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mercoledì 9 settembre 2015

Le cose e le persone cambiano, ma il lupo perderò davvero il vizio?

Fonte: El Nuevo Herald 

Sur de la Florida

SEPTIEMBRE 8, 2015
Donald Trump se siente bien con el acercamiento a Cuba
Donald Trump pronunció un discurso crítico contra Fidel Castro en el Museo de la Brigada 2506 en una visita que hizo en 1999. Tim Chapman Archivo / Miami Herald
PATRICIA MAZZEI
pmazzei@MiamiHerald.com

Al visitar a los cubanoamericanos en Miami hace una década y media, Donald Trump declaró que Fidel Castro era un “asesino” y un “criminal” que no debía ser “premiado”.
Ahora ha declarado su apoyo, aunque un tanto tibio, a la campaña del presidente Barack Obama por estrechar los lazos entre Estados Unidos y Cuba, una política que Trump describió como que estaba “bien”.
En una entrevista publicada el lunes, Trump respondió brevemente a una sola pregunta sobre lo que él creia del deshielo en las relaciones EEUU-Cuba” “¿Cree usted que es una buena política, o está usted en contra de la apertura de EEUU hacia Cuba?”, preguntó elDaily Caller, publicación de tendencia más bien conservadora de Washington, D.C.
“Creo que está bien”, dijo Trump. “Creo que está bien, pero deberíamos haber hecho un acuerdo mejor. El concepto de tener una apertura con respecto a Cuba –50 años es suficiente– el concepto de tener una apertura con respecto a Cuba está bien. Creo que deberíamos haber hecho un acuerdo más enérgico”.
No se hizo seguimiento a la pregunta en la entrevista publicada. La campaña de Trump no respondió a una solicitud del Miami Herald de que diera más detalles.
El principal aspirante a la nominación para la candidatura republicana a la presidencia en el 2016 es el segundo contendiente republicano en apoyar la política de Obama hacia Cuba, después del senador de Kentucky Rand Paul. Los dos candidatos locales de Miami, el ex gobernador Jeb Bush y el senador Marco Rubio, están entre sus críticos más ardientes. También lo es el senador de Texas Ted Cruz, quien es cubanoamericano como Rubio.
En el caso de Trump, sus recientes comentarios son marcadamente distintos de los que él ha hecho anteriormente sobre qué debería hacer Estados Unidos con respecto al régimen de Castro.
En 1999, cuando jugaba con la idea de postularse a la presidencia como candidato del Partido Reformista, Trump publicó un editorial en el Miami Herald criticando la idea de hacer negocios con Cuba: “Sí, el embargo es costoso. Si yo hiciera un negocio conjunto con socios europeos, podría ganar millones de dólares. Pero prefiero perder esos millones que perder el respeto a mí mismo”.
La Fundación Nacional Cubano Americana invitó al magnate inmobiliario a visitar la Biblioteca y Museo de los Veteranos de la Bahía de Cochinos en La Pequeña Habana cinco meses más tarde.
Allí, se jactó de rechazar propuestas de urbanización en Cuba y criticó a Castro.
“El ha sido un asesino, él es un criminal y no creo que se deba premiar a la gente que ha hecho las cosas que él ha hecho”, dijo Trump.
En cierto momento, los presentes gritaron: “¡Viva Donald Trump!”
El Daily Caller no preguntó específicamente a Trump acerca del embargo. Pero Trump has suavizado o incluso revertido completamente su opinión sobre otros temas, como es el caso del derecho al aborto, que él defendió y al que ahora se opone (“La mujer tiene que poder tomar esa decisión”, dijo Trump durante esa misma visita a Miami del 1999.) Esos cambios lo han acercado al establishment republicano.
Su apoyo al acercamiento EEUU-Cuba hace exactamente lo contrario, acercándolo a la demócrata Hillary Clinton, ex secretaria de Estado de EEUU que vino en julio a la Universidad Internacional de la Florida para expresar su resonante apoyo a la política de Obama. Ella dijo que estaría a favor de levantar el embargo.
No obstante, Trump no parece tener mucho que perder. El está a la cabeza de los republicanos debido a su actitud alejada de la política al uso, la cual halla resonancia en los votantes que se siente frustrados con los políticos, y no debido a su adherencia a la ortodoxia republicana.
Incluso en el condado Miami-Dade, donde el 73 por ciento de los votantes republicanos son hispanos –muchos de ellos de ascendencia cubana– no hay mucho riesgo para Trump porque la mayoría de esos votantes ya están probablemente de parte de Rubio o de Bush.
Y, aparte de los líderes del partido, Trump parece estar más cerca de las opiniones republicanas de todos modos.
Un sondeo del Centro de Investigaciones Pew dado a conocer en julio concluyó que el 56 por ciento de los republicanos estaban a favor de la política de Obama con respecto a Cuba, y el 59 por ciento estaban a favor de eliminar el embargo.

lunedì 7 settembre 2015

Destini, di Ciro Bianchi Ross, (II e fine)

Delle centinaia di complici, civili e militari, del dittatore Fulgencio Batista che fuggirono da Cuba dopo la vittoria del 1° gennaio del 1959, nessuno fu estradato, nonostante le richieste del Governo cubano in questo senso. Sono passati già più di 50 anni e non edovon essere molti quelli che sono ancora vivi. Con la morte del generale di brigata Francisco Tabernilla Palmero, alias Silito, segretario militare di Batista, dev’essersi estinta la cosca dgli alti ufficiali della dittatura. Con quelli che si opposreo, a suo tempo, al batistato e poi si affrontarono alla Rivoluzione per optare definitivamente per l’esilio, succede lo stesso. Il tempo non trascorre invano. Sono morti quasi tutti.


La Calambrina

Lo scriba prosegue, questa domenica, col tema iniziato la settimana scorsa. Cosa è successo della gente che per un motivo o l’altro e non poche volte per una ragione triste, godette di celebrità a Cuba prima del 1959? A cosa si è dedicata dopo l’uscita dall’Isola? Alcuni nomi non appariranno, in una relazione forzosamente incompleta
Il tenente colonnello Esteban Ventura Novo – il macellaio di Humboldt, fra altri omicidi macabri – se ne andò da Cuba con lo stesso arereo di Batista. Quello non era il suo posto, ma si introdusse sul velivolo passando a braccetto del capitano Alfredo J. Sadulé, aiutante presidenziale, che cercavo di controllare l’accesso di chi sarebbe partito con quel volo, secondo quanto mi ha riferito lo stesso Sadulé a Miami, meno di un anno fa. Ci fu uno scambio di parole forti; ma Batista dal suo sedile, li richiamò all’ordine e Ventura rimase a bordo dell’apparecchio. Aveva tanta fretta di uscire dal Paese che non solo si imbarcò sullaereo che non gli corrispondeva, ma che non attese l’arrivo di sua moglie e le sue due figlie piccole le quali, in mezzo al caos, il generale José Eleuterio Pedraza poté montare sull’ultimo velivolo che decollò quel giorno dall’aeroporto militare. Giorni dopo, inviava sua moglie all’Avana nel tentativo di recuperare 20.000 pesos che aveva nel suo conto in banca. La signora che era dottoressa in Medicina, venne arrestata. Non tardò molto ad essere rimessa in libertà e uscì nuovamente dal Paese.
Già a Miami, Ventura, scrisse le sue memorie e organizzò un’azienda di servizi di sicurezza. Un giorno lo assalirono, non riuscirono a rubargli i valori che custodiva, ma lo ferirono. Molti anni dopo, morì tranquillamente nel suo letto a causa di un attacco cardiaco, il 24 maggio del 2001, a 87 anni d’età.
Un suo compare nella Polizia Nazionale, il colonnello Conrado Carratalà, capo della Direzione di quel corpo repressivo, vendette pizze a Portorico prima di installarsi a Miami. Quelli che lo videro durante le sue ultime ora a Cuba, racontano che andava in giro come sgonfio. Il colonnello Orlando Elena Piedra Negueruela, accompagnò Batista nella sua fuga. Fu capo dell’Ufficio di Investigazioni della Polizia Nazionale, ma più di questo era l’uomo a cui il dittatore affidava la sua sicurezza.
Per mezzo della CIA, Piedra si assunse l’Operazione 40 che sorse al calore  dell’Operazione Pluto, nel 1961, che doveva essere parte essenziale dell’invasione mercenaria di Playa Girón fatta dal corpo repressivo della Brigata d’Assalto 2506, se questa riusciva aconsolidare le posizioni. Uomini dell’Operazone 40 si sarebbe quindi impossessati degli archivi della Sicurezza e della Polizia cubana, avrebbero occupato gli edifici dei principali organismi dell’amministrazione centrale dello Stato e varbbero arrestato i dirigenti più in vista.
Nel 1963, l’FBI interrogò Piedra con relazione alla morte di J.F. Kennedy. In incartamenti sequestrati al presunto assassino, Lee Harvey Hoswald, apparvero il nome e l’indirizzo del colonnello cubano. Nel 1944 col titolo “Parla il colonnello Orlando Piedra”, pubblicò le sue memorie. Morì in un ospizio per anziani, a quanto si dice, per effetto di percosse ricevute. Batista era abituato a premiare i suoi collaboratori con un anello che portava incastonata un’ametista. L’anello con ametista di Piedra è adesso in possesso di Julián Pérez, un membro dell’Ufficio di Investigazioni che si era distinto come custode della casa presidenziale di Columbia che riuscì a scappare con un areo rubato e che adesso dirige il Museo Storico Cubano di Miami.
Non tutti i batistiani fuggirono per aria. Il senatore Rolando Masferrer, capo dei paramilitari conosciuti come Le Tigri che tasnte morti e dolori hanno seminato specialmente nella regione orientale dell’Isola, fuggì con uno yacht ormeggiato a Barlovento, attuale Marina Hemingway, dopo aver obbligato il suo equipaggio a buttarsi in mare. A Miami Masferrer si dedicò a estorcere i piccoli commercinati cubani che vi si erano stabiliti e, in definitiva, al banditismo politico fino alla sua morte, il 31 ottobre del 1975, per lo scoppio di una bomba collocata sotto la sua auto.

Civili e Militari

Il pure senatore Santigo Rey, ministro degli Interni cercò rifugio, con altri funzionari del batistato, nell’Ambasciata del Cile. Visse tra Miami e Santo Domingo fino alla sua morte nel 2003. Guillermo de Zéndegui, direttore dell’Istituto Nazionale della Cultura, si propose di lavorare nella OEA (Organizzazione degli Stati Americani, n.d.t.) anche fosse come portiere. “Un portiere con mantello”, diceva per scherzo. Ottenne la direzione della rivista Américas. Anch’egli per via diplomatica abbandonó il Paese il senatore Eusebio Mujal, segretario generale dalla Confederazione dei Lavoratori di Cuba. Cercó rifugio nell’Ambasciata argentina. All aeroporto, una moltitudine furiosa cercò di aggredirlo quando si disponeva a salire sull’aereo. Il Governo Rivoluzionario gli rilasciò il salvacondotto a condizione che le autorità argentine lo trattenessero fino a che la Cancelleria cubana presentasse il fascicolo per l’estradizione, accordo che il Governo argentino si compromise a rispettare. Ma Mujas, senza che nessuno glie lo impedisse, si trasferì da Buenos Aires a Miami dove gli si dette rifugio. Lì, vincolato alla cotrorivoluzione, fondò un Sindacato che gli permise di lucrare fino alla sua morte, occorsa nel 1986, nel Maryland.
Non ebbe questa fortuna Jouaquín Martínez Sáenz, presidente del Banco Nacional e responsabile della politica finanziaria della dittatura. Lo arrestarono il 1° gennaio nel suo stesso ufficio, in compagnia del suo secondo, lo storico Emeterio Santovenia. Già nella forteza della Cabaña, Santovenia addusse problemi di salute e Che Guevara gli permise di andare a casa sua, dove doveva attendere il reclamo della giustizia. Nel viaggio di andata verso il suo domicilio, si mise in un’ambasciata. Martínez Sáenz rimase in prigione Nello stesso anno 1959, pubblicò all’Avana il suo libro “Per l’indipendenza economica di Cuba”, col quale pretese giustificare la sua gestione del Banco e il cui prologo è datato nella prigione militare.
Nemmeno sfuggirono alla giustizia rivoluzionaria il brigadiere generale Hernando Hernández, ex capo della Polizia Nazionale e il generale di brigata Julio Sánchez Gómez, dell’Esercito, capo de La Cabaña prima e poi del campo di Managua, accusato per la sua attitudine repressiva durante lo sciopero del 9 aprile 1958 e per i morti che apparvero in Ciudad Jardín.

Antibatistiani

L’ex candidato presidenziale Carlos Márquez Sterling, sconfitto nelle elezioni del 1958, fu professore all’Università di Columbia. Passava lunghe ore chino sulla sua macchinetta Smith Corona e scrisse diversi libri, ma mai le sue memorie. Conosceva troppo bene la vita repubblicana e non voleva scoprire pubblicamente basse passioni, meschinità e intrighi, ma esaltare il meglio dei suoi compatrioti, nascondendo i loro difetti.
Scrisse anche vari libri il colonnello Ramón Barquín, leader della cosiddetta cospirazione dei puri che assieme a un gruppo di ufficiali, lo condusse in carcere nel 1956. Dopo la fuga di Batista asunse, ancora vestito da carcerato e senza consultare nessuno, il comando delle forze armate, ma il suo mento era passato. Il 1° di gennaio non era il 4 aprile, scoraggiato finì trapassando il comando al comandante Camilo Cienfuegos. Ancora coi gradi di colonnello fu consigliere dell’Esercito di Liberazione. Dice nel suo libro “I miei dialoghi con Fidel, Raúl, Camilo e il Che”, apparso dopo la sua morte, che per ragioni famigliari e di salute, respinse il Ministero della Difesa.
Acceto l’incarico di ambasciatore straordinario e ambasciatore plenipotenziario di Cuba in Europa, una missione speciale e di carattere itinerante che gli avrebbe permesso di familiarizzarsi con armi, tecniche e programmi di eserciti europei. Nel 1961 si stabilì a Portorico, dove ebbe una grande ed esitosa carriera come proprietario e direttore di un gran collegio. Come corridore di fondo, pertecipò e vinse non poche gare per uomini della teraz età. Uno stadio portoricano porta il suo nome. Morì il 3 marzo del 2008.
Finì anch’egli a Portorico il dottor José Miró Cardona, presidente del Collegio degli Avvocati di Cuba e segretario esecutivo della Società Degli Amici della Repubblica. Il Governo Rivoluzionario gli affidò l’incarico di primo ministro che disimpegnò per poche settimane. Dopo fu ambasciatore in Spagna. Disertò e Washington lo designò, alla vigilia dell’invasione di Girón, presidente di un ipotetico Governo cubano nell’esilio. Morì nel 1963.
Aureliano Sánche Arango, ministro dell’Educazione del presidente Prío, morì nel 1976 negli Stati Uniti, dove viveva col modesto salario di ispettore scolastico. Nicolás Castellanos, ex sindaco dell’Avana, morì a Portorico il 10 febbraiuo del 1985. Era tornato al suo vecchio mestiere e curava una ferriera. Mario Salabarría, uno dei protagonisti dei fatti di Orfila (1947), morì a Miami a 94 anni, per il cuore. La Contessa de Revilla de Camargo morì nel 1963 in Spagna. La lettera con cui accusa i dirigenti cubani di essersi appropriati dela sua palazzina del Vedado è falsa. Lo scriba chiese ai suoi nipoti sulla veridicità della missiva e risposero che la loro zia aveva troppa classe per un gesto come quello.

Padre e figlia

María Luisa Lobo, figlia di Julio, venne a Cuba nel 1975 col proposito di reclamare alcuni manoscritti di Napoleone che suo padre aveva lasciato in deposito. Non poté recuperarli, ma cominciò a guardare l’Isola senza rancore. Tornò molte volte e lavorò quì su un libro sull’Avana che apparve, dopo la sua morte, nel 1998. I quoi quattro figli, allora, vennero a Cuba e sparsero le sue ceneri nello zuccherificio Tinguaro, a Matanzas, il preferito dalla sua famiglia.
Quando partì da Cuba, nel 1960, Julio Lobo aveva una fortuna che – d’accordo ai parametri attuali – si calcola in 5 miliardi di dollari, ma secondo quanto confessò potò nel suo esilio solo una valigetta e uno spazzolino da denti. A differenza di altri grandi capitalisti cubani come i Falla Bonet che prima dell’arrivo della Rivoluzione, fecero uscire dal Paese tra i 40 e i 50 milioni di dollari, lobo comprò tre zuccherifici nel 1959 e continuò ingrossando la sua collezione di opere d’arte. Specialisti assicurano che si rovinò due volte; una a Cuba e l’altra a Wall Street, quando si vide obbligato a pagare i tre zuccherifici menzionati.
Nel 1965, in Spagna, cominciò la seconda tappa del suo esilio. Il suo capitale si era ridotto a circa 200 mila dollari, ma anche senza lo splendore di prima seppe vivere, disse sua figlia, felice e senza amarezze. L’uomo che ebbe tra le sue amanti le attrici più celebri di Hollywood che sopravvisse a tre infarti e a un attentato con una pallottola che gli strappò un pezzo di cranio, occasionandogli conseguenze motorie permanenti, passò gli ultimi due anni della sua vita con il corpo completamente paralizzato, salvo la bocca e le ciglia, seguito con cura dalla sua prima moglie che finì perdonandogli tutte le sue infedeltà. Morì il 30 gennaio del 1983 a 84 anni d’età e lo inumarono vesto di guayabera e avvolto in una bandiera cubana. Così lo aveva voluto.

Destinos (II y final)
Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
5 de Septiembre del 2015 22:39:04 CDT

De los cientos de cómplices, civiles y militares, del dictador
Fulgencio Batista que huyeron de Cuba tras el triunfo del 1ro. de
enero de 1959, ninguno fue extraditado, pese a las reclamaciones  del
Gobierno cubano en ese sentido. Pasaron ya más de 50 años y no deben
ser muchos los que queden vivos. Con la muerte del general de brigada
Francisco Tabernilla Palmero, alias Silito, secretario militar de
Batista, debe haberse extinguido la camarilla de la alta oficialidad
de la dictadura. Con los que en su momento se opusieron al batistato y
se enfrentaron después a la Revolución para optar en definitiva por el
camino del exilio, sucede lo mismo. El tiempo no transcurre en vano.
Casi todos han muerto.
El escribidor prosigue este domingo con el tema que inició la semana
pasada. ¿Qué se hizo de gente que por una razón u otra, y no pocas
veces por una triste razón, gozó de celebridad en Cuba antes de 1959?
¿A qué se dedicó tras su salida de la Isla?  Algunos nombres salen al
paso en una relación forzosamente incompleta.

La Calambrina

El teniente coronel Esteban Ventura Novo —el carnicero de Humboldt,
entre otros asesinatos macabros— salió de Cuba en el mismo avión de
Batista. No era ese su sitio, pero se coló en la aeronave al pasar por
debajo del brazo al capitán Alfredo J. Sadulé, ayudante presidencial,
que intentaba controlar la entrada de quienes irían en ese vuelo,
según me refirió el propio Sadulé en Miami hace menos de un año. Hubo
entre ambos un intercambio de palabras fuertes; pero Batista, desde su
asiento, los llamó al orden y Ventura permaneció a bordo del aparato.
Tenía tanta prisa en salir del país que no solo abordó el avión que no
le correspondía, sino que no esperó la llegada de su esposa y sus dos
pequeñas hijas, a las que en medio del caos, el general José Eleuterio
Pedraza pudo montar en la última nave que despegó ese día en el
aeropuerto militar. Días después, enviaba a su esposa a La Habana en
el intento de recuperar los 20 000 pesos depositados en su cuenta
bancaria. La señora, que era doctora en Medicina, fue detenida. No
demoró en ser puesta en libertad y salió otra vez del país.
Ya en Miami, Ventura escribió sus memorias y montó una empresa de
seguridad.  Un día lo asaltaron, no pudieron robarle los valores que
custodiaba, pero resultó herido. Muchos años después murió
tranquilamente en su cama, de un ataque cardiaco, el 24 de mayo de
2001, a los 87 años de edad.
Un compinche suyo en la Policía Nacional, el coronel Conrado
Carratalá, jefe de Dirección de ese cuerpo represivo, vendió pizzas en
Puerto Rico antes de instalarse en Miami. Los que lo vieron durante
sus últimas horas en Cuba cuentan que andaba como desinflado.
El coronel Orlando Eleno Piedra Negueruela acompañó a Batista en su
fuga. Fue jefe del Buró de Investigaciones de la Policía Nacional,
pero más que eso, el hombre a quien el dictador confiaba su seguridad.
Por conducto de la CIA, Piedra se sumó a la Operación 40, que surgió
al calor de la Operación Pluto, en 1961, y que debía ser parte
esencial de la invasión mercenaria de Playa Girón; el cuerpo represivo
de la Brigada de Asalto 2506, si esta llegaba a consolidar posiciones.
Hombres de la Operación 40 se apoderarían entonces de los archivos de
la Seguridad y la Policía cubanas, ocuparían los edificios de los
principales organismos de la administración central del Estado y
detendrían a los dirigentes más destacados.
En 1963, el FBI interrogó a Piedra con relación a la muerte de J. F.
Kennedy. En papeles que se le ocuparon al supuesto asesino, Lee Harvey
Oswald, aparecieron el nombre y la dirección del ex coronel cubano. En
1994, bajo el título de Habla el coronel Orlando Piedra, publicó sus
memorias. Falleció en un asilo de ancianos, al parecer, dicen, a
consecuencia de una golpiza. Batista acostumbraba a premiar a sus
colaboradores con una sortija que llevaba una amatista engarzada. La
sortija con la amatista de Piedra está en poder ahora de Julián Pérez,
un miembro del Buró de Investigaciones destacado como custodio en la
casa presidencial de Columbia, que logró escaparse en un avión robado
y que dirige el Museo Histórico Cubano de Miami.
No todos los batistianos salieron por el aire. El senador Rolando
Masferrer, jefe de los paramilitares conocidos como Los Tigres, que
tanta muerte y dolor sembraron sobre todo en la región oriental de la
Isla, huyó en un yate fondeado en Barlovento, actual Marina Hemingway,
luego de obligar a su tripulación a hacerse a la mar. En Miami,
Masferrer se dedicó a extorsionar a los pequeños comerciantes cubanos
allí establecidos y, en definitiva, al gansterismo político hasta su
muerte, el 31 de octubre de 1975, al estallar una bomba colocada
debajo de su auto.

Civiles y militares

El también senador Santiago Rey, ministro de Gobernación (Interior)
buscó refugio, con otros funcionarios del batistato,  en la Embajada
de Chile. Vivió entre Miami y Santo Domingo hasta su muerte, en  2003.
Guillermo de Zéndegui, director del Instituto Nacional de Cultura, se
propuso trabajar en la OEA, aunque fuera de portero. “Un portero con
levita”, decía en  broma. Obtuvo la dirección de la revista Américas.
También por la vía diplomática abandonó el país el senador Eusebio
Mujal, secretario general de la Confederación de Trabajadores de Cuba.
Buscó refugio en la Embajada argentina. En el aeropuerto, una multitud
enardecida lo escarneció cuando se disponía a abordar el avión. El
Gobierno Revolucionario le otorgó el salvoconducto que le permitiría
salir de la Isla, a condición de que las autoridades argentinas lo
retuvieran hasta que la Cancillería cubana presentara el expediente de
extradición, acuerdo que el Gobierno argentino se comprometió a
respetar. Pero Mujal, sin que nadie se lo impidiera, se trasladó desde
Buenos Aires a Miami, donde se le dio amparo. Allí, vinculado a la
contrarrevolución, fundó una CTC, que le posibilitó seguir lucrando
hasta su muerte, ocurrida en 1986, en Maryland.
No tuvo esa suerte Joaquín Martínez Sáenz, presidente del Banco
Nacional y responsable de la política financiera de la dictadura. Lo
apresaron el 1ro. de enero en su propia oficina, en compañía de su
segundo, el historiador Emeterio Santovenia. Ya en la fortaleza de la
Cabaña, Santovenia alegó problemas de salud y Che Guevara le permitió
irse a su casa, donde debía esperar el reclamo de la justicia. En el
viaje de ida hacia su domicilio, se metió en una embajada. Martínez
Sáenz guardó prisión. En el mismo año de 1959 publicó en La Habana su
libro Por la independencia económica de Cuba, con el que pretendió
justificar su gestión en el Banco y cuyo prólogo está fechado en la
prisión militar.
Tampoco escaparon a la justicia revolucionaria el brigadier general
Hernando Hernández, ex jefe de la Policía Nacional, y el general de
brigada Julio Sánchez Gómez, del Ejército, jefe de la Cabaña primero y
luego del campamento de Managua, acusado por su actitud represiva
durante la Huelga del 9 de abril de 1958 y por los muertos que
aparecieron en Ciudad Jardín.

Antibatistianos

El ex candidato presidencial Carlos Márquez Sterling, derrotado en las
elecciones de 1958, fue profesor de la Universidad de Columbia. Pasaba
largas horas inclinado sobre su maquinita Smith Corona y escribió
varios libros, pero nunca sus memorias. Conocía demasiado bien la vida
republicana y no deseaba descubrir públicamente bajas pasiones,
mezquindades e intrigas, sino exaltar lo mejor de sus compatriotas y
disimular sus defectos.
También escribió varios libros el coronel Ramón Barquín, líder de la
llamada conspiración de los puros, que, junto con un grupo de
oficiales, lo llevó a la cárcel en 1956. Tras la huida de Batista
asumió, vestido todavía de preso y sin encomendarse a nadie, la
jefatura de las fuerzas armadas, pero su momento había pasado. El 1ro.
de enero no era el 4 de abril, y, desalentado, terminó traspasando el
mando al comandante Camilo Cienfuegos. Aun con sus grados de coronel,
fue asesor del Ejército Rebelde. Dice en su libro Mis diálogos con
Fidel, Raúl, Camilo y el Che, que apareció después de su muerte, que
por razones familiares y de salud, rechazó el Ministerio de Defensa.
Aceptó el cargo de embajador extraordinario y ministro
plenipotenciario de Cuba en Europa, una misión especial y de carácter
itinerante que le permitiría familiarizarse con armamentos, técnicas y
programas de ejércitos europeos. En 1961 se estableció en Puerto Rico,
donde tuvo una exitosa carrera como propietario y director de un gran
colegio. Como corredor de largas distancias, participó y ganó no pocas
competencias para hombres de la tercera edad. Un estadio
puertorriqueño lleva su nombre. Falleció el 3 de marzo de 2008.
Terminó asimismo en Puerto Rico el doctor José Miró Cardona,
presidente del Colegio de Abogados de Cuba y secretario ejecutivo de
la Sociedad de Amigos de la República. El Gobierno Revolucionario le
confió el cargo de primer ministro, que desempeñó por pocas semanas.
Fue después embajador en España. Desertó, y Washington lo designó, en
vísperas de la invasión de Girón, presidente de un hipotético Gobierno
cubano en el exilio. Murió en 1963.
Aureliano Sánchez Arango, ministro de Educación del presidente Prío,
murió en 1976 en Estados Unidos, donde vivía con su modesto salario de
inspector de escuelas. Nicolás Castellanos, ex alcalde de La Habana,
falleció en Puerto Rico el 10 de febrero de 1985. Había vuelto a su
antiguo oficio y atendía una herrería. Mario Salabarría, uno de los
protagonistas de los sucesos de Orfila (1947), murió en Miami con 94
años, del corazón. La Condesa de Revilla de Camargo murió en 1963, en
España. La carta en la que reprocha a los dirigentes cubanos haberse
apropiado de su palacete del Vedado, es falsa. El escribidor preguntó
a sus sobrinos sobre la veracidad de la misiva, y respondieron que su
tía tenía demasiada clase para un gesto como ese.

Padre e hija

María Luisa Lobo, la hija de Julio, vino a Cuba en 1975 con el
propósito de reclamar unos manuscritos de Napoleón que su padre había
dejado en depósito. No pudo recuperarlos, pero empezó a mirar la Isla
sin rencor. Volvió muchas veces y trabajó aquí en un libro sobre La
Habana que apareció después de su muerte, en 1998. Sus cuatro hijos
entonces viajaron a Cuba y esparcieron sus cenizas en el central
Tinguaro, en Matanzas, el preferido de la familia.
Cuando salió de Cuba en 1960, Julio Lobo tenía una fortuna que —de
acuerdo con los parámetros actuales— se calcula en 5 000 millones de
dólares, pero según confesó solo llevó a su exilio una pequeña maleta
y un cepillo de dientes. A diferencia de otros grandes capitalistas
cubanos como los Falla Bonet  que, ante la llegada de la Revolución,
sacaron del país entre 40 y 50 millones de dólares, Lobo compró tres
centrales azucareros en 1959 y continuó engrosando su colección de
obras de arte. Especialistas aseguran que se arruinó dos veces; una en
Cuba y la otra en Wall Street, cuando se vio obligado a pagar los tres
centrales mencionados.
En 1965, en España, comenzó la segunda etapa de su exilio. Su capital
se había reducido a unos 200 000 dólares; pero, aun sin el esplendor
de antes, supo vivir, dijo su hija, feliz y sin amargura. El hombre
que tuvo entre sus amantes a las actrices más célebres de Hollywood,
que sobrevivió a tres infartos y a un atentado de bala que le arrancó
un pedazo de cráneo y le ocasionó secuelas motoras  permanentes, pasó
los dos últimos años de su vida con el cuerpo totalmente paralizado,
salvo la boca y los párpados, atendido con esmero por su primera
esposa, que terminó perdonándole todas sus infidelidades. Murió el 30
de enero de 1983, a los 84 años de edad, y lo inhumaron vestido de
guayabera y envuelto en una bandera cubana. Así lo había decidido.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/






Quasi al via la Mostra fotografica di Modena...








domenica 6 settembre 2015

Cacciata...la caccia




Non sono un amante della caccia, nemmeno della pesca. Gli unici esseri che ho assassinato in vita mia, sono stati insetti fastidiosi e spero di non finire all’Inferno per questo, magari per altro... La canna da pesca non so nemmeno come si regge in mano. Non sopporto però le ipocrisie di chi mangia carne di animali “uccisi secondo le norme” o aragoste gettate vive nell’acqua bollente, le signore che (sempre meno in pubblico, per fortuna) si adornano con pelli di visoni, castori, volpi, leopardi e chi più ne ha più ne metta, per poi “detestare la caccia”. Per la pesca moderna, almeno quella sportiva, si è adottato il “catch end release”, per cui dopo la cattura e la eventuale foto o pesatura, il pesce viene rilasciato. Per la caccia sarebbe più difficile adottare...”shoot end release”.

Indubiamente questi tipi di “sport” possono essere discutibili, ma hanno origini antichissime e all’inizio, oltre a fornire cibo e vestiario agli esseri umani hanno iniziato un ciclo di equilibrio faunistico che ha avuto una certa logica e utilità. Oggi, con tante razze in via d’estinzione, oltre agli altri problemi, l’utilità di queste attività può e deve essere indubbiamente discussa. In molti Paesi, la caccia, è vietata, in quasi tutti gli altri è fortemente regolamentata. Cuba era uno di questi ultimi: con regole molto rigide sulle specie e le quantità di prede da abbattere nella pratica venatoria. Ora, da un giorno all’altro si è deciso di proibire, nel modo più assoluto, la caccia sul territorio nazionale “per la difesa dell’ambiente, la flora e la fauna”. Benissimo e più che legittimo, mi sembra però che essendoci degli accordi commerciali precedenti, si sarebbe almeno dovuto dare un preavviso agli operatori di questo campo che hanno già venduto i programmi della prossima stagione. Normalmente, nel turismo convenzionale, si fanno piani e programmi con molti mesi di anticipo, anche da un anno per l’altro. Così è anche per le attività che ricoprono una parte chiamiamola “specializzata” del turismo e che per essere organizzata ha bisogno di risorse investite con largo anticipo. Non mi sembra, quantomeno corretto per non dir di peggio, annullare improvvisamente gli accordi stipulati da un giorno all’altro. Non essendo un esperto, non vorrei nemmeno entrare nel dettaglio della “difesa di specie endemiche” nel caso di Cuba, dove l’attività maggiore e solo in alcuni mesi invernali, è data dalla caccia alle anatre...della Florida...che sono di passo e si nutrono abbondantemente, in particolare, nelle piantagioni seminate a riso, causando copiose perdite nel raccolto. Mi limiterò solamente a commentare che forse, si poteva restringere e regolamentare ancora di più questa attività e anche giungere, come si è voluto fare, a impedirla completamente, ma non è che con qualche mese di differenza e qualche decina di cacciatori si risolve il problema ecologico e ambientale di Cuba o di qualunque altro Paese al mondo. Naturalmente questo non rappresenta nemmeno una grave perdita economica, visto l’esiguo numero relativo dei partecipanti, ma trattandosi da spari...”il colpo” all’immagine non è da poco per un Paese che non ha bisogno di essere ulteriormente criticato.

giovedì 3 settembre 2015

mercoledì 2 settembre 2015

Terzina

TERZINA: difensore di una squadra di calcio femminile

martedì 1 settembre 2015

Tisana

TISANA: ti guarisce

lunedì 31 agosto 2015

Destini (I) di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 30/8/15


Quale fu il destino di personaggi che in un momento anteriore al 1959 occuparono posti di attualità nella vita cubana? Il tempo non passa invano e naturalmente, a questa data già la maggioranza di loro è morta. Ad ogni modo investigarli e seguire le loro piste non è sempre facile perché questa “celebrità” della quale godettero passò, in molti casi, al più assoluto degli anonimati.
In altre occasioni ho affrontato questo tema e lo faccio adesso, con molta dedicazione, spinto dalla richiesta di un lettore. Sarà, per forza, una relazione incompleta. Non sempre uno riesce a sapere dove sta o che successe a gente che occupò uno spazio nella cronaca sociale o nelle notizie degli avvenimenti politici.
Cominciamo dai presidenti.

Fra due città

Il colonnello Carlos Mendieta Montefur, presidente della Repubblica tra il gennaio 1934 e il dicembre 1935, morì all’Avana nel 1960. Risiedeva in Tercera, 1202 angolo 12, a Miramar, divenne famoso per il suo allevamento di galli da combattimento, i molto celebrati galli Mendieta.
Carlos M. Piedra, pensionato nel 1959 dal Potere Giudiziario morì, già novantenne, nella sua casa al n. 661 della calle D tra 27 e 29 nel Vedado. Non giunse alla prima magistratura, fu al punto di raggiungerla  il 1° gennaio dell’anno menzionato, ma la Sala di Governo del Tribunale Supremo si rifiutò di prendergli il giuramento e accettò la designazione, fatta dalla Sierra Maestra, del pure magistrato Manuel Urrutia Lleó. Mesi dopo, in luglio, Urrutia si dimetteva. Cercò asilo nell’Ambasciata del Venezuela e cambiò per quella del Messico quando il Paese sudamericano ruppe le relazioni con Cuba. Morì negli Stati Uniti.
Carlos Prío Socarrás (74 anni) si suicidò nel 1977 nella sua casa in Florida. Fu inumato nel cimitero di Woodland Park, di Miami, dove riposano i resti degli ex presidenti cubani Carlos Hevia e Gerardo Machado. Sua moglie, Mary Tarrero che viveva ritirata dalla morte di Prío, morì nel settembre 2010.
Ramón Grau San Martín (87 anni), morì all’Avana il 28 giugno del 1969. Poco prima della sua morte, in questo stesso quotidiano, il giornalista Mario Kuchílan scriveva: “Ancora oggi vive nel suo ‘guscio’ della Quinta Avenida e si mantiene lucido e ostinato. Grau continua ad essere uguale. Lo stesso vecchio indeciso di sempre; non si riabilita né se ne va”.

Militari e ministri

Il dittatore Fulgencio Batista che usurpò il potere con un colpo di Stato nel 1952, impiantando un regime sanguinario, morì a Marbella in Spagna nel 1973, a 72 anni d’età. Si trovava riunito con la sua famiglia quando soffrí di un infarto fulminante. È sepolto a Madrid, nella stessa fossa dove inumarono suo figlio Carlos Manuel che morì diciannovenne. Nella nicchia attigua furono inumati Emelina Miranda, sua suocera e il colonnello Hernández Volta, uno dei suoi aiutanti. Marta Fernández Miranda, la sua vedova, morì nel 2006. Molto prima, il 19 giugno del 1993, era morta Elisa Godínez, la prima moglie di Batista.
Il generale di brigata Roberto Fernández Miranda, capo del Reggimento 7, Máximo Gómez, con sede alla Cabaña e direttore generale degli Sport, dette a conoscere le sue memorie col titolo di ‘Le mie relazioni col generale Batista’. Era fratello di Marta. “Panchin” Batista, fratello del dittatore e governatore dell’Avana fino al 31 dicembre del 1958, si vide obbligato a guadagnarsi la vita a Miami come custode. Andrés Rivero Agüero, il presidente eletto nelle elezioni del novembre 1958, perse in un cattivo investimento quello che riuscì a portare fuori da Cuba e viveva delle entrate di sua moglie che lavorava come parrucchiera. Anselmo Alliegro, presidente del Senato, possedeva a Miami, dal suo esilio del 1944, case d’appartamento e altri beni che gli permisero di vivere con una certa agiatezza. Morì il 22 novembre del 1961.
Anche il senatore César Camacho Covani, perisidente del Partito Liberale nell’antica provincia di oriente aveva lì una casa propria. Ministro della Giustizia del batistato, “Lulú” Camacho, come veniva chiamato, si credette obbligato a prendere il cammino dell’esilio. Cercò riparo nell’ambasciata spagnola e dopo aver passato diversi giorni in un’installazione di questa sede diplomatica, dovette affrontare la circostanza che la Spagna non gli concedeva l’asilo politico. Tornò quindi a casa sua, un appartamento contrassegnato dal numero 255 della calle N. Ebbe fortuna. Una mattina si svegliò con la notizia che un appartamento ai piani superiori era stato affittato come annesso all’ambasciata del Brasile. Fece la valigia e dovette solo salire le scale per trovare asilo. Justo Luis del Pozo, il sindaco dell’Avana, fece la stessa operazione, ma al contrario. Saputo della fuga di Batista prese l’ascensore al nono piano dell’edificio dove abitava. Giunse al secondo piano e si trovava già nell’ambasciata del Paraguay.

Il gran colpevole

Il sinistro Julio Laurent, del Servizio di Intelligenza Navale – l’uomo che assassinò Jorge Agostini in piena strada, di fronte all’ospedale Angloamericano del Vedado e davanti agli abitanti della zona e ultimò anche Lydia e Clodomira – lavorò a Miami come addetto al ricevimento in un albergo di quarta categoria. Il non meno terribile tenente colonnello Irenaldo García Báez, secondo capo del Servizio di Intelligenza Militare, assassino di Oscar Lucero e di decine di giovani rivoluzionari, ancora nel 1980 lavorava come insegnante in una scuola media di West Palm Beach.
Il brigadiere Dámaso Sogo Hernández, uscì da Cuba il 1° gennaio del 1959 e si stabilì a Miami, dove morì, come barbiere. Era l’ufficiale superiore di Columbia – aveva allora i gradi da capitano – quando ci fu il colpo di Stato del 10 marzo 1952 e fu l’uomo che aprì a Batista le porte del campo, cosa che gli valse la promozione a colonnello. Un altro dei grandi colpevoli del “golpe’ che aiutò a consolidare col suo nome, prestigio e autorità, il maggior generale Eulogio A. Cantillo Porras fu condannato, nel 1959, per la sua partecipazione in quel fatto. Negli Stati Uniti si vincolò a piani controrivoluzionari, in particolare al cosiddetto Piano Torriente. Morì dimenticato da amici e nemici.
Farncisco Tabernilla Dolz, generale a 5 stelle e capo dello Stato maggiore Congiunto, non vinse una sola scaramuccia ai barbudos. Però usci ugualmente da Cuba, nel 1959. Non si stancò di incolpare Batista di tutte le disgrazie dell’Esercito, oltre alle proprie. Lui e suo figlio giunsero a pagare il giornalista José Suárez Nuñez, batistiano fino all’ultima ora, un libro contro Batista, Il gran colpevole. Una tribù completa si arricchì grazie ai propri alti gradi nelle forze armate e agli affari di contrabbando che operavano con arei dell’aviazione militare cubana. Uno dei rimproveri che il vecchio Pancho fa al suo antico capo è per i soldi che non è riuscito a far uscire da Cuba. Lo stesso reclamo che gli farà l’ex vice presidente Guas Inclán che lo accusa di aver condotto all’indigenza, con la sua fuga la “classe politica” cubana.
Lo scriba non crede completamente ai ‘soldini’ lasciati a Cuba, ebbene, il generale Francisco Tabernilla Palmero - alias Silito, figlio del vecchio Pancho – come segretario militare di Batista, seppe della fuga con sufficiente anticipo. Egli copiò in foglietti color viola i nomi che il dittatore gli dettò perché fossero pronti all’ora della partenza.
Capo del Reggimento Misto di Carri Armati 10 di Marzo e della Divisione di fanteria Alejandro Rodríguez, con sede nella Città Militare di Columbia, il generale Silito, diresse una scuola militare in Florida.
Il colonnello Irenaldo García Báez dice in un’intervista pubblicata sulla rivista Réplica di Miami, nel febbraio 1972: “Però gli si è stretta la cintura e lavora alla pelota basca e come bookkeper (contabile) in una fabbrica di mobili”.
Nella stessa intervista Irenaldo rivela che alla fine della notte del 31 dicembre del 1958, per ordine di Batista, tornò alla sede del Servizio di Intelligenza Militare e bruciò tutte le carte compromettenti, sopratutto quelle che lasciavano costanza dei nomi degli agenti batistiani infiltrati in partiti d’opposizione e organizzazioni rivoluzionarie. Tornò alla Città Militare e nell’ufficio di Silito coincise col generale Cantillo.
Asserisce: “Quando mi vide, mi dette un abbraccio e mi disse: ‘La guerra è finita. Finalmente...Grazie a Dio ci sarà tranquillità’. Mi interessai per sapere la nostra situazione ed egli spiegò: ‘Voi partite per l’estero e fra qualche mese tornate. Vi saranno rispettate le proprietà e quando tornerete vi ritirerete a vivere felici’ “.
Il colonnello Florentino Rosell y Leyva era il capo del genio dell’Esercito e pertanto del treno blindato. Morì a Miami enormemente ricco. Il generale Alberto Ríos Chaviano, il macellaio della caserma Moncada nel 1953 e cognato del vecchio Tabernilla, uscì da Cuba giorni prima della caduta della tirannia, quando Batista lo destituì del suo comando militare a Las Villas e lo designò come addetto militare nella Repubblica Dominicana. Sconfitta la dittatura, vi si stabilì come agricoltore. Ramón Tabunda, un cubano che se ne andò dopo, di Caibarién, e che giunse a convertirsi in “re della carne” in questo Paese caraibico, aveva una pessima opinione del militare. Diceva: “Imbroglione. Cattiva persona, cattivo amico, cattivo commerciante. Gli compravi 500 capi e se poteva te ne rubava dieci. Pensai in boicottarlo perché non potesse disfarsi delle sue bestie nemmeno regalandole, ma per fortuna, morì”.
Il colonnello Rego Rubido, l’uomo che arrese la piazza militare di Santiago de Cuba all’Esercito di Liberazione e funse, riconosciuto dalla guerriglia, come ultimo capo dell’Esercito, uscì da Cuba nel 1959 per occupare, su designazione del Governo Rivoluzionario, un incarico diplomatico in Brasile. Disertò e installato a Portorico, vendette guarapo (succo di canna da zucchero, n.d.t.) con una macchina per spremere ambulante per le strade di San Juan, fino a che il colonnello Ramón Barquín lo riscattò e lo portò a lavorare nella sua scuola.

Coda


La lista non finisce qua, ma lo spazio sì. In una prossima edizione lo scriba affronterà il finale del colonnello Orlando Piedra, capo del Buró di investigazioni, morto in conseguenza dei colpi che gli dettero nell’ospizio dei vecchi dove si trovava recluso. Tratterà di altre figure civili e militari del batistato, come Santiago Rey e Guillermo de Zéndegui e dei brigadieri generali Hernando Hernández e Julio Sánchez Gómez, fra gli altri. E anche di persone che non ebbero niente a che vedere con Batista: politici come l’ex candidato presidenziale Carlos Màrquez Sterling e l’ex senatore Emilio (Millo) Ochoa che poté essere presidente di Cuba e fu tassista e fattorino a Miami; un uomo d’azione come Mario Salabarría protagonista, nel 1947, del massacro di Orfilia: una donna di società come la contessa di Revilla Camargo e uomini d’impresa come Julio Lobo. (Continua) 

Destinos (I)
Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
29 de Agosto del 2015 20:41:55 CDT

¿Cuál fue el destino de personajes que en un momento anterior a 1959
ocuparon planos de actualidad en la vida cubana? El tiempo no
transcurre en balde y, por supuesto, a estas alturas ya murió la
mayoría de ellos. De todas formas, rastrearlos y seguir sus pistas no
siempre es fácil porque esa “celebridad” de la que disfrutaron pasó,
en muchos casos, al más absoluto de los anonimatos.
En otras ocasiones he abordado este tema y lo hago ahora, con muchas
adiciones, compulsado por la solicitud de un lector. Será, por fuerza,
una relación incompleta. No siempre logra uno enterarse de dónde está
o qué se hizo gente que un día ocupó espacio en la crónica social o en
las noticias del acontecer político.
Empecemos por los presidentes.

Entre dos ciudades

El coronel Carlos Mendieta Montefur, presidente de la República entre

enero de 1934 y diciembre de 1935, murió en La Habana, en 1960.
Residía en Tercera, 1202 equina a 12, en Miramar, y se hizo famoso por
su cría de gallos de pelea, los muy celebrados gallos Mendieta.
Carlos M. Piedra, jubilado en 1959 del Poder Judicial, falleció, ya
nonagenario, en su casa No. 661 de la calle D, entre 27 y 29, en el
Vedado. No llegó a la primera magistratura; estuvo, sí, a punto de
alcanzarla el 1ro. de enero del año mencionado, pero la Sala de
Gobierno del Tribunal Supremo se negó a tomarle juramento y aceptó la
designación hecha en la Sierra Maestra del también magistrado Manuel
Urrutia Lleó. Meses después, en julio, renunciaba Urrutia. Buscó asilo
en la Embajada de Venezuela y pasó a la de México cuando el país
sudamericano rompió relaciones con Cuba. Murió en Estados Unidos.
Carlos Prío Socarrás (74 años) se suicidó en 1977 en su casa de la
Florida. Fue inhumado en el cementerio de Woodland Park, de Miami,
donde también reposan los restos de los ex presidentes cubanos Carlos
Hevia y Gerardo Machado. Su esposa, Mary Tarrero, quien vivía retirada
desde la muerte de Prío, murió en septiembre de 2010.
Ramón Grau San Martín (87 años) falleció en La Habana el 28 de junio
de 1969. Poco antes de su muerte escribía en este mismo diario el
periodista Mario Kuchilán: “Aún hoy vive en su “choza” de la Quinta
Avenida y se mantiene lúcido y empecinado. Grau sigue igual. El mismo
viejo socarrón de siempre; no se rehabilita ni se va».

Militares y ministros

El dictador Fulgencio Batista, quien usurpó el poder mediante un golpe

de Estado en 1952 e implantaría un régimen sanguinario, murió en
Marbella, España, en 1973, a los 72 años de edad. Se hallaba reunido
con su familia cuando sufrió un infarto masivo. Está enterrado en
Madrid, en la misma fosa donde inhumaron a su hijo Carlos Manuel, que
falleció con 19. En la bóveda contigua fueron inhumados Emelina
Miranda, su suegra, y el coronel Hernández Volta, uno de sus
ayudantes. Marta Fernández Miranda, su viuda, murió en el 2006. Mucho
antes, el 19 de junio de 1993, había muerto Elisa Godínez, la primera
esposa de Batista.
El general de brigada Roberto Fernández Miranda, jefe del Regimiento
7, Máximo Gómez, con sede en La Cabaña, y director general de
Deportes, dio a conocer sus memorias bajo el título de Mis relaciones
con el general Batista. Era hermano de Marta. “Panchín” Batista,
hermano del dictador y gobernador de La Habana hasta el 31 de
diciembre de 1958, se vio obligado a ganarse la vida en Miami como
sereno. Andrés Rivero Agüero, el presidente electo en los comicios de
noviembre del 58, perdió en una mala inversión lo que logró sacar de
Cuba, y vivía de las entradas de su esposa, quien trabajaba como
peluquera. Anselmo Alliegro, presidente del Senado, poseía en Miami,
desde su exilio de 1944, casas de apartamentos y otros bienes que le
permitieron vivir con cierta holgura. Murió el 22 de noviembre de
1961.
Casa propia también tenía allí el senador César Camacho Covani,
presidente del Partido Liberal en la antigua provincia de Oriente.
Ministro de Justicia en el batistato, “Lulú”  Camacho, como le
llamaban, se creyó obligado a tomar el camino del exilio. Buscó amparo
en la Embajada española y luego de pasar varios días en una
instalación de esa sede diplomática, tuvo que enfrentar la
circunstancia de que España no concedía asilo político. Volvió
entonces a su casa, un apartamento del edificio marcado con el número
255 de la calle N. Tuvo suerte. Una mañana amaneció con la noticia de
que el apartamento de los altos había sido alquilado como un anexo de
la Embajada de Brasil.  Hizo su maleta y solo tuvo que subir la
escalera para encontrar asilo. Justo Luis del Pozo, el alcalde de La
Habana, hizo la misma operación, pero al revés. Enterado de la fuga de
Batista, tomó el ascensor en el noveno piso del edificio que habitaba.
Llegó al segundo piso y estaba ya en la Embajada de Paraguay.

El gran culpable

El siniestro Julio Laurent, del Servicio de Inteligencia Naval —el
hombre que asesinó a Jorge Agostini en plena calle, frente al hospital
Angloamericano del Vedado y a la vista de los vecinos, y ultimó,
asimismo, a Lydia y Clodomira—, trabajó en Miami como carpetero de un
hotel de cuarta categoría. Y el no menos terrible teniente coronel
Irenaldo García Báez, segundo jefe del Servicio de Inteligencia
Militar y asesino de Oscar Lucero y de decenas de jóvenes
revolucionarios, todavía en los años 80 laboraba como profesor en una
escuela de segunda enseñanza, en West Palm Beach.
El brigadier Dámaso Sogo Hernández salió de Cuba el 1ro. de enero de
1959 y se estableció en Miami, donde murió, como barbero. Era el
oficial superior de Columbia —tenía entonces grados de capitán— cuando
el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952 y fue el hombre que abrió a
Batista las puertas del campamento, lo que le valió el ascenso a
coronel. Otro de los grandes culpables del zarpazo, que ayudó a
consolidar con su nombre, prestigio y autoridad, el mayor general
Eulogio A. Cantillo Porras, fue condenado, en 1959, por su
participación en ese suceso. En Estados Unidos se vinculó a planes
contrarrevolucionarios, en particular al llamado Plan Torriente. Murió
olvidado por amigos y enemigos.
Francisco Tabernilla Dolz, general de cinco estrellas y jefe del
Estado Mayor Conjunto, no le ganó una sola escaramuza  a los barbudos.
Pero no más salió de Cuba, en 1959, no se cansó de culpar a Batista de
todas las desgracias del Ejército, además de las propias. Él y sus
hijos llegaron a pagar al periodista José Suárez Núñez, batistiano
hasta la víspera, un libro contra Batista, El gran culpable. Toda una
tribu que se enriqueció gracias a sus altos grados en las fuerzas
armadas y al negocio de contrabando que operaban en naves de la fuerza
aérea cubana. Uno de los reproches que el viejo Pancho hace a su
antiguo jefe es el dinero que no pudo sacar de Cuba. El mismo reclamo
que le hará el ex vicepresidente Guas Inclán, quien lo acusa de haber
llevado a la indigencia, con su fuga, a la “clase política” cubana.
El escribidor no cree del todo lo de la platica dejada en Cuba, pues
el general de brigada Francisco Tabernilla Palmero  —alias Silito,
hijo del viejo Pancho—, como secretario militar de Batista, supo de la
fuga con suficiente antelación. Él copió en unas hojitas color violeta
los nombres que el dictador le dictó para que estuvieran listos a la
hora de la partida.
Jefe del Regimiento Mixto de Tanques 10 de Marzo y de la División de
Infantería Alejandro Rodríguez, con sede en la Ciudad Militar de
Columbia, el general Silito dirigió una escuela militar en la Florida.
Dice el coronel Irenaldo García Báez en una entrevista publicada en la
revista Réplica, de Miami, en febrero de 1972: “Pero se le apretó el
cuadro y trabaja en el jai alai y como bookkeeper (contador) en una
fábrica de muebles”.
En la misma entrevista, Irenaldo revela que ya en los finales de la
noche del 31 de diciembre de 1958, por orden de Batista, volvió a la
sede del Servicio de Inteligencia Militar y quemó todos los papeles
comprometedores, sobre todo aquellos que dejaban constancia de los
nombres de los agentes batistianos infiltrados en partidos
oposicionistas y  organizaciones revolucionarias. Regresó a la Ciudad
Militar y en la oficina de Silito coincidió con el general Cantillo.
Asegura: “Cuando me vio, me dio un abrazo y me dijo: “La guerra
terminó. Al fin… Gracias a Dios habrá tranquilidad”. Me interesé por
conocer nuestra situación, y él explicó: “Ustedes marchan al
extranjero y en meses regresan. Se les respetarán propiedades y cuando
regresen se retiran y a vivir felices”.
El coronel Florentino Rosell y Leyva era el jefe de la Ingeniería del
Ejército y, por tanto, del tren blindado. Murió en Miami enormemente
rico. El general Alberto Ríos Chaviano, el carnicero del cuartel
Moncada en 1953 y concuño del viejo Tabernilla, salió de Cuba días
antes de la caída de la tiranía, cuando Batista lo destituyó de su
mando militar en Las Villas y lo designó agregado militar en la
República Dominicana. Derrocada la dictadura, se estableció allí como
ganadero. Ramón Tabunda, un cubano que se fue después, de Caibarién, y
que llegó a convertirse en el “zar de la carne” en ese país caribeño,
tenía una opinión pésima acerca del ex militar. Decía: Tramposo. Mala
persona, mal amigo, mal negociante. Le comprabas 500 cabezas y si
podía te robaba diez. Pensé en boicotearlo para que no pudiera salir
de sus reses ni regalándolas, pero, por suerte, murió».
El coronel Rego Rubido, el hombre que rindió la plaza militar de
Santiago de Cuba al Ejército Rebelde y fungió, reconocido por la
guerrilla, como último jefe del Ejército, salió de Cuba en 1959 para
ocupar, por designación del Gobierno Revolucionario, un cargo
diplomático en Brasil. Desertó e instalado en Puerto Rico, vendió
guarapo con un trapiche ambulante por las calles de San Juan, hasta
que el coronel  Ramón Barquín lo rescató y lo llevó a trabajar a su
escuela.

Coda

No acaba aquí la lista, pero sí el espacio. En una entrega posterior,
el escribidor abordará el final del coronel Orlando Piedra, jefe del
Buró de investigaciones, muerto a consecuencia de la golpiza que le
propinaron en el asilo de ancianos donde se hallaba recluido. Tratará
de otras figuras civiles y militares del batistato, como Santiago Rey
y Guillermo de Zéndegui, y los brigadieres generales Hernando
Hernández y Julio Sánchez Gómez, entre otros. Y también de personas
que nada tuvieron que ver con Batista: políticos como el ex candidato
presidencial Carlos Márquez Sterling y el ex senador Emilio (Millo)
Ochoa, que pudo haber sido presidente de Cuba y fue taxista y
mensajero en Miami; un hombre de acción como Mario Salabarría,
protagonista, en 1947, de la masacre de Orfila; una mujer de sociedad,
como la condesa de Revilla Camargo, y hombres de empresa como Julio
Lobo.
(Continuará)

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Terso

TERSO: viene dopo il secondo (Veneto)

domenica 30 agosto 2015

Terrina

TERRINA: appezzamento di Rina

venerdì 28 agosto 2015

Viaggerà direttamente chiunque, tra Cuba e gli Stati Uniti e viceversa?

Secondo quanto annunciato dal Dipartimento di Stato nordamericano, molte compagnie aeree statunitensi sono pronte a ristabilire voli "commerciali regolari" con Cuba.
Nel significato delle parole, questo dovrebbe indicare che chiunque, naturalmente avendone i requisiti, potrebbe volare direttamente tra due città dei Paesi in questione.
Oggi esistono solo voli charter che sono stati sempre più ampliati per frequenze e destinazioni, ma ai quali possono accedere solo i cittadini statunitensi appartenenti alle "famose" 12 categorie del programma People to People che almeno teoricamente comporta delle limitazioni, oppure i cittadini cubani che ottengono il visto dall'Ambasciata americana (prima Ufficio d'Interessi) per visita famigliare o come immigrante, previsto dalla quota annuale assegnata. Qualunque altro cittadino di Paese terzo, non può effettuare il viaggio diretto (compresi i cubani in possesso di doppio passaporto), ma deve effettuarlo attraverso un altro Paese. Prima la via più utilizzata era Cancún, in Messico, oggi è la meno sfruttata, si preferisce via Bahamas (Nassau o Freeport) o le Isole Cayman. In questo modo, un viaggio di un pugno di minuti, trattandosi di Miami, diventa di diverse ore e partendo da Cuba, se la destinazione finale negli USA non è la Florida, non si possono programmare le connessioni coi voli interni, cosa che risulterebbe più comoda e rassicurante specialmente per chi non è abituato a viaggiare.
Adesso, secondo voci anche abbastanza fondate, sembra che si avvicini il momento (gennaio 2016) in cui cadrà questa barriera che oltre a consentire a qualunque cittadino nordamericano di poter venire a Cuba senza nessuna formalità particolare da espletare nel suo Paese, aprirebbe la possibilità di viaggi diretti anche a cittadini europei o altri che abbiano i requisiti per l'ingresso negli USA.
A questo scopo, le agenzie di viaggio che operano negli Stati Uniti non dormono e si stanno iscrivendo in una lista speciale (OFAC - Office of Foreign Assets Control) abilitata dal Ministero del Tesoro, alla quale è impossibile accedere per la sua totalità. Si riesce, a volte, ad ottenere una breve lista delle "new entry", come questa:


NUEVAS AGENCIAS
1- Apple Vacations, Newtown Square, Pensylvania (04/15/2011)
2- Odysseys Unlimited, Newton, Massachusetts (04/27/2011)
3- Buenos Travels, Ranchos de Taos, Nuevo México (05/20/2011)

NUEVAS SUCURSALES
1- Arkadys Travel Logistics, Hialeah (04/26/2011)
2- Atenas de Cuba Travel, Miami (04/26/2011)
3- D N J Agencia de Viajes a Cuba, Miami (04/29/2011)
4- American Travel & Services, Miami (04/26/2011)
5- Miami Intex Travel, Hialeah (05/03/2011)
6- The Cuba Travel Express Solution Group, Miami (05/03/2011)
7- Zenaida’s Tours, Miami (05/03/2011)
8- Aspa Travel, Hialeah (05/06/2011)
9- Caribe Express Associates, Tampa (05/06/2011)
10- Cubava Traven & Services, Springtown, Texas (05/06/2011)
11- A Aires D’Cuba Inc, Miami (05/09/2011)
12- Hialeah-Habana Travel, Doral (05/20/2011)
13- Cabina Telefónica Cuba 80, Hialeah (05/31/2011)
14- Golden Air Charters, Hialeah (05/31/2011)

Molto dipende anche dalla disponibilità del Governo cubano che però, sempre secondo indiscrezioni, pare sia disposto a sottoscrivere l'accordo dopo la riunione della Sessione Plenaria del Poder Popular prevista per il prossimo dicembre.