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mercoledì 22 aprile 2015

Tredicesima edizione di Salud Para Todos

Dal 21 al 24 del corrente mese, al Pabexpo dell'Avana, si tiene la mostra mercato dedicata agli strumenti, acessori e complementi per la salute. Dedicata a ospedali, cliniche e in generale al tema della salute e del benessere fisico. Abbastanza corposa la partecipazione di aziende italiane, specie nel campo dell'oftalmologia e la pneumologia con cui si sono siglati accordi con la parte cubana.




Reagente

REAGENTE: poliziotto che risponde all'azione

martedì 21 aprile 2015

Rattizzare

RATTIZZARE: stimolare un topo

lunedì 20 aprile 2015

Rapina

RAPINA: piccolo ortaggio

Quelle elezioni, di Ciro Bianchi Ross


Pubblicato su Juventud Rebelde del 19/4/15

Non era strano, nella Cuba di ieri che una figura onesta e anche con fama di incorruttibile, diventasse un bandito quando accedeva a un incarico pubblico, eleggibile o no. Non era nemmeno strano che qualcuno, già con fama di malversatore e ladro, arrivasse alla Camera o al Senato e incluso alla più alta magistratura della nazione. Nemmeno che dopo un periodo torbido riuscisse a venire rieletto nel suo alto incarico.. Potrà sembrare strano che qualcuno che avesse scontato una condanna per omicidio arrivasse al Parlamento. Però succedeva. Questo fu il caso di Casimiro Eugenio Rodríguez Cartas, come si anticipò nella pagina della settimana scorsa.
Si dice che questo soggetto fu l’unico uomo, a Cuba, che fosse tumulato in piedi. Dietro sua richiesta, si seppellì anche con una pistola in entrambe le mani e un biglietto da cento pesos in tasca. Vari crimini segnarono la sua esistenza. Era sposato con Maria Teresa Zayas, figlia di primo letto del presidente Alfredo Zayas.
Maria Teresa Zayas fu eletta al Senato in due occasioni. La seconda volta disimpegnò il suo mandato dal principio a lla fine, tra il 1944 e il 1948, ma la prima volta si dimise nel 1942, quando era in carica da due anni. Lo occupò, alllora, Casimiro Eugenio Rodríguez Cartas, il suo sostituto e tutto rimase in famiglia. Nel 1944, quando lei tornò a  raggiungere il Senato, Rodríguez Cartas guadagnò una nomina di Rappresentante alla Camera e lo rieleggeranno nel 1948.
Lei conobbe quello che sarebbe stato suo marito in una visita al Castillo del Principe dove, Rodríguez Cartas, scontava una pensa per l’omicidio, nel 1917, di Florencio Guerra sindaco provvisorio di Cienfuegos. Questo non era certamente il suo primo crimine, ebbene nel 1911 e sempre per omicidio, lo condannò il Tribunale di Santa Clara. Non sarebbe stato nemmeno l’ultimo: il 3 maggio del 1950 crivallò letteralmente di colpi, nell’Edificio America della Calle Galiano, il pure rappresentante alla Camera Rafael Frayle Goldarás.
Nel 1944, quando la lunga fedina penale di Rodríguez Cartas faceva tentennare molti, fu proprio Frayle Goldarás che spianò le difficoltà affinché la Camera tenesse valida ;elezione del sinistro personaggio. Lo scriba non può precisare la relazione che ci fu tra i due, ma in un determinato momento, Goldarás, consegnò al suo compagno di emiciclo una grossa somma di denaro perché gli lubrificasse il cammino in vista delle elezioni generali del 1952, elezioni che in definitiva vennero comunque frustrate dal colpo di Stato del 10 marzo. Goldarás si impegnava a rimanere nel Parlamento. Presto, però, desistì dal suo proposito e volle, come era logico, che Rodríguez Cartas gli restituisse i suoi soldi.
Lo chiese durante un incontro, convenuto o casuale, che ebbero nell’ufficio politico del senatore Armando Dalama, nel citato edificio. Rodríguez Cartas non sembrò disposto a restituirglieloe la discussione aumentò di tono. Goldarás insistette e conseguí solo le pallottole che il suo collega gli mise in corpo.
All’uscita dell’immobile, un poliziotto volle detenere l’assassino che aveva ancora la pistola in mano.
-Lei non può arrestarmi! Sono il rappresentante alla Camera Eugenio Rodríguez Cartas e mi protegge l’immunità parlamentare- disse imperiosamente all’agente e si perse nel pomeriggio.

L’immunità diventa impunità

Rodríguez Cartas fu accusato formalmente e il Tribunale Supremo di Giustizia rimise alla Camera la supplica perché gli venisse tolta l’immunità e potese essere giudicato. Non senza sforzo si ottenne che lunedì 26 giugno, questo corpo legislativo si riunisse per accettare o respingere il documento del Supremo. Effettuato l’appello e comprovato il quorum, con 70 deputati presenti, il suo presidente Lincoln Rodón dichiarò aperta la sessione. Due personaggi estranei alla Camera, i senatori José Enrique Bringuier e “Santiaguito” Rey erano nella sala e in modo più o meno velato, brigavano perché i deputati facessero orecchia di mercante alla voce della giustizia; missione triste, dirà un giornalista dell’epoca che disimpegnavano con grande zelo.
Immediatamente il rappresentante Radio Cremata evocò il collega assassinato “la sua innata cavalleria, il suo spirito conciliatore e l’eccessivo riguardo regolamentista che animò i suoi giorni di parlamentare” ed espresse la certezza che la Camera avrebbe acceduto alla supplica in quanto sapeva i debiti che Rodríguez Cartas aveva contratto con la giustizia.
Allotra si fece sentire Alfredo Izaguirre Hornedo per chiedere che la sessione fosse segreta, come era d’abitudine quando il tema da trattare comprometteva la morale di un parlamentare. Si votò la proposta, la maggioranza si espresse per le porte chiuse e una volta che vennero fatti uscire dall’emiciclo gli spettatori dalla tribuna del pubblico, la stampa, i segretari, gli usceri, gli stenografi, cominciò la lettura del documento giudiziario. Il giudice istruttore non risparmiava sui precedenti dell’accusato né occultava nessun dettaglio sui fatti della calle Galiano. L’ambiente divenne teso, angoscioso. Quelli che cercavano di tirare un mantello protettore all’assassino si rigiravano ansiosi sui loro seggi e guardavano nervosamente gli orologi. Dopo un’ora di dibattito, solo quattro rappresentanti si pronunciarono per ritirare l’immunità a Casimiro Eugenio Rodríguez Cartas. Furono, il già citato Cremata (liberale), il socialista Anibal Escalante, l’ortodosso Manuel Bisbé e Teodoro Tejeda del Partito Auténtico. Curiosamente, nessuno chiese che si votasse contro alla supplica. Non ce n’era bisogno. Gli ostinati a frustrare l’azione della giustizia confidavano che avrebbero funzionato alla perfezione gli accordi concertati anteriormente. Necessitava la votazione nominale per pronunciarsi a favore o contro il documento del Supremo e il relatore cominciò al eggere lentamente, uno per uno, i nomi dei legislatori che rispondevano sì o no all’appello. Successi e però l’inatteso. Fiduciosi della loro superiorità numerica, i partitari di Rodríguez Cartas abbandonano l’emiciclo man mano che votavano senza rendersi conto che mettevano in rischio il quorum. E fu così. Cadde il quorum e uno scampanellio del presidente Lincoln Rodón annunciò che si sospendeva la sessione. Senza accordo.
Venne convocata una nuova sessione per il giorno seguente, la mattina presto. Questa volta njon c’erano i senatori Bringuier e Rey, ma sulla porta dell’emiciclo l’ex senatrice María Teresa Zayas, moglie di Rodríguez Cartas, chiedeva ad ognuno dei rappresentanti che votassero contro la supplica.
Ebbe successo. Di 72 parlamentari che concorsero all’appuntamento, 62 gettarono il salvagente all’assassino e convertirono l’immunità in impunità.
Nonostante ciò, Rodríguez Cartas mise acqua nel mezzo e si rifugiò nella Repubblica Dominicana, al riparo del satarpo Leónidas Trujillo, di cui serviva gli interessi a Cuba. Pochi mesi dopo della morte di Frayle Goldarás, sarà protagonista principale nel sequestro, al Reparto Sevillano dell’Avana, del leader operaio dominicano Mauricio Báez portato fuori da Cuba in segreto e servito su un piatto d’argento al dittatore del bicornio di piume senza che si sapesse del suo destino che  da immaginare.

Pago il doppio di chiunque

Se domandate a qualcuno, maggiore di 70 anni, chi era Benito Remedios Langaney, vi risponderà in modo sintetico che era un animale. Un giorno che veniva da Pinar del Río si m ise a sparare alla sua propria auto perché aveva a vuto un guasto lungo la strada.
Durante i lunghi anni in cui fu rappresentante alla Camera, chiese solo in una occasione la parola nel Parlamento. Glie la concessero e i suoi compagni di emiciclo aspettavano ansiosi il suo esordio come tribuno. Allora si eresse nel suo seggio, si schiarì la golaì, guardò da una parte e dall’altra, balbettò frasi inintelleggibili e tornò a sedersi. “Remedios chiese la parola e la perse” espresse non senza umorismo Carlos Márquez Sterling che presiedeva questo corpo legislativo.
Parco nel dire l’uomo era, senza dubbio, eloquente nei fatti, sopratutto in quello che riguardava la compravendita dei voti. Denaro mediante, non solo si faceva eleggere, ma fece eleggere anche sua moglie e sua sorella e al momento della sua morte, era impegnato anche a far eleggere suo figlio. Benito Remedios aveva una ricetta elettorale infallibile e convincente. Diceva: “Pago il doppio di chiunque”.
Per la verità pagava e utilizzava fino all’ultimo centesimo i soldi investiti. Nessuno poteva imbrogliarlo e mentre altri politici cubani spreconi, come José Manuel Alemán consegnavano, senza contarle, grosse somme di denaro ai loro sergenti della politica, Remedios non solo sapeva con esattezza quello che dava, ma alla fine bisognava rendrgli conto.
Alla vigilia delle elezioni amministrative del 1950, furono a fargli visita tre o quattrogrossi calibri del quartiere avanero di Colón, al fine di garantirglimil voto nella zona. In cambio volevano incarichi nello Stato.
-No, incarichi, no; li ho bisogno per me. Ditemi quanto volete e la quantità di voti che mi promettete e forse arriviamo a un accordo – gli disse.
Siccome le sched si quotavano allora a dieci pesos e i suffragi promessi erano 500, l’affare raggiungeva la nbella quantità di 5.000 pesos. Però remedios ne consegnò 2.500 e chiarì:
-I 2.500 restanti ve li darò il 2 giugno, quando appaiano nelle urne questi 500 voti.
Siccome il giorno in questione ne apparsero solo 300, Benito Remedios chiuse il discorso con 500 pesos.
Militò nel Partito Conservatore, nel Congiunto Nazionale Cubano, nella Coalizione Socialista Democratica, nell’ABC, nel Partito Repubblicano...Cambiava affiliazione politica più facilmente che di camicia.  La sua presenza in Parlamento era uno dei suoi tanti affari. Lo confessò candidamente: “Essendo legislatore mi risparmio le tasse che mi “mangerebbe” il fisco se fossi un privato cittadino”.
Perché Benito Remedios Langaney era padrone dello zuccherificio Río Cauto, in Oriente e della compagnia allevatrice di bestiame Adelaida; di 126 fattorie rustiche situate in cinque delle sei province dell’Isola e dell’impresa di ananas La Cubanita; di vari allevamenti di bestiame di Las Villas e Camagüey e di terreni che rendevano 25 milioni di “arrobas” di canna da zucchero per ogni raccolto. Era il maggior produttore di ananas cubano e uno dei più grandi esportatori...
E lo uccisero per voler eludere una multa automobilistica.



Aquellas elecciones
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
18 de Abril del 2015

No era extraño en la Cuba de ayer que una figura honesta y aun con
fama de incorruptible, se volviera un bandido en cuanto accedía a un
cargo público, elegible o no. Tampoco resultaba extraño que alguien
con fama ya de malversador y ladrón llegara a la Cámara o al Senado e
incluso a la más alta magistratura de la nación. Ni que después de
todo un periodo de tropelías lograse verse reelegido en su alto cargo.
Raro podrá parecer que alguien que hubiese cumplido condena por
asesinato llegara al Parlamento. Pero sucedía. Tal fue el caso de
Casimiro Eugenio Rodríguez Cartas, como se anticipó en la página de la
semana pasada.
Se dice que ese sujeto es el único hombre en Cuba que fue inhumado de
pie. A petición suya, se le enterró asimismo con una pistola en cada
mano y un billete de cien pesos en el bolsillo. Varios crímenes
jalonaron su existencia. Estaba casado con María Teresa Zayas, hija
del  primer matrimonio del presidente Alfredo Zayas.
A María Teresa Zayas la eligieron al Senado en dos ocasiones. La
segunda vez desempeñó su mandato de principio a fin entre 1944 y 1948,
pero la primera lo renunció, en 1942, cuando llevaba dos años en el
cargo. Lo ocupó entonces Casimiro Eugenio Rodríguez Cartas, su
suplente, y todo quedó en familia. En el 44 cuando ella volvió a
llegar al Senado, Rodríguez Cartas ganó un acta de Representante a la
Cámara, y lo reelegirían en 1948.
Ella conoció al que sería su marido en una visita al Castillo del
Príncipe, donde Rodríguez Cartas cumplía sanción por el asesinato, en
1917, de Florencio Guerra, alcalde provisional de Cienfuegos. No era
ese ciertamente su primer crimen pues en 1911 y también por asesinato,
lo condenó la Audiencia de Santa Clara. Tampoco sería el último: el 3
de mayo de 1950 cosería literalmente a balazos, en el edificio
América, de la calle Galiano, al también  representante a la Cámara
Rafael Frayle Goldarás.
En 1944, cuando la extensa hoja penal de Rodríguez Cartas hacía
vacilar a muchos, fue precisamente Frayle Goldarás quien allanó las
dificultades para que la Cámara validara la elección del siniestro
personaje. No puede precisar este escribidor la relación que existió
entre ambos, pero en determinado momento Goldarás entregó a su
compañero de hemiciclo una gruesa suma de dinero para que le aceitase
el camino con vistas a los comicios generales de 1952, elecciones que
en definitiva frustraría el golpe de Estado del 10 de marzo. Se
empeñaba Goldarás en permanecer en el Parlamento. Pronto, sin embargo,
desistió de su propósito y quiso, como es lógico, que Rodríguez Cartas
le devolviese su dinero.
Se lo reclamó durante un encuentro, convenido o casual, que tuvieron
en la oficina política del senador Armando Dalama, en el edificio
aludido. Rodríguez Cartas no pareció dispuesto a devolvérselo  y la
discusión subió de tono. Insistió Goldarás y solo consiguió los
balazos que su colega le metió en la caja del cuerpo.
A la salida del inmueble, un policía quiso detener al asesino que
llevaba aún la pistola en la mano.
—¡Usted no puede detenerme! Soy el representante a la Cámara Eugenio
Rodríguez Cartas y me ampara la inmunidad parlamentaria —dijo al
vigilante, imperativo, y se perdió en la tarde.

La inmunidad se hace impunidad

Rodríguez Cartas fue acusado formalmente y el Tribunal Supremo de
Justicia remitió a la Cámara un suplicatorio para que se le retirara
la inmunidad y pudiera ser juzgado. No sin esfuerzo se consiguió el
lunes 26 de junio que ese cuerpo colegislador se reuniera para aceptar
o rechazar el documento del Supremo. Efectuado el pase de lista y
comprobado el quórum, con 70 diputados presentes,  su presidente,
Lincoln Rodón, declaró abierta la sesión. Dos personajes ajenos a la
Cámara, los senadores José Enrique Bringuier y “Santiaguito” Rey
estaban también en la sala y de manera más o menos velada abogaban
porque los diputados hicieran oídos sordos a la voz de la justicia;
triste misión, diría un reportero de la época, que desempeñaban a
plena voluntad.
Enseguida, el representante Radio Cremata evocó al colega asesinado,
“su innata caballerosidad, su afán conciliador y el excesivo celo
reglamentista que animó sus días de parlamentario”, y expresó su
seguridad de que la Cámara accedería al suplicatorio en cuanto
conociera de las deudas que Rodríguez Cartas tenía contraídas con la
justicia.
Se hizo oír entonces Alfredo Izaguirre Hornedo para pedir que la
sesión se declarase secreta, como era habitual cuando el tema a tratar
comprometía la moral de un parlamentario. Se votó la propuesta, la
mayoría se pronunció por la puerta cerrada y una vez que  fueron
sacados del hemiciclo los asistentes a las tribunas del público, la
prensa, los secretarios, los ujieres y los taquígrafos, comenzó la
lectura del documento judicial. No escatimaba el juez instructor los
antecedentes del victimario ni escamoteaba detalle alguno sobre el
suceso del edificio de la calle Galiano. El ambiente se tornó tenso,
angustioso. Los que intentaban tirarle el manto protector al asesino
se revolvían ansiosos en sus escaños y miraban nerviosos los relojes.
A la hora del debate solo cuatro representantes se pronunciaron por
retirar la inmunidad a Casimiro Eugenio Rodríguez Cartas. Fueron el ya
aludido Cremata (liberal), el socialista Aníbal Escalante, el ortodoxo
Manuel Bisbé y Teodoro Tejeda, del Partido Auténtico. Curiosamente,
nadie pidió que se votara en contra del suplicatorio. No hacía falta.
Los empecinados en frustrar la acción de la justicia confiaban en que
funcionarían a la perfección los amarres anteriormente concertados.
Se exigía la votación nominal para pronunciarse a favor o en contra
del documento del Supremo y comenzó el relator a leer lentamente, uno
por uno, los nombres de los legisladores, que respondían sí o no al
pase de lista. Ocurrió, sin embargo, lo inesperado. Confiados en su
superioridad numérica, los partidarios de Rodríguez Cartas abandonaban
el hemiciclo a medida que votaban sin percatarse de que ponían el
quórum en riesgo. Así fue. Cayó el quórum y un campanillazo del
presidente Lincoln Rodón anunció que se suspendía la sesión. Sin
acuerdo.
Una nueva sesión quedó convocada para el día siguiente, temprano en la
mañana. No estaban esa vez los senadores Bringuier y Rey. Pero a la
puerta del hemiciclo, la ex senadora María Teresa Zayas, esposa de
Rodríguez Cartas, pedía a cada uno de los representantes que votaran
en contra del suplicatorio.
Tuvo eco. De 72 parlamentarios que acudieron a la cita, 62 le
arrojaron el salvavidas al asesino y convirtieron la inmunidad en
impunidad.
Aun así, Rodríguez Cartas puso agua de por medio y se refugió en la
República Dominicana, a la vera del sátrapa Rafael Leónidas Trujillo,
cuyos intereses servía en Cuba. Pocos meses después de la muerte de
Frayle Goldarás, sería  parte principal en el secuestro en el reparto
Sevillano de  La Habana del líder obrero dominicano Mauricio Báez,
sacado de Cuba en secreto y servido en bandeja de plata al dictador
del bicornio de plumas  sin que nunca se precisara su destino, que es
de suponer.

Pago el doble que cualquiera

Si usted pregunta a alguien mayor de 70 años quién era Benito Remedios
Langaney, responderá, de manera sintética, que era un animal. Un día
en que venía de Pinar del Río le cayó a tiros a su propio automóvil
porque el vehículo se  encangrejó en la carretera.
Durante los largos años en los que fue representante a la Cámara, solo
en una ocasión pidió la palabra en el parlamento. Se la concedieron y
sus compañeros de hemiciclo aguardaron ansiosos su estreno como
tribuno. Entonces se irguió en su escaño, carraspeó, miró hacia un
lado y hacia otro, balbuceó frases  ininteligibles y volvió a
sentarse. “Remedios pidió la palabra y la perdió”, expresó no sin
humor  Carlos Márquez Sterling, que presidía ese cuerpo colegislador.
Parco en el decir, el hombre era, sin embargo, elocuente en los
hechos, sobre todo en lo que a la compra-venta de votos se refería.
Dinero mediante no solo se hacía elegir, sino que hizo elegir asimismo
a su esposa y a su hermana  y, en el momento de su muerte, se empeñaba
en hacer elegir también  a su hijo. Benito Remedios tenía una divisa
electoral infalible y  convincente. Decía: “Pago el doble que
cualquiera”.
En verdad lo pagaba y rastreaba hasta el último kilito el dinero
invertido. Nadie podía darle la mala y mientras otros políticos
cubanos displicentes,  como José Manuel Alemán,  entregaban sin
contarlas  gruesas sumas a sus sargentos políticos, Remedios no solo
sabía con exactitud  lo que daba, sino que al final había que rendirle
cuentas.
En vísperas de  las elecciones parciales de  1950 fueron a visitarlo
tres o cuatro caciques del habanero barrio de Colón con el fin de
garantizarle  votos en la zona. A cambio, querían cargos en el Estado.
—No, cargos no; los necesito para mí. Díganme el dinero que quieren y
la cantidad de votos que me prometen y tal vez lleguemos a un arreglo
—les dijo.
Como las células se cotizaban entonces a diez pesos y eran 500 los
sufragios prometidos, el negocio redondeaba la bonita cantidad de 5
000 pesos. Pero Remedios les entregó solo 2 500, y aclaró:
—Los 2 500 restantes se los daré el 2 de junio cuando aparezcan esos
500 votos en las urnas.
Como el día en cuestión únicamente aparecieron 300, Benito Remedios
zanjó el asunto con 500 pesos.
Militó en el Partido Conservador, en el Conjunto Nacional Cubano, en
la Coalición  Socialista Democrática, en el ABC, en el Partido
Republicano… Cambiaba de filiación política con más facilidad que de
camisa. Y su presencia en el parlamento era uno de sus tantos
negocios. Lo confesó paladinamente: “Siendo legislador me ahorro los
impuestos que me “comería” el fisco si fuese particular”.
Porque Benito Remedios Langaney era dueño del central azucarero Río
Cauto, en Oriente, y de la compañía ganadera Adelaida; de 126 fincas
rústicas situadas en cinco de las seis provincias de la Isla y de la
empresa piñera La Cubanita; de varias haciendas ganaderas en Las
Villas y Camagüey y de colonias  que rendían 25 millones de arrobas de
caña por zafra.  Era el mayor productor de la piña cubana y uno de sus
más grandes exportadores…
Y lo mataron por querer evadir una multa de tránsito.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/


domenica 19 aprile 2015

Ranuncolo

RANUNCOLO: girino in via di sviluppo

sabato 18 aprile 2015

Ranocchio

RANOCCHIO: organo della vista di batrace

venerdì 17 aprile 2015

54 anni dallo sbarco alla Baia dei Porci


Foto tomada en abril de 1961 que muestra a varios miembros de la Brigada 2506, después de ser capturados en Bahía de Cochinos, Cuba. MIGUEL VINAS AFP/GETTY IMAGES


Oggi ricorre il 54° anniversario dello sbarco alla Baia dei Porci, nella parte meridionale e pantanosa dell'Isola. Lo scopo della Brigata 2506 era di stabilire una solida "testa di ponte" dove da un "territorio liberato" si potesse far arrivare un Governo provvisorio, fedele agli Stati Uniti e che era già stato formato in Florida. La rapida risposta dell'esercito e del popolo cubano non hanno consentito questa operazione, liquidando gli invasori in meno di 72 ore.

Rampino

RAMPINO: appendice di sempreverde

giovedì 16 aprile 2015

Qui

QUI: altro nipote di Paperino

mercoledì 15 aprile 2015

Quadruplicato

QUADRUPLICATO: dipinto non originale

martedì 14 aprile 2015

Stretta finale sulla disposizione di togliere Cuba dalla "lista nera" del terrorismo

Fonte El Nuevo Herald/EFE

Obama respalda sacar a Cuba de lista de patrocinadores de terrorismo
EFE

Raúl Castro y Barack Obama, al terminar su reunión en la Cumbre de las Américas CASA BLANCA CASA BLANCA

WASHINGTON 
El presidente Barack Obama avisó el martes al Congreso de su intención de retirar a Cuba de la lista de Estados patrocinadores del terrorismo, en la que ese país permanece desde 1982 y que supone la imposición de sanciones.
“Hoy el presidente envió al Congreso el informe y las certificaciones requeridas que indican la intención de la Administración de rescindir la designación de Cuba como Estado patrocinador del terrorismo”, dijo el portavoz de la Casa Blanca, Josh Earnest, en un comunicado.
Cuba reclama desde hace años su salida de esa lista que elabora anualmente el Departamento de Estado, que supone la imposición de sanciones como la prohibición de la venta de armas y de ayuda económica, y en la que actualmente comparte espacio únicamente con Irán, Sudán y Siria.
El Congreso cuenta ahora con 45 días para estudiar la decisión de Obama y, en caso de desacuerdo, puede presentar un proyecto de ley para tratar de revocar el dictamen presidencial.
La decisión de Obama se produce apenas tres días después de su histórica reunión con el mandatario de Cuba, Raúl Castro, durante la VII Cumbre de las Américas celebrada en Panamá, en un nuevo paso hacia la normalización de relaciones bilaterales anunciada el pasado 17 de diciembre.
En su mensaje al Congreso, Obama certifica que el Gobierno de Cuba “no ha proporcionado ningún apoyo al terrorismo internacional durante los últimos seis meses”, y que ha expresado “garantías de que no respaldará actos de terrorismo internacional en el futuro”.
Obama tomó la decisión tras recibir una recomendación de su secretario de Estado, John Kerry, quien celebró el martes la decisión del mandatario.
“Las circunstancias han cambiado desde 1982, cuando Cuba fue designada inicialmente como Estado patrocinador del terrorismo debido a sus esfuerzos por promover la revolución armada en Latinoamérica”, dijo Kerry en un comunicado.
Las razones para mantener hasta ahora a Cuba en la lista eran su presunta acogida a miembros de la organización terrorista vasca ETA y de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC), además de a algunos fugitivos de la Justicia estadounidense.
“Aunque Estados Unidos ha tenido, y sigue teniendo, preocupaciones significativas y desacuerdos con un amplio rango de políticas y acciones de Cuba, esas preocupaciones y desacuerdos no entran en los criterios para la designación como Estado patrocinador del terrorismo”, señaló Kerry.
La revisión que hizo Kerry incluyó aportes de la comunidad de inteligencia estadounidense sobre las actividades de Cuba y “garantías proporcionadas por el Gobierno cubano”, según Earnest.
Noticia en desarrollo. Se actualizará próximamente.





Quadrumvirato

QUADRUMVIRATO: quadro rovesciato (latino)

lunedì 13 aprile 2015

Donne al Congresso, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 12/4/15

A Cuba le donne arrivarono alla Camera dei Rappresentanti nel 1936 e al Senato nel 1940. Il primo progetto di legge presentato da una donna al Congresso fu una specie di riforma agraria che prevedeva la distribuzione di terre incolte dello Stato.
Corrispose a Consuelo Vazquez Bello di Las Villas presentarlo. Fino al 1958 si concesse solo in una occasione l’opportunità, a una donna, di fare il panegirico di Antonio Maceo alla Camera e pure fino a quell’anno, solo una donna presiedette questa entità, la orientale María Caro Mas. In sei anni da senatrice, María Teresa Zayas, non pronunciò mai una sola parola nell’emiciclo del Senato. Prima di occupare il suo seggio alla Camera, Alicia Hernández de la Barca fu delegata alla convenzione che elaborò la Costituzione del 1940, dove ci furono solo tre donne. Siccome in quel periodo aveva appena partorito, non era infrequente che accudisse a quella assemblea magna con il bambino in braccio. Anni dopo, un po’ per scherzo, ma con orgoglio dirà a suo figlio:
-Sei l’unico cubano allattato al Capitolio.
Il 6 di aprile del 1936, all’apertura del periodo legislativo, si fecero valere alla Camera sei donne con i certificati di parlamentari elette. Furono: Rosa Anders Causse, María Gómez Carbonell, María Quintana Herrera, Balbina Remedios e le già citate María Caro Mas e Consuelo Vázquez Bello. Da quella data e fino al 1952 non hanno mai superato il numero di sei le donne che ebbero seggi in questo consesso durante una legislazione.
Tra il 1940 e il 1952 ci furono solo due senatrici, una di loro la giornalista Mariblanca Sabas Alomá che fu anche ambasciatrice e ministro senza portafoglio. Nel 1954 solo una donna, María Gómez Carbonell arrivò al Senato e altre due, entrambe per Oriente, entrarono alla Camera. Nelle elezioni spurie del 1958, solo una donna venne eletta al Senato, la già citata Alicia Hernández de la Barca e tre giunsero alla Camera dei Rappresentanti.

Io sono la maggiore

Un giorno, il Presidente della Camera mancò alla sessione corrispondente e così anche il suo vice. Tale assenza la suppliva il rappresentante di maggior età. Maria Caro assunse senza pregiudizi la sua età e disse “Io sono la maggiore”. Salì al podio per dichiarare aperta la sessione che non giunse a celebrarsi per mancanza di quorum. Lei promosse una legge sulla proprietà intellettuale che non procedette e nel 1938 gettò in faccia al presidente Federico Laredo Bru l’inadempienza della sua promessa di contribuire con 25.000 pesos al sostegno della Scuola della Famiglia di Oriente.
Non si approvò nemeno il progetto di legge sulla ripartizione di terre statali di Consuelo Vázquez Bello, sorella di Clemente, presidente del Senato ai tempi di Machado e che nel settembre 1932 fu vittima di un atentatro che gli costò la vita. Si dice che l’Avanera María Antonia Quintana, molto abile nel dibattimento politico, dava colore alle sessioni della Camera per la sua bellezza, eleganza e per il suo modo di fare limpido e deciso e che Rosa Anders Causse di Camagüey, eloquentissima, fu una delle figure più rilevanti del Congresso. Esperanza Sánchez Mastrapa, che partecipò come delegata all’Assemblea Costituente come nel Parlamento, Alicia Hernandez de la Barca lavorò a favore dell’infanzia, la scuola, il maestro e la donna. Alla Camera propose una legge che disponeva la riforma integrale dell’insegnamento e un’altra sulla creazione del servizio sociale e l’orientamento vocazionale nella scuola pubblica.
Molti anni dopo Alicia Hernández de la Barca: “Mi portano alla Costituente giusto come rappresentante delle donne...fui incaricata di redigere la sezione sullo Stato e la famiglia...Quando ci riunimmo là, al Capitolio, Grau che era il mio capo politico, mi disse di prendere partito su questo tema e come mi erano sempre interessati i diritti civili della donna, quelli sessuali, la uguaglianza razziale, infine con tutto ciò in testa, assunsi il progetto...Affrontai affari molto delicati, dall’educazione, alla famiglia; la polemica maggiore la suscitò il tema razziale e la questione dei figli illegittimi”.
Questi nomi diranno poco o niente ai lettori di oggi. Anche se mi riferirò più avanti alla Hernández de la Barca, accennerò adesso per la curiosità dei loro casi, ad altre due legislatrici, la pittrice Loló Soldevilla ela già citata María Teresa Zayas.

Dimissionarie

Quest’ultima, figlia dell’ex presidente Alfredo Zayas, fu eletta al Senato in due occasioni. La seconda volta svolse il suo mandato da principio a fine tra 1944 e 1948, ma alla prima aveva rinunciato nel 1942, quando svolgeva l’incarico da due anni. Allora lo occupò il suo sostituto Eugenio Rodríguez Cartas e tutto rimase in famiglia perché era anche suo marito
Lei conobbe quello che sarà suo marito durante una visita al Castillo del Principe, dove Rodríguez Cartas scontava una sanzione per l’omicidio, nel 1917, di Florencio Guerra, sindaco provvisorio di Cienfuegos. Non era di certo il suo primo crimine ebbene anche nel 1911, sempre per omicidio, fu condannato dall’auditoria di Santa Clara. Non fu nemmeno l’ultimo: nel 1950 crivellò letteralmente di colpi, nell’edificio America della calle Galiano, il rappresentante alla Camera Rafael Frayle Goldarás, fatto che rimase impunito e appena un anno dopo fu protagonista principale del sequestro del leader operaio dominicano Mauricio Báez, fatto uscire da Cuba in segreto e servito su un piatto d’argento al satrapo Rafael Leónidas Trujillo senza che si precisasse niente sul suo destino che si può immaginare. Ma questa è un‘altra storia.
Il fatto è che in  quella visita al Castillo del Principe, Marí Teresa Zayas si innamorò di Rodríguez Cartas e conseguì che suo padre, nel mentre alla Presidenza della Repubblica, lo amnistiasse. Qualcuno può chiedersi come un assassino carcerato e confesso potesse regolarsi per arrivare al Congresso della nazione. Cosí erano le cose. Le amnistie ripulivano i precedenti penali e il resto era questione di muovere le influenze e i soldi sufficienti. L’atto di rappresentante alla Camera per il Partito Auténtico nel 1950 costava non meno di 100.000 pesos, cifra per niente difficile da recuperare se si veniva eletti. Loló Soldevilla fu, sembra, una legislatrice feconda, ma si stancò presto del suo lavoro al Congresso e rinunciò al suo seggio che conquistò per l’Avana nonostante fosse nata a Pínar del Río.
Si allontanò cosí dalla politica attiva per dedicarsi completamente a quelle che erano le su due vocazioni: la pittura e la letteratura. Era sposta con Eusebio Mujal, l’auténtico e poi batistiano, leader della CTC. Ai tempi di Batista  e già separata da suo marito, si disimpegnò come addetta culturale dell’ambasciata di Cuba a Parigi. Più tardi -31 ottobre 1957- già con altri amori, aprì nella 5ta Avenida, angolo 84 a Miramar, la galleria Color-Luz. Dopo la vittoria della Rivoluzione rimase a Cuba e pubblicò un paio di libri. Chi scrive ricorda, a metà degli anni ’60, le passeggiate di Loló Soldevilla per la calle Obispo, con un abbigliamento un po’ stravagante e circondata sempre da un seguito di ragazzi di ambo i sessi che la trattavano quasi come una dea.

La fidanzata auténtica

Rimase anche a Cuba Alicia Hernández de la Barca e svolse un valido compito nel settore dell’educazione, in particolare nella Direzione Nazionale dei Giardini d’Infanzia. Da studentessa universitaria conobbe molte di quelle che poi sarebbero state figure significative del Partito Auténtico, nel quale militò anche lei. Fu amica di Ramón Grau San Martin che al suo arrivo al potere, nel 1944, la nominò sottosegretaria (viceminstra) dell’Educazione e da questo dicastero, dove rimase fino al 1946, fu la collaboratrice più efficace del ministro Luis Pérez Espinós nella sua campagna di Tutto per il bambino. Nel 1950 Alicia fu una delle promotrici della legge per l’equiparazione della donna e del matrimonio. Morì all’Avana con oltre 90 anni d’età.
In un certo momento la chiamarono La Fidanzata dell’Autenticismo. Per questa organizzazione politica giunse alla Camera nel 1946 e vi tornò nel 1950 mandato, questo, che non poté concludere perché il colpo di Stato del 10 marzo 1952 interruppe il ritmo istituzionale della nazione. Ancora molto giovane, entrò come professoressa di Matematica nel complesso della Scuola Normale per Maestri dell’Avana. L’aveva designata il suo padrino, il generale josé Braulio Alemán, segretario (ministro) dell’Educazione del presidente Machado. Alla Dottoressa Carolina Poncet, tutta un’istituzione alla Normale, dette fastidio la giovinezza della nuova collega. Commentò, allora la studiosa del romanzo cubano e dell’opera di José Jacinto Milanés e Joaquín Lorenzo Luaces che Cuba era un Paese di sorprese e aggiunse subito che non capiva come una ragazza tanto giovane fosse già cattedratica di una scuola come quella. Alicia rispose che non la nominarono per la sua età, ma per i suoi titoli.
-Quanti titoli universitari ha lei?
-Due rispose la citata.
-Bene, io ne ho quattro.
In effetti era Dottoressa in Farmacia, in Pedagogia, in Scienze Fisico-Matematiche e in Scienze Naturali.
Nonostanze le sue discrepanze col presidente Carlos Prío, Alicia Hernández de la Barca fu l’unica deonna che nelle ore che seguirono il colpo di Stato batistiano si fece presente al Palazzo per manifestare il suo appoggio e collaborazione al presidente deposto. Lo incitò a resistere e quando si convinse che non lo avrebbe fatto, suggerì senza successo, che i parlamentari si facessrro forti nel Capitolio. Nell’accomiatasi da Prío e girandogli le spalle per sempre gli gettò in faccia la sua mancanza ti tempra con una frase lapidaria.
Gli disse:
-Ricorda che tua madre fu mambisa.


 Mujeres en el Congreso

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
12 de Abril del 2015

En Cuba las mujeres llegaron a la Cámara de Representantes en 1936, y al Senado en 1940. El primer proyecto de ley presentado por una mujer al Congreso fue una suerte de reforma agraria que contemplaba el reparto de las tierras rústicas del Estado. Correspondió hacerlo a la villareña Consuelo Vázquez Bello. Hasta 1958 solo en una ocasión se concedió a una mujer la oportunidad de hacer el panegírico de Antonio Maceo en la Cámara, y también hasta esa fecha solo una mujer presidió ese cuerpo, la oriental María Caro Mas. En seis años como senadora, María Teresa Zayas jamás pronunció una sola palabra en el hemiciclo del Senado. Antes de ocupar su curul en la Cámara, Alicia Hernández de la Barca fue delegada a la convención que elaboró la Constitución de 1940, donde solo hubo tres mujeres. Como en esa época estaba recién parida, no era raro que concurriera a aquella magna asamblea con el niño en brazos. Años después, un poco en broma, pero con orgullo, diría a su hijo:
—Eres el único cubano que tomó el pecho en el Capitolio.
El 6 de abril de 1936, al abrirse el período legislativo, seis mujeres hicieron valer en la Cámara sus actas como parlamentarias electas. Fueron Rosa Anders Causse, María Gómez Carbonell, María Quintana Herrera, Balbina Remedios y las ya citadas María Caro Mas y Consuelo Vázquez Bello. Desde esa fecha y hasta 1952 nunca pasaron de seis las mujeres que tuvieron escaños en ese cuerpo durante una etapa congresional.
Entre 1940 y 1952 hubo solo dos senadoras, una de ellas la periodista Mariblanca Sabas Alomá, también embajadora y ministra sin cartera. En 1954 solo una mujer, María Gómez Carbonell, llegó al Senado, y otras dos, ambas por Oriente, accedieron a la Cámara. En las elecciones espurias de 1958 solamente una dama resultó electa al Senado, la ya mencionada Alicia Hernández de la Barca, y tres llegaron a la Cámara de Representantes.

Yo soy la mayor

Un día faltó a la sesión correspondiente el Presidente de la Cámara y también el vice. Tales ausencias las suplía el representante de más edad. María Caro asumió sin prejuicios sus años y dijo: “Yo soy la mayor”. Subió al estrado para declarar abierta una sesión que no llegaría a celebrarse por falta de quórum. Ella impulsó una ley sobre la propiedad intelectual que no progresó y en 1938 echó en cara al presidente Federico Laredo Bru el incumplimiento de su promesa de contribuir con 25 000 pesos al sostenimiento de la Escuela del Hogar, de Oriente.
Tampoco se aprobó el proyecto de ley sobre el reparto de tierras estatales de Consuelo Vázquez Bello, hermana de Clemente, presidente del Senado en tiempos de Machado y que en septiembre de 1932 fue víctima de un atentado que le costó la vida. Se dice que la habanera María Antonia Quintana, muy hábil en el debate político, daba colorido a las sesiones de la Cámara por su belleza y elegancia y por su actuación despejada y decidida, y que Rosa Anders Causse, de Camagüey, elocuentísima, fue una de las figuras femeninas más relevantes del Congreso. Esperanza Sánchez Mastrapa, que concurrió como delegada a la Asamblea Constituyente de 1940, llegó después a la Cámara de manos de los comunistas, con los que, una vez allí, no tardó en discrepar. Tanto en la Constituyente como en el Parlamento, Alicia Hernández de la Barca trabajó en favor del niño, la escuela, el maestro y la mujer. En la Cámara propuso una ley que disponía la reforma integral de la enseñanza y otra sobre la creación del servicio social y la orientación vocacional en las escuelas públicas.
Muchos años después diría Alicia Hernández de la Barca: “Me llevan a la Constituyente justamente como representante de la mujer… fui la encargada de redactar la sección sobre el Estado y la familia… Cuando nos reunimos allá en el Capitolio, Grau, que era mi jefe político, me pide que tome partido en ese tema, y como a mí siempre me habían interesado los derechos civiles de la mujer, los sexuales, la igualdad racial, en fin, con todo eso en mente asumí el proyecto… Abordé asuntos muy delicados, desde la educación, la familia; la polémica mayor la suscitó el tema racial y la cuestión de los hijos bastardos”.
Poco o nada dirán esos nombres a los lectores de hoy. Aunque a la Hernández de la Barca me referiré más adelante, aludiré ahora, por lo curioso de sus casos, a otras dos legisladoras, la pintora Loló Soldevilla y la ya mencionada María Teresa Zayas.

Renunciantes

A esa última, hija del ex presidente Alfredo Zayas, la eligieron al Senado en dos ocasiones. La segunda vez desempeñó su mandato de principio a fin entre 1944 y 1948, pero la primera lo renunció, en 1942, cuando llevaba dos años en el cargo. Lo ocupó entonces Eugenio Rodríguez Cartas, su suplente, y todo quedó en familia porque era además su esposo.
Ella conoció al que sería su marido en una visita al Castillo del Príncipe, donde Rodríguez Cartas cumplía sanción por el asesinato, en 1917, de Florencio Guerra, alcalde provisional de Cienfuegos. No era ese ciertamente su primer crimen, pues en 1911 y también por asesinato, lo condenó la Audiencia de Santa Clara. Tampoco sería el último: en 1950 cosería literalmente a balazos, en el edificio América, de la calle Galiano, al representante a la Cámara Rafael Frayle Goldarás, hecho que quedó impune, y apenas un año después fue parte principal en el secuestro en La Habana del líder obrero dominicano Mauricio Báez, sacado de Cuba en secreto y servido en bandeja de plata al sátrapa Rafael Leónidas Trujillo sin que nunca se precisara su destino, que es de suponer. Pero esa es otra historia.
El caso es que en aquella visita al Castillo del Príncipe, María Teresa Zayas se enamoró de Rodríguez Cartas y consiguió que su padre, a la sazón en la Presidencia de la República, lo amnistiara. Alguien podría preguntarse cómo un asesino convicto y confeso se las arreglaba para llegar al Congreso de la nación. Así eran las cosas. Las amnistías limpiaban los antecedentes penales y lo demás era cuestión de mover influencias y dinero suficientes. Un acta de representante a la Cámara por el Partido Auténtico en 1950 costaba no menos de 100 000 pesos, cifra nada difícil de recuperar si se salía electo.
Loló Soldevilla fue, parece, una legisladora fecunda, pero se cansó pronto de su labor en el Congreso y renunció a su escaño, que conquistó por La Habana aunque era pinareña de nacimiento.
Se alejó así de la política activa para dedicarse por entero a las que eran sus dos vocaciones: la pintura y el cultivo de las letras. Estaba casada con Eusebio Mujal, el auténtico y luego batistiano líder de la CTC. En tiempos de Batista, y separada ya de su esposo, se desempeñó como agregada cultural en la embajada de Cuba en París. Más tarde —31 de octubre de 1957— ya con otros amores, abrió en 5ta. avenida esquina a 84, en Miramar, la galería Color-Luz. Después del triunfo de la Revolución se quedó en Cuba y publicó un par de libros. Quien esto escribe recuerda, de mediados de los años 60, los paseos de Loló Soldevilla por la calle Obispo, con una vestimenta un tanto estrafalaria y rodeada siempre de un séquito de muchachos de ambos sexos que la trataban casi como a una diosa.
La novia auténtica

También se quedó en Cuba Alicia Hernández de la Barca y desplegó una valiosa tarea en el sector de la educación, en particular en la Dirección Nacional de los Círculos Infantiles. Siendo estudiante universitaria conoció a muchos de los que después serían figuras significativas en el Partido Auténtico, en el que también militó ella. Fue amiga de Ramón Grau San Martín que, a su llegada al poder, en 1944, la nombró subsecretaria (viceministra) de Educación, y desde ese departamento, donde permaneció hasta 1946, fue la colaboradora más eficaz del ministro Luis Pérez Espinós en su campaña de Todo por el Niño. En 1950 Alicia fue una de las gestoras de la ley por la equiparación de la mujer y del matrimonio. Murió en La Habana, con más de 90 años de edad.
En un momento la llamaron La Novia del Autenticismo. Por esa organización política llegó a la Cámara en 1946 y volvió en 1950, mandato este que no pudo concluir porque el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952 interrumpió el ritmo institucional de la nación.
Muy joven accedió, como profesora de Matemáticas, al claustro de la Escuela Normal para Maestros de La Habana. La había designado su padrino, el general José Braulio Alemán, secretario (ministro) de Educación del presidente Machado. A la Doctora Carolina Poncet, toda una institución en la Normal, le molestó la juventud de la nueva colega. Comentó entonces la estudiosa del romancero cubano y de la obra de José Jacinto Milanés y Joaquín Lorenzo Luaces, que Cuba era un país de sorpresas y añadió enseguida que no entendía cómo una muchachita tan joven fuera ya catedrática de una escuela como aquella. Alicia respondió que no la nombraron por su edad, sino por sus títulos.
—¿Cuántos títulos universitarios tiene usted?, preguntó Alicia a la Poncet.
—Dos, respondió la aludida.
—Pues yo tengo cuatro.
Era, en efecto, Doctora en Farmacia, en Pedagogía, en Ciencias Físico-Matemáticas y en Ciencias Naturales.
Pese a sus discrepancias con el presidente Carlos Prío, Alicia Hernández de la Barca fue la única mujer que en las horas que siguieron al golpe de Estado batistiano se hizo presente en Palacio para manifestar su apoyo y colaboración al mandatario depuesto. Lo instó a resistir y cuando se convenció de que no lo haría, sugirió, sin éxito, que los parlamentarios se hicieran fuertes en el Capitolio. Al despedirse de Prío y virarle la espalda para siempre, le echó en cara su falta de arrojo con una frase lapidaria.
Le dijo:
—Recuerda que tu madre fue mambisa.

















Quadrifoglio

QUADRIFOGLIO: pagina dai lati uguali

domenica 12 aprile 2015

Chiuso il vertice dei Capi di Stato o di Governo americani

Conclusa il XVII° vertice dei governanti del continente americano. L'evento è stato definito "storico" perché dopo 50 anni erano presenti le delegazioni di tutti i Paesi d'America, nessuno escluso. Se questo incontro non ha, in sé, compiti esecutivi ha però lasciato chiaramente intendere le intenzioni, peraltro non nuovissime, dell'intero blocco latinoamericano e dei Caraibi di non voler essere più troppo accondiscendenti riguardo alla politica espansionista, neocolonialista e militarista degli Stati Uniti nelle loro rispettive aree. Tutti, si sono manifestati soddisfatti per la presenza di Cuba e per i passi che il presidente Obama, seppure tardivamente rispetto al suo mandato, sta effettuando per andare verso la normalizzazione dei rapporti con l'Isola caraibica. Molte, comunque, sono state le critiche rivolte, non a lui personalmente, ma appunto alla politica d'ingerenza mantenuta dagli USA rispetto al sub continente. In particolare verso il recente decreto (di cui Obama è direttamente responsabile) che indica il Venezuela come "minaccia alla sicurezza interna degli Stati Uniti" al quale si è riferita la presidentessa argentina Cristina Fernandez come "ridicolo", nelle sue parole mi sembrava di rileggere quanto pubblicato da me a suo tempo...lo avrà letto? Lasciatemi sognare...non costa niente.

Qua

QUA: nipote di Paperino

sabato 11 aprile 2015

L'attesa stretta di mano tra Barak Obama e Raúl Castro

Fonte: El Nuevo Herald
Obama y Castro se dan la mano en la Cumbre de las Américas
NORA GÁMEZ TORRES
NGAMEZTORRES@ELNUEVOHERALD.COM


Fotografía cedida por Presidencia de Panamá del presidente de EEUU, Barack Obama (i) saludando su homólogo cubano, Raúl Castro (d) mientras se saludan durante un encuentro informal en la ceremonia inaugural de la VII Cumbre de las Américas que se realiza en Ciudad de Panamá (Panamá). Obama y Castro mantendrán este sábado, en el marco de la cumbre, un encuentro histórico que será el primero entre los presidentes de ambos países en más de medio siglo. EFEComments


PANAMÁ 
El presidente estadounidense Barack Obama y el gobernante cubano Raúl Castro se dieron la mano y caminaron el uno junto al otro, acompañando al mandatario panameño Juan Carlos Varela, al entrar al salón de sesiones donde el viernes por la noche fue inaugurada formalmente la VII Cumbre de las Américas en Panamá.
La cita, que se celebra en el Centro de Convenciones Atlapa de la capital panameña, cuenta con la presencia de dignatarios de los 35 países del continente, en medio de la expectativa por la primera participación de Cuba en este tipo de eventos.
Más temprano, la Casa Blanca había informado que Obama tendría un intercambio el sábado con Castro en el contexto de la cumbre.
Ben Rhodes, asesor de seguridad nacional del presidente, dijo en conferencia de prensa que no hay una reunión formal organizada pero “anticipamos que tengan una discusión mañana (sábado) durante la cumbre”. Se esperaba que el viernes ambos compartieran en la cena de los presidentes y jefes de estado.