del Centro de Estudios Globales de la Universidad de Nueva York.
“Se suele asociar la salida de los históricos con el fin del proyecto social cubano mientras analistas, investigadores e incluso miembros de la oposición política proembargo coinciden en que los cubanos quieren cambios pero dentro del sistema político en el cual viven”, declaró a la AFP Jorge de Armas, de Cuban Americans for Engagement de Estados Unidos, que promueve un acercamiento entre ambos países.
López-Levy afirmó que “ya esa transición inter-generacional ha ocurrido en el PCC en los niveles provinciales, y municipales y del Comité Central. Se redondeará ahora con los cambios inevitables en el Buró Político” del partido, un selecto equipo de 14 miembros.
Los analistas estiman que el congreso debe marcar la salida de la vieja guardia del Buró Político: el número dos del PCC, José Machado Ventura; el ministro del Interior, Abelardo Colomé, el comandante Ramiro Valdés; y el general Ramón Espinosa, entre otros.
“La experiencia de los últimos años sugiere que la cúpula dirigente en Cuba se propone traspasarle el poder a los cuadros militantes más jóvenes dentro del partido único, sin hacer enmiendas constitucionales ni concesiones a los grupos opositores”, dijo a la AFP Jorge Duany, de la Universidad Internacional de la Florida.
La vanguardia joven está encabezada por Díaz-Canel, delfín de Raúl Castro de 54 años, primer vicepresidente de Cuba desde el 2013 y miembro del Buró Político; el ministro de Economía, Marino Murillo (54), el canciller Bruno Rodríguez, (57) y Mercedes López Acea (50), jefa del PCC en La Habana.
Pero no todos los dirigentes históricos se preparan para vaciar los cajones de sus escritorios. El ministro de las Fuerzas Armadas, el general Leopoldo Cintra Frías (72), se dibuja como el garante de una continuidad sin tropiezos.
“Ningún miembro civil de la nueva generación tiene el prestigio y ascendencia de Fidel o Raúl Castro sobre los generales”, apuntó López-Levy.
“Díaz-Canel tendrá que cortejar y escuchar a los generales, y encontrar formas de promover líderes dentro de los cuerpos armados que sean leales a su visión de cambio y continuidad”, añadió.
Por ahora no hay información sobre lo que discutirá el Congreso ni sobre la nueva ley electoral, los analistas no creen que haya cambios radicales.
López-Levy descartó “que la elección directa del presidente por la población esté en la agenda de reformas, pues plantearía un cambio radical de la estructura” política.
Ahora es el Parlamento, de 612 miembros, el que elige al presidente del Consejo de Estado (máximo órgano del gobierno, de 31 miembros).
“Quizás un espacio para la elección directa existe en los municipios y hasta provincias, donde se ha experimentado en la separación de funciones ejecutivas y legislativas”, agregó.
El deshielo con Estados Unidos, el regreso de los agentes presos en ese país y el diseño de un nuevo modelo económico que permita salir a la isla del estancamiento podrían ser el broche de oro de Raúl Castro, quien sustituyó a su hermano Fidel en el 2006.
“La inminente restauración de relaciones diplomáticas con Estados Unidos es ciertamente un escenario propicio para esa transición”, señaló Duany.
“El gobierno de Raúl Castro ha anotado importantes logros en la reinserción internacional de Cuba en un mundo post-guerra fría”, dice López-Levy.
Pero “la suerte de la presidencia de Díaz-Canel dependerá esencialmente de su capacidad para garantizar crecimiento económico y estabilidad social”, una tarea “gigantesca”, concluyó López-Levy.


Piramidone

PIRAMIDONE: enorme monumento a base quadrata

mercoledì 25 febbraio 2015

Piovasco

PIOVASCO: chi lo avrebbe mai detto (inteso come Rossi)

martedì 24 febbraio 2015

A proposito di sigari cubani...

Mentre è in corso la XXX Fiera del Sigaro, all'Avana...

Fonte: El Nuevo Herald

Cubatabaco logra histórica victoria en la Corte Suprema de EEUU
AGENCE FRANCE PRESSE
Dos promotoras posan cerca de una publicidad de Cohíba durante la XXX Feria Internacional de La Habana, en noviembre de 2012. ALEJANDRO ERNESTO EFE

WASHINGTON 
La Corte Suprema de Estados Unidos concedió este lunes una victoria a la empresa cubana Cubatabaco en su litigio contra una compañía estadounidense sobre el uso del nombre de los puros Cohíba en este país, cerrando así una larga batalla legal.
Sin formular comentarios, la más alta corte de justicia estadounidense rechazó evaluar una apelación presentada por la empresa estadounidense General Cigar Co., basada en Delaware (este del país), y dejó así en vigencia un fallo anterior favorable a Empresa Cubana del Tabaco (Cubatabaco).
Esta decisión posibilita a Cubatabaco llevar el caso al panel de controversias de la Oficina de Patentes y Marcas Registradas de Estados Unidos.
Debido al embargo comercial de Washington a La Habana, Cubatabaco no puede distribuir en Estados Unidos sus cigarros Cohíba. Sin embargo, General Cigar sí podía hacerlo. La compañía estadounidense distribuye en el mercado estadounidense productos de marca Cohíba producidos en República Dominicana desde hace tres décadas.
En este caso, el nudo de la cuestión se centraba en si el embargo que pesa sobre la isla impide a la empresa Cubatabaco reclamar derechos sobre marcas registradas en Estados Unidos.
En su alegato, General Cigar había argumentaba que por fuerza del embargo estadounidense a Cuba “la reglamentación prohíbe la importación de productos cubanos y por lo tanto prohíbe ‘la venta de cigarros cubanos en Estados Unidos’”.
Además, alegaba la empresa, la normativa del embargo “prohíbe también a las empresas cubanas adquirir marcas registradas por empresas estadounidenses de cigarros”.
Por su parte, la empresa cubana apuntó que “esta decisión no amenaza ninguno de los esfuerzos de protección recíproca de la propiedad intelectual en Cuba (…) en el contexto de relaciones sensibles y complejas” entre ese país y Estados Unidos.
En junio pasado, una corte federal de apelaciones ya había emitido un fallo en favor de Cubatabaco, sosteniendo que Cubatabaco tiene base legal para cuestionar patentes en Estados Unidos.
La apelación de General Cigar fue presentada a la Corte Suprema el 23 de enero, semanas después de que los líderes de Estados Unidos y Cuba, Barack Obama y Raúl Castro, sorprendieran al mundo al anunciar un proceso de restablecimiento de relaciones diplomáticas.
En un anuncio histórico, Obama también pidió al Congreso estadounidense que comience los estudios para desmontar el complejo enmarañado legal con que fue codificado en ley el embargo a Cuba, adoptado inicialmente hace más de medio siglo.
Como parte de esa reaproximación, el gobierno estadounidense ya flexibilizó normas que permitirán a turistas estadounidenses llevarse a casa hasta $100 en cigarros cubanos.
Este lunes, en La Habana, un especialista del sector señaló que inicialmente ese margen de $100 no modificará el mercado de ventas de cigarros de Cuba a Estados Unidos, pero representa un avance simbólico.
“No va a ser grande el aumento de ventas en Cuba (…), $100 no es mucho, no van a explotar nuestras ventas, (pero las medidas de Obama) representan un simbolismo”, dijo Fernández Maique, vicepresidente de la empresa Habanos S.A.
En 2014, las ventas de puros cubanos sufrieron un retroceso de 1% con relación a 2013, en una tendencia atribuida al conflicto en Ucrania y a mayores impuestos en Europa.
El mercado europeo representa el 56% de las ventas de la empresa, seguido por América Latina (15%), África y Medio Oriente (15%) y Asia (14%). Los principales países importadores, en orden decreciente, son España, Francia, China (incluidos Hong Kong y Macao), Alemania y Suiza.


Pinocchiata

PINOCCHIATA: dare uno sguardo al pino

lunedì 23 febbraio 2015

Il Capitolio, di Ciro Bianchi ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 22/2/15

La gente, dall’interno, veniva all’Avana e non voleva tornare alla propria terra senza visitare il Capitolio. Chi poteva, si faceva fotografare col Capitolio sullo sfondo come testimone imbattibile del suo soggiorno nella capitale. Lo stesso facevano gli stranieri che visitavano l’Isola. Allora, la sede del Congresso della Repubblica era circondata di alberghi di più o meno livello, pensioni e case private e fino all’inaugurazione del Terminal degli Omnibus, nel 1952, gli autobus interprovinciali facevano la prima e ultima fermata nella sua prossimità.
Lì non mancavano – non mancano nemmeno adesso – i fotografi di strada con le loro macchine antidiluviane che nessuno sa bene come funzionano: tutto un miscuglio con servizio di sviluppo e stampa inclusi, né le osterie più modeste né i buoni ristoranti come El Palacio de Cristal, nella calle Industria che fu a suo tempo il migliore dell’Avana che dovette sopportare l’umiliante e triste destino di diventare laboratorio per imbalsamare gli animali.
Il café El senado e i bar Dorado e Capitolio erano punti di ritrovo obbligato. C’erano balli al Centro Gallego e alla Gioventù Asturiana e la musica all’aperto amenizzava le serate degli esercizi piccoli come La Barrita de Don Juan, frequentata da Nuñez Rodríguez, sotostante all’hotel Comercio  e come il café di Lorenzo García, a fianco del cine Capitolio che serviva al suo proprietario a coprire un lucrativo giro di prestiti di denaro. Di sopra a García, abitava Agustín Rodríguez, autore del libretto della zarzuela Cecilia Valdés, impresario e famoso frequentatore del teatro Martí che tutte le mattine, alle cinque, prima di mettersi a scrivere, cercava l’ispirazione in mezza bottiglias di rum Castillo.
Erano gli anni in cui gli uomini tentavano di contenere la caduta dei capelli con l’applicazione di lozioni tipo Calvfin che commercializzava il poeta e giornalista Gastón Baquero e Manteca de Oso, di Ernesto Sarrá e si sbiancavano i denti con con polveri di San Augustín. In quei giorni a qualunque cubano medio era sufficiente mettersi una giacca perché gli fosse permesso l’accesso al Capitolio. Allora, il Paseo del Prado e i dintorni del cosiddetto Palacio de la Leyes, erano luoghi alla moda. In essi andava a finire chiunque si muovesse nella capitale fino a che, negli anni ’50, La Rampa li spiazzò.
Ciò nonostante non si concepisce l’Avana senza Prado e Capitolio. Sono simboli della città, parte della sua storia e identità. Per la sua dimensione e bellezza, scrive lo strorico Emilio Roig, “il  Capitolio è l’edificio più importante dell’Avana e di tutta Cuba. Quando finirà l’importante restauro a cui è sottoposto, tornerà ad essere la sede del Parlamento cubano”. Nela chiusura dell’VIII Legislatura dell’Asamblea Nacional, il presidente Raúl Castro ha detto ai deputati che prima o poi si dovrebbe tornare al Capitolio.

I Terreni

I terreni che occupa il Capitolio, appartennero alla Sociedad Económica de Amigos del País che satbilì in questo luogo, a partire dal 1817, un giardino botanico. Il Governo coloniale spagnolo, espropriò la Società di questo terreno e nel 1835, si cominciò a costruire la stazione ferroviaria di Villanueva.
Togliere i treni da una zona che si stava convertendo nella migliore dell’Avana fu, nelle decadi successive del XIX secolo, un desiderio crescente degli avaneri. Il generale Manuel Salamanca y Negrete, governatore dell’Isola volle effettuarlo nel 1890, ma morì misteriosamente quando si disponeva a prendere le misure contro i responsabili di una malversazione colossale, di 14 milioni di pesos, che venne a galla al Dipartimento della Guerra della Colonia. Il proposito passò da un anno all’altro fino a che, nel 1909, il presidente José Miguel Gómez decise di prendere il toro per le corna. Per quello si cambiarono i terreni di Villanueva per quelli dell’antico Arsenale, occupati oggi dala stazione centrale ferroviaria. Ci voleva installare il Palazzo Presidenziale, installato fino ad allora, nel vecchio Palazzo dei Capitani Generali.
Lo Stao consegnava a una compagnia britannica, Ferrocarriles Unidos, i terreni dell’Arsenale valutati in cinque milioni di pesos e riceveva in cambio quelli di Villanueva, non acquisiti in modo pulito e che valevano appena due milioni. Il denaro che si sarebbe mosso in modo sotterraneo, con commissioni e corruzioni, arriverà a José Miguel che il popolo soprannominava Pescecane e  ai suoi commilitoni, alle spalle degli interessi della nazione.
Nel gennaio 1910 la Commissione d’Industria e Bilancio del Senato dava al progetto di legge del cambio un nulla osta favorevole e raccomandava la piena approvazione del suo contenuto. Alla Camera dei Rappresentanti, con maggioranza liberale, l’approvazione della legge era senza dubbio improbabile, vi si opponevano tanto i conservatori che i liberali che capitanava Alfredo Zayas. Fu allora che i “miguelisti” cucinarono una strategia infallibile: decisero che il fatto si prendesse come una decisione di “partito”, cosa che obbligava tutti i parlamentari, tanto miguelisti come zayisti, a concedere il voto favorevole.

Dinamite alla cupola

Le opere della residenza del Palazzo Presidenziale cominciarono protette da un credito di un milione di pesos e la costruzione si paralizzò all’assumere la presidenza il generale Mario García Menocal. I suoi piani erano altri. Voleva edificare il Palazzo nei terreni della Quinta de los Molinos e l’edificio appena inziato sarebbe rimasto come sede del  Legislativo. Questa scelta obbligò a fare modifiche sostanziali al progetto originale degli architetti Rayneri (padre e figlio) e impose che si dinamitasse la cupola già costruita e che pesdava 1200 tonnellate.
Naturalmente, Menocal non giunse a costruire il Palazzo. In quei giorni il generale Ernesto Asbert, governatore dell’Avana, costruiva il palazzo che sarebbe stata sede del governo provinciale. Mariana Seba, la Prima Dama, s’innamorò di questo edificio, Menocal lo confiscò e lo Stato pagò mezzo milione di pesos per l’immobile che con gli adattamenti pertinenti, si destinò a Palazzo Presidenziale. È l’attuale Museo della Rivoluzione.
Le opere del Capitolio si riannodarono nel 1917, solo per interrompersi due anni più tardi per mancanza di fondi e nel 1921 il presidente Zayas le sospese definitivamente. Quando,  nel 1925 Machado giunge alla presidenza, trova il Capitolio costruito a metà e con aspetto di una rovina.

17 milioni

A Cuba, le dittature lo sono state anche di cemento armato. Machado si era proposto di modernizzare la capitale cubana e in certa misura, il Paese, si era imbarcato in un vasto e ambizioso piano di opere pubbliche. Sotto il suo governo si rimodellò il Paseo del Prado, il Campo di Marte si trasformò in Piazza della Fraternità e si tracciò la Avenida de las Misiones. Proseguì allungando il Malecón, venne inaugurata la Carretera Central e si eresse la Scalinata universitaria. Si costruirono l’aeroporto e l’hotel Nacional...
Sembrava impensabile che Machado e il suo megalomane ministro delle Opere Pubbliche, Carlos Miguel de Céspedes, lasciassero il Capitolio, inconcluso, fuori dal loro mirino. Nel 1926 si riannodarono le opere. Si sarebbe aprofittato della costruzione esistente, anche se il progetto dovette subire innumerevoli modifiche. I migliori architetti cubani di allora – Cabarrocas, Govantes, Otero, Rayneri, Bens...- e alcuni stranieri come Forestier, sopratutto per i giardini, si gettarono sui disegni, mentre la parte materiale era stata assegnata all’impresa Purdy and Henderson, contrattisti nordamericani che fecero ottimi affari nel Paes con la costruzione della Lonja del Comercio, l’edificio della Metropolitana, l’hotel Nacional e i centri Gallego e Asturiano.
Il Capitolio occupa una superficie totale di 12.000 metri quadrati, di essi ne sono coperti 10.839. I suoi giardini hanno un’estensione di 26.500 metri quadrati.
Dati che dettte a conoscere all’epoca il giornale El Mundo, rivelano che nella sua costruzione si impiegarno cinque milioni di mattoni, più di tre milioni di piedi di legname, 150.000 barili di cemento e 38.000 metri cubi di sabbia. Anche 40.000 metri cubi di pietra spaccata e 25.000 metri cubi di pietra da cantiere, 3.500 tonnellate di struttra in acciaio e 2.000 tonnellate di tondino.
Dopo tre anni di lavoro, l’edificio si inaugurò in maniera solenne, il 20 maggio del 1929. Era costato, si dice, 17 milioni di pesos.

I passi perduti

La sua cupola è, per il suo diametro e altezza, la sesta del mondo. La lanterna che la rifinisce si trova a 94 metri dall’altezza del suolo e al momento dell’inaugurazione dell’edificio la superavano, nel suo genere, quella di San Pietro a Roma e quella di San Paolo a Londra, 129 e 107 metri di altezza, rispettivamente.
La scalinata monumentale, con 55 gradini, ha sdulla cima due gruppi scultorei. Uno simbolizza il Lavoro o il Progresso dell’attività umana; l’altro la Virtù tutelare del popolo. Sono opere dell’italiano Angelo Zanelli, autore dell’Altare della Patria che a Roma forma parte del monumento al re Vittorio Emanuele. Di questo scultore è anche la Statua della Repubblica che si distingue nell’imponente Salone dei Passi Perduti, esattamente sotto la cupola. Il suo peso è di 30 tonnellate e si eleva aun’altezza totale di 14,6 metri.  La Repubblica, in essa, è rappresentata da una donna giovane  che appare in piedi e coperta da una tunica, porta casco, lancia e scudo. Molto poco si sa dell’appetitosa cubana che servì da modella a questa scultura. Ai suoi piedi, incastonato nel pavimento a specchio, un brillante segnava il kilometro zero della Carretera Central. Si afferma che la gemma appartenne a una delle corone dell’ultimo zar di Russia.
Fino al 1958, questo palazzo dei palazzi, ospitò il Senato e la Camera dei Rappresentanti. Dalle sue finestre si mitragliò la cittadinanza che, disarmata e gioiosa celebrava, per errore, la caduta di Machado il 7 di agosto del 1933. Quando il despota cadde ralmente il 12, il popol saccheggiò il Palazzo Presidenziale e le residenze dei machadisti più noti, ma non il Capitolio, anche se si sfigurò a martellate, come si può ancora vedere, il volto di Machado, scolpito a rilievo nel portico dell’edificio.

Durante il primo governo del presidente Grau San Martín si installò, nel Capitolio, il recentemente creato Ministero (Segreteria) del Lavoro e tennero sessione i cosieddetti Tribunali delle Sanzioni che giudicarono i machadisti. Fu in uno dei suoi uffici che nel gennaio del 1934, Antonio Guiteras redattò, alla luce di una candela, il decrteo che disponeva l’esproprio della Compagnia Cubana dell’Elettricità. Al tempo dei presidenti Mendieta e Barnet risiedette lì il Consiglio di Stato, fino a che si resaturò il Parlamento nel maggio del 1936. Lì nel dicembre di quell’anno, il Senato giudicò e destituì il presidente Miguel Mariano Gómez e nell’emiciclo della Camera sessionò l’assemblea che elaborò la Costituzione del 1940. Dopo il 1959 fu sede dell’Accademia delle Scienze e poi del Ministero di Scienza Tecnologia e Ambiente, cosa che obbligò a fare trasformazioni e adattamenti nell’edificio che si andava deteriorando mentre la sporcizia si impadroniva dei suoi spazi esterni e interni. Ben merita, il suo restauro, questo simbolo dell’identità e della storia dell’Avana.

El Capitolio

Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
21 de Febrero del 2015 

La gente del interior venía a La Habana y no quería volver a su tierra
sin visitar el Capitolio. El que podía, se fotografiaba con el
Capitolio al fondo como testimonio imbatible de su estancia en la
capital. Lo mismo hacían los extranjeros que visitaban la Isla.
Entonces la sede del Congreso de la República estaba rodeada de
hoteles de mayor o menor cuantía, pensiones y casas de huéspedes, y
hasta la inauguración de la Terminal de Ómnibus, en 1952, las guaguas
interprovinciales hacían en sus inmediaciones la primera y la última
parada.
No faltaban allí --no faltan tampoco ahora-- los fotógrafos callejeros
con sus cámaras antediluvianas que nadie sabe bien cómo funcionan;
todo un engendro con servicios de revelado e impresión acoplados, ni
las fondas de medio pelo, ni los buenos restaurantes como El Palacio
de Cristal, en la calle Industria, que fue en su tiempo el mejor de La
Habana y que debió soportar el humillante y triste destino de quedar
convertido en un taller para embalsamar animales.
El café El Senado y los bares Dorado y Capitolio eran puntos de cita
obligados. Había bailes en el Centro Gallego y en la Juventud
Asturiana, y la música de los aires libres amenizaba la noche.
Abundaban los establecimientos pequeños como La Barrita de Don Juan,
frecuentada por Núñez Rodríguez, en los bajos del hotel Comercio, y
como el café de Lorenzo García, al lado del cine Capitolio, que servía
a su dueño para tapar un lucrativo negocio de préstamos de dinero. En
los altos de García vivía Agustín Rodríguez, autor del libreto de la
zarzuela Cecilia Valdés, empresario y famoso sainetero del teatro
Martí, que todas las mañanas, a las cinco, antes de ponerse a
escribir, buscaba la inspiración en media botella de ron Castillo.
Eran los años en que los hombres intentaban contener la caída del
cabello con la aplicación de lociones como Calvifín, que
comercializaba el poeta y periodista Gastón Baquero, y Manteca de Oso,
de Ernesto Sarrá, y se blanqueaban los dientes con los polvos de San
Agustín. En esos dìas a cualquier cubano de a pie le bastaba con
ponerse una chaqueta para que se le franqueara el acceso al Capitolio.
Entonces el Paseo del Prado y los alrededores del llamado Palacio de
las Leyes eran lugares de moda. A ellos iba a parar todo lo que se
movía en la capital, hasta que en la década del 50 La Rampa los
desplazó.
Aun así no se concibe a La Habana sin Prado ni Capitolio. Son símbolos
de la ciudad, parte de su historia e identidad.  Por su magnitud y
belleza, escribe el historiador Emilio Roig, “el Capìtolio es el
edificio más importante de La Habana y de toda Cuba. Cuando concluya
la impresionante restauración a la que se le somete, volverá a ser la
sede del Parlamento cubano”. Al clausurar la VIII Legislatura de la
Asamblea Nacional, el presidente Raúl Castro dijo a los diputados que
algún día habría que regresar al Capitolio.

Los terrenos
Los terrenos que ocupa el Capitolio pertenecieron a la Sociedad
Económica de Amigos del País que fomentó en ese lugar, a partir de
1817, un jardín botánico. El Gobierno colonial español enajenó a la
Sociedad la propiedad de ese terreno, y en 1835 se comenzó a construir
allí la estación de trenes de Villanueva.
Sacar los ferrocarriles de una zona que iba convirtiéndose en la mejor
de La Habana fue, en las décadas postreras del siglo XIX, un anhelo
creciente de los habaneros. El general Manuel Salamanca y Negrete,
gobernador de la Isla, quiso acometerlo en 1890, pero murió
misteriosamente cuando se disponía a tomar medidas contra los
responsables de una malversación colosal de 14 millones de pesos, que
salió a flote en el Departamento de Guerra de la Colonia. El propósito
pasó de un año a otro, hasta que en 1909 el presidente José Miguel
Gómez decidió tomar el toro por los cuernos. Para ello se canjearían
los terrenos de Villanueva por los del antiguo Arsenal, ocupados hoy
por la estación central de los ferrocarriles. Quería edificar en ellos
el Palacio Presidencial, instalado hasta entonces en el viejo Palacio
de los Capitanes Generales.
El Estado entregaba a una compañía británica, Ferrocarriles Unidos,
los terrenos del Arsenal, valorados en más de cinco millones de pesos,
y recibía a cambio los de Villanueva, no adquiridos limpiamente y que
apenas valían dos millones. El dinero que se movería bajo cuerda, por
comisiones y sobornos, empaparía a José Miguel, a quien el pueblo
apodaba Tiburón, y salpicaría a sus conmilitones, a costa de los
intereses de la nación.
En enero de 1910, la Comisión de Hacienda y Presupuesto del Senado
daba al proyecto de ley del canje un dictamen favorable y recomendaba
su aprobación al pleno de ese cuerpo. En la Cámara de Representantes,
con mayoría liberal, la aprobación de la ley, sin embargo, era
improbable pues se le oponían tanto los conservadores como los
liberales que capitaneaba Alfredo Zayas. Fue entonces que los
miguelistas cocinaron una estrategia infalible: decidieron que el
asunto se tomara como una cuestión de “partido”, lo que obligaba a
todos los parlamentarios, tanto miguelistas como zayistas, a
concederle el voto favorable.

Dinamitan la cúpula

Las obras de la mansión del Palacio Presidencial comenzaron
respaldadas por un crédito de un millón de pesos, y la construcción se
paralizó al asumir la presidencia el general  Mario García Menocal.
Otros eran sus planes. Quería edificar el Palacio en los terrenos de
la Quinta de los Molinos y el edificio recién comenzado quedaría como
sede del Legislativo. Esa determinación obligó a hacer modificaciones
sustanciales al proyecto original de los arquitectos Rayneri (padre e
hijo) e impuso que se dinamitara la cúpula ya construida y que pesaba
1 200 toneladas métricas.
Sin embargo, Menocal no llegó a construir el Palacio. En aquellos
días, el general Ernesto Asbert, gobernador de La Habana, construía el
palacio que sería la sede del gobierno provincial. Mariana Seba, la
Primera Dama, se enamoró de ese edificio, Menocal lo confiscó y el
Estado pagó medio millón de pesos por el inmueble que, con las
adaptaciones pertinentes, se destinó a Palacio Presidencial. Es el
actual Museo de la Revolución.
Las obras del Capitolio se reanudaron en 1917, solo para que se
interrumpieran dos años más tarde por falta de dinero, y en 1921 el
presidente Zayas las suspendió definitivamente. Cuando en 1925 Machado
llega a la presidencia encuentra el Capitolio a medio hacer y con
aspecto de ruina.

17 millones
En Cuba las dictaduras lo han sido también de hormigón armado. Machado
se propuso modernizar la capital cubana y, en cierta medida, el país,
por lo que se embarcó en un vasto y ambicioso plan de obras públicas.
Bajo su gobierno, se remodeló el Paseo del Prado, el Campo de Marte se
transformó en Plaza de la Fraternidad y se trazó la Avenida de las
Misiones. Prosiguió extendiéndose el Malecón, quedó inaugurada la
Carretera Central y se levantó la Escalinata universitaria. Se
construyeron el aeropuerto y el hotel Nacional...
Resultaba impensable que Machado y su megalómano ministro de Obras
Públicas, Carlos Miguel de Céspedes, dejaran el Capitolio inconcluso
fuera de su punto de mira. En 1926 se reanudaron las obras. Se
aprovecharía lo ya construido, aunque el proyecto debió sufrir
modificaciones innumerables. Los mejores arquitectos cubanos de
entonces --Cabarrocas, Govantes, Otero, Rayneri, Bens...-- y algunos
extranjeros, como Forestier, sobre todo para los jardines, se volcaron
sobre los planos, en tanto que la parte material era encomendada a la
empresa Purdy and Henderson, contratistas norteamericanos que hicieron
muy buenos negocios en el país con la construcción de la Lonja del
Comercio, el edificio de La Metropolitana, el hotel Nacional y los
centros Gallego y Asturiano.
El Capitolio ocupa una superficie total de 12 000 metros cuadrados, de
ellos son área techada 10 839 metros cuadrados. Sus jardines tienen
una extensión de 26 500 metros cuadrados.
Datos que dio a conocer en su momento el periódico El Mundo revelan
que en su construcción se emplearon cinco millones de ladrillos, más
de tres millones de pies de madera, 150 000 barriles de cemento y 38
000 metros cúbicos de arena. También 40 000 metros cúbicos de piedra
picada y 25 000 metros cúbicos de piedra de cantería, 3 500 toneladas
de acero-estructura y 2 000 toneladas de cabillas.
Tras tres años de trabajo, el edificio se inauguró de manera solemne
el 20 de mayo de 1929. Había costado, se dice, 17 millones de pesos.

Los pasos perdidos

Su cúpula es, por su diámetro y altura, la sexta del mundo. La
linterna que la remata se halla a 94 metros del nivel de la acera, y
en el momento de inaugurarse el edificio solo la superaban, en su
estilo, la de San Pedro, en Roma, y la de San Pablo, en Londres, con
129 y 107 metros de alto, respectivamente.
La escalinata monumental, con 55 escalones, tiene en la cima dos
grupos escultóricos. Uno simboliza El trabajo o El progreso de la
actividad humana; el otro, La virtud tutelar del pueblo. Son obras del
italiano Angelo Zanelli, autor del Altar de la Patria, que en Roma
forma parte del monumento al rey Víctor Manuel. También de ese
escultor es la Estatua de la República, que se destaca en el imponente
Salón de los Pasos Perdidos, exactamente debajo de la cúpula. Su peso
es de 30 toneladas y se eleva a una altura total de 14,6 metros. La
República, en ella, está representada por una mujer joven que aparece
de pie y cubierta por una túnica, y lleva casco, lanza y escudo. Muy
poco se sabe de la apetitosa cubana que sirvió de modelo a esa
escultura. A sus pies, empotrado en el piso espejeante, un brillante
marcaba el kilómetro cero de la Carretera Central. Se afirma que la
gema perteneció a una de las coronas del último zar de Rusia.
Hasta 1958 este palacio de palacios dio albergue al Senado y a la
Cámara de Representantes. Desde sus ventanas se ametralló a la
ciudadanía que, desarmada y jubilosa, celebraba equivocadamente, el 7
de agosto de 1933, la caída de la dictadura de Machado. Cuando, el día
12, el déspota cayó de verdad, el pueblo saqueó el Palacio
Presidencial y las residencias de los machadistas más connotados, pero
no el Capitolio, aunque sí desfiguró a martillazos, como puede verse
aún, el rostro de Machado esculpido al relieve en el pórtico del
edificio.
Durante el primer gobierno del presidente Grau San Martín se instaló
en el Capitolio el recién creado entonces Ministerio (Secretaría) del
Trabajo y sesionaron en él los llamados Tribunales de Sanciones, que
juzgaron a los machadistas. Fue en una de sus oficinas que en enero de
1934 Antonio Guiteras redactó, a la luz de una vela, el decreto que
disponía la intervención de la Compañía Cubana de Electricidad. En
tiempos de los presidentes Mendieta y Barnet radicó allí el Consejo de
Estado, hasta que se restauró el Parlamento en mayo de 1936.  Allí, en
diciembre de ese año, el Senado juzgó y destituyó al presidente Miguel
Mariano Gómez, y en el hemiciclo de la Cámara sesionó la asamblea que
elaboró la Constitución de 1940. Después de 1959 fue sede de la
Academia de Ciencias y luego del Ministerio de Ciencia, Tecnología y
Medio Ambiente, lo que obligó a hacer transformaciones y adaptaciones
en el edificio, que se iba deteriorando mientras la suciedad se
adueñaba de sus espacios exteriores e interiores. Bien merece su
restauración  este símbolo de la identidad y la historia de La Habana.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/


domenica 22 febbraio 2015

Pietanza

PIETANZA: cibo misericordioso

sabato 21 febbraio 2015

Piattaforma

PIATTAFORMA: donna molto magra