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martedì 15 settembre 2015

I terreni del Capitolio, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 13/9/15

All’inizio fu una discarica. E prima una grande palude. Il terreno che occupa il Capitoliofu il luogo o almeno uno dei luoghi dove si gettava la spazzatura della città Così fu fino al 1817, quando l’eminente Ramón de la Sagra, col concorso di altri avaneri entusiasti, riuscì a trasformaro in un giardino botanico, in quello spazio contenuto fra quello che sarebbe stato il Paseo del Prado. Il Campo di Marte –attuale piazza dell Fraternità Americana – e la porta in terra della Muraglia.
Alejandor Ramírez, intendente generale per l’Industria dell’Isola. Cedette questi terreni alla Società Economica degli Amici del Paese e questa corporazione detinò. Non poche risorse, all’accondizionamento di quello che gli avaneri cominciarono a partire da allora, come passeggiata pubblica.

Arriva la ferrovia

Il giardino e il Paseo, comunque, scomparvero nel 1834. La ferrovia arrivava a Cuba. Si stabilì il tragitto Habana-Güines e il Ministero dell’Industria alienava i terreni al fine di stabilirvi una stazione di treni. La svendita non trascorse senza proteste. Protestò iul comune dell’Avana per aver ignorato la sua opinione in merito al fatto, si lamentarono gli Amici del Paese a difesa di quello che era o pensavano fosse loro: protesta che si estese nel tempo, ebbene in una memoria di Leonardo Santos Suárez si manteneva aperta la pratica.
La stazione avrebbe portato il nome di Villanueva in onore di Claudio Martínez de Pinillos, già allora Intendente Generale dell’Industria dell’Isola; il cubano a cui la Corona spagnola a parte di concedergli il titolo di Conte di Villanueva come Grande di Spagna, lo esaltò come Cavaliere col grado della Gran Croce del Regio Ordine di Carlos III e dell’Americana di Isabella la Cattolica; lo fece membro degli ordini militari di San Fernando di Calatrava e del Consiglio di Stato; Gentiluomo della Camera di Sua Maestà, Maestrante di Ronda, colonnello e Intendente dell’Esercito spagnolo, fra gli altri titoli come quello di Presidente della Giunta delle Forniture, Agricoltura e Commercio.
Nel 1834, per ordine del Re, Villanueva assumeva, come Presidente del Consiglio della Ferrovia, la costruzione del citato cammino di ferro fino a Güines. Per farlo possibile lo si autorizzava a negoziare con l’Inghilterra un prestito di due milioni di pesos forti. Questo debito si sarebbe pagato  con la aprte corrispondente di quello che avrebbe reso la ferrovia e con ciò che la Giunta delle Forniture avrebbe dedotto dalle sue rendite e che doveva essere ammortizzta il 1° gennaio del 1860.
Già per allora il Conte di Villanuova era morto. La sua acerrima difesa degli interessi dell’oligarchia creola gli valse non pochi scontri con i dispotici capitani generali spagnoli e che, in definitiva, gli costarono il posto. Cessò come Intendente Generale nel 1851, dopo aver effettuato un lavoro formidabile a favore dell’espansione dell’economia dell’Isola e della fondazionendi non poche opere di pubblica utilità, come case di salute, strade vicinali e l’acquedotto di Fernando VII. Morì due anni più tardi, nella stessa sede del Consiglio di Oltremare, a Madrid, mentre discuteva calorosamente in difesa degli interessi di Cuba.

Si privatizza l’azienda

Nel 1835 cominciava la costruzione della stazione di Villanuova. Avaneri potenti donarono grandi estensioni di terreno per il tracciato delle parallele della ferrovia. Nel 1837 il nuovo mezzo di trasporto arrivava a Bejucal e l’anno seguente a Güines ciò che grazie alla derivazione di San Felipe, permise di stabilire una linea di vaporetti tra Surgidero di Batabanò e l’Isola dei Pini. Nel 1840 la ferrovia arrivava a Cárdenas e due anni dopo si privatizzava, all’essere venduta in un asta pubblica a una compagnia anonima formata da Miguel Aldama, Juan Poey e altri cubani di solvenza illimitata. La comprano con tre milioni e mezzo di pesos e pagano quasi 170.000 per i terreni dell’attiguo giardino botanico. Sorgerà, con gli anni, la Compagnia delle Ferrovie Unite dell’Avana; i suoi azionisti conseguono che l’impresa si riorganizzi a Londra e alla fine della Guerra d’Indipendenza, le ferrovie erano già prevalentemente inglesi.
Dall’inizio della Guerra Grande, nel 1868, la Spagna utilizzò Villanueva per imbarcare truppe che avrebbero affrontao i mambises’ Si trasportavano in treno fino al Surgidero de Batabanó e da lì, per mare, sarebbero giunti a destinazione. Quello che le autorità spagnole non seppero mai, è che la stazione ferroviaria era un centro di cospiratori e amici dell’indipendenza. Un’idea audace fu conecepita da un gruppo di operai e impiegati nella contesa del 95: si valsero di un gran tronco di legno, abilmente preparato, per far giungere armi e munizioni, denaro e lettere con notizie di interesse agli insurretti.
Perfino l’amministratore delle Ferrovie Unite, ingegner Alberto de Ximeno, sapeva di questa ingegnosa operazione a cui non pose mai termine. Quello che è veramente curioso, è che militari e funzionari civili spagnoli sospettarono di quel tronco che arrivava in treno con allarmante frequenza.

Onesto, severo e inflessibile

Il 13 marzo 1889, assumeva il Governo dell’Isola il tenente generale Manuel de Salamanca y Negrete. Era un uomo onesto, ma severo e inflessibile. Si propose di terminare col banditismo e annunciò dal primo momento che sotto il suo mandato, il vil garrote non avrebbe avuto riposo. E compì la sua promessa. Presto si vide Valentín Ruiz, così si chiamava il “ministro esecutore” – pomposo nome che si dava al boia – con quella macchina di morte che era itinerante, tanto a Jovellanos come a Guanajay, Santa Clara, Matanzas, Colón, Remedios...Mentre si trattava di banditelli, la giustizia andava liscia. Altra cosa fu quando rimase sul tappeto, per l’epoca, la gigantesca malversazione di 14 milioni di pesos nel Dipartimento di Guerra della Colonia. Erano delinquenti dal collo bianco, come si chiamano adesso e il generale Salamanca non poté con loro. Morì misteriosamente, dalla sera alla mattina, il 6 febbraio 1890, mentre trattava che si istruissero le accuse ai colpevoli. Nella sua agonia finale ebbe un momento di lucidità e avvertì il generale Cavada, suo sostituto interinale: “I ladri sono deboli davanti all’integrità di un governante...Possono più in apparenza che nella realtà”.
Che relazione ha questo fatto con Villanueva e i terreni del Capitolio, si domandarà il lettore? Molto semplice. Il generale Salamanca – che dettò serie disposizioni sulla raccolta della spazzatura e all’orario in cui gli abitanti potevano metterla in strada e perseguì i bottegai che alteravano i prezzi – volle togliere Villanueva dall’isolato che delimitavano le calli Prado, Industria, San José e Dragones – con fronte su quest’ultima via. Di fatto la chiuse. Dispose che molti treni non entrasssero nella città. Non potveano passare l’angolo di Cristina e Jesús del Monte, nel cosiddetto ponte de Agua Dulce, dove si costruì una casupola che si chiamò stazione o capolinea di Salamanca, mentre altri potevano discendere il passaggio di Zanja fra Hospital e Espada. I treni militari carichi di feriti o malati, terminavano il viaggio di fronte alla caserma di Dragones.
Diciamolo senza giri di parole: lo scriba sta per passare i 70 anni e non ha mai visto – o non ricorda – tale ponte. Però esistì. Sussistette fino agli anni ’40, quando il presidente Grau fece incanalare il fiume che passava di lì e costruì la piazzetta cheb si chiamò anche di Agua Dulce, nome che mantiene ancora. La caserma menzionata occupava lo spazio della stazione di Polizia della calle Dragones fra Escobar e Lealtad.

Pescecane

Togliere Villanueva dalla sua area era un vecchio desiderio degli avaneri. Con l costruzione del quartiere Las Murallas, la zona si stava convertendo in una delle migliori e più quotate dell’Avana. L’andirivieni dei treni sporcava gli edifici, complicava la vita quotidiana e provocava alcuni incidenti. Non era ozioso che l’uscita dei treni fosse inevitabilmente preceduta da un fantino che ad alta voce, avvertiva agli sprovveduti avaneri la prossimità del convoglio.
Morto Salamanca, Villanueva tornò ad essere Villanueva. Sopraggiunsero successivamente la Guerra d’Indipendenza, il primo intervento militare nordamericaano; don Tomás, il nostro primopresidente, con la sua taccagneria; il secondo intervento nordamericano...
Nella seconda metà del 1909, il presidente liberale José Miguel Gómez decise di prendere il toro per le corna. Avrebbe cambiato i terreni di Villanueva per quelli dell’antico arsenale – dov’è adesso la stazione centrale delle ferrovie. Sebbene fosse una misura che avrebbe contribuito al miglioramento della città e contava con la simpatia degli avaneri, si faceva evidente il fatto fraudolento. Lo Stato consegnava a una compagnia straniera – Ferrocarriles Unidos – i terreni dell’arsenale, valutati in oltre 5 milioni di pesos e riceveva in cambio quelli di Villanueva che valevano appena due milioni. Il denaro che si muoveva sotto il tappeto, per commissioni e corruzioni, avrebbe macchiato José Miguel che il popolo soprannominava “Pescecane”e  avrebbe sfiorato i suoi commilitoni a costo degli interessi della nazione,
Nel gennaio del 1910, la commissione d’Industria e Bilancio del Senato dava al progetto di legge un parere favorevole e raccomandava la sua approvazione in toto di questo ramo. Nella Camera dei Rappresentanti, con maggioranza liberale, l’approvazione della legge era senza dubbio improbabile, gli si opponevano tanto i conservatori come i liberali capitanati da Alfredo Zayas. Fu allora che i michelisti cucinarono una strategia infallibile: decisero che il fatto si prendesse come una questione di “partito”, cosa che obbligava tutti i parlamentari liberali, tanto michelisti che zaysti a conedergli il voto favorevole a scanso della pena di alienarsi i privilegi dell’Esecutivo e rimanere fuori dalla torta.
Per discrepanze davanti alla legge, due rappresentanti della Camera si batterono a duello irreglare all’angolon di O’Reilly e San Ignacio e uno di loro morì a conseguenza degli spari. La legge fu approvata e il cambio di Villanueva con l’arsenale si portò a termine. José Miguel Gómez ambiva a un nuovo Palazzo Presidenziale.
(Con la documentazione dell’ingegnere Luis Díaz. Continua)


Los terrenos del Capitolio (I)

Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
12 de Septiembre del 2015 20:45:08 CDT

En un comienzo fue un basurero.
Y antes, una gran ciénaga. Los
terrenos que ocupa el Capitolio fueron el lugar o, al menos, uno de
los lugares donde se arrojaba la basura de la ciudad. Así sucedió
hasta 1817, cuando el eminente Ramón de la Sagra, con el concurso de
otros habaneros entusiastas, logró que se fomentara un jardín botánico
en aquel espacio enmarcado entre lo que sería el Paseo del Prado, el
Campo de Marte —actual Plaza de la Fraternidad Americana— y la puerta
de tierra de la Muralla.
Alejandro Ramírez, intendente general de Hacienda de la Isla, cedió
esos terrenos a la Sociedad Económica de Amigos del País, y esa
corporación destinó no pocos recursos al  acondicionamiento de lo que
los habaneros empezaron a tener a partir de entonces como paseo
público.

Llega el ferrocarril

El jardín y el paseo, sin embargo, desaparecieron en 1834. El
ferrocarril llegaba a Cuba. Se establecería el itinerario
Habana-Güines, y Hacienda enajenaba los terrenos a fin de emplazar en
ellos una estación de trenes. El despojo transcurrió no sin protesta.
Protestó el Ayuntamiento habanero por haberse ignorado su opinión
acerca del asunto, y se quejaron los Amigos del País en defensa de lo
que era o tenían como suyo; reclamo que se extendió en el tiempo, pues
todavía en 1842 una memoria de Leonardo Santos Suárez mantenía abierto
el expediente.
La estación llevaría el nombre de Villanueva en honor de Claudio
Martínez de Pinillos, ya entonces Intendente General de Hacienda de la
Isla; el cubano a quien la Corona española concedió mayores honores a
lo largo de toda la Colonia, pues aparte de concederle el título de
Conde de Villanueva con grandeza de España, lo exaltó como Caballero,
con el grado de Gran Cruz, de la Real Orden de Carlos III y de la
Americana de Isabel la Católica; lo hizo miembro de las órdenes
militares de San Fernando y de Calatrava y del Consejo de Estado;
Gentilhombre de Cámara de Su Majestad, Maestrante de Ronda, Coronel e
Intendente del Ejército español, entre otros títulos como el de
Presidente de la Junta de Fomento, Agricultura y Comercio.
En 1834, por orden del Rey, Villanueva asumía, como presidente del
Consejo Directivo del Ferrocarril,  la construcción del aludido camino
de hierro hasta Güines. Para hacerlo posible se le autorizaba a
concertar con Inglaterra un empréstito de dos millones de pesos
fuertes. Esta deuda se pagaría con la parte correspondiente de lo que
produjera el propio ferrocarril y con lo que la Junta de Fomento
deduciría de sus rentas y que debía quedar amortizada el 1ro. de enero
de 1860.
Ya para entonces había muerto el Conde de Villanueva. Su defensa
acérrima de los intereses de la oligarquía criolla le valió no pocos
encontronazos con los despóticos capitanes generales españoles que, en
definitiva, le costaron el puesto. Cesó como Intendente General en
1851, luego de haber acometido una labor formidable en favor de la
expansión de la economía de la Isla y del fomento de no pocas obras de
utilidad pública, como casas de salud, caminos vecinales y el
acueducto de Femando VII. Murió dos años más tarde, en la propia sede
del Consejo de Ultramar, en Madrid, mientras discutía acaloradamente
en defensa de los intereses de Cuba.

Se privatiza la empresa

En 1835 comenzaba la construcción de la estación de Villanueva.
Habaneros pudientes donaron grandes extensiones de terreno para el
trazado de las paralelas del ferrocarril. En 1837 el nuevo medio de
transporte llegaba a Bejucal, y al año siguiente a Güines, lo que,
gracias al ramal de San Felipe, posibilitó el establecimiento de una
línea de vapores entre Surgidero de Batabanó e Isla de Pinos. En 1840
el ferrocarril llegaba a Cárdenas, y dos años después se privatizaba
al ser vendido en subasta pública a una compañía anónima conformada
por Miguel Aldama, Juan Poey y otros cubanos de ilimitada solvencia.
Lo compran en tres millones y medio de pesos y abonan casi 170 000 por
los terrenos del antiguo jardín botánico. Surgiría, con los años, la
Compañía de los Ferrocarriles Unidos de La Habana; consiguen sus
accionistas que la empresa se reorganice en Londres, y al finalizar la
Guerra de Independencia, ya los Ferrocarriles Unidos eran
eminentemente ingleses.
Desde comienzos de la Guerra Grande, en 1868, España utilizó
Villanueva para embarcar las tropas que enfrentarían a los mambises.
Se transportaban en tren hasta el Surgidero de Batabanó y, desde allí,
por mar, llegaban a su destino. Lo que nunca supieron las autoridades
españolas es que la estación ferroviaria era un foco de conspiradores
y amigos de la independencia. Una idea atrevida concibió durante la
contienda del 95 un grupo de obreros y empleados: se valieron de una
gran toza de madera, hábilmente preparada, para hacer llegar a los
insurrectos armas, municiones, dinero, cartas y noticias de interés.
Hasta el administrador de los Ferrocarriles Unidos, ingeniero Alberto
de Ximeno, sabía de esa ingeniosa operación a la que jamás puso
reparo. Lo verdaderamente curioso es que militares y funcionarios
civiles españoles jamás sospecharan de aquel tocón que iba y venía en
el tren con alarmante frecuencia.

Honesto, severo e inflexible

El 13 de marzo de 1889 asumía el gobierno de la Isla el teniente

general Manuel de Salamanca y Negrete. Era un hombre honesto, pero
severo e inflexible. Se propuso acabar con el bandolerismo y anunció
desde el primer momento que, bajo su mandato, el garrote vil no
conocería descanso. Y cumplió su promesa. Pronto se vio a Valentín
Ruiz, que así se llamaba al “ministro ejecutor” —pomposo nombre que se
daba al verdugo— con aquella máquina de muerte, que era itinerante,
tanto en Jovellanos como en Guanajay, en Santa Clara, Matanzas, Colón,
Remedios… Mientras se trató de bandidos de a pie, la justicia marchó
sobre ruedas. Otra cosa ocurrió cuando quedó sobre el tapete, para la
época, la gigantesca malversación de 14 millones de pesos en el
Departamento de Guerra de la Colonia. Eran delincuentes de cuello
blanco, como se les llama ahora, y el general Salamanca no pudo con
ellos. Murió misteriosamente de la noche a la mañana, el 6 de febrero
de 1890, cuando trataba de que se instruyera de cargos a los
culpables. En su agonía final tuvo un momento de lucidez y advirtió al
general Cavada, que sería su sustituto interino: “Los ladrones son
débiles ante la entereza de un gobernante… Pueden más en apariencia
que en la realidad”.
¿Qué relación guarda este asunto con Villanueva y los terrenos del
Capitolio?, se preguntará el lector. Muy sencillo. El general
Salamanca —que dictó serias disposiciones sobre la recogida de basura
y la hora en que los vecinos debían sacarla a la calle, y persiguió a
los bodegueros que alteraban los pesos y los precios— quiso sacar a
Villanueva de la manzana que enmarcaban las calles Prado, Industria,
San José y Dragones —con frente sobre esta última vía. De hecho, la
clausuró. Dispuso que muchos trenes no entraran en la ciudad. No
podían pasar de la esquina de Cristina y Jesús del Monte, en el
llamado puente de Agua Dulce, donde se construyó una caseta que se
llamó estación o paradero de Salamanca, mientras que otros podían
desembarcar el pasaje en Zanja entre Hospital y Espada. Los trenes
militares, cargados de heridos y enfermos, rendían viaje frente al
cuartel de Dragones.
Digámoslo sin rodeos: el escribidor va ya para los 70 años y nunca vio
—o no recuerda— tal puente. Pero existió. Subsistió hasta los años 40,
cuando el presidente Grau canalizó el río que por allí pasaba y
construyó la plazoleta que se llamó también de Agua Dulce, nombre que
mantiene todavía. El cuartel mencionado ocupaba el espacio de la
estación de Policía de la calle Dragones entre Escobar y Lealtad.

¡Tiburón!

Sacar a Villanueva de su área era un viejo anhelo de los habaneros.
Con la construcción del reparto Las Murallas, la zona se iba
convirtiendo en una de las mejores y más cotizadas de La Habana. El ir
y venir de los trenes ensuciaba los edificios, complicaba la vida
cotidiana y provocaba algún que otro accidente. No resultaba ocioso
que la salida de los trenes fuera invariablemente precedida por un
jinete que, a viva voz, advertía a los desprevenidos habaneros de la
proximidad del convoy.
Muerto Salamanca, Villanueva volvió a ser Villanueva. Sobrevinieron
sucesivamente la Guerra de Independencia, la primera intervención
militar norteamericana; don Tomás, nuestro primer presidente, con su
tacañería; la segunda intervención norteamericana…
En la segunda mitad de 1909, el presidente liberal José Miguel Gómez
decidió tomar el toro por los cuernos. Cambiaría los terrenos de
Villanueva por los del antiguo arsenal —donde está ahora la estación
central de ferrocarriles. Si bien era una medida que contribuiría al
mejoramiento de la ciudad y contaba con la simpatía de los habaneros,
se hacía evidente lo fraudulento del asunto. El Estado entregaba a
una compañía extranjera —Ferrocarriles Unidos— los terrenos del
arsenal, valorados en más de cinco millones de pesos, y recibía a
cambio los de Villanueva, que apenas valían dos millones. El dinero
que se movería bajo cuerda, por comisiones y sobornos, empaparía a
José Miguel, a quien el pueblo apodaba “Tiburón” y salpicaría a sus
conmilitones a costa de los intereses de la nación.
En enero de 1910, la Comisión de Hacienda y Presupuesto del Senado
daba al proyecto de ley un dictamen favorable y recomendaba su
aprobación al pleno de ese cuerpo. En la Cámara de Representantes, con
mayoría liberal, la aprobación de la ley, sin embargo, era improbable,
pues se le oponían tanto los conservadores como los liberales que
capitaneaba Alfredo Zayas. Fue entonces que los miguelistas cocinaron
una estrategia infalible: decidieron que el asunto se tomara como una
cuestión de «partido», lo que obligaba a todos los parlamentarios
liberales, tanto miguelistas como zayistas, a concederle voto
favorable so pena de enajenarse los privilegios del Ejecutivo y quedar
fuera del jamón.
Por discrepancias ante la ley, dos representantes a la Cámara se
batieron en duelo irregular en la esquina de O’Reilly y San Ignacio, y
uno de ellos murió a consecuencia de los disparos. La ley fue aprobada
y el canje de Villanueva por el arsenal se llevó a cabo. José Miguel
Gómez ambicionaba un nuevo Palacio Presidencial.
(Con documentación del ingeniero Luis Díaz.
Continuará)
 
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/




Mancano solo i ritocchi finali per ricevere Papa Francesco

Cuba si prepara a ricevere la visita del terzo Pontefice negli ultimi 17 anni, con i suoi 517 di storia da quando gli europei ne hanno fatto ufficialmente la "scoperta".
Dopo Giovanni Paolo II nel 1998 e Benedetto XVI nel 2012, questa si pensa sia la visita più attesa , il primo Papa Latinoamericano, colui che ha contribuito, forse più di tutti la riavvicinamento di Cuba con gli Stati Uniti. Nel frattempo, la Plaza del Revoluciòn si sta vestendo di gala, con le insegne che recano i colori delle bandire di Cuba e dello Stato del Vaticano ed è pronta, a parte alcuni piccolo dettagli dell'ultima ora a ricevere il Santo Padre che vi celebrerarà la prima delle sue 4 messe previste in territorio cubano. L'altra sarà nella Cattedrale dell'Avana e poi ad Holguin e a Santiago de Cuba da dove partirà per Washington. nel frattempo ha portato un acquazzone notturno, dopo tanta siccità. Niente di determinante, ma lascia sperare, dopo una "stagione delle piogge" senza le medesime.

lunedì 14 settembre 2015

Topica

TOPICA: tipica dei ratti

sabato 12 settembre 2015

Topazio

TOPAZIO: ratto fuori di senno

venerdì 11 settembre 2015

11 settembre, una brutta data...

Oggi è l'11 settembre che io ricordi, in ordine cronologico sono successi questi fatti:

1973, colpo di Stato e uccisione di Salvador Allende in  Cile..

2001, attentato al World Trade Center e al Pentagono negli Stati Uniti, altro fallito (sembra), alla Casa Bianca per la caduta anticipata dell'aereo che sembrava vi fosse diretto.

2009, Muore Juan Almeida Bosque, uno dei più amati (specie da me) Comandanti della Rivoluzione cubana.

Se qualcuno ricorda qualcos'altro...magari in positivo, siamo qua.

Ecco per esempio una notizia positiva...tratta da  "Il fatto quotidiano e certamente riportata da molti media del mondo:


In vista dell’arrivo di Papa Francesco, il governo cubano concede la grazia a 3.522 detenuti. Lo annuncia il quotidiano Gramma, secondo quanto riferisce il sito della Bbc in spagnolo.
“In occasione della visita di Sua Santità, saranno graziati 3.522 detenuti”, scrive il giornale precisando che verrà tenuto conto del tipo di reati, del loro comportamento in carcere e ragioni di salute. Bergoglio arriverà sull’isola il prossimo 19 settembre, dopo essere stato uno dei principale protagonisti dello storico disgelo tra Stati Uniti e Cuba annunciato a dicembre dal presidente Barack Obama e da Raul Castro, che il 14 agosto scorso, dopo 54 anni, ha portato alla riapertura dell’ambasciata Usa a l’Avana.
La misura riguarda tra gli altri “persone con più di 60 anni, minori di 20 anni senza precedenti penali, malati, donne”, oltre “agli stranieri per i quali il paese d’origine assicura il rimpatrio”. Sono invece esclusi, “salvo poche eccezioni per ragioni umanitarie, chi è stato condannato per omicidio, violazioni, pederastia con violenza, narcotraffico, furto e sacrificio di bestiame” e, precisa Cubadebate, “delitti contro la sicurezza dello Stato”.


giovedì 10 settembre 2015

mercoledì 9 settembre 2015

Invito ufficiale della curatrice della prossima Mostra fotografica di Modena

  Buongiorno a tutti, 
            è con grande piacere che comunico la ripresa dell'attività di

Photogallery group di Via Peschiera 6 Modena . 
  Tutti gli anni la ripresa è ad Ottobre, ma quest'anno cominciamo prima per un evento molto importante : una mostra fotografica di due meteorologi molto noti : Luca Lombroso, che ci presenta i cieli di Modena e ce ne parlerà soprattutto dal suo punto di vista e Josè M. Rubiera Torres , cubano, che espone foto di Cuba e porterà la sua esperienza. 
Questa mostra non sarà inaugurata come il solito, di Sabato, ma Domenica 20 Settembre alle ore 17 e avrà la durata di 10 giorni , cioè dal 20 al 30 settembre .Da non perdere perchè sicuramente interessante e di attualità il dibattitoconversazione tra i due metereologi il 27 settembre alle ore 18 sempre in via Peschiera 6 Modena 
Vi aspettiamo numerosi
Sara Cestari  

Le cose e le persone cambiano, ma il lupo perderò davvero il vizio?

Fonte: El Nuevo Herald 

Sur de la Florida

SEPTIEMBRE 8, 2015
Donald Trump se siente bien con el acercamiento a Cuba
Donald Trump pronunció un discurso crítico contra Fidel Castro en el Museo de la Brigada 2506 en una visita que hizo en 1999. Tim Chapman Archivo / Miami Herald
PATRICIA MAZZEI
pmazzei@MiamiHerald.com

Al visitar a los cubanoamericanos en Miami hace una década y media, Donald Trump declaró que Fidel Castro era un “asesino” y un “criminal” que no debía ser “premiado”.
Ahora ha declarado su apoyo, aunque un tanto tibio, a la campaña del presidente Barack Obama por estrechar los lazos entre Estados Unidos y Cuba, una política que Trump describió como que estaba “bien”.
En una entrevista publicada el lunes, Trump respondió brevemente a una sola pregunta sobre lo que él creia del deshielo en las relaciones EEUU-Cuba” “¿Cree usted que es una buena política, o está usted en contra de la apertura de EEUU hacia Cuba?”, preguntó elDaily Caller, publicación de tendencia más bien conservadora de Washington, D.C.
“Creo que está bien”, dijo Trump. “Creo que está bien, pero deberíamos haber hecho un acuerdo mejor. El concepto de tener una apertura con respecto a Cuba –50 años es suficiente– el concepto de tener una apertura con respecto a Cuba está bien. Creo que deberíamos haber hecho un acuerdo más enérgico”.
No se hizo seguimiento a la pregunta en la entrevista publicada. La campaña de Trump no respondió a una solicitud del Miami Herald de que diera más detalles.
El principal aspirante a la nominación para la candidatura republicana a la presidencia en el 2016 es el segundo contendiente republicano en apoyar la política de Obama hacia Cuba, después del senador de Kentucky Rand Paul. Los dos candidatos locales de Miami, el ex gobernador Jeb Bush y el senador Marco Rubio, están entre sus críticos más ardientes. También lo es el senador de Texas Ted Cruz, quien es cubanoamericano como Rubio.
En el caso de Trump, sus recientes comentarios son marcadamente distintos de los que él ha hecho anteriormente sobre qué debería hacer Estados Unidos con respecto al régimen de Castro.
En 1999, cuando jugaba con la idea de postularse a la presidencia como candidato del Partido Reformista, Trump publicó un editorial en el Miami Herald criticando la idea de hacer negocios con Cuba: “Sí, el embargo es costoso. Si yo hiciera un negocio conjunto con socios europeos, podría ganar millones de dólares. Pero prefiero perder esos millones que perder el respeto a mí mismo”.
La Fundación Nacional Cubano Americana invitó al magnate inmobiliario a visitar la Biblioteca y Museo de los Veteranos de la Bahía de Cochinos en La Pequeña Habana cinco meses más tarde.
Allí, se jactó de rechazar propuestas de urbanización en Cuba y criticó a Castro.
“El ha sido un asesino, él es un criminal y no creo que se deba premiar a la gente que ha hecho las cosas que él ha hecho”, dijo Trump.
En cierto momento, los presentes gritaron: “¡Viva Donald Trump!”
El Daily Caller no preguntó específicamente a Trump acerca del embargo. Pero Trump has suavizado o incluso revertido completamente su opinión sobre otros temas, como es el caso del derecho al aborto, que él defendió y al que ahora se opone (“La mujer tiene que poder tomar esa decisión”, dijo Trump durante esa misma visita a Miami del 1999.) Esos cambios lo han acercado al establishment republicano.
Su apoyo al acercamiento EEUU-Cuba hace exactamente lo contrario, acercándolo a la demócrata Hillary Clinton, ex secretaria de Estado de EEUU que vino en julio a la Universidad Internacional de la Florida para expresar su resonante apoyo a la política de Obama. Ella dijo que estaría a favor de levantar el embargo.
No obstante, Trump no parece tener mucho que perder. El está a la cabeza de los republicanos debido a su actitud alejada de la política al uso, la cual halla resonancia en los votantes que se siente frustrados con los políticos, y no debido a su adherencia a la ortodoxia republicana.
Incluso en el condado Miami-Dade, donde el 73 por ciento de los votantes republicanos son hispanos –muchos de ellos de ascendencia cubana– no hay mucho riesgo para Trump porque la mayoría de esos votantes ya están probablemente de parte de Rubio o de Bush.
Y, aparte de los líderes del partido, Trump parece estar más cerca de las opiniones republicanas de todos modos.
Un sondeo del Centro de Investigaciones Pew dado a conocer en julio concluyó que el 56 por ciento de los republicanos estaban a favor de la política de Obama con respecto a Cuba, y el 59 por ciento estaban a favor de eliminar el embargo.

lunedì 7 settembre 2015

Destini, di Ciro Bianchi Ross, (II e fine)

Delle centinaia di complici, civili e militari, del dittatore Fulgencio Batista che fuggirono da Cuba dopo la vittoria del 1° gennaio del 1959, nessuno fu estradato, nonostante le richieste del Governo cubano in questo senso. Sono passati già più di 50 anni e non edovon essere molti quelli che sono ancora vivi. Con la morte del generale di brigata Francisco Tabernilla Palmero, alias Silito, segretario militare di Batista, dev’essersi estinta la cosca dgli alti ufficiali della dittatura. Con quelli che si opposreo, a suo tempo, al batistato e poi si affrontarono alla Rivoluzione per optare definitivamente per l’esilio, succede lo stesso. Il tempo non trascorre invano. Sono morti quasi tutti.


La Calambrina

Lo scriba prosegue, questa domenica, col tema iniziato la settimana scorsa. Cosa è successo della gente che per un motivo o l’altro e non poche volte per una ragione triste, godette di celebrità a Cuba prima del 1959? A cosa si è dedicata dopo l’uscita dall’Isola? Alcuni nomi non appariranno, in una relazione forzosamente incompleta
Il tenente colonnello Esteban Ventura Novo – il macellaio di Humboldt, fra altri omicidi macabri – se ne andò da Cuba con lo stesso arereo di Batista. Quello non era il suo posto, ma si introdusse sul velivolo passando a braccetto del capitano Alfredo J. Sadulé, aiutante presidenziale, che cercavo di controllare l’accesso di chi sarebbe partito con quel volo, secondo quanto mi ha riferito lo stesso Sadulé a Miami, meno di un anno fa. Ci fu uno scambio di parole forti; ma Batista dal suo sedile, li richiamò all’ordine e Ventura rimase a bordo dell’apparecchio. Aveva tanta fretta di uscire dal Paese che non solo si imbarcò sullaereo che non gli corrispondeva, ma che non attese l’arrivo di sua moglie e le sue due figlie piccole le quali, in mezzo al caos, il generale José Eleuterio Pedraza poté montare sull’ultimo velivolo che decollò quel giorno dall’aeroporto militare. Giorni dopo, inviava sua moglie all’Avana nel tentativo di recuperare 20.000 pesos che aveva nel suo conto in banca. La signora che era dottoressa in Medicina, venne arrestata. Non tardò molto ad essere rimessa in libertà e uscì nuovamente dal Paese.
Già a Miami, Ventura, scrisse le sue memorie e organizzò un’azienda di servizi di sicurezza. Un giorno lo assalirono, non riuscirono a rubargli i valori che custodiva, ma lo ferirono. Molti anni dopo, morì tranquillamente nel suo letto a causa di un attacco cardiaco, il 24 maggio del 2001, a 87 anni d’età.
Un suo compare nella Polizia Nazionale, il colonnello Conrado Carratalà, capo della Direzione di quel corpo repressivo, vendette pizze a Portorico prima di installarsi a Miami. Quelli che lo videro durante le sue ultime ora a Cuba, racontano che andava in giro come sgonfio. Il colonnello Orlando Elena Piedra Negueruela, accompagnò Batista nella sua fuga. Fu capo dell’Ufficio di Investigazioni della Polizia Nazionale, ma più di questo era l’uomo a cui il dittatore affidava la sua sicurezza.
Per mezzo della CIA, Piedra si assunse l’Operazione 40 che sorse al calore  dell’Operazione Pluto, nel 1961, che doveva essere parte essenziale dell’invasione mercenaria di Playa Girón fatta dal corpo repressivo della Brigata d’Assalto 2506, se questa riusciva aconsolidare le posizioni. Uomini dell’Operazone 40 si sarebbe quindi impossessati degli archivi della Sicurezza e della Polizia cubana, avrebbero occupato gli edifici dei principali organismi dell’amministrazione centrale dello Stato e varbbero arrestato i dirigenti più in vista.
Nel 1963, l’FBI interrogò Piedra con relazione alla morte di J.F. Kennedy. In incartamenti sequestrati al presunto assassino, Lee Harvey Hoswald, apparvero il nome e l’indirizzo del colonnello cubano. Nel 1944 col titolo “Parla il colonnello Orlando Piedra”, pubblicò le sue memorie. Morì in un ospizio per anziani, a quanto si dice, per effetto di percosse ricevute. Batista era abituato a premiare i suoi collaboratori con un anello che portava incastonata un’ametista. L’anello con ametista di Piedra è adesso in possesso di Julián Pérez, un membro dell’Ufficio di Investigazioni che si era distinto come custode della casa presidenziale di Columbia che riuscì a scappare con un areo rubato e che adesso dirige il Museo Storico Cubano di Miami.
Non tutti i batistiani fuggirono per aria. Il senatore Rolando Masferrer, capo dei paramilitari conosciuti come Le Tigri che tasnte morti e dolori hanno seminato specialmente nella regione orientale dell’Isola, fuggì con uno yacht ormeggiato a Barlovento, attuale Marina Hemingway, dopo aver obbligato il suo equipaggio a buttarsi in mare. A Miami Masferrer si dedicò a estorcere i piccoli commercinati cubani che vi si erano stabiliti e, in definitiva, al banditismo politico fino alla sua morte, il 31 ottobre del 1975, per lo scoppio di una bomba collocata sotto la sua auto.

Civili e Militari

Il pure senatore Santigo Rey, ministro degli Interni cercò rifugio, con altri funzionari del batistato, nell’Ambasciata del Cile. Visse tra Miami e Santo Domingo fino alla sua morte nel 2003. Guillermo de Zéndegui, direttore dell’Istituto Nazionale della Cultura, si propose di lavorare nella OEA (Organizzazione degli Stati Americani, n.d.t.) anche fosse come portiere. “Un portiere con mantello”, diceva per scherzo. Ottenne la direzione della rivista Américas. Anch’egli per via diplomatica abbandonó il Paese il senatore Eusebio Mujal, segretario generale dalla Confederazione dei Lavoratori di Cuba. Cercó rifugio nell’Ambasciata argentina. All aeroporto, una moltitudine furiosa cercò di aggredirlo quando si disponeva a salire sull’aereo. Il Governo Rivoluzionario gli rilasciò il salvacondotto a condizione che le autorità argentine lo trattenessero fino a che la Cancelleria cubana presentasse il fascicolo per l’estradizione, accordo che il Governo argentino si compromise a rispettare. Ma Mujas, senza che nessuno glie lo impedisse, si trasferì da Buenos Aires a Miami dove gli si dette rifugio. Lì, vincolato alla cotrorivoluzione, fondò un Sindacato che gli permise di lucrare fino alla sua morte, occorsa nel 1986, nel Maryland.
Non ebbe questa fortuna Jouaquín Martínez Sáenz, presidente del Banco Nacional e responsabile della politica finanziaria della dittatura. Lo arrestarono il 1° gennaio nel suo stesso ufficio, in compagnia del suo secondo, lo storico Emeterio Santovenia. Già nella forteza della Cabaña, Santovenia addusse problemi di salute e Che Guevara gli permise di andare a casa sua, dove doveva attendere il reclamo della giustizia. Nel viaggio di andata verso il suo domicilio, si mise in un’ambasciata. Martínez Sáenz rimase in prigione Nello stesso anno 1959, pubblicò all’Avana il suo libro “Per l’indipendenza economica di Cuba”, col quale pretese giustificare la sua gestione del Banco e il cui prologo è datato nella prigione militare.
Nemmeno sfuggirono alla giustizia rivoluzionaria il brigadiere generale Hernando Hernández, ex capo della Polizia Nazionale e il generale di brigata Julio Sánchez Gómez, dell’Esercito, capo de La Cabaña prima e poi del campo di Managua, accusato per la sua attitudine repressiva durante lo sciopero del 9 aprile 1958 e per i morti che apparvero in Ciudad Jardín.

Antibatistiani

L’ex candidato presidenziale Carlos Márquez Sterling, sconfitto nelle elezioni del 1958, fu professore all’Università di Columbia. Passava lunghe ore chino sulla sua macchinetta Smith Corona e scrisse diversi libri, ma mai le sue memorie. Conosceva troppo bene la vita repubblicana e non voleva scoprire pubblicamente basse passioni, meschinità e intrighi, ma esaltare il meglio dei suoi compatrioti, nascondendo i loro difetti.
Scrisse anche vari libri il colonnello Ramón Barquín, leader della cosiddetta cospirazione dei puri che assieme a un gruppo di ufficiali, lo condusse in carcere nel 1956. Dopo la fuga di Batista asunse, ancora vestito da carcerato e senza consultare nessuno, il comando delle forze armate, ma il suo mento era passato. Il 1° di gennaio non era il 4 aprile, scoraggiato finì trapassando il comando al comandante Camilo Cienfuegos. Ancora coi gradi di colonnello fu consigliere dell’Esercito di Liberazione. Dice nel suo libro “I miei dialoghi con Fidel, Raúl, Camilo e il Che”, apparso dopo la sua morte, che per ragioni famigliari e di salute, respinse il Ministero della Difesa.
Acceto l’incarico di ambasciatore straordinario e ambasciatore plenipotenziario di Cuba in Europa, una missione speciale e di carattere itinerante che gli avrebbe permesso di familiarizzarsi con armi, tecniche e programmi di eserciti europei. Nel 1961 si stabilì a Portorico, dove ebbe una grande ed esitosa carriera come proprietario e direttore di un gran collegio. Come corridore di fondo, pertecipò e vinse non poche gare per uomini della teraz età. Uno stadio portoricano porta il suo nome. Morì il 3 marzo del 2008.
Finì anch’egli a Portorico il dottor José Miró Cardona, presidente del Collegio degli Avvocati di Cuba e segretario esecutivo della Società Degli Amici della Repubblica. Il Governo Rivoluzionario gli affidò l’incarico di primo ministro che disimpegnò per poche settimane. Dopo fu ambasciatore in Spagna. Disertò e Washington lo designò, alla vigilia dell’invasione di Girón, presidente di un ipotetico Governo cubano nell’esilio. Morì nel 1963.
Aureliano Sánche Arango, ministro dell’Educazione del presidente Prío, morì nel 1976 negli Stati Uniti, dove viveva col modesto salario di ispettore scolastico. Nicolás Castellanos, ex sindaco dell’Avana, morì a Portorico il 10 febbraiuo del 1985. Era tornato al suo vecchio mestiere e curava una ferriera. Mario Salabarría, uno dei protagonisti dei fatti di Orfila (1947), morì a Miami a 94 anni, per il cuore. La Contessa de Revilla de Camargo morì nel 1963 in Spagna. La lettera con cui accusa i dirigenti cubani di essersi appropriati dela sua palazzina del Vedado è falsa. Lo scriba chiese ai suoi nipoti sulla veridicità della missiva e risposero che la loro zia aveva troppa classe per un gesto come quello.

Padre e figlia

María Luisa Lobo, figlia di Julio, venne a Cuba nel 1975 col proposito di reclamare alcuni manoscritti di Napoleone che suo padre aveva lasciato in deposito. Non poté recuperarli, ma cominciò a guardare l’Isola senza rancore. Tornò molte volte e lavorò quì su un libro sull’Avana che apparve, dopo la sua morte, nel 1998. I quoi quattro figli, allora, vennero a Cuba e sparsero le sue ceneri nello zuccherificio Tinguaro, a Matanzas, il preferito dalla sua famiglia.
Quando partì da Cuba, nel 1960, Julio Lobo aveva una fortuna che – d’accordo ai parametri attuali – si calcola in 5 miliardi di dollari, ma secondo quanto confessò potò nel suo esilio solo una valigetta e uno spazzolino da denti. A differenza di altri grandi capitalisti cubani come i Falla Bonet che prima dell’arrivo della Rivoluzione, fecero uscire dal Paese tra i 40 e i 50 milioni di dollari, lobo comprò tre zuccherifici nel 1959 e continuò ingrossando la sua collezione di opere d’arte. Specialisti assicurano che si rovinò due volte; una a Cuba e l’altra a Wall Street, quando si vide obbligato a pagare i tre zuccherifici menzionati.
Nel 1965, in Spagna, cominciò la seconda tappa del suo esilio. Il suo capitale si era ridotto a circa 200 mila dollari, ma anche senza lo splendore di prima seppe vivere, disse sua figlia, felice e senza amarezze. L’uomo che ebbe tra le sue amanti le attrici più celebri di Hollywood che sopravvisse a tre infarti e a un attentato con una pallottola che gli strappò un pezzo di cranio, occasionandogli conseguenze motorie permanenti, passò gli ultimi due anni della sua vita con il corpo completamente paralizzato, salvo la bocca e le ciglia, seguito con cura dalla sua prima moglie che finì perdonandogli tutte le sue infedeltà. Morì il 30 gennaio del 1983 a 84 anni d’età e lo inumarono vesto di guayabera e avvolto in una bandiera cubana. Così lo aveva voluto.

Destinos (II y final)
Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
5 de Septiembre del 2015 22:39:04 CDT

De los cientos de cómplices, civiles y militares, del dictador
Fulgencio Batista que huyeron de Cuba tras el triunfo del 1ro. de
enero de 1959, ninguno fue extraditado, pese a las reclamaciones  del
Gobierno cubano en ese sentido. Pasaron ya más de 50 años y no deben
ser muchos los que queden vivos. Con la muerte del general de brigada
Francisco Tabernilla Palmero, alias Silito, secretario militar de
Batista, debe haberse extinguido la camarilla de la alta oficialidad
de la dictadura. Con los que en su momento se opusieron al batistato y
se enfrentaron después a la Revolución para optar en definitiva por el
camino del exilio, sucede lo mismo. El tiempo no transcurre en vano.
Casi todos han muerto.
El escribidor prosigue este domingo con el tema que inició la semana
pasada. ¿Qué se hizo de gente que por una razón u otra, y no pocas
veces por una triste razón, gozó de celebridad en Cuba antes de 1959?
¿A qué se dedicó tras su salida de la Isla?  Algunos nombres salen al
paso en una relación forzosamente incompleta.

La Calambrina

El teniente coronel Esteban Ventura Novo —el carnicero de Humboldt,
entre otros asesinatos macabros— salió de Cuba en el mismo avión de
Batista. No era ese su sitio, pero se coló en la aeronave al pasar por
debajo del brazo al capitán Alfredo J. Sadulé, ayudante presidencial,
que intentaba controlar la entrada de quienes irían en ese vuelo,
según me refirió el propio Sadulé en Miami hace menos de un año. Hubo
entre ambos un intercambio de palabras fuertes; pero Batista, desde su
asiento, los llamó al orden y Ventura permaneció a bordo del aparato.
Tenía tanta prisa en salir del país que no solo abordó el avión que no
le correspondía, sino que no esperó la llegada de su esposa y sus dos
pequeñas hijas, a las que en medio del caos, el general José Eleuterio
Pedraza pudo montar en la última nave que despegó ese día en el
aeropuerto militar. Días después, enviaba a su esposa a La Habana en
el intento de recuperar los 20 000 pesos depositados en su cuenta
bancaria. La señora, que era doctora en Medicina, fue detenida. No
demoró en ser puesta en libertad y salió otra vez del país.
Ya en Miami, Ventura escribió sus memorias y montó una empresa de
seguridad.  Un día lo asaltaron, no pudieron robarle los valores que
custodiaba, pero resultó herido. Muchos años después murió
tranquilamente en su cama, de un ataque cardiaco, el 24 de mayo de
2001, a los 87 años de edad.
Un compinche suyo en la Policía Nacional, el coronel Conrado
Carratalá, jefe de Dirección de ese cuerpo represivo, vendió pizzas en
Puerto Rico antes de instalarse en Miami. Los que lo vieron durante
sus últimas horas en Cuba cuentan que andaba como desinflado.
El coronel Orlando Eleno Piedra Negueruela acompañó a Batista en su
fuga. Fue jefe del Buró de Investigaciones de la Policía Nacional,
pero más que eso, el hombre a quien el dictador confiaba su seguridad.
Por conducto de la CIA, Piedra se sumó a la Operación 40, que surgió
al calor de la Operación Pluto, en 1961, y que debía ser parte
esencial de la invasión mercenaria de Playa Girón; el cuerpo represivo
de la Brigada de Asalto 2506, si esta llegaba a consolidar posiciones.
Hombres de la Operación 40 se apoderarían entonces de los archivos de
la Seguridad y la Policía cubanas, ocuparían los edificios de los
principales organismos de la administración central del Estado y
detendrían a los dirigentes más destacados.
En 1963, el FBI interrogó a Piedra con relación a la muerte de J. F.
Kennedy. En papeles que se le ocuparon al supuesto asesino, Lee Harvey
Oswald, aparecieron el nombre y la dirección del ex coronel cubano. En
1994, bajo el título de Habla el coronel Orlando Piedra, publicó sus
memorias. Falleció en un asilo de ancianos, al parecer, dicen, a
consecuencia de una golpiza. Batista acostumbraba a premiar a sus
colaboradores con una sortija que llevaba una amatista engarzada. La
sortija con la amatista de Piedra está en poder ahora de Julián Pérez,
un miembro del Buró de Investigaciones destacado como custodio en la
casa presidencial de Columbia, que logró escaparse en un avión robado
y que dirige el Museo Histórico Cubano de Miami.
No todos los batistianos salieron por el aire. El senador Rolando
Masferrer, jefe de los paramilitares conocidos como Los Tigres, que
tanta muerte y dolor sembraron sobre todo en la región oriental de la
Isla, huyó en un yate fondeado en Barlovento, actual Marina Hemingway,
luego de obligar a su tripulación a hacerse a la mar. En Miami,
Masferrer se dedicó a extorsionar a los pequeños comerciantes cubanos
allí establecidos y, en definitiva, al gansterismo político hasta su
muerte, el 31 de octubre de 1975, al estallar una bomba colocada
debajo de su auto.

Civiles y militares

El también senador Santiago Rey, ministro de Gobernación (Interior)
buscó refugio, con otros funcionarios del batistato,  en la Embajada
de Chile. Vivió entre Miami y Santo Domingo hasta su muerte, en  2003.
Guillermo de Zéndegui, director del Instituto Nacional de Cultura, se
propuso trabajar en la OEA, aunque fuera de portero. “Un portero con
levita”, decía en  broma. Obtuvo la dirección de la revista Américas.
También por la vía diplomática abandonó el país el senador Eusebio
Mujal, secretario general de la Confederación de Trabajadores de Cuba.
Buscó refugio en la Embajada argentina. En el aeropuerto, una multitud
enardecida lo escarneció cuando se disponía a abordar el avión. El
Gobierno Revolucionario le otorgó el salvoconducto que le permitiría
salir de la Isla, a condición de que las autoridades argentinas lo
retuvieran hasta que la Cancillería cubana presentara el expediente de
extradición, acuerdo que el Gobierno argentino se comprometió a
respetar. Pero Mujal, sin que nadie se lo impidiera, se trasladó desde
Buenos Aires a Miami, donde se le dio amparo. Allí, vinculado a la
contrarrevolución, fundó una CTC, que le posibilitó seguir lucrando
hasta su muerte, ocurrida en 1986, en Maryland.
No tuvo esa suerte Joaquín Martínez Sáenz, presidente del Banco
Nacional y responsable de la política financiera de la dictadura. Lo
apresaron el 1ro. de enero en su propia oficina, en compañía de su
segundo, el historiador Emeterio Santovenia. Ya en la fortaleza de la
Cabaña, Santovenia alegó problemas de salud y Che Guevara le permitió
irse a su casa, donde debía esperar el reclamo de la justicia. En el
viaje de ida hacia su domicilio, se metió en una embajada. Martínez
Sáenz guardó prisión. En el mismo año de 1959 publicó en La Habana su
libro Por la independencia económica de Cuba, con el que pretendió
justificar su gestión en el Banco y cuyo prólogo está fechado en la
prisión militar.
Tampoco escaparon a la justicia revolucionaria el brigadier general
Hernando Hernández, ex jefe de la Policía Nacional, y el general de
brigada Julio Sánchez Gómez, del Ejército, jefe de la Cabaña primero y
luego del campamento de Managua, acusado por su actitud represiva
durante la Huelga del 9 de abril de 1958 y por los muertos que
aparecieron en Ciudad Jardín.

Antibatistianos

El ex candidato presidencial Carlos Márquez Sterling, derrotado en las
elecciones de 1958, fue profesor de la Universidad de Columbia. Pasaba
largas horas inclinado sobre su maquinita Smith Corona y escribió
varios libros, pero nunca sus memorias. Conocía demasiado bien la vida
republicana y no deseaba descubrir públicamente bajas pasiones,
mezquindades e intrigas, sino exaltar lo mejor de sus compatriotas y
disimular sus defectos.
También escribió varios libros el coronel Ramón Barquín, líder de la
llamada conspiración de los puros, que, junto con un grupo de
oficiales, lo llevó a la cárcel en 1956. Tras la huida de Batista
asumió, vestido todavía de preso y sin encomendarse a nadie, la
jefatura de las fuerzas armadas, pero su momento había pasado. El 1ro.
de enero no era el 4 de abril, y, desalentado, terminó traspasando el
mando al comandante Camilo Cienfuegos. Aun con sus grados de coronel,
fue asesor del Ejército Rebelde. Dice en su libro Mis diálogos con
Fidel, Raúl, Camilo y el Che, que apareció después de su muerte, que
por razones familiares y de salud, rechazó el Ministerio de Defensa.
Aceptó el cargo de embajador extraordinario y ministro
plenipotenciario de Cuba en Europa, una misión especial y de carácter
itinerante que le permitiría familiarizarse con armamentos, técnicas y
programas de ejércitos europeos. En 1961 se estableció en Puerto Rico,
donde tuvo una exitosa carrera como propietario y director de un gran
colegio. Como corredor de largas distancias, participó y ganó no pocas
competencias para hombres de la tercera edad. Un estadio
puertorriqueño lleva su nombre. Falleció el 3 de marzo de 2008.
Terminó asimismo en Puerto Rico el doctor José Miró Cardona,
presidente del Colegio de Abogados de Cuba y secretario ejecutivo de
la Sociedad de Amigos de la República. El Gobierno Revolucionario le
confió el cargo de primer ministro, que desempeñó por pocas semanas.
Fue después embajador en España. Desertó, y Washington lo designó, en
vísperas de la invasión de Girón, presidente de un hipotético Gobierno
cubano en el exilio. Murió en 1963.
Aureliano Sánchez Arango, ministro de Educación del presidente Prío,
murió en 1976 en Estados Unidos, donde vivía con su modesto salario de
inspector de escuelas. Nicolás Castellanos, ex alcalde de La Habana,
falleció en Puerto Rico el 10 de febrero de 1985. Había vuelto a su
antiguo oficio y atendía una herrería. Mario Salabarría, uno de los
protagonistas de los sucesos de Orfila (1947), murió en Miami con 94
años, del corazón. La Condesa de Revilla de Camargo murió en 1963, en
España. La carta en la que reprocha a los dirigentes cubanos haberse
apropiado de su palacete del Vedado, es falsa. El escribidor preguntó
a sus sobrinos sobre la veracidad de la misiva, y respondieron que su
tía tenía demasiada clase para un gesto como ese.

Padre e hija

María Luisa Lobo, la hija de Julio, vino a Cuba en 1975 con el
propósito de reclamar unos manuscritos de Napoleón que su padre había
dejado en depósito. No pudo recuperarlos, pero empezó a mirar la Isla
sin rencor. Volvió muchas veces y trabajó aquí en un libro sobre La
Habana que apareció después de su muerte, en 1998. Sus cuatro hijos
entonces viajaron a Cuba y esparcieron sus cenizas en el central
Tinguaro, en Matanzas, el preferido de la familia.
Cuando salió de Cuba en 1960, Julio Lobo tenía una fortuna que —de
acuerdo con los parámetros actuales— se calcula en 5 000 millones de
dólares, pero según confesó solo llevó a su exilio una pequeña maleta
y un cepillo de dientes. A diferencia de otros grandes capitalistas
cubanos como los Falla Bonet  que, ante la llegada de la Revolución,
sacaron del país entre 40 y 50 millones de dólares, Lobo compró tres
centrales azucareros en 1959 y continuó engrosando su colección de
obras de arte. Especialistas aseguran que se arruinó dos veces; una en
Cuba y la otra en Wall Street, cuando se vio obligado a pagar los tres
centrales mencionados.
En 1965, en España, comenzó la segunda etapa de su exilio. Su capital
se había reducido a unos 200 000 dólares; pero, aun sin el esplendor
de antes, supo vivir, dijo su hija, feliz y sin amargura. El hombre
que tuvo entre sus amantes a las actrices más célebres de Hollywood,
que sobrevivió a tres infartos y a un atentado de bala que le arrancó
un pedazo de cráneo y le ocasionó secuelas motoras  permanentes, pasó
los dos últimos años de su vida con el cuerpo totalmente paralizado,
salvo la boca y los párpados, atendido con esmero por su primera
esposa, que terminó perdonándole todas sus infidelidades. Murió el 30
de enero de 1983, a los 84 años de edad, y lo inhumaron vestido de
guayabera y envuelto en una bandera cubana. Así lo había decidido.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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Quasi al via la Mostra fotografica di Modena...








domenica 6 settembre 2015

Cacciata...la caccia




Non sono un amante della caccia, nemmeno della pesca. Gli unici esseri che ho assassinato in vita mia, sono stati insetti fastidiosi e spero di non finire all’Inferno per questo, magari per altro... La canna da pesca non so nemmeno come si regge in mano. Non sopporto però le ipocrisie di chi mangia carne di animali “uccisi secondo le norme” o aragoste gettate vive nell’acqua bollente, le signore che (sempre meno in pubblico, per fortuna) si adornano con pelli di visoni, castori, volpi, leopardi e chi più ne ha più ne metta, per poi “detestare la caccia”. Per la pesca moderna, almeno quella sportiva, si è adottato il “catch end release”, per cui dopo la cattura e la eventuale foto o pesatura, il pesce viene rilasciato. Per la caccia sarebbe più difficile adottare...”shoot end release”.

Indubiamente questi tipi di “sport” possono essere discutibili, ma hanno origini antichissime e all’inizio, oltre a fornire cibo e vestiario agli esseri umani hanno iniziato un ciclo di equilibrio faunistico che ha avuto una certa logica e utilità. Oggi, con tante razze in via d’estinzione, oltre agli altri problemi, l’utilità di queste attività può e deve essere indubbiamente discussa. In molti Paesi, la caccia, è vietata, in quasi tutti gli altri è fortemente regolamentata. Cuba era uno di questi ultimi: con regole molto rigide sulle specie e le quantità di prede da abbattere nella pratica venatoria. Ora, da un giorno all’altro si è deciso di proibire, nel modo più assoluto, la caccia sul territorio nazionale “per la difesa dell’ambiente, la flora e la fauna”. Benissimo e più che legittimo, mi sembra però che essendoci degli accordi commerciali precedenti, si sarebbe almeno dovuto dare un preavviso agli operatori di questo campo che hanno già venduto i programmi della prossima stagione. Normalmente, nel turismo convenzionale, si fanno piani e programmi con molti mesi di anticipo, anche da un anno per l’altro. Così è anche per le attività che ricoprono una parte chiamiamola “specializzata” del turismo e che per essere organizzata ha bisogno di risorse investite con largo anticipo. Non mi sembra, quantomeno corretto per non dir di peggio, annullare improvvisamente gli accordi stipulati da un giorno all’altro. Non essendo un esperto, non vorrei nemmeno entrare nel dettaglio della “difesa di specie endemiche” nel caso di Cuba, dove l’attività maggiore e solo in alcuni mesi invernali, è data dalla caccia alle anatre...della Florida...che sono di passo e si nutrono abbondantemente, in particolare, nelle piantagioni seminate a riso, causando copiose perdite nel raccolto. Mi limiterò solamente a commentare che forse, si poteva restringere e regolamentare ancora di più questa attività e anche giungere, come si è voluto fare, a impedirla completamente, ma non è che con qualche mese di differenza e qualche decina di cacciatori si risolve il problema ecologico e ambientale di Cuba o di qualunque altro Paese al mondo. Naturalmente questo non rappresenta nemmeno una grave perdita economica, visto l’esiguo numero relativo dei partecipanti, ma trattandosi da spari...”il colpo” all’immagine non è da poco per un Paese che non ha bisogno di essere ulteriormente criticato.

giovedì 3 settembre 2015

mercoledì 2 settembre 2015

Terzina

TERZINA: difensore di una squadra di calcio femminile

martedì 1 settembre 2015

Tisana

TISANA: ti guarisce