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giovedì 21 gennaio 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

ABBONACCIATO: reduce da quanto sopra

mercoledì 20 gennaio 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

ABBONACCIARE: relazionarsi con una femmina procace

martedì 19 gennaio 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

ABBISCIARE:inflessione dialettale indicante necessità fisiologica

lunedì 18 gennaio 2016

Un incontro "combinato", di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud rebelde del 12/1/16


Lo raccontò Elio Menéndez, premio nazionale di Giornalismo, nelle pagine di questo giornale. Con l’affrettata inaugurazione della Città Sportiva, ancora inconclusa, il 26 febbraio del 1958, il Govenro batistiano pretese lanciare una cortina di fumo davanti all’opinione pubblica internazionale sui fatti che scuotevano il Paese. Pochi giorni prima, un commando del Movimento 26 Luglio aveva sequestrato Juan Manuel Fangio, asso argentino del volante, impedendogli la partecipazione alla corsa per il Gran Premio di Cuba che ebbe l’Avana come scenario e nella quale, Fangio, era l’attrazione principale.
Si montò un grande spettacolo pubblicitario per l’inaugurazione dell’anfiteatro di Via Blanca e Boyeros. Il piatto forte della serata era l’incontro tra il cubano Orlando Echevarría e il nordamericano Joe Brown, campione mondiale dei pesi leggeri. Il pugile di casa, fuori dal ring già da un anno, aveva tutte le caratteristiche per perdere l’incontro. Le possibilità di vittoria di Echevarría erano cosí scarse che Elio Menéndez riferisce nella sua cronaca, i dirigenti della Direzione Generale dello Sport - che presiedeva allora il generale Roberto Fernández Miranda, capo inoltre del Reggimeno 7 Máximo Gómez, con sede alla Cabaña, ma sopratutto cognato di Batista – chiesero a Brown che desse via libera al suo rivale e andasse al tappeto dopo sette o otto round, perché il combattimento veniva trasmesso da costa a costa negli Stati Uniti e così volevano gli sponsor. Il motivo era un’altro.
Con quella trasmissione, la dittatura pretendeva esportare un’immagine falsa della realtà cubana.
Tre giorni prima, il 23 febbraio verso le nove di sera, Fangio fu sequestrato nel vestibolo dell’hotel Lincoln, in Galiano angolo Virtudes, dove occupava la stanza 810. Fu un’operazione lampo. Il campione era appena sceso nell’atrio, protetto da agenti dei corpi repressivi della dittatura, vestiti in borghese. Lì lo aspettavano giornalisti e ammiratori. L’argentino conversava con alcuni di loro quando un membro del 26 di Luglio, dopo aver identificato il campione, gli si avvicinò e gli disse che era del 26 ed era lì per sequestrarlo. Fangio sorrise. Evidentemente pensò che si trattava di uno scherzo; ma non tardò a sentire la canna di una pistola appoggiata alle sue costole e così minacciato, uscì dalla porta di Virtudes. Nessuno, né polizia né ammiratori osò reagire.
I suoi rapitori mantennero detenuto Fangio fino alla sera del 24, qualche ora dopo che era terminata la corsa, quando lo restituirono sano e salvo. Durante questo tempo, oltre mille agenti di tutti i corpi di polizia cubani lo cercarono invano. Col suo sequestro, il Movimento 26 di Luglio pretese, ed ottenne, richiamare l’attenzione sulla guerra di guerriglia che si combatteva sulla Sierra Maestra e la lotta clandestina nella città. Fu un’azione che ebbe ripercussioni in quasi tutto il mondo. La cronaca riferisce che in Gran Bretagna lasciò in secondo piano la notizia che riferiva della malattia di Winston Churchill e in Argentina fu superata solo per la copertura smisurata che si dette alla vittoria nelle elezioni del candidato presidenziale Arturo Frondizzi. Si può affermare che mai prima, parole come L’Avana, Cuba, Fidel, Movimento 26 di Luglio, si erano ripetute tanto né avevano occupato tanto spazio nelle agenzie stampa, giornali e riviste. Fangio, da parte sua, anni dopo riconoscerà che quel sequestro lo aveva reso ancora più famoso e che non c’era intervista che gli si facesse dove non si domandasse del fatto.
Scherzò; “Ma se ci fosse stata mia moglie a Cuba, mi avrebbe trovato”.
Il batistato temeva che con Brown ed Echevarría succedesse lo stesso che con Fangio, per questo li mantenne nascosti sotto stretta vigilanza, fino all’istante di salire al quadrato. Il cubano confessò a Elio Menéndez che lo isolarono in una residenza della spiaggia di Tarará e che non lo lasciavano solo nemmeno per fare pipì.
Batista, che era fanatico della boxe, annunciò la sua presenza quella sera alla Città Sportiva. Per questo, le sedie più vicine al ring furono occupate da membri delle forze armate, batistiani, senza nessun dubbio,  galoppini del Governo ed elementi incondizionali. Mentre le parti superiori e la gradinata si destinarono a impiegati pubblici obbligati ad assistere. In definitiva, il dittatore decise di tenersi ben protetto. Non sarebbe stata la prima volta che l’Ufficio Stampa della Presidenza del Palazzo Presidenziale dava come certa la sua presenza a una gara sportiva e all’ultimo momento, Batista, decideva di non andare e seguire l’evento in televisione. Nel caso si sapesse che la TV non l’avrebbe trasmesso, la Prima Dama chiedeva pubblicamente che si facesse, richiesta che era sempre, naturalmente, accettata.
Elio Menéndez che poté conversare con Echevarría, dice che il cubano era estraneo all’accordo al quale giunsero i dirigenti sportivi col pugile nordamericano, sul fatto di aggiustare l’incontro. Sì, sapeva che la sua vittoria dipendeva da un colpo di fortuna. Per questo, appena iniziato il combattimento, sorprese Brown con un sinistro poderoso che gli annebbiò la vista.
Il cronista ricorda:
“Dopo aver provato il colpo del sottovalutato rivale, il visitatore dimentica il patto e organizza la sua offensiva. Il temporale si addensa sul mancino creolo che visita subito il tappeto. Alla seconda caduta, l’arbitro Johnny Cruz ferma l’incontro e accompagna Echevarría verso il suo angolo.
Sono passati solo due minuti e quarantacinque secondi di combattimento! La farsa non ha raggiunto il suo scopo”.

Mariné, tu chi sei?

Costruito a un costo di dieci milioni di pesos, Il Palazzo dello Sport e campi Sportivi dell’Avana, successivamente chiamato ufficialmente Città Sportiva, sostituì il Palazzo delle Convenzioni e Sport di Paseo e Mar come quasto, a sua volta, aveva sostituito il Palazzo dello Sport di San Carlos e Peñalver.
Quando cuba accetto di essere sede dei II Giochi Centroamericani vennero a galla due tristi realtà: la prima che il Paese mancava di un luogo dove effettuare gare di importanza continentale come quelle che si proponevano; la seconda che non c’era tempo ne denaro per assumere in modo repentino il titanico compito di erigere stadi per offrire queste competizioni. Fu allora quando sorse l’offerta di un’azienda produttrice di birra che costruì in tutta fretta e senza vista al futuro, lo stadio Tropical dove si svolsero, in quei Giochi, le gare di atletica leggera, baseball, calcio e altre. Ma il nuoto, il tennis, la ginnastica, il basket eccetera si dovettero effettuare in campi, piscine e palestre di scarse dimensioni e per di più appartenenti a società private con tutti i pregiudizi razziali propri di quell’epoca.
Se togliamo lo stadio dell’Avana o Gran Stadio del Cerro, costruito già negli anni ’40 e dedicato esclusivamente al baseball, anche se in esso si sono effettuati altri eventi sportivi, non c’era niente nella nostra terra che imitasse, almeno, i grandi stadi comuni nelle altre capitali.
Il 9 luglio del 1938 si crea la Direzione Generale Nazionale dello Sport (DGND). Il suo direttore fu il comandante Jaime Mariné.
Mariné, un catalano che servì da galoppino a Batista, giunse a Cuba nei giorni precedenti le elezioni del 1924, nelle quali si disputavano la presidenza il liberale Gerardo Machado e il conservatore Mario García Menocal. Alfonso XIII, re di Spagna mandò un cavallo purosangue, di regalo, a García Menocal e Mariné fu il cavallerizzo.
Prima del regalo del cavallo, i liberali si lanciaron per le strade col motto di “A piedi!”
Cantavano in coro: “A piedi, a piedi, a piedi!/sono finiti i cavalli/a piedi, a piedi, a piedi/non mi fanno male i calli”. E una volta che Machado divenne vittorioso nelle elezioni cantarono: “Il re di Spagna/mandò un messaggio/dicendo a Menocal:/restituiscimi il cavallo/che tu non sai montare”.
Una volta qui, Mariné trovò posto come soldato. Ascese da sergente a comandante dopo il colpo di Stato del 4 settembre 1933 e all’ombra del colonnello Batista, di cui era aiutante, occupò differenti incarichi fino alla sua partenza da Cuba nel 1944, quando si stabilì a Caracas per fare grandi investimenti a nome del suo capo e a suo nome.
Nel 1938, Mariné affittò il Nuevo Fronton, il cosiddetto Palazzo delle Luci, in San Carlos e Peñalver – il Fronton di Concordia e Lucena era il Palazzo delle Grida- Per errori di costruzione, la premura con cui si costruì e per i danni che occasionò a questo immobile il ciclone del 20 ottobre del 1926, lo stesso si trovava in uno stato pietoso.
Vi ebbero sede la Direzione degli Sport e gli uffici corrispondenti ad ogni specialità. Disponeva di aree per la pratica di diverse discipline. Contava con un gabinetto medico e una clinica dentistica, così come un’area di veterinaria e una cosiddetta cucina sportiva. Sotto la giurisdizione di questo Palazzo degli Sport, rimasero gli stadi Tropical, di Camagüey e l’arena Cristal.
L’entità auspicò le accademie di nuoto, pelota basca, atletica e pallacanestro. In quella di boxe si iscrissero 1.100 alunni dai 12 anni in su. Per lasciarlo inaugurato e dar inizio alle sue gestioni la Direzione degli Sport, portò all’Avana e presentò nella sua sede i due migliori giocatori professionisti del mondo nello sport della racchetta: i tennisti Fred Perry e Ellsworth Vines. Si calcola che più di 4.000 persone li videro giocare. I fondi raccolti in questa e altre competizioni, si destinarono allo sviluppo dello sport, in quel momento il Governo non aveva fondi destinati a quel fine.
La Direzione degli Sport vendette il suo edificio al movimento sindacale. Si pensò di restaurarlo e adattarlo a sede della Confederazione dei Lavoratori di Cuba – quello di Central è posteriore al 1959 -, Cominciarono i lavori costruttivi, ma si dovettero fermare perché l’immobile non ammetteva riparazioni. Ovviamente, si impose ricostruire da zero il Palazzo dei Lavoratori.
Il nuovo Palazzo degli Sport si inaugurò nel 1944 nel luogo che occupa, dal 1978, la Fonte della Gioventù. Il suo primo cartellone pugilistico ebbe luogo il 1° settembre di quell’anno e comprese l’incontro clou di Juan Villalba contro Kid Gavilán. Fa gli altri eventi, questo immobile fu scenario abituale del circo nordamericano Ringling che visitava l’Avana tutti gli anni in occasione delle festività natalizie. Funzionò fino a che si demolì perchè proseguisse il tracciato del Malecón fino al suo limite naturale del río Almendares.
La Città Sportiva si adagia su due cavallerie di terreno. Per la sua costruzione, capienza e bellezza, il Coliseo o Palazzo degli Sport propriamente detto è l’opera più notevole dello spazio. Lo copre una cupola di cemento armato di 88 metri di diametro, senza nessun appoggio interno che permette una visibilità perfetta agli spettatori e che si sostiene con una trave circolare di calcestruzzo che si appoggia su 24 colonne con giunture a forma di “bilancino” che gli permettono di realizzare i piccoli movimenti di dilatazione e contrazione che i cambi di temperatura producono nel calcestruzzo. Ha una capienza tra 12.000 e 15.000 spettatori che possono essere evacuati in dieci minuti senza interruzioni né agglomerazioni alle uscite.




Una pelea arreglada

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
16 de Enero del 2016 20:31:25 CDT

Lo contó Elio Menéndez, premio nacional de Periodismo, en las páginas de este periódico. Con la apresurada inauguración de la Ciudad Deportiva, aún sin concluir, el 26 de febrero de 1958, el Gobierno batistiano pretendió lanzar una cortina de humo ante la opinión pública internacional sobre los hechos que estremecían al país. Pocos días antes un comando del Movimiento 26 de Julio había secuestrado a Juan Manuel Fangio, as argentino del volante, con lo que impidió su participación en la carrera por el II Gran Premio de Cuba, que tuvo a La Habana como escenario y en el que Fangio era la atracción principal.
Todo un show publicitario se montó para el estreno del coliseo de Vía Blanca y Boyeros. El plato fuerte del programa de la noche sería la pelea entre el cubano Orlando Echevarría y el norteamericano Joe Brown, campeón mundial de los pesos ligeros. El púgil del patio, alejado del ring desde un año antes, llevaba todas las de perder en el enfrentamiento. Tan escasas posibilidades de triunfo tenía Echevarría que, refiere Elio Menéndez en su crónica, los ejecutivos de la Dirección General de Deportes —que presidía entonces el general Roberto Fernández Miranda, jefe además del Regimiento 7 Máximo Gómez, con sede en la Cabaña, y, sobre todo, cuñado de Batista— pidieron a Brown que diera largo a su rival y estirara la pela a siete u ocho rounds, porque el combate sería transmitido de costa a costa en Estados Unidos y así lo exigían los patrocinadores. La razón era otra.
Con aquella transmisión pretendía la dictadura vender al exterior una imagen falsa de la realidad cubana.
Tres días antes, el 23 de febrero, cerca de las nueve de la noche, Fangio fue secuestrado en el vestíbulo del hotel Lincoln, en Galiano esquina a Virtudes, donde ocupaba la habitación 810. Fue una operación relámpago. El campeón acababa de bajar al lobby, copado por agentes de los cuerpos represivos de la dictadura vestidos de paisano. Allí lo esperaban periodistas y admiradores. El argentino conversaba con algunos de ellos cuando un miembro del Movimiento 26 de Julio, luego de identificar al campeón, se le acercó y le dijo que era del 26 y estaba allí para secuestrarlo. Fangio sonrió. Pensó, evidentemente, que se trataba de una broma; pero no demoró en sentir el cañón de una pistola apoyada en sus costillas y así, encañonado, salió  por la puerta de Virtudes. Nadie, ni policías ni admiradores, atinó a reaccionar.
Sus captores mantuvieron retenido a Fangio hasta la noche del 24, horas después de terminada la carrera, cuando lo devolvieron sano y salvo. Durante ese tiempo más de mil agentes de todos los cuerpos policiales cubanos lo buscaron en vano. Con su secuestro, el Movimiento 26 de Julio pretendió, y logró, llamar la atención sobre la guerra de guerrillas que se libraba en la Sierra Maestra y la lucha clandestina en las ciudades. Fue una acción que repercutió en casi todo el mundo. Refiere la crónica que en Gran Bretaña dejó en segundo plano la noticia referida a la enfermedad de Winston Churchill, y en la Argentina solo fue superada por la cobertura desmedida que se dio al triunfo en las elecciones del candidato presidencial Arturo Frondizzi. Puede afirmarse que nunca antes palabras como La Habana, Cuba, Fidel, Movimiento 26 de Julio, se habían repetido tanto ni ocupado tanto espacio en las agencias de prensa, y periódicos y revistas. Fangio, por su parte, reconocería años después que aquel secuestro lo había hecho todavía más famoso y que no había entrevista que se le hiciera en la que no se le preguntara sobre el hecho.
Bromeó: «Pero de estar mi esposa en Cuba, ella me hubiera encontrado».
El batistato temía que con Brown y Echevarría sucediera lo mismo que con Fangio, por eso los mantuvo escondidos, bajo estrecha vigilancia, hasta el mismo momento de subir al cuadrilátero. El cubano confesaría a Elio Menéndez que lo aislaron en una residencia de la playa de Tarará y que no lo dejaban solo ni para orinar.
Batista, que era fanático del boxeo, anunció su presencia esa noche en la Ciudad Deportiva. Por eso, las sillas más cercanas al ring fueron ocupadas por miembros de las fuerzas armadas, batistianos fuera de toda duda, testaferros del Gobierno y elementos incondicionales. En tanto, las preferencias altas y la gradería se destinaron a empleados públicos obligados a asistir. En definitiva, el dictador decidió mantenerse a buen resguardo. No sería esa la primera vez que el Negociado de Prensa del Palacio Presidencial daba como segura su asistencia a una competencia deportiva, y a última hora Batista decidía no ir y seguía el cartel por televisión. En caso de que se supiera que la TV no lo transmitiría, la Primera Dama pedía de manera pública que se hiciera, solicitud que, por supuesto, siempre era aceptada.
Elio Menéndez, que pudo conversar con Echevarría, dice que el cubano estaba ajeno al acuerdo al que llegaron los directivos del deporte con el púgil norteamericano, en cuanto a estirar la pelea. Sí sabía que su victoria dependía de un golpe de suerte. Por eso, apenas iniciado el combate, sorprendió a Brown con un izquierdazo que le nubló la vista.
Recuerda el cronista:
«Tras probar la pegada del subestimado rival, el forastero olvida el pacto y organiza su ofensiva. El temporal se cierne sobre el zurdo criollo, que enseguida visita la lona. A la segunda caída, el árbitro Johnny Cruz detiene las acciones y lleva a Echevarría hacia su esquina.
«¡Tan solo han transcurrido dos minutos y cuarenta y cinco segundos de pelea! La farsa no ha cumplido su objetivo».

Mariné, ¿quién eres tú?

Construido a un costo de diez millones de pesos, el Palacio de los Deportes y Campos Deportivos de La Habana, llamado después oficialmente Ciudad Deportiva, sustituyó al Palacio de Convenciones y Deportes de Paseo y Mar, como este a su vez había sustituido el Palacio de los Deportes, de San Carlos y  Peñalver.
Cuando Cuba aceptó la sede de los II Juegos Centroamericanos salieron a flote dos tristes realidades: la primera, que el país carecía de lugar donde efectuar competencias de trascendencia continental como las que se proponía; la segunda, que no tenía tiempo ni dinero para asumir de manera repentina la titánica tarea de levantar estadios para ofrecer esas competiciones. Fue entonces cuando surgió el ofrecimiento de una empresa cervecera, que construyó a toda prisa y sin visión de futuro el estadio Tropical, donde se escenificaron, en aquellos Juegos, los eventos de campo y pista, béisbol, fútbol y otros. Pero la natación, el tenis, la gimnástica, el básquet, etc., hubo que irlos a efectuar en canchas, piscinas y tabloncillos de escasas dimensiones y, por ende, radicadas en sociedades privadas, con todos los prejuicios raciales propios de la época.
Si descontamos el estadio de La Habana, o Gran Stadium del Cerro, construido ya en los 40 y dedicado exclusivamente al béisbol, aunque en él se hayan efectuado otros eventos deportivos, nada había en nuestra tierra que remedara, siquiera, a los grandes estadios comunes de otras capitales.
El 9 de julio de 1938 se crea la Dirección General Nacional de Deportes (DGND). Su director fue el comandante Jaime Mariné.
Mariné, un catalán que sirvió de testaferro a Batista, llegó a Cuba en los días previos a las elecciones de 1924, en las que se disputaban la presidencia el liberal Gerardo Machado y el conservador Mario García Menocal. Alfonso XIII, rey de España, mandó un caballo de pura sangre de regalo a Menocal, y Mariné fue el caballerizo.
Ante el regalo del caballo, los liberales se lanzaron a la calle con el lema de «¡A pie!». Coreaban: «¡A pie, a pie, a pie!/ Se acabaron los caballos./¡A pie, a pie, a pie!/ No me duelen ni los callos».Y cantaron una vez que Machado quedó triunfador en los comicios: «El Rey de España/ mandó un mensaje./ El Rey de España/ mandó un mensaje/ diciéndole a Menocal:/ devuélveme mi caballo,/ que tú no sabes montar».
Una vez aquí Mariné sentó plaza de soldado. Ascendió de sargento a comandante tras el golpe de Estado del 4 de septiembre de 1933 y, a la sombra del coronel Batista, de quien era ayudante, ocupó diferentes cargos hasta su salida de Cuba en 1944, cuando se estableció en Caracas para hacer grandes inversiones a nombre de su jefe y en su propio nombre.
En 1938 Mariné arrendó el Nuevo Frontón, el llamado Palacio de las Luces, en San Carlos y Peñalver —el frontón de Concordia y Lucena era el Palacio de los Gritos. Por fallas constructivas, el apresuramiento con que se acometió y por los daños que ocasionó en ese inmueble el ciclón del 20 de octubre de 1926, esa edificación se hallaba en un estado lamentable.
Allí radicaron la Dirección de Deportes y los departamentos correspondientes a cada especialidad. Disponía de áreas para la práctica de diversas disciplinas. Contaba con un gabinete médico y una clínica dental, así como un área de veterinaria y una llamada cocina deportiva. Bajo la jurisdicción de ese Palacio de los Deportes, quedaron los estadios Tropical y de Camagüey y la arena Cristal.
Auspició  la entidad academias de natación, jai alai, atletismo y baloncesto. En la de boxeo matricularon 1 100 alumnos de 12 años en adelante. Para dejarlo inaugurado y dar inicio a sus gestiones, la Dirección de Deportes trajo a La Habana y presentó en su sede a los dos mejores jugadores profesionales del mundo en el deporte de la
raqueta: los tenistas Fred Perry y Ellsworth Vines. Se calcula que más de 4 000 personas los vieron jugar. El dinero recaudado en esa y otras competiciones posteriores se destinó al fomento del deporte, pues entonces el Gobierno no tenía crédito alguno destinado a ese fin.
La Dirección de Deportes vendió su edificio al movimiento sindical. Se pensó en restaurarlo y adaptarlo para sede de la Confederación de Trabajadores de Cuba —lo de Central es posterior a 1959. Empezaron los quehaceres constructivos, pero hubo que paralizarlos porque el inmueble no admitía reparación. Por supuesto, se impuso construir desde cero el Palacio de los Trabajadores.
El nuevo Palacio de los Deportes se inauguró en 1944, en el sitio que ocupa desde 1978 la Fuente de la Juventud. Su primer cartel boxístico tuvo lugar el 1ro. de octubre de ese año e incluyó la pelea estelar de Juan Villalba contra Kid Gavilán. Entre otros eventos, ese inmueble fue escenario habitual del circo norteamericano Ringling, que visitaba La Habana todos los años en ocasión de las fiestas navideñas. Funcionó hasta cuando se demolió para que prosiguiera el trazado del Malecón hasta su límite natural del río Almendares.
La Ciudad Deportiva se asienta sobre dos caballerías de terreno. Por su construcción, capacidad y belleza, el Coliseo o Palacio de los Deportes propiamente dicho es la obra más notable del espacio. Lo cubre una cúpula de hormigón armado de 88 metros de diámetro, sin apoyo interior alguno, que permite una perfecta visibilidad de los espectadores y la cual se sostiene por una viga circular, de hormigón, que se apoya en 24 columnas con asiento en forma de «balancín», que le permite realizar los pequeños movimientos de dilatación y contracción que, en el hormigón, producen los cambios de temperatura. Tiene capacidad para entre 12 000 y 15 000 personas, quienes pueden ser evacuadas en diez minutos sin interrupción ni aglomeraciones en las salidas.

Ciro Bianchi Ross











Dizionario di mare per lupi di terra

ABBEVERARE: operazione svolta da pastori e mandriani dopo il pascolo

domenica 17 gennaio 2016

Quando la natura ha voglia di scherzare

Questa palma reale "trina", si trovava sulla strada che va da Jovellanos a Jagüey Grande, in provincia di Matanzas fino alla seconda metà degli anni '80 del secolo scorso, poi è scomparsa. Che fine avrà fatto? Vittima di un uragano? Morta di vecchiaia? Tagliata da qualche contadino irresponsabile, invidioso dei numerosi pulmann di turisti che si fermavano a fotografarla? Mistero. Certo che quel tratto di strada ha perso parte del suo fascino.


Dizionario di mare per lupi di terra

ABBATTUTA: colpita da cattiva notizia o disgrazia

sabato 16 gennaio 2016

Cubaexport e Pernod Ricard - Bacardi: 1 a 0, palla al centro


Cubaexport e Pernod Ricard vincono il primo round giudiziario per la registrazione della marca "Havana Club" negli Stati Uniti...anche se non si può ancora commercializzare...

Fonte: El Nuevo Herald

ENERO 15, 2016 5:24 PM
Gobierno de Cuba se impone a Bacardí en disputa por la marca Havana Club en EEUU
La Oficina de Marcas y Patentes autoriza a Cubaexport a registrar la marca en EEUU
Bacardí lamenta la “medida sin precedentes” del gobierno norteamericano


Decisiones en los tribunales habían favorecido a Bacardí en la disputa por la marca
Muestra de productos de Havana Club producidos en Cuba. John VanBeekum Miami Herald


MIMI WHITEFIELD
mwhitefield@miamiherald.com

Una batalla por los derechos de la marca de ron Havana Club en Estados Unidos, que se prolongó dos décadas, se decidió sin mucho alboroto en la Oficina de Marcas y Patentes de EEUU esta semana con el fallo de que el dueño es una empresa del gobierno cubano.
La caldeada disputa enfrentó a Bacardí contra Cubaexport, el socio cubano del fabricante francés de bebidas alcohólicas Pernod Ricard, en la distribución mundial del principal ron cubano, el Havana Club.
Debido al embargo, el ron no se puede vender en Estados Unidos. Pero con el deshielo en las relaciones entre La Habana y Washington, muchos esperan que llegue el día en que las botellas de Havana Club no lleguen solamente en las maletas de los que visitan la isla, sino que se vendan libremente en Estados Unidos.
La batalla tiene que ver con la cuota de mercado futura del mayor mercado de ron del mundo.
El miércoles, la Oficina de Marcas y Patentes informó a David Bernstein, un abogado de Nueva York que representa a Cubaexport que se había renovado el registro de la marca comercial cubana en Estados Unidos, pero sólo hasta el 27 de enero. Eso se debe a que el período de registro de 10 años data del 2006, cuando Cubaexport no logró reinscribir la marca.
Olivier Cavil, portavoz de Pernod Ricard, dijo que ya se ha presentado una solicitud para renovar la marca por otros 10 años.
Los sucesos de esta semana tomaron por sorpresa a Bacardí, y la compañía planea seguir adelante con su batalla jurídica por la propiedad de la marca Havana Club, que incluye la Giraldilla, el símbolo de La Habana.
“Bacardí ha quedado asombrada y preocupada por esta medida sin precedentes tomada por el gobierno de Estados Unidos”, expresó la compañía en un comunicado. “En esencia, este gobierno ha echado atrás normas y leyes estadounidenses e internacionales de larga data que protegen contra el reconocimiento o aceptación de medidas confiscatorias de gobiernos extranjeros”.
El caso data de 1994, cuando Bacardí, el mayor fabricante privado de bebidas alcohólicas del mundo, solicitó el registro en Estados Unidos de la marca de ron Havana Club, después de comprar los derechos del nombre a la familia Arechabala, quien fabricaba y vendía el ron en Estados Unidos desde los años 1930.
Pero tras exiliarse a raíz del triunfo de la revolución cubana en 1959, el registro del Havana Club venció en 1973. Cubaexport vio la oportunidad y registró la marca Havana Club en 1976.
A lo largo del enfrentamiento judicial, Bacardí –destacado fabricante de ron en Cuba antes que sus activos fueran confiscados por el gobierno cubano después de la revolución– obtuvo varias victorias contra Cubaexport en tribunales estadounidenses.
Bacardí también trató de fortalecer su caso sacando al mercado su propio ron Havana Club de tres años, destilado en Puerto Rico con la receta familiar de los Arechabala, en ciertas tiendas y bares de alta gama en Florida, Georgia, Massachusetts, Colorado y Michigan para establecer los derechos de propiedad a través del uso de la marca.
“Bacardí ha apoyado desde hace mucho los derechos de propiedad de los dueños legítimos”, indicó la compañía.
Después que la Corte Suprema federal declinó escuchar el caso en mayo del 2012, Bacardí esperó a la Oficina de Marcas y Patentes cancelara los derechos de Cubaexport al uso del nombre en Estados Unidos.
Pero Cubaexport presentó una solicitud a la Oficina, alegando que el registro no podía revocarse y permanece “inmóvil mientras el embargo a Cuba siga en pie”.
Aunque Estados Unidos y Cuba reanudaron las relaciones diplomáticas el año pasado, el embargo todavía prohíbe la mayor parte de las transacciones financieras con la isla, a menos que se cuente con una licencia específica de la Oficina de Control de Activos Extranjeros (OFAC) del Tesoro estadounidense.
Cuando Cubaexport trató de recibir una licencia de la OFAC en el 2006 y pagar $500 para renovar los derechos sobre la marca Havana Club, la OFAC declinó, alegando que había consultado con el Departamento de Estado y que otorgar la licencia a Cubaexport “iría a contrapelo de la política estadounidense”.
El resultado: el registro de Cubaexport fue declarado “cancelado, expirado”.
La solicitud también se complicó por la Sección 211, que se adjuntó a la ley de gastos federales de 1998 y que prohíbe cualquier acción o pago por concepto de derechos de marca en relación con empresas o activos confiscados.
Cubaexport impugnó la decisión de la OFAC en un tribunal federal en Washington, pero perdió la apelación. Cuando la Corte Suprema declinó escuchar el caso, éste regresó a la Oficina de Marcas y Patentes en el 2012.
Pero recientemente, Cubaexport solicitó nuevamente la licencia a la OFAC para pagar la inscripción, y la autorizaron, dijo Cavil.
El martes, Cubaexport presentó una licencia que autoriza el pago de su inscripción para la renovación de su registro en 2006, “así como cualquier otra transacción necesaria para renovar y mantener el registro”. Al día siguiente se renovó el registro de la marca.
Bacardí dijo que continuará defendiendo “derechos fundamentales contra la confiscación sin compensación” y “continuará tomando todas las medidas jurídicas necesarias para defender su postura” como el propietario de la marca de ron Havana Club.
Al preguntársele si el acercamiento entre Estados Unidos y Cuba fue un factor en la decisión de la OFAC, Cavil dijo que no podía comentar sobre asuntos políticos.
En lo relacionado con el impacto de la decisión sobre el negocio, dijo: “No es muy significativo. No existe un impacto sobre el negocio porque el embargo sigue en vigor”.
Pernod Ricard, que ha sobrevivido impugnaciones de Bacardí sobre el uso internacional de la marca Havana Club, sigue distribuyendo la marca en más de 100 países y vende unos 4 millones de cajas al año. Y con el aumento del turismo en Cuba desde el acercamiento, las ventas de Havana Club también se han disparado.


Cuba USA, propositi e speranze per il 2016

Fonte: El Nuevo Herald


                                                      
ENERO 14, 2016 1:44 PM
EEUU y Cuba, cuentas pendientes para el 2016
Se espera que la actividad comercial entre los dos países se intensifique
El embargo sigue siendo un obstáculo a mejores relaciones
¿Habrá avances en temas espinosos como la migración y los derechos humanos?



MIMI WHITEFIELD
Si el 2015 fue un año histórico en los vínculos entre Estados Unidos y Cuba, con la reanudación de las relaciones diplomáticasy la apertura de embajadas, se espera que el 2016 sea un año de definición en momentos en que los dos adversarios dejan atrás las ceremonias y enfrentan los temas difíciles que los separan.
Entre los problemas que conformarán las relaciones está la migración, una situación en la que miles de cubanos permanecen varados en Centroamérica en su ruta a Estados Unidos. Y sin duda preocupa el futuro económico de Cuba, ahora que parece que un acuerdo petrolero preferencial con Venezuela está en peligro después que la oposición tomó el control de la Legislatura en ese país.
El gobernador de Virginia, Terry McAuliffe, en las escalinatas de la Universidad de La Habana, el 4 de enero. McAuliffe encabezó una delegación de intercambio a Cuba.Ramón Espinosa AP
Aquellos con intereses económicos tienen la esperanza de que pudiera haber un avance sustancial y pueda concretarse una apertura comercial de Estados Unidos hacia Cuba. Para el gobierno de La Habana, lo más importante es el levantamiento del embargo –algo difícil en un año de elecciones– y no dudan en recordar la necesidad de hacerlo en la mayoría de las conversaciones con ejecutivos empresariales y políticos estadounidenses.
El año comenzó con el viaje a la isla de Terry McAuliffe, gobernador demócrata de Virginia, para estudiar las oportunidades de negocios de su estado en Cuba. Y regresó con un acuerdo entre el Puerto de Virginia, en Norfolk y de gran calado , y el Mariel, el puerto de contenedores ubicado al oeste de La Habana, para explorar formas de colaboración. También anunció un intercambio académico y un entendimiento para colaboración en investigaciones entre la Universidad de la Habana y la Universidad de la Mancomunidad de Virginia.
Pero los cubanos también consiguieron lo que les interesaba: McAuliffe dijo que era hora de eliminar la “política tonta”del embargo y que se reuniría con legisladores y funcionarios del Congreso para impulsar el mensaje de que “el 2016 tiene que ser el año en que logremos hacer avanzar nuestras relaciones, eliminemos el embargo y hagamos lo que conviene a las ciudades de Estados Unidos y Cuba”.
Pedro Freyre, abogado a cargo de la práctica internacional del bufete Akerman, dijo que el 2015 fue el año en que se echaron las bases de la nueva relación, sobre las que se levantará lo que suceda en el 2016.
Freyre espera que el gobierno anuncie pronto otra serie de normas que den a las empresas estadounidenses más confianza para acercarse a Cuba, y habrá mucha actividad durante el primer trimestre de este año.
“El gobierno ya ha decidido implementar otros cambios”, dijo John Kavulich, presidente del Consejo de Comercio y Economía Estados Unidos-Cuba. Kavulich espera que esos cambios se concentren en reducir las restricciones al uso del dólar estadounidense en las transacciones comerciales con Cuba.
“Eso ciertamente beneficiaría a los cubanos en cualquier parte que quieran hacer negocios, y ha sido un impedimento a las compañías estadounidenses que quieren hacer negocios con Cuba”, dijo.
EL TIEMPO SE LE ACABA AL GOBIERNO DE OBAMA. CREO QUE LOS CUBANOS ENTIENDEN QUE TIENEN UN PERÍODO LIMITADO DE OPORTUNIDADES Y DESPUÉS QUE OBAMA CONCLUYA SU TÉRMINO NO SE SABE QUÉ PASARÁ
Pedro Freyre, abogado de práctica internacional, bufete Akerman
A tenor con la apertura comercial del gobierno del presidente Barack Obama hacia Cuba, se pueden enviar productos como equipo de internet y telecomunicaciones que aumenten el nivel de conectividad del pueblo cubano, equipos agrícolas y de construcción destinados a empresarios privados, y otros productos que ayuden al creciente sector empresarial. Las compañías estadounidenses también pueden comprar algunos productos a negocios privados cubanos.
Kavulich dijo que también espera que las nuevas normas aborden los términos de pagos para tales transacciones, que son excepciones al embargo, y que se agilice el proceso mediante el cual los estadounidenses viajan a Cuba como parte de 12 categorías autorizadas por Washington.
“El tiempo se le acaba al gobierno de Obama”, dijo Freyre. “Creo que los cubanos entienden que tienen un período limitado de oportunidades y después que Obama concluya su término no se sabe qué pasará”.
Este año también se esperan algunos hitos comerciales: los primeros vuelos comerciales regulares entre Estados Unidos y Cuba en cinco décadas y quizás que los barcos de cruceros vuelvan a atracar en la isla.
A mediados de diciembre, varias aerolíneas estadounidenses informaron que habían llegado a un acuerdo en principio con el gobierno cubano para permitir vueltos regulares a la isla, pero ofrecieron pocos detalles.
Varias líneas de cruceros están anunciando itinerarios a Cuba que parten de puertos estadounidenses, pero hasta ahora Cuba no ha dado luz verde al plan.
Sin embargo, Freyre, quien representa a clientes empresariales que han llegado a acuerdos con Cuba, o esperan hacerlo, dijo que está “cautelosamente optimista” de que las líneas de cruceros están avanzando en conseguir la aprobación. “Vamos por buen camino”, dijo.
Cambios en el relevo político
Pero otros analistas pronostican un ritmo menor en el acercamiento.
Cuando el Partido Comunista celebre su séptimo congreso en abril, se conocerán más detalles sobre el futuro político del país que pudieran resultar relevantes para la relación entre Washington y La Habana.
“Si hay cambios en el Buró Político, eso será importante”, dijo Andy Gómez, académico cubano y decano retirado de Estudios Internacionales en la Universidad de Miami. A medida que la vieja guardia se retira y sus miembros fallecen, Cuba experimenta un cambio generacional de poder.
Y si hay cambios en el Buró Político, dijo Gómez, nuevos miembros pudieran llevar diferentes perspectivas a las relaciones entre los dos países.
Algo que resulta crítico para el futuro económico de Cuba y hasta dónde está dispuesta a hacer negocios con empresas estadounidenses es el destino del acuerdo petrolero preferencial con Venezuela, un país bajo fuerte presión económica, pero que ofrece petróleo a la isla a precios subsidiados a cambio de los servicios de médicos cubanos. El mes pasado, la oposición venezolana ganó el control de la Asamblea Nacional, y la nueva Legislatura, que ocupó escaños la semana pasada, no se espera que muestre el mismo grado de amistad con Cuba.
La oposición anunció que una de sus metas es desarrollar una estrategia para un cambio constitucional de gobierno en los próximos seis meses.
En su discurso del 29 de diciembre a la Asamblea Nacional de Cuba, Raúl Castro dijo que se espera que el crecimiento económico baje de un 4 por ciento en el 2015 a un 2 por ciento este año. Y mencionó no solamente la baja de los precios de las exportaciones tradicionales cubanas, como el níquel, sino también la incertidumbre petrolera.
Aunque Castro dijo que los bajos precios del crudo pudieran reducir el costo de algunas importaciones, señaló que los acuerdos de cooperación “mutuamente ventajosos” de Cuba se verán afectados, y mencionó específicamente a Venezuela, que dijo está “sujeta a una guerra económica para echar atrás el apoyo popular a la revolución”.
Castro dijo que el gobierno cubano está convencido de que tales esfuerzos encontrarán resistencia. Pero a la luz de las incertidumbres, afirmó que Cuba necesitaba mejorar su eficiencia al máximo, reducir los costos, concentrar sus recursos en actividades que generen ingresos por concepto de exportaciones y aumentar la inversión en los sectores productivos y la infraestructura.
Si los envíos petroleros venezolanos se acaban, “eso afecta el flujo de caja de Cuba, tanto el dinero que entra como el que sale”, dijo Kavulich.
Pero Freyre expresó que el gobierno cubano ha tenido tiempo para prepararse para una reducción en el nivel de cooperación económica de Venezuela.
“[El gobierno cubano] no lleva 54 años en el poder improvisando”, dijo.


venerdì 15 gennaio 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

ABBATTERE: verbo dei macrò romani, viene preceduto da "aoooo"

giovedì 14 gennaio 2016

Dizionari da leggere, ma non utilizzare...



Dopo aver terminato di maltrattare la lingua italiana, con licenza di essere ucciso inizio, sempre col contagocce, inizio a pubblicare un dizionario più "specializzato" che è meglio non venga letto da uomini di mare...



ABBASSO: lo gridano i rivali

mercoledì 13 gennaio 2016

Cuba nel calcio professionistico

Due calciatori cubani, Maykel Reyes e Abel Martínez, sono stati contrattati dalla società messicana di seconda divisione "Cruz Azul". Si rompe così la barriera del professionismo, all'estero, anche nel calcio.

martedì 12 gennaio 2016

Zucchetto

ZUCCHETTO: piccolo ortaggio

lunedì 11 gennaio 2016

Unilever investe al Mariel

Una delle più grandi bandiere del capitalismo nel mondo, la multinazionale olandese Unilever ha siglato un accordo con la cubana Suchel, per formare una società mista con apertura di una fabbrica nella Zona Speciale del Mariel.
L'unità produttiva che sarà terminata entro la fine del 2017 avrà solo la linea di prodotti per l'igiene della casa e della persona e non quella dei generi alimentari. La commercializzazione dei prodotti riguarderà oltre che il mercato interno, la zona dei Caraibi e dell'America meridionale. Indubbiamente un risultato positivo per la zona di sviluppo e per l'economia cubana.

Anatomia di un teatro, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 10/1/16

Una delle facce più indimenticabili della città si trasforma a prima vista. Alludo alla parte che corre lungo il Paseo del Prado, tra la calle Virtudes e la Calzada de Monte. In questo spazio si costruì l’hotel prque central, più che restaurarsi, si edificarono nuovamente gli hotel Telegrafo e Saratoga, più fiammanti adesso di come lo furono all’origine. Oggi si riabilita il Capitolio e il divieto di sosta da Nettuno a Monte conferisce al prado una prospettiva finora inedita, per non riferirsi al sistema d’illuminazione che mette di per se una nota di novità all’area. Ci sono alcuni buoni ristoranti. Mancherebbe di procedere all’eliminazione di chioschi statali e privati e rimane sempre inconcepibile che in un esercizio che produce tanti soldi come la Pastelería Francesa, pezzi di nylon sostituiscano i cristalli rotti delle sue vetrine. Un poco più in la, attraversando il Parque Central, si costruisce l’hotel Manzana. Si restaura il teatro Payret. Succederà lo stesso con la casa editrice Abril?
In uno sforzo costruttivo così colossale si inserisce la rimodellazione del Gran Teatro de La Habana che ha riaperto le sue porte lo scorso 1° gennaio col nome di Alicia Alonso, meritato omaggio all’esimia ballerina che si è presentata per la prima volta sul suo scenario nel 1950. Gran Teatro de La Habana Alicia Alonso.
Cosa vi sembra se dedichiamo la pagina di oggi a ricordare alcune curiosità di questo anfiteatro?

I nomi

La prima di esse sarebbe il nome. Prima diciamo che a parer nostro, il Gran Teatro è una istituzione culturale che è transitata per diversi periodi, dalla sua inaugurazione nel 1938 ad oggi. Quando si stava costruendo l’edificio all’angolo di Prado e San Rafael, la stampa cominciò a chiamarlo Teatro Nuovo, ma Francisco Marty, il catalano che aveva avuto dal Governo coloniale la concessione per costruirlo, non tardò a mettere le briglie ai giornalisti. Si chiamerà, disse, Gran Teatro de Tacón, come segno di gratitudine al suo protettore e amico il Capitano Generale che gli aveva fatto guadagnare tanti soldi.
Per la costruzione del teatro, Tacón concesse a don Pancho Marty una discussa frangia di terreno reale situata quasi di fronte alla porta della muraglia di Monserrate, in una delle zone più richieste di fuori dalle mura e somministrò le pietre necessarie, mentre garantiva la mano d’opera con i detenuti del carcere dell’Avana, schiavi e poveracci. Come garanzia dell’impresa, Marty avrebbe messo a disposizione la sua immensa fortuna. Nel processo di residenza che si tenne a Madrid alla sua uscita dal Governo, Tacón dichiaró che il Gran Teatro aveva significato un investimento di 200.000 pesos. Marty, da parte sua disse che il costo dell’edificio fu di 291.507 pesos e 16 reales, cifra che non comprendeva le risorse apportate dall’amministrazione coloniale.
Il 15 aprile di quell’anno il teatro cominciava la sua prima stagione melodrammatica e con essa era ufficialmente inaugurato. Per questi casi della vita, quel giorno giungeva a Cuba l’Ordine Reale che disponeva la cessazione di Tacón come governatore generale dell’Isola e la sua sostituzione con Joaquín de Ezpeleta. Don Pancho Marty, accompagnó il suo amico fino alla tomba, ma non si mise nella fossa assieme a lui. Continuó godendo, fino alla sua morte, dei favori dei capitani generali successivi.
Con la fine della dominazione coloniale spagnola, s’imponeva un cambio di nome. Il Gran Teatro de Tacón comincerà a chiamarsi Gran Teatro Nacional. Ma, come annota lo storico Francisco Rey Alfonso nella sua Biografía de un Coliseo, il nuovo nome fu soggetto per molti anni a una considerazione bivalente, ebbene per un motivo o l’altro in alcune citazioni ufficiali si chiamava così come pure Teatro Nacional e basta, denominazione che finì per imporsi a partire dal 1915 quando, nel portico del nuovo edificio si incisero le iniziali TN.
Già per allora il teatro era passato ad essere proprietà del Centro Gallego. Nel 1906 questa società reale spagnola pagava all’impresa nordamericana Tacón Realty Company – che aveva acquistato dagli eredi di don Pancho Marty –più di mezzo milione di pesos per il teatro e i suoi edifici annessi, ubicate nell’isolato compreso tra Prado, San Rafael, San José e Consulado. Come deferenza al presidente Estrada Palma o in un gesto di delicatezza verso i cubani, il tetro non avrebbe cambiato nome. Coninuerà ad essere Teatro Nacional. Solo che questo nome che identificava un esrcizio appartenente a un’entità straniera, dava fastidio a molti. Aveva poco di Nacional, perché la nazione non aveva niente a che vedere con lui.
Alla metà degli anni ’50 comiciò a costruirsi nella cosiddetta Plaza Civica o de la República, attuale Plaza de  la Revolución José Martí, l’edificio che ospiterà il Teatro Nacional de Cuba. Non potevano esistere due teatri con lo stesso nome nella medesima città. S’imponeva una nuova denominazione per l’lanfiteatro del Prado e San Rafael. Si chiamerà Teatro Estrada Palma. Il cambio avvenne già nel 1959, il 24 ottobre, data in cui si celebrava allora, a Cuba, la Giornata dei Giornalisti.
Non fu per molto tempo che il nostro emblematico scenario si identificò col nome di Estrada Palma. Il 19 agosto del 1961, in occasione del 25° anniversario dell’uccisione di Federico García Lorca, la Junta Interventora del Centro Gallego dava a conoscere che il teatro avrebbe preso il nome del poeta granadino. E lì non finí la storia. Nel 1967 gli si dete il nome di Gran Teatro del Balletto e Opera di Cuba e dieci anni dopo quello di Liceo dell’Avana Vecchia, quando si riscattarono alla cultura i preziosi spazi che furono parte del palazzo sociale del Centro Gallego e che davano luogo, allora, alla Società di Amicizia Cubano – Spagnola (SACE). A partire da allora si cercò una nuova organizzazione delle potenzialità dell’edificio, ribattezzato nel 1981 come Complesso Culturale del Gran Teatro García Lorca, sede stabile, sotto la direzione generale di Alicia Alonso, del Balletto Nazionale di Cuba, l’Opera Nazionale, il Teatro Lirico Gonzalo Roig, il coro e l’orchestra. Lo sviluppo di queste compagnie da luogo a un successo significativo nella storia dell’immobile: tutte le sue aree si aggiungono al lavoro culturale. L’inserimento di nuovi locali, annota lo storico Francisco Rey Alfonso,  dava inizio a un progetto ambizioso e inedito a Cuba. Al teatro, chiamato adesso Sala García Lorca, si aggiunsero le sale Ernesto Lecuona (concerti), Lezama Lima (conferenze) e Bola de Nieve (attività musicali), così come altri locali destinati a classi, prove, esposizioni...
Nel giugno dell’85, questo gran complesso culturale passa a denominarsi, sempre sotto la direzione generale di Alicia, Gran Teatro de La Habana. Nascono le sale Alejo Carpentier (arti sceniche), Imago (arti visive) e Artaud (teatro arena), allo stesso tempo importanti gruppi artistici come il Ballet Español, Danza Contemporanea e il balletto di Liszt Alfonso fanno del teatro la loro sede. Gli eventi internazionali si tengono sul suo palcoscenico principale nel Gran Teatro che si riafferma come il simbolo per eccellenza delle arti sceniche a Cuba.

Il ragno

Il Gran Teatro Chacón fu, nel suo momento, uno dei migliori del mondo. La sua facciata austera contrastava col lusso e l’eleganza dei suoi interni. L’esimia ballerina Fanny Essler lo paragonò al San Carlo di Napoli e la Scala di Milano “e non credo che siano molto più grandi né più eleganti in proporzioni e stile”. La contessa di Merlin lo vide, nel 1844, come un salone che non avrebbe stonato a Londra o a Parigi, mentre altri viaggiatori erano risentiti di trovare nella colonia quello che non c’era nella metropoli. Il palco destinato al Governatore appariva meglio adornato di quello che si destinava ai reali in alcuni Paesi. Ottanta finestre e 22 porte ventilavano la sala. La sua acustica era insuperabile. Nel 1878 accettava 2.287 persone sedute e altre 750 che potevano situarsi in piedi, dietro ai palchi, anche se si dice che all’inizio aveva una capacità di 4.000 spettatori. A quel tempo il personale del teatro era formata da un direttore, un segretario, un contabile, un responsabile dei libri, un portiere capo e 13 tra portieri e addetti alla sala. Anche un venditore dei biglietti, un meccanico, quattro falegnami, due custodi, una sarta con cinque aiutanti, un cartellonista e vari operai, gruisti e attrezzisti così come un certo numero di comparse che erano chiamate a lavorare, venendo pagate, quando le circostanze lo richiedessero.
Il suo lampadari centrale, a forma di ragno, costituiva secondo la filastrocca popolare uno degli elementi distintivi della città, assieme al Morro e la Cabaña. “Tre cose ha l’Avana/che causano ammirazione/sono: il Morro/la Cabaña/e il ragno di Tacón”.
Si diceva che questo lampadario era superato in dimensioni solo da quello dell’Opera di Parigi e del Palacio Real madrileno. Sebbene provocasse l’ammirazione di molti,  a quelli che dovevano presenziare allo spettacolo dai piani superiori del teatro, cioè dalla galleria superiore al loggione: li obbligava a prodigi per vedere lo scenario completo. Si fecero molti suggerimenti per risolvere questa situazione, ma il ragno del Tacón rimase al suo posto per oltre 60 anni.
Il lampadario soffrì un danno serio quando, una sera del 1863, gli spettatori deciser di prendere d’assalto la scena. Era tornato ad aprire le sue porte, dopo una delle tante rimodellazioni che patì e lo fece con una compagnia di così bassa qualità che il pubblico dell galleria superiore e il loggione, indignato e infuriato, si scagliò contro i comici lanciando in platea e sul palco i braccioli delle poltrone e qualsivoglia oggetto contundente trovasse a portata di mano. Rey Alfonso, nella sua Biografía de un coliseo si permette un’altra lettura, forse più esatta, di questo incidente: gli spettatori più umili espressero quest’attitudine aggressiva, non cpontro gli attori, ma contro il regime coloniale.

Il famoso lampadario sparì il 9 gennaio del 1900. Si stava pulendo il teatro in vista alla stagione dell’opera che sarebbe iniziata il giorno seguente quando, il mitico ragno, si staccò dal soffitto cadendo strepitosamente sulla platea. Per sostituirlo si affittò in fretta e furia un plafone a forma di stella che sosteneva 120 lampadine elettriche. I tempi erano cambiati, il nome di Tacòn risultava antiquato e si suggerì di dare al Gran Teatro il nome di La Estrella. L’idea non avanzò. Anche la lampada a forma di stella fu sostituita. A metà del 1915 cominciò a funzionare un ventilatore di aspirazione che faceva scendere a 20 gradi la temperatura della sala.


Anatomía de un teatro

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
9 de Enero del 2016 21:04:44 CDT

Uno de los rostros más entrañable de la ciudad se transforma a ojos vista. Aludo al tramo que corre a lo largo del Paseo del Prado, entre la calle Virtudes y la Calzada de Monte. En ese espacio se construyó el hotel Parque Central y, más que restaurarse, se edificaron otra vez los hoteles Telégrafo y Saratoga, más flamantes ahora que como lo fueron en sus orígenes. Hoy se rehabilita el Capitolio, y la prohibición de parqueo desde Neptuno a Monte confiere una perspectiva al Prado hasta ahora inédita, por no aludir al sistema de luminarias que pone asimismo una nota novedosa en el área.  Hay algunos buenos restaurantes. Faltaría proceder a la eliminación de timbiriches estatales y privados, y sigue siendo inconcebible que en un establecimiento que produce tanto dinero como la Pastelería Francesa, pedazos de nylon sustituyan los cristales rotos de sus vidrieras. Un poco más allá, cruzando el Parque Central, se construye el hotel Manzana. Se restaura el teatro Payret. ¿Sucederá igual con el edificio de la casa editora Abril?
En esfuerzo constructivo tan colosal se inscribe la remodelación del Gran Teatro de La Habana, que reabrió sus puertas el pasado 1ro. de enero con el nombre de Alicia Alonso, merecido homenaje a la eximia bailarina que se presentó en su escenario por primera vez en 1950. Gran Teatro de La Habana Alicia Alonso.
¿Qué tal si dedicamos la página de hoy a rememorar algunas curiosidades de ese coliseo?

Los nombres

La primera de ella sería el nombre. Digamos antes que, a nuestro juicio, el Gran Teatro es una institución cultural que ha transitado por diversas etapas, desde su inauguración en 1838 hasta hoy. Cuando se construía el edificio de la esquina de Prado y San Rafael, la prensa comenzó llamarlo Teatro Nuevo, pero Francisco Marty, el catalán que había recibido del Gobierno colonial la concesión para construirlo, no demoró en atajarles los caballos a los periodistas. Se llamaría, dijo, Gran Teatro de Tacón, como muestra de agradecimiento a su protector y amigo el Capitán General que tanto dinero le dio a ganar.
Para la construcción del teatro, Tacón concedió a don Pancho Marty una discutida franja de terreno realengo situada casi al frente de la puerta de Monserrate de la muralla, en una de las zonas más codiciadas de extramuros, y suministraría la piedra necesaria, en tanto que garantizaba la mano de obra con los reclusos de la cárcel de La Habana, esclavos y peones. Como respaldo de la empresa, pondría Marty su cuantiosa fortuna. En el juicio de residencia que se le siguió en Madrid a su salida del gobierno, Tacón declaró que el Gran Teatro había significado una inversión de 200 000 pesos. Marty dijo por su parte que el costo del edificio fue de 291 507 pesos con 16 reales, cifra que no incluía los recursos aportados por la administración colonial.
El 15 de abril de ese año iniciaba el teatro su primera temporada dramática y, con ella, quedaba oficialmente inaugurado. Por esas coincidencias de la vida, ese día llegaba a Cuba la Real Orden que disponía el cese de Miguel Tacón como gobernador general de la Isla y su sustitución por Joaquín de Ezpeleta. Don Pancho Marty  acompañó a su amigo hasta la tumba, pero no se metió en el hueco junto con él. Siguió disfrutando hasta su fallecimiento de los favores de los capitanes generales siguientes.
Con el fin de la dominación colonial española se imponía un cambio de nombre. El Gran Teatro de Tacón empezaría a llamarse Gran Teatro Nacional. Pero como apunta el historiador Francisco Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo, el nuevo nombre estuvo sujeto durante años a una consideración ambivalente pues, por una razón u otra, aun en formulaciones oficiales lo mismo se le llamaba de esa manera que Teatro Nacional a secas, denominación que terminó por imponerse a partir de 1915, cuando en el portal del nuevo edificio se incrustaron las iniciales TN.
Ya para entonces, el teatro había pasado a ser propiedad del Centro Gallego. En 1906 esa sociedad regional española pagaba a la empresa norteamericana Tacón Realty Company —que había comprado a los herederos de don Pancho Marty— más de medio millón de pesos por el teatro y sus edificaciones anexas, desplegadas en la manzana enmarcada entre Prado, San Rafael, San José y Consulado. Como deferencia al presidente Estada Palma o en un gesto de delicadeza hacia los cubanos, el teatro no cambiaría de nombre. Seguiría siendo el Teatro Nacional. Solo que ese nombre que identificaba un establecimiento perteneciente a una entidad extranjera molestaba a muchos. Poco tenía de Nacional, porque la nación nada tenía que ver con él.
A mediados de los años 50 empieza a edificarse en la llamada entonces Plaza Cívica o de la República, actual Plaza de la Revolución José Martí, el edificio que albergaría al Teatro Nacional de Cuba. No podrían existir dos teatros con igual nombre en una misma ciudad. Se imponía una nueva denominación para el coliseo de Prado y San Rafael. Se llamaría Teatro Estrada Palma. El cambio ocurrió ya en 1959, el 24 de octubre, fecha en la que entonces se celebraba en Cuba el Día del Periodista.
No por mucho tiempo identificó el nombre de Estrada Palma a nuestro emblemático escenario. El 19 de agosto de 1961, en ocasión del aniversario 25 del asesinato de Federico García Lorca, la Junta Interventora del Centro Gallego daba a conocer que el coliseo llevaría el nombre del poeta granadino. Ahí no paró el asunto. En 1967 se le dio el nombre de Gran Teatro de Ballet y Ópera de Cuba, y diez años después el de Liceo de La Habana Vieja cuando se rescataron para la cultura los valiosos espacios que fueron parte del palacio social del Centro Gallego y que daban cabida entonces a la Sociedad de Amistad Cubano-Española (SACE). A partir de entonces se buscó una nueva organización de las potencialidades del edificio, rebautizado en 1981 como Complejo Cultural del Gran Teatro García Lorca, sede estable, bajo la dirección general de Alicia Alonso, del Ballet Nacional de Cuba, la Ópera Nacional, el Teatro Lírico Gonzalo Roig, el coro y la orquesta. El desarrollo de esas agrupaciones da lugar a un suceso significativo en la historia del inmueble: todas sus áreas se suman al trabajo cultural. La incorporación de los nuevos locales, apunta el historiador Francisco Rey Alfonso, daba inicio a un proyecto ambicioso e inédito en Cuba. Al teatro, llamado ahora Sala García Lorca, se añadieron las salas Ernesto Lecuona (conciertos), Lezama Lima (conferencias) y Bola de Nieve (actividades musicales), así como  otros locales destinados a clases, ensayos, exposiciones…
En junio del 85, ese complejo cultural pasa a denominarse, siempre bajo la dirección general de Alicia, Gran Teatro de La Habana. Surgen las salas Alejo Carpentier (artes escénicas), Imago (artes visuales) y Artaud (teatro arena), al tiempo que importantes agrupaciones artísticas, como el Ballet Español, Danza Contemporánea y el Ballet de Lizt Alfonso, hacen del coliseo su sede. Eventos internacionales tienen su escenario principal en el Gran Teatro, que se reafirma como el símbolo por excelencia de las artes escénicas en Cuba.

La araña

El Gran Teatro Tacón fue en su momento uno de los mejores del mundo. Su austera fachada contrastaba con el lujo y la elegancia de su interior. La eximia bailarina Fanny Elssler lo comparó con el San Carlo, de Nápoles, y la Scala, de Milán, «y no creo que sean mucho más grandes ni más elegantes en proporciones y estilo».  La condesa de Merlin lo vio, en 1844, como un salón que no desentonaría en Londres ni en París, en tanto que otros viajeros se resentían al encontrar en la colonia lo que no existía en la metrópoli. El palco destinado al Gobernador lucía mejor adornado que el que se destinaba a los reyes en algunos países. Ochenta ventanas y 22 puertas ventilaban la estancia. Su acústica era insuperable. En 1878 admitía a 2 287 personas sentadas y a otras 750 que podían colocarse de pie detrás de los palcos, aunque se dice que en sus inicios tenía capacidad para unos 4 000 espectadores. En ese entonces la plantilla del teatro la conformaban un director, un secretario, un contador, un tenedor de libros, un portero mayor y 13 porteros y acomodadores. También un expendedor de boletos, un mecánico, cuatro carpinteros, dos serenos, una costurera con cinco ayudantes, un cartelero y varios conserjes, tramoyistas y utileros, así como cierto número de extras, que solo eran llamados a trabajar, y cobraban, cuando las circunstancias lo requerían.
Su lámpara central, en forma de araña, constituía, según la copla popular, uno de los elementos distintivos de la ciudad, junto al Morro y la Cabaña. «Tres cosas tiene La Habana / que causan admiración: / son el Morro, la Cabaña / y la araña de Tacón».
Se decía que esa lámpara solo la superaban en tamaño las de la Ópera de París y el Palacio Real madrileño. Si bien provocaba la admiración de muchos, irritaba a otros, a aquellos que debían presenciar el espectáculo desde los pisos superiores del teatro. Esto es, desde la tertulia y la cazuela: los obligaba a hacer prodigios para ver el escenario completo. Se hicieron muchas sugerencias para remediar esa situación, pero la araña del Tacón permaneció en su mismo sitio durante más de 60 años.
La luminaria sufrió una seria avería cuando una noche de 1863 los espectadores decidieron tomar la escena por asalto. Había vuelto a abrir sus puertas, luego de una de las tantas remodelaciones que sufriera, y lo hizo con la presentación de una compañía de tan mala calidad que el público de la tertulia y la cazuela, molesto y enfurecido, arremetió contra los cómicos lanzando a la platea y al  escenario los brazos de las butacas y cuanto objeto contundente encontró a su alcance. Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo se permite otra lectura, quizá más exacta, de ese incidente: los espectadores más humildes asumieron tan agresiva actitud no contra los actores, sino en repudio al régimen colonial.
La famosa lámpara desaparecería el 9 de enero de 1900. Se limpiaba el teatro con vista a la temporada de ópera que se iniciaría al día siguiente, cuando la mítica araña se desprendió del techo y cayó estrepitosamente sobre el lunetario. Para sustituirla se adquirió a toda prisa un plafón en forma de estrella que sostenía 120 bombillas eléctricas. Los tiempos habían cambiado, el nombre de Tacón resultaba obsoleto y se sugirió dar al Gran Teatro el nombre de La Estrella. La idea no progresó. La lámpara con forma de estrella fue también sustituida. A mediados de 1915 comenzó a funcionar un ventilador absorbente que hacía descender a 20 grados la temperatura de la sala.