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giovedì 24 marzo 2016
mercoledì 23 marzo 2016
Fantasmi in Jesús del Monte, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 20/3/16
Alla fine del XIX secolo e
inizio del XX non figurava ancora, tra i personaggi avaneri popolari, lo
strillone dei giornali. Non esisteva, semplicemente perché allora i giornali
avevano una circolazione che raggiungeva solo i ricchi e potenti che per motivi
culturali o per il desiderio di essere informati, appartenessero o meno a
un’elite che fra i suoi privilegi aveva quello di godere dell’abbonamento a un
giornale.
L’uomo che vendeva il
giornale per strada e inoltre annunciava le notizie principali – diligente
ausiliario della stampa, come qualcuno lo chiamò -, apparve più tardi come risultato
delle crescenti tirature e le edizioni successive che durante la giornata, facevano
i giornali e che necessitavano la loro distribuzione tra diversi settori del
pubblico.
Fotografie
e dettagli
Di uno di quei venditori di
giornali – venditori sul serio – parlò José M. Muzaurieta, giornalista
brillante, in una delle sue cronache. L’uomo nero, agile e scintillante,
vendeva El Imparcial, lo stesso giornale che vendette Kid Chocolate e
Muzaurieta che dirigeva tale giornale, ricordava che ogni giorno raccoglieva i
primi pacchi, appena usciti dalla tipografia e con ansia scorreva un esemplare
alla ricerca della notizia che avrebbe acclamato e che gli avrebbe permesso di muovere
i compratori alla curiosità.
Se nella prima pagina non
trovava niente che servisse per “l’attacco”, passava alle pagine interne, una a
una, fino ad arrivare all’ultima. Se un giorno il giornale “non usciva buono”,
esteriorizzava il suo disgusto, ma come venditore che era, tornava ad
immergersi nelle sue pagine alla ricerca di un gancio per la vendita, come in
quell’occasione, in cui stanco di cercare, tornò alla sezione della Polizia,
dove un piccolo ritaglio dava conto della denuncia di un individuo nel cui
domicilio, di notte, trascinavano catene e si produceva un rumore spaventoso
che non lo lasciava dormire.
Lo strillone fece salti di
gioia. Aveva trovato quello che cercava. Uscì come una freccia sulla strada.
Gridava: “Come sono i fantasmi in Jesús del Monte! Maltrattano e tormentano una
famiglia! El Imparcial con le ultime notizie! Fotografie e dettagli!”
A qualunque fatto, per
insignificante che fosse, quello strillone strappava profitto e dopo aver
venduto quattro o cinque pacchi, non era raro che tornasse al giornale per
prenderne altri.
Il colmo, ricordava
Muzaurieta, fu il giorno in cui non trovò nell’edizione del giorno niente,
assolutamente niente che servisse per le sue declamazioni e “attacchi”. Protestò,
si indignò, si rivolse malamente ai redattori fino a ricordare che era un
venditore e il suo compito era vendere. Nell’uscire dal Reparto Vendite
gridava: “El Imparcial! Figuratevi! El Imparcial con il crimine di domani!”
Il
letto e il seggiolone
Attorno al 1830, non c’erano
ancora alberghi all’Avana, ma nel 1828 si riportavano 1.157 “stanze interne da
affittare”. L’arredamento di queste stanze era sconcertante, d’acchito però gli
stranieri che le affittavano finivano per gradire sopratutto il letto.
Sui letti dell’epoca,
afferma Robert Francis Jamesson, ufficiale della Marina britannica, nelle sue Cartas habaneras (Letters from the Havana,
1820):
La più comunemente usata è
un semplice incrocio di legno sul quale si stende un pezzo di tela. Su di essa
si collocano un paio di lenzuola fra le quali uno si stende, mentre un’armatura
delicata sostiene una rete che lo avvolge per proteggerlo dalle zanzare. Questo
è quello che si chiama giaciglio. Ci vuole un po’ di abitudine per riconciliare
le ossa con lui, ma la freschezza che offre induce a preferirlo al materasso”.
Jamesson che fu il primo
rappresentante dell’Inghilterra davanti alla Commissione Mista per l’abolizione
della tratta dei negri – da lì il motivo del suo soggiorno sull’Isola –
descrive la giornata tipo dell’uomo con risorse nell’Avana di allora.
Cosa fa l’avanero quando non
ha niente da fare? Anche su questo
Jamesson si pronuncia nelle sue Cartas
habaneras. Si fa un bagno, si veste per il pranzo che quasi sempre è verso
le tre del pomeriggio, dorme la siesta..., dice. E indica in modo esplicito:
“Quando non c’è niente da fare si dondola su un seggiolone...”
Nei suoi commenti al libro
di Jamesson, l’erudito Juan Pérez de la Riva precisa che questo è uno dei
riferimenti più antichi al seggiolone a dondolo che si trovano nella letteratura.
Dondoli che secondo quello che crediamo, afferma Pérez de la Riva, fu inventato
da qualche cubano alla fine del XVIII secolo.
La
via della morte
Al principio, i condannati a
morte all’Avana, compivano la loro sanzione sulla forca, Questa macchina per
uccidere era installata nella piazza delle Orsoline, che sbocca nella calle di
Egido, la Calle Bernaza la si chiamava la via della forca perché conduceva fino
al luogo del patibolo. Nel 1810, quando non si era costruita ancora alla fine
del Paseo del Prado il Carcere di Tacón, la forca si mise nella spianata della
Punta. Nel 1834, Fernando VII, il re fellone, abolì l’uso della forca in Spagna
e in tutti i suoi domini. Sarebbe sostituita per la garrota. Per decine di anni
le esecuzioni erano state pubbliche, Poi, la garrota si mise all’interno dl
recinto carcerario. In questa spianata morirono alla garrota vil Narciso López,
Eduardo Facciolo e Ramon Pintó, fra gli altri. Anche Domingo Goicuría gardò
prigione in quel luogo, ma fu giustiziato, sempre con la garrota, alla Loma del
Príncipe, fortezza convertita in prigione politica dal 1976, quando la inaugurò
come tale, Antonio Nariño, precursore dell’indipendenza della Colombia.
La Audiencia Pretorial ebbe
sede e celebrò le sue riunioni nel piano principale del carcere di Tacón,
dall’apertura di questa installazione penitenziaria. Rimase in quel posto già
come Audiencia de La Habana, fino al 1938.
Nel 1930, eccetto la parte
occupata dall’Audiencia, il Carcere Nuovo che per quella data era già vecchio,
vecchissimo, rimase vuoto. Nel vetusto edificio allora si installarono gli
uffici del Municipio e del Sindaco dell’Avana e lì rimasero, mentre si faceva
il restauro del palazzo municipale – antico Palazzo dei Capitani Generali, oggi
Museo della Città -, secondo quanto disposto dal sindaco Miguel Mariano Gómez.
Nove anni dopo, l’edificio
del Carcere era smantellato. Sul terreno dove si ergeva si costruì il Parco dei
Martiri, in ricordo di quanti soffrirono la prigione o la morte in quel luogo.
Non furono demolite, e come reliquie storiche formano parte del parco, due
celle di rigore dove si rinchiudevano i prigionieri più contumaci o quelli che
si volevano castigare con maggiore durezza. Inoltre rimase in piedi la cappella
dove numerosi eroi e martiri passarono le ultime ore della loro vita.
Quadrati
del Malecón
Edoardo Robreño dice nel suo
libro Cualquier tiempo pasado fue…
che quando sucede un penetrazione del mare, è nella calle Galiano, dove l’acqua
penetra per prima, dovuto a un dislivello abastanza profondo esistente in tale
luogo. Senza dubbio, quando il ciclone del ’26, l’acqua arrivò per Prado, fino
alla calle Colón. E quando il ciclone del ’19, giunse per Campanario fino alla
calle Ánimas, con conseguente allarme degli abitanti.
Dei quadrati che ha il Malecón,
quello compreso fra le calli San Nicolás e Manrique è dove battono più forte le
onde a causa del basso muro e del piccolo spazio occupato dagli scogli. Il muro
del Malecón che comincia in calle Lealtád è più basso del resto.
Plaza
de Armas
Alla fine del XVI secolo,
José Maria de la Torre, annota nel suo libro La Habana antigua y moderna, questo luogo, di piazza aveva solo il
nome. Ma fu “il centro da dove si irradiò” la città. Le rialzarono le
edificazioni dove, nel finale del XVIII secolo, si eressero attorno ad essa: il
Palazzo dei Capitani Generali e la Casa dell’Intendente o del Secondo Capo. Governatori
come il marchese de la Torre y de Someruelos, Juan Ruiz de Apodaca e Francisco
Dionisio Vives fecero opere che la abbellirono. Indubbiamente la Plaza de Armas
cadde in un abbandono totale negli anni finali della dominazione spagnola a
Cuba. Cessarono di avere luogo lì, per la guerra, le frequentate riunioni
serali e gli avaneri la frequentavano meno come luogo di svago.
La situazione si acutizzò
negli anni della prima occupazione militare nordamericana. Leonard Wood, uno
dei governatori intervenzionisti, fece togliere le panchine.
Occorreva che i giornalieri
del porto e gli impiegati delle aziende vicine, aspettavano lì l’ora di
iniziare il lavoro. Le loro conversazioni impedivano il sonno del proconsole, a
cui piaceva dormire la mattina. E la Plaza de Armas perse, con le sue panchine,
la sua condizione di bell’angolo coloniale.
Diciamo brevemente che fra
il 1899 e il 1902, il tempo che durò il primo intervento, all’Avana si costruì
un solo edificio pubblico, quello destinato alla Scuola di Arti e Mestieri,
nella calle Belascoaín.
Si dovette aspettare il 1926
perché si facesse il restauro del Palazzo del Secondo Capo. L’anno successivo
si restaurò il Tempietto e nel 1930 il Palazzo dei Capitani Generali.
In quella data, il Palazzo
del Secondo Capo ospitava il Senato della Repubblica e quando questi si
installò nel Capitolio, in questo edificio funzionò il Tribunale Supremo di
Giustizia.
Fantasmas en Jesús del Monte
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
19 de Marzo del 2016 21:11:58 CDT
19 de Marzo del 2016 21:11:58 CDT
A fines del
siglo XIX y a comienzos del XX no figuraba aún entre los personajes populares habaneros
el voceador de periódicos. No existía, sencillamente, porque los diarios de
entonces tenían una circulación que solo alcanzaba a los adinerados y
pudientes, quienes, por afanes culturales o por el deseo de estar informados,
pertenecían o aspiraban a pertenecer a una élite que, entre sus privilegios,
tenía el de gozar de la suscripción a un periódico.
El hombre que
vendía el periódico por la calle y además pregonaba las noticias principales
—diligente auxiliar de la prensa, como le llamó alguien—, apareció más tarde
como resultado de las tiradas crecientes y las sucesivas ediciones que, a lo
largo del día, hacían los diarios y que exigían su distribución entre sectores
dispersos del público.
Fotografías y detalles
De uno de
aquellos vendedores de periódicos —vendedores de verdad— habló José M.
Muzaurieta, periodista de anjá, en una de sus crónicas. El hombre, negro y ágil
y chispeante, vendía El Imparcial, el mismo periódico que vendió Kid Chocolate,
y Muzaurieta, que dirigía dicho diario, recordaba que en cada jornada recogía
los primeros los paquetes recién salidos de la imprenta y con afán revisaba un
ejemplar en busca de la noticia que vocearía y que le permitiría mover la
curiosidad de los compradores.
Si no
encontraba en la primera página nada que le sirviera para el «ataque», pasaba a
las páginas interiores, una a una hasta llegar a la última. Si un día el
periódico «no venía bueno», exteriorizaba su desagrado, pero como vendedor que
era volvía a sumergirse en sus páginas en busca de un gancho para la venta,
como en aquella ocasión, en que cansado de buscar, volvió sobre la sección de
Policía, donde un pequeño suelto daba cuenta de la denuncia de un individuo en
cuyo domicilio arrastraban cadenas por la noche y se producía un ruido
espantoso que le impedía dormir.
El voceador
dio saltos de júbilo. Había encontrado lo buscado. Como una flecha salió a la
calle. Gritaba: «¡Cómo están los espíritus en Jesús del Monte! ¡Maltratan y
atormentan a una familia! ¡El Imparcial con las últimas noticias! ¡Fotografías
y detalles!».
A cualquier
suceso, por insignificante que fuera, aquel voceador le sacaba lascas y luego
de vender cuatro o cinco paquetes, no era raro que volviera por más al
periódico.
El colmo,
recordaba Muzaurieta, fue la ocasión en que no encontró en el periódico del día
nada, absolutamente nada que le sirviera para sus pregones y «ataques».
Protestó, se indignó, despotricó contra los redactores hasta que recordó que él
era un vendedor y lo suyo era vender. Al salir del Departamento de Ventas,
gritaba: «¡El Imparcial! ¡Vaya! ¡El Imparcial con el crimen de mañana!».
La cama y el sillón
Hacia 1830 no
existían aún hoteles en La Habana, pero, en 1828, se reportaban 1 157 «cuartos
interiores» para alquilar. El mobiliario de esas habitaciones desconcertaba, de
entrada, a los extranjeros que las rentaban, pero terminaban agradeciendo,
sobre todo, la cama.
Sobre las
camas de la época afirma Robert Francis Jamesson, oficial de la Marina
británica, en sus Cartas habaneras (Letters from The Havana, 1820):
«La más
comúnmente usada es una simple cruceta de madera en la que se extiende un
pedazo de lona. Sobre ella se coloca un par de sábanas finas entre las cuales
uno se acuesta, mientras una delicada armazón sostiene una red que lo envuelve
a uno protegiéndolo de los mosquitos. Es lo que se llama catre. Hace falta un
poco de hábito para reconciliar los huesos con él, pero la frescura que ofrece
induce a uno a preferirlo al colchón».
Jamesson, que
fue el primer representante de Inglaterra ante la Comisión Mixta para la
abolición de la trata negrera —de ahí el motivo de su estancia en la Isla—
describe el día tipo de un hombre con recursos en La Habana de entonces.
¿Qué hace el
habanero cuando no tiene nada que hacer? Sobre ello también se pronuncia Jamesson
en sus Cartas habaneras. Toma un baño, se viste para el
almuerzo, que casi siempre es sobre las tres de la tarde, duerme la siesta…,
dice. Apunta de manera explícita: «Cuando no hay nada que hacer, puede mecerse
uno en un amplio sillón…».
En sus comentarios
al libro de Jamesson, el erudito Juan Pérez de la Riva precisa que esa es una
de las referencias más antiguas al sillón de balance que se hallan en la
literatura. Balance que según creemos, afirma Pérez de la Riva, fue inventado
por algún cubano a fines del siglo XVIII.
Camino de la muerte
En un comienzo
los condenados a muerte en La Habana cumplían su sanción en la horca. Esa
máquina de matar estaba instalada en la plaza de las Ursulinas, que se aboca
sobre la calle de Egido. A la calle de Bernaza se le llamaba el camino de la
horca, porque conducía hasta el lugar del patíbulo. En 1810, cuando aún no se
había construido al final del Paseo del Prado la Cárcel de Tacón, la horca se
situó en la explanada de la Punta. En 1834, Fernando VII, el rey felón, abolió
el uso de la horca en España y en todos sus dominios. Sería sustituida por el
garrote. Durante decenas de años las ejecuciones habían sido públicas. Luego el
garrote se ubicó en el interior del recinto carcelario. En esa explanada
murieron en garrote vil Narciso López, Eduardo Facciolo y Ramón Pintó, entre
otros. Domingo Goicuría también guardó prisión en el lugar, pero fue ejecutado,
igualmente en garrote, en la loma del Príncipe, fortaleza convertida en prisión
política desde 1796, cuando la estrenó como tal Antonio Nariño, precursor de la
independencia de Colombia.
La Audiencia
Pretorial radicó y celebró sus reuniones en el piso principal de la Cárcel de
Tacón desde la apertura de esa instalación penitenciaria. Y permaneció en ese
sitio, ya como Audiencia de La Habana, hasta 1938.
En 1930, salvo
la parte ocupada por la Audiencia, la Cárcel Nueva que en esa fecha era ya
vieja, viejísima, quedó vacía. En el vetusto edificio se instalaron entonces
las oficinas del Ayuntamiento y de la Alcaldía de La Habana, y allí estuvieron
mientras se efectuaba la restauración del palacio municipal —antiguo Palacio de
los Capitanes Generales, hoy Museo de la Ciudad—, según lo dispuesto por el
alcalde Miguel Mariano Gómez.
Nueve años
después el edificio de la Cárcel era desmantelado. Sobre el terreno donde se
asentó se construyó el Parque de los Mártires en recuerdo de cuantos sufrieron
prisión o muerte en ese lugar. No fueron demolidas y, como reliquias
históricas, forman parte del parque dos celdas bartolinas donde se encerraban a
los presos más contumaces o a aquellos a quienes se quería castigar con mayor
dureza. Quedó en pie además la capilla donde numerosos héroes y mártires
pasaron las últimas horas de su vida.
l
Cuadrados del malecón
Dice Eduardo
Robreño en su libro Cualquier tiempo pasado fue…,
que cuando ocurre un ras de mar es por la calle Galiano donde primero penetra
el agua, debido a un desnivel bastante profundo existente en dicho lugar. Sin
embargo, cuando el ciclón del 26, el agua llegó por Prado hasta la calle Colón.
Y cuando el ciclón del 19, llegó por Campanario hasta la calle Ánimas, con la
alarma consiguiente del vecindario.
De los
cuadrados que tiene el Malecón, el comprendido entre las calles San Nicolás y
Manrique es por donde más fuerte baten las olas, a causa de lo bajo del muro y
del pequeño espacio ocupado por los arrecifes.
El muro del
Malecón que empieza en la calle Lealtad es más bajo que el resto.
Plaza de armas
A fines del
siglo XVI, anota José María de la Torre en su libro La Habana antigua y moderna, ese sitio, de plaza, solo
tenía el nombre. Pero fue «el centro de donde irradió» la ciudad. La realzaron
las edificaciones donde en las postrimerías del XVIII se alzaron en torno a
ella: el Palacio de los Capitanes Generales y la Casa del Intendente o del
Segundo Cabo. Gobernadores como los marqueses de la Torre y de Someruelos, y
Juan Ruiz de Apodaca y Francisco Dionisio Vives, acometieron obras que la
embellecieron.
La Plaza de
Armas, sin embargo, cayó en un total abandono en los años finales de la
dominación española en Cuba. Dejaron de tener lugar allí, por la guerra, las
concurridas retretas nocturnas, y los habaneros la frecuentaban menos como
lugar para el esparcimiento.
La situación
se agudizó en los años de la primera ocupación militar norteamericana. Leonard
Wood, uno de los gobernadores intervencionistas, mandó a retirarle los bancos.
Sucedía que los jornaleros del puerto y empleados de establecimientos cercanos
esperaban allí la hora de empezar a trabajar. Sus conversaciones impedían el
sueño del procónsul, que gustaba de dormir la mañana. Y la Plaza de Armas
perdió con sus bancos su condición de bello rincón colonial.
Digamos de
paso que entre 1899 y 1902, el tiempo que duró la primera intervención, solo se
construyó en La Habana un edificio público, el destinado a la Escuela de Artes
y Oficios, en la calle Belascoaín.
Hubo que
esperar a 1926 para que se acometiera la restauración del Palacio del Segundo
Cabo. Al año siguiente se restauró el Templete y, en 1930, el Palacio de los
Capitanes Generales.
En esa fecha
el Palacio del Segundo Cabo daba albergue al Senado de la República, y cuando
este se instaló en el Capitolio, funcionó en ese edificio el Tribunal Supremo
de Justicia.
martedì 22 marzo 2016
Ultimo atto ufficiale (?!) di Obama all'Avana, la diplomazia del Baseball
Dopo una lunga e paziente attesa davanti allo stadio Latinoamericano, ho avuto la magra consolazione di poter dire; “quel giorno c’ero anch’io”. Il servizio di sicurezza sempre vigile, era meno opprimente che sulla Plaza e non poteva essere diversamente. Credo che tutto sia andato liscio con la predisposizione della viabilità per l’interminabile corteo che precedeva e seguiva l’auto presidenziale. Prima del suo arrivo si sono succedute altre file di veicoli di tutte le ambasciate accreditate a Cuba e di molti personaggi di spicco invitati all’incontro che non era accessibile ad un pubblico pagante.
L’attesa non è stata completamente vana dal momento che, almeno, sono riuscito a riprendere l’auto presidenziale e in un dettaglio si intravede un’ombra che mi da tutta l’impressione che si tratti proprio di lui.
Dopo la "diplomazia del Ping pong" inaugurata da Nixon è arrivata l'ora della "diplomazia del Baseball"...
Dopo la "diplomazia del Ping pong" inaugurata da Nixon è arrivata l'ora della "diplomazia del Baseball"...
Ricevo e pubblico dall'amico Luca Lombroso
ciao Aldo
come va, hai
incontrato Obama?
ti giro
questo articolo, l’idea è veramente bella, possibilità di realizzarsi, credo
prossime allo zero assoluto…. ma chissà…. magari, se vedi Obama, proponilo :-)
!
saluti,
Luca
Lombroso
R.: per Obama ne parlo in altri post, per il resto, sognare non costa niente, comunque sarebbe bello e possibile.
Trasformiamo Guantanamo in un
ponte ecologico di pace
Trasformiamo
Guantanamo nella “Woods Hole dei Caraibi”: in un grande centro di ricerca
specializzato in biologia ed ecologia del mare, con annesso parco della pace e
un’ampia area di conservazione della biodiversità.
Barack H. Obama si accingeva a partire per Cuba, primo presidente degli Stati Uniti a mettere piede sull’isola 88 anni dopo la visita effettuata da Calvin Coolidge nel 1928, quando venerdì 18 marzo Science, la rivista dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), la più grande associazione scientifica del mondo, pubblicava la proposta – o meglio, l’appello – con cui Joe Roman, del Gund Institute for Ecological Economics, della University of Vermont di Burlington, e di James Kraska, dello Stockton Center for the Study of International Law, dello U.S. Naval War College di Newport, gli ricordava l’impegno, riproposto di recente, di chiudere la controversa prigione aperta dopo l’11 settembre 2001 presso la U.S. Naval Station Guantánamo Bay. Trasformiamo questo impegno e il nuovo clima nei rapporti tra Stati Uniti e Cuba in un’opportunità. Usiamo l’ecologia come ponte di pace.
L’analisi di Roman e Kraska è, insieme, storica, politica e scientifica. I due ricercatori ricordano che gli Stati Uniti sono a Guantanamo da oltre cento anni, che il loro avamposto di 117 km2 è sopravvissuto, anzi, si è consolidato nel corso della guerra fredda ed è stato trasformato in una base della marina militare. All’interno di questa base dopo l’11 settembre è stata allestita una prigione in cui le leggi vigenti negli Stati Uniti sono sospese. Barack Obama vuole chiudere la prigione. Ma Cuba rivendica la piena sovranità sulla baia e gli Stati Uniti sanno che, prima o poi, dovranno lasciarla.
Di qui la proposta: trasformiamola subito in un centro di ricerca ecologica e in un luogo di collaborazione scientifica, che è il modo migliore per sviluppare la diplomazia della pace. Non sarebbe, dicono i due ricercatori americani, una forzatura. Ci sono molti presupposti.
Barack H. Obama si accingeva a partire per Cuba, primo presidente degli Stati Uniti a mettere piede sull’isola 88 anni dopo la visita effettuata da Calvin Coolidge nel 1928, quando venerdì 18 marzo Science, la rivista dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), la più grande associazione scientifica del mondo, pubblicava la proposta – o meglio, l’appello – con cui Joe Roman, del Gund Institute for Ecological Economics, della University of Vermont di Burlington, e di James Kraska, dello Stockton Center for the Study of International Law, dello U.S. Naval War College di Newport, gli ricordava l’impegno, riproposto di recente, di chiudere la controversa prigione aperta dopo l’11 settembre 2001 presso la U.S. Naval Station Guantánamo Bay. Trasformiamo questo impegno e il nuovo clima nei rapporti tra Stati Uniti e Cuba in un’opportunità. Usiamo l’ecologia come ponte di pace.
L’analisi di Roman e Kraska è, insieme, storica, politica e scientifica. I due ricercatori ricordano che gli Stati Uniti sono a Guantanamo da oltre cento anni, che il loro avamposto di 117 km2 è sopravvissuto, anzi, si è consolidato nel corso della guerra fredda ed è stato trasformato in una base della marina militare. All’interno di questa base dopo l’11 settembre è stata allestita una prigione in cui le leggi vigenti negli Stati Uniti sono sospese. Barack Obama vuole chiudere la prigione. Ma Cuba rivendica la piena sovranità sulla baia e gli Stati Uniti sanno che, prima o poi, dovranno lasciarla.
Di qui la proposta: trasformiamola subito in un centro di ricerca ecologica e in un luogo di collaborazione scientifica, che è il modo migliore per sviluppare la diplomazia della pace. Non sarebbe, dicono i due ricercatori americani, una forzatura. Ci sono molti presupposti.
Intanto una
certa attitudine dei cubani. Fin dalla Conferenza delle Nazioni Unite
sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) di Rio de Janeiro il governo dell’Avana ha
iniziato a prestare molta attenzione ai temi ambientali, con un’attenzione
particolare non solo ai cambiamenti climatici ma anche alla biodiversità.
Sull’isola sono molte, ormai, le zone protette. E, dunque, non desta meraviglia se il Jardines de la Reina (il Giardino della Regina), creato da Cuba nei mari che la circondano sia il più grande parco marino dei Caraibi.
C’è poi una comune condivisione del ruolo dell’ecologia. Non è neppure un caso, infatti, se tra i primi momenti di collaborazione tra Stati Uniti e Cuba ci sia la creazione, decisa alla fine del 2015, di luoghi di protezione e conservazione ecologiche comuni, che includono lo statunitense Florida Keys National Marine Sanctuary e il cubano Parque Nacional Península de Guanahacabibes.
Infine ci sono dei motivi scientifici diretti. La baia di Guantanamo è un ricco scrigno di biodiversità.
Se la base navale viene rimossa, le ricchezze contenute in questo scrigno possono essere non solo conservate ma anche arricchite.
L’area, ricordano Roman e Kraska, ospita molte specie endemiche, a iniziare dall’iguana cubana (Cyclura nubila); è un rifugio ideale per il manato delle Indie occidentali (Trichechus manatus); è un’area di nidificazione di una tartaruga (Chelonia mydas) in via di estinzione e un ottimo base per la Eretmochelys imbricata, un’altra tartaruga a rischio; sulla terraferma c’è un tipo di foresta, la tropicale secca, piuttosto rara a Cuba, mentre le spiagge sabbiose e le acque marine si trovano foreste di mangrovia, coralli e alghe di vario genere. Di particolare rilievo il granadillo (Brya ebenus, un albero tipico di Cuba e della Giamaica) e l’aragosta Panulirus argus. Tutte specie da difendere. Ma, sostengono i due ricercatori americani, ci sono anche specie aliene da cui difendersi: come il pesce leone (genere Pterois), il pesce gatto africano (Clarius gariepinus) o il marabou (Dichrostachys cinerea). Sono pesci che minacciano gli ecosistemi marini di entrambi i paesi e Stati Uniti e Cuba potrebbero iniziare a contrastarne l’invadenza insieme, partendo da Guantanamo.
La proposta di Roman e Kraska va, probabilmente, meglio formulata. Come ha notato Ferdinando Boero, biologo marino dell’università del Salento e dell’Istituto di scienze marine del Cnr, nonché presidente del consiglio scientifico di quella Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli che ha ispirato la creazione dei laboratori di Woods Hole, si parla di parco marino, di genetica, di sorveglianza via satellite, ma non si parla di ricerca sul campo. Ma, per ora questi sono dettagli.
Il messaggio forte è che la ripresa dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba può essere facilitata dalla scienza e dalla consapevolezza ecologica. E, ancora una volta non a caso, i due ricercatori americani fanno appello a papa Francesco perché sponsorizzi la proposta che è in linea sia con la “riconversione ecologica” auspicata con l’enciclica Laudato si sia con la mediazione politica risultata determinante per il riavvicinamento tra l’Avana e Washington, dopo quasi sessant’anni di incomunicabilità.
Sull’isola sono molte, ormai, le zone protette. E, dunque, non desta meraviglia se il Jardines de la Reina (il Giardino della Regina), creato da Cuba nei mari che la circondano sia il più grande parco marino dei Caraibi.
C’è poi una comune condivisione del ruolo dell’ecologia. Non è neppure un caso, infatti, se tra i primi momenti di collaborazione tra Stati Uniti e Cuba ci sia la creazione, decisa alla fine del 2015, di luoghi di protezione e conservazione ecologiche comuni, che includono lo statunitense Florida Keys National Marine Sanctuary e il cubano Parque Nacional Península de Guanahacabibes.
Infine ci sono dei motivi scientifici diretti. La baia di Guantanamo è un ricco scrigno di biodiversità.
Se la base navale viene rimossa, le ricchezze contenute in questo scrigno possono essere non solo conservate ma anche arricchite.
L’area, ricordano Roman e Kraska, ospita molte specie endemiche, a iniziare dall’iguana cubana (Cyclura nubila); è un rifugio ideale per il manato delle Indie occidentali (Trichechus manatus); è un’area di nidificazione di una tartaruga (Chelonia mydas) in via di estinzione e un ottimo base per la Eretmochelys imbricata, un’altra tartaruga a rischio; sulla terraferma c’è un tipo di foresta, la tropicale secca, piuttosto rara a Cuba, mentre le spiagge sabbiose e le acque marine si trovano foreste di mangrovia, coralli e alghe di vario genere. Di particolare rilievo il granadillo (Brya ebenus, un albero tipico di Cuba e della Giamaica) e l’aragosta Panulirus argus. Tutte specie da difendere. Ma, sostengono i due ricercatori americani, ci sono anche specie aliene da cui difendersi: come il pesce leone (genere Pterois), il pesce gatto africano (Clarius gariepinus) o il marabou (Dichrostachys cinerea). Sono pesci che minacciano gli ecosistemi marini di entrambi i paesi e Stati Uniti e Cuba potrebbero iniziare a contrastarne l’invadenza insieme, partendo da Guantanamo.
La proposta di Roman e Kraska va, probabilmente, meglio formulata. Come ha notato Ferdinando Boero, biologo marino dell’università del Salento e dell’Istituto di scienze marine del Cnr, nonché presidente del consiglio scientifico di quella Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli che ha ispirato la creazione dei laboratori di Woods Hole, si parla di parco marino, di genetica, di sorveglianza via satellite, ma non si parla di ricerca sul campo. Ma, per ora questi sono dettagli.
Il messaggio forte è che la ripresa dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba può essere facilitata dalla scienza e dalla consapevolezza ecologica. E, ancora una volta non a caso, i due ricercatori americani fanno appello a papa Francesco perché sponsorizzi la proposta che è in linea sia con la “riconversione ecologica” auspicata con l’enciclica Laudato si sia con la mediazione politica risultata determinante per il riavvicinamento tra l’Avana e Washington, dopo quasi sessant’anni di incomunicabilità.
luca lombroso
Dizionario del mare per lupi di terra
ANTEMURALE: marciapiedi prospiciente la pittura di un "writer"
Anche oggi settori e orari "blindati"?
È comprensibile, la massima prudenza in un caso come quello della visita di Obama A Cuba, ma personalmente credo che si ecceda un pochino nello zelo. Ieri mattina negli orari più vicini al passaggio del corteo era impossibile transitare, anche a piedi, per vaste aree adiacenti alla zona del previsto transito. Non parliamo di sostare, sempre a piedi. Almeno un paio d'ore prima dell'arrivo alla Plaza della Revolución dell'ospite, sono stato fatto sloggiare da tre o quattro posti e invitato a spostarmi..."verso laggiù..." quando mi sono stancato di bighellonare inutilmente in cerca di un posto...lontano, ma con vista al mausoleo, mi sono diretto verso casa e a questo punto sono stato richiamato,mentre mi stavo allontanando dalla zona, da un agente in uniforme che mi ha richiesto l'identificazione e ne ha preso nota su un libriccino. La prudenza e l'attenzione devono essere massime, ma credo che anche il "massimo" abbia un certo limite. Io abito a due isolati dalla calle 20 de Mayo e circa 5 dallo stadio Latinoamericano. Mi sarà possibile, oggi, sostare per vedere (almeno) il passaggio del corteo? Fra l'altro il previsto incontro di baseball a cui assisterà Obama è previsto "nel pomeriggio", in questo momento hanno annunciato televisione "circa alla 1.30 del pomeriggio", finora l'orario era "segreto".
In questo momento si sta recando al Gran Teatro dell'Avana Alicia Alonso per un incontro con settori produttivi della società cubana. Bisogna riconoscere e non c'era dubbio, che la copertura televisiva è ampia ed eccellente.
In questo momento si sta recando al Gran Teatro dell'Avana Alicia Alonso per un incontro con settori produttivi della società cubana. Bisogna riconoscere e non c'era dubbio, che la copertura televisiva è ampia ed eccellente.
lunedì 21 marzo 2016
Prima mattina di lavori di Obama a Cuba
In una interessante
conferenza stampa trasmessa in diretta dalla TV Cubana e dal canale TeleSur, i
due presidenti hanno ribadito la volontà di continuare il cammino per un
riavvicinamento e la comprensione reciproca. Ho trovato interessante la
dichiarazione di Obama quando ha detto che “riprenderanno i ferry e le
crociere”. Sarebbe bello sapere quando, ma ho l’impressione che Cuba non sia
pronta con le infrastrutture anche se nella zona del porto i lavori procedono
alacremente.
Si è anche detto che si
cercherà di ampliare il servizio di Internet dal momento che nel secolo XXI,
non è concepibile uno sviluppo senza questo strumento...
Questa mattina, in una
giornata nuvolosa e con un fastidioso vento di tramontana, ho cercato di vedere
se potevo “rubare qualche immagine anche se da centinaia di metri. Impossibile,
l’imponente servizio di sicurezza teneva sgombra l’area per centinaia di metri
attorno al Memorial Martí e alle strade in cui doveva muoversi il corteo.
Sono anche stato fermato per controllo dei documenti....
L'ospite atteso è arrivato
Come si sarà visto in tutto il mondo, grazie alle riprese della televisione cubana, alle 16.20, ora locale, l'aereo con la famiglia Obama e alcuni membri della delegazione che lo accompagna è atterrato all'aeroporto José Martí. Appena il velivolo è giunto alla piazzola di sosta ha iniziato a cadere una pioggerella che si è rapidamente trasformata in temporale. Cosa che non ha impedito una breve visita al centro storico della Capitale e della Cattedrale dove, gli ospiti erano attesi dal Cardinale Jaime Ortega y Gassét, Arcivescovo dell'Avana.
Da oggi, inizia la parte ufficiale del viaggio per il Presidente, mentre la famiglia sarà accompagnata a visite sociali a cura della Federazione delle Donne Cubane.
per il resto, credo che mezzi di informazione ben più potenti e importanti del presente saranno in grado di fornire maggiori dettagli dell'importante avvenimento.
Da oggi, inizia la parte ufficiale del viaggio per il Presidente, mentre la famiglia sarà accompagnata a visite sociali a cura della Federazione delle Donne Cubane.
per il resto, credo che mezzi di informazione ben più potenti e importanti del presente saranno in grado di fornire maggiori dettagli dell'importante avvenimento.
domenica 20 marzo 2016
E oggi arriva Obama...
Forse sarà banale dire che oggi è una giornata storica, ma per Cuba e non solo lo è certamente. Nel pomeriggio, ad ora indeterminata (sera o notte in Europa) atterrerà a Rancho Boyeros l'Air Force One. con una numerosa comitiva al seguito del Presidente. Oltre alla famiglia al completo vi saranno diversi dignitari e personaggi politici di alto rango.
L'Avana e tutta Cuba sono pronte a ricevere col rispetto dovuto colui che viene definito l'uomo più importante del mondo, almeno durante la carica che ricopre...certo ha fatto più lui in circa un anno e mezzo (ufficialmente) che tutti i suoi predecessori in mezzo secolo.
Al sottoscritto rimane il rimpianto, per imperdonabile pigrizia mentale e ignoranza, di non aver presentato domanda entro il 15 scorso per poter essere accreditato all'evento come "freelance". Chi sbaglia paga. Spero di aver la soddisfazione di vedere il corteo quando si recherà allo stadio che è vicino a casa mia.
L'Avana e tutta Cuba sono pronte a ricevere col rispetto dovuto colui che viene definito l'uomo più importante del mondo, almeno durante la carica che ricopre...certo ha fatto più lui in circa un anno e mezzo (ufficialmente) che tutti i suoi predecessori in mezzo secolo.
Al sottoscritto rimane il rimpianto, per imperdonabile pigrizia mentale e ignoranza, di non aver presentato domanda entro il 15 scorso per poter essere accreditato all'evento come "freelance". Chi sbaglia paga. Spero di aver la soddisfazione di vedere il corteo quando si recherà allo stadio che è vicino a casa mia.
sabato 19 marzo 2016
giovedì 17 marzo 2016
Servizio postale diretto
Il più volte ristabilimento del servizio postale, finalmente ha raggiunto la possibilità di effettuarsi con un volo diretto che è arrivato all'Avana ieri, proveniente da Miami e che avrà una frequenza di tre volte la settimana.
Nel frattempo è stato annunciato un arrivo anticipato del Presidente Obama che in forma "privata", domenica visiterà luoghi significativi ed emblematici della capitale, lasciando le cerimonie ufficiali a partire da lunedì.
Le nuove misure annunciate, sono considerate importanti, ma tutte da verificare e comunque insufficienti a una "piena normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi.
mercoledì 16 marzo 2016
Primarie presidenziali e nuovi rapporti Usa-Cuba
Il senatore per la Florida, Marco Rubio, ha perso “in casa” con il plurimilionario Donald Trump le elezioni alle primarie presidenziali per il Partito Repubblicano col 27 contro il 45% dei voti. Una sconfitta che lo ha deciso a ritirarsi dalla competizione per la Casa Bianca.
È segno evidente che i tempi sono cambiati anche nello Stato più anticastrista degli USA, la campagna politica di Rubio, impostata prevalentemente sul voler disfare quanto sta costruendo Obama nei rapporti con Cuba e tornare a un passato che non avvantaggerebbe nessuno, non ha pagato.
Certo la “soddisfazione” è mitigata dalla vittoria dell’energumeno, xenofobo, razzista e conservatore nel senso più dispregiativo del termine, Donald Trump. Intelligentemente non ha mai espresso chiaramente le sue intenzioni nel futuro delle relazioni con Cuba. Di certo non sembrano incoraggianti col resto del mondo e le classi più deboli all’interno degli stessi Stati Uniti.
Da parte sua, Obama, alla vigilia del suo arrivo a Cuba ha decretato nuovi alleggerimenti al “bloqueo”, il più importante dei quali è la possibilità, per Cuba, di utilizzare il dollaro statunitense nelle transazioni commerciali. Una scelta veramente importante dal punto di vista finanziario e che alleggerisce i costi d’importazione per Cuba. Inoltre ha dato la possibilità dei nordamericani che visitano Cuba stando nelle 12 “categorie” del programma “People to People”, di poterlo fare in forma individuale e non più obbligati a formare gruppi. Tra le righe sembra un preludio alla eliminazione di qualsiasi restrizione di viaggio, verso l’Isola caraibica, per i cittadini statunitensi in vista dell’apertura dei voli commerciali di linea nel prossimo settembre.
Intanto l'Avana "si fa bella" nei luoghi che si suppone percorra Obama durante la sua visita. Squadre di muratori e imbianchini stanno mettendo a nuovo gli edifici, mentre le strade vengono asfaltate e completate con segnaletica orizzontale. In modo particolare la 20 de Mayo che da accesso allo stadio Latinoamericano, dove il 22 si attende il lancio della prima palla da parte del presidente nordamericano nell'incontro di baseball Cuba - Tampa Bay. Lo stesso stadio è sottoposto a cura intensiva per la rimessa a nuovo...o quasi.
Dove si suppone che passi:
Dove si suppone che passi:
Dove si suppone che non passi:
Ultimi ritocchi allo stadio
martedì 15 marzo 2016
lunedì 14 marzo 2016
Revillagigedo, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato
su Juventud Rebelde del 10/3/16
Lo scriba non crede che
siano molti gli avaneri che sappiano che la calle Revillagigedo, in questa
capitale, debba il suo nome a un governatore spagnolo dalla mano dura, le cui
eccellenti doti come governante si videro eclissate per un’ambizione e
un’altaneria censurabili che fecero si che si guadagnasse l’epiteto di “il
tiranno”. Assunse il comando dell’Isola il 18 marzo del 1734 e durante gli 11
anni che si mantenne come governatore generale della Colonia, fu immune alle
critiche e denunce del patriziato creolo, alla minaccia degli inglesi nella
loro infinita guerra contro la Spagna ed anche alle malattie. Quando i suoi
nemici pensarono che non si riprendesse da un attacco apoplettico fulminante
che lo paralizzò e lo mise sulla soglia della morte, lo videro tornare alla
casa del Governo più grasso e colorito di prima e più disposto che mai a
continuare ad arricchirsi con i vantaggi del potere e a far tremare di rabbia
quelli che non lo amavano. Quando giunse all’Avana la notizia che lo avevano
destituito dall’incarico, ai suoi rivali si congelò l’allegria venendo a sapere
che lo avevano nominato viceré del Messico.
Il maresciallo di campo Juan
Francisco Güemes de Horcasitas, primo conte di Revillagigedo, titolo che gli
conferì la Corona durante il suo comando a Cuba, è il protagonista di questa
storia.
La cronaca lo descrive come
un uomo dall’aspetto terribile, occhi dominatori, unghie molto lunghe e spesse
sopracciglia sugli occhi da imporre paura ai suoi nemici.
“Solamente col presentarsi a
cavallo nella piazza soffocò un ammutinamento in Messico, essendo viceré”,
ricorda Álvaro de la Iglesia in una delle sue Tradiciones cubanas. Non era solo coraggioso, ma lo dimostrava
sempre quando si presentasse l’occasione per farlo. Non si lasciò imporre da
nessuno e chi osasse minacciarlo vinceva la lotteria senza aver comprato il
biglietto perché compiva la sua minaccia o andava in carcere a pentirsene.
Il conte di Revillagigedo sostituì
al Governo il brigadiere Dionisio Martínez de la Vega. Giunse a Cuba in
un’epoca in cui il contrabbando che conquistava il diritto di legittimità e le
immoralità amministrative mantenevano esausto il tesoro dell’Isola. Per
compiacenze e riguardi della prima autorità le rendite della Colonia, si
trovavano in estremo collasso e la condotta dei funzionari subalterni non era
migliore.
Álvaro de la Iglesia scrive:
“Dentro quella razza di
disordine, è chiaro che chi arrivasse con spinte moralizzatrici, se non moriva
di un colpo come successe al santo vescovo Montiel, moriva diffamato o gli
elevavano un monumento di calunnie tale da fargli perdere i capelli in
prigione. Ma Güemes era un asturiano dai mille diavoli per cui gli era
indifferente che parlassro bene o male di lui, molto soddisfatto che non fosse
nato un uomo che osasse guardare di traverso il conte di Revillagigedo”.
La
real compagnia
Si necessitava una mano
forte per porre fine ai molti e gravi
mali della Colonia. E questa fu la mano di Juan Francisco Güemes de
Horcasitas. Cominciò con castigare abusi e peculati. Nominò tenenti
capaci, per attitudini e severità, di incamminare l’ordine in giurisdizioni
dell’importanza di Puerto Príncipe, Sancti Spíritus e San Juan de los Remedios.
Sottomise alla sua potestà il Governo di Santiago de Cuba. I 22 bandi che il
Governo emise per dettare la disciplina all’amministrazione e l’ordine pubblico
della Colonia, sono prove delle sue eccellenti doti di comando.
Revillagigedo regolò la pulizia
delle strade e degli spazi pubblici, così come del porto avanero. Trasferì il
mattatoio in luogo adeguato, fu implacabile con queli che esageravano coi
prezzi e speculavano coi prodotti agricoli. Favorì la riapertura dell’ospedale
di San Lázaro, riorganizzò il Municipio e regolarizzò la giustizia. Ristabilì
l’impero della legge. Molte furono le sue misure efficaci contro chi si beffava
del fisco.
Lo si considera il vero
fondatore della Reale Compagnia di Commercio dell’Avana che per oltre 20 anni
mantenne il più mostruoso monopolio delle produzioni cubane.
La ricchezza dell’Isola
andava aumentando e siccome il settore del tabacco aveva riportato grandi
ricchezze in Spagna, diversi commercianti spagnoli e alcuni coltivatori creoli
accalorarono l’idea di monopolizzare tutto il commercio della Colonia. Fu così
che accordarono di costituire la Reale Compagnia di Commercio dell’Avana,
autorizzata dal Re, con la raccomandazione preventiva del conte di
Revillagigedo. Al fine di ottenere i maggiori privilegi, l’entità nascente
dette al monarca e al governatore la partecipazione ai guadagni. Ottenne prima
il monopolio del tabacco e un anno dopo quello di tutto il commercio
d’importazione ed esportazione dell’Isola.
Il Governo concesse alla
Compagnia il privilegio di introdurre in Spagna, esenti da dazi, i prodotti del
Paese - cuoio, legname, zucchero, miele... - e quello di importare articoli di
consumo. In cambio si vide obbligata a costruire navi per la marina da guerra e
quella mercantile, di rifornire le navi da guerra che ormeggiassero nel porto
dell’Avana e di mantenere dieci imbarcazioni armate per combattere il
contrabbando e proteggere le navi che realizzavano il traffico tra il porto di
Cadice e l’Avana. Ebbe anche a suo carico il commercio degli schiavi.
I risultati della Compagnia
furono l’arricchimento smisurato dei commercianti spagnoli e di alcuni pochi
possidenti creoli dell’Avana. Nel resto dell’Isola si sopportarono i privilegi
della Compagnia, dovendo pagare a prezzi elevatissimi gli articoli d’importazione
e vendere a prezzi miserabili i propri prodotti. Le assemblee delle città
dell’interno si stancarono di inviare proteste alla metropoli (spagnola,
n.d.t.) chiedendo la cessazione della Compagnia. Si dovette attendere che gli
inglesi si impadronissero dell’Avana, nel 1762, molti anni dopo che il conte di
Revillagigedo fosse uscito dal potere. Allora gli occupanti britannici si
impossessarono di tutte le proprietà della Compagnia alla quale, Carlos III
darà il colpo di grazia nel decretare le franchige nel 1765.
Ma prima si arricchirono i
possidenti dell’Avana e quei possessori di zuccherifici che avevano azioni
della Reale Compagnia. Per capire la lucratività dei suoi affari, basti dire
che un barile di farina o di grano comprato in Spagna per 5 o 6 pesos era
venduto all’Avana per 35 o 36 pesos.
Il governatore Juan
Francisco Güemes de Horcasitas, propiziatore ufficiale del monopolio della
Reale Compagnia, si arricchì con la sua partecipazione nell’affare. Ricevette
il titolo di conte e giunse all’ambito incarico di viceré del Messico.
Da allora, l’incarico di
capitano generale e di governatore di Cuba si convertì in una posizione molto
ambita.
Il
vassallo più ricco
Il conte di Revillagigedo
era avaro e rapace, Questo era, dice Álvaro de la Iglesia, il suo difetto
maggiore. Quando si presentava un affare nel quale vedeva la possibilità di
guadagnare, lo approvava anche sapendo che poteva essere causa di scandalo.
L’enorme fortuna che giunse ad accaparrare in questo modo, gli permise di
creare in Spagna un azienda per ognuno dei suoi figli ed erano diversi, mentre
ne La Gazzetta d’Olanda si qualificava come il “vassallo più ricco che aveva
Ferdinando VI”.
Revillagigedo rubava, ma non
lasciava rubare. Se avesse fatto finta di niente con i ladri e malversatori che
lo circondavano, nessuno avrebbe detto mezza parola contro di lui. Ma lui la
vedeva in altro modo, suscitando contro di se e tutti i suoi atti di Governo
una tempesta di censure e anche di calunnie. Le denunce contro di lui si
ripetevano, ma a Madrid compresero che anche se il conte rubava, i redditi di
Cuba non avrebbero mai raggiunto la somma di quello che egli rimetteva
dall’Avana. A questo si univa la sua difesa adeguata dell’Isola, ebbene teneva
in scacco le armate nemiche. Da quì che Madrid lo mantenesse nel suo incarico
contro venti e maree.
I suoi nemici nominarono
l’avvocato Lorenzo Hernández Tinoco come una specie di accusatore privato
contro Güemes e Güemes, senza perdere tempo lo deportò in Spagna. Non gli
restava altro da fare che chiedere al cielo cho lo fulminasse, com’era successo
in quei giorni a un vascello nella baia avanera.
Non venne fulminato, ma un
attacco apoplettico sembrò che lo mettesse fuori gioco in modo definitivo. I
suoi nemici cantarono vittoria, senza contare sulla resistenza dell’asturiano.
La famiglia Chacón lo portò nei suoi possedimenti di Santa María del Rosario e
le acque medicinali del posto fecero in modo che si ristabilisse in un mese.
Tornò all’Avana disposto a continuare ad arricchirsi e a far inferocire sempre
di più i suoi nemici.
Álavaro de la Iglesia dice
che nei giorni della sua grave malattia circolò un detto popolare che alludendo
ala sua meschina avarizia diceva:
“Né conte né marchese; Juan
é”. “Più che degli attacchi di cui fu oggetto, a Revillagigedo dovette far male
quel detto che correva di bocca in bocca, da quel momento divenne più acido e
temibile di prima, mettendo in guardia i suoi persecutori che lo temevano come
il colera”.
Lo
appresi da mio padre
Suo figlio maggiore, Juan
Vicente Güemes Pacheco, secondo conte di Revillagigedo, nato all’Avana nel
1738, fu pure viceré del Messico, il viceré numero 52 che governò quel Paese
per cinque anni. A otto giorni scarsi dall’aver assunto il suo incarico
condannò a morte gli assassini di un agiato commerciante. Il suo procedere gli
dette fama di giusto.
Modificò l’amministrazione
pubblica e trasformò intendenze e tribunali, cosa che permise una manovra più
efficiente della Colonia. Fondò varie scuole, fra di esse il Reale Collegio di
Mineraria. Ai suoi tempi la Città del Messico si rimodernò e si eressero nuovi
edifici. Il municipio della città lo citò a giudizio per illecito, ma i suoi
accusatori furono obbligati a pagare le spese del processo nel domostrarsi
l’innocenza del viceré. Morì a Madrid nel 1799.
Revillagigedo
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
12 de
Marzo del 2016 20:42:38 CDT
No cree el
escribidor que sean muchos los habaneros que sepan que la calle Revillagigedo,
en esta capital, deba su nombre a un gobernador español de mano dura, cuyas
excelentes dotes como gobernante se vieron eclipsadas por una codicia y una
altivez censurables y que hicieron que ganara el epíteto de «tirano». Asumió el
mando de la Isla el 18 de marzo de 1734 y durante los 11 años que se mantuvo
como gobernador general de la Colonia fue inmune a las críticas y denuncias del
patriciado criollo, a la amenaza de los ingleses en su inacabable guerra contra
España e incluso a la enfermedad. Cuando sus enemigos pensaron que no se
repondría de un ataque de apoplejía fulminante que lo paralizó y lo puso a las
puertas de la muerte, lo vieron regresar a la casa de Gobierno más gordo y
colorado que antes y más dispuesto que nunca a seguirse enriqueciendo con los
gajes del poder y a hacer temblar de rabia a los que no lo querían. Cuando
llegó a La Habana la noticia de que lo habían cesado en el cargo, a sus rivales
pronto se les congeló la alegría al enterarse de que lo habían nombrado virrey
de México.
El
mariscal de campo Juan Francisco Güemes de Horcasitas, primer conde de
Revillagigedo, título que le otorgó la Corona durante su mando en Cuba, es el
protagonista de esta historia. La crónica lo describe como un hombre de aspecto
terrible, ojos dominadores y uñas tan largas y espesas cerdas sobre los ojos
que imponía miedo a sus mismos enemigos.
«Solo con
presentarse a caballo en la plaza sofocó un motín en México, siendo virrey»,
recuerda Álvaro de la Iglesia en una de sus Tradiciones cubanas. No solo era
valiente, sino que lo demostraba siempre que se le presentara ocasión para
ello. No se dejó imponer de nadie y el que osara amenazarle se sacaba la
lotería sin haber comprado el billete, porque cumplía su amenaza o iba a
arrepentirse de ella en la cárcel.
El conde
de Revillagigedo sustituyó en el Gobierno al brigadier Dionisio Martínez de la
Vega. Llegó a Cuba en una época en que el contrabando, que conquistaba carta de
legitimidad, y las inmoralidades administrativas tenían exhausto el tesoro de
la Isla. Por complacencias y miramientos de la primera autoridad las rentas de
la Colonia se hallaban en abatimiento extremo y no era mejor la conducta de los
funcionarios subalternos.
Escribe
Álvaro de la Iglesia:
«Dentro de
aquel medio de desorden, claro está que quien llegara con pujos moralizadores,
si no moría de un jicarazo, como ocurrió con el santo obispo Montiel, moría
difamado o le levantaban un monumento de calumnias capaz de hacerle perder el
pelo en presidio. Pero Güemes era un asturiano de mil demonios que tanto le daba
que hablaran de él bien como mal, muy satisfecho de que por delante no había
nacido hombre que se atreviera a mirar atravesado al conde de Revillagigedo».
La real compañía
Se
requería de una mano fuerte para poner coto a los muchos y graves males de la
Colonia. Esa fue la mano de Juan Francisco Güemes de Horcasitas. Empezó por
hacer castigar abusos y peculados. Nombró tenientes, capaces por sus actitudes
y severidad, de encauzar el orden en jurisdicciones de la importancia de Puerto
Príncipe, Sancti Spíritus y San Juan de los Remedios. Sometió a su potestad al
Gobierno de Santiago de Cuba. Los 22 bandos que en el curso de 11 años de
Gobierno dictó para disciplinar a la administración y el orden público de la
Colonia son prueba de sus excelentes condiciones de mando.
Revillagigedo
reguló la limpieza de las calles y de los espacios públicos, así como del
puerto habanero. Trasladó el matadero a un lugar apropiado y fue implacable con
los que exageraban los precios y especulaban con los productos del agro.
Favoreció la apertura del hospital de San Lázaro, reorganizó el Ayuntamiento y
regularizó la justicia. Restableció el imperio de la ley. Fueron muy eficaces
sus medidas contra los que burlaban el fisco.
Se le
considera el verdadero fundador de la Real Compañía de Comercio de La Habana,
que durante más de 20 años llevó a cabo el más monstruoso monopolio con las
producciones cubanas.
La riqueza
de la Isla iba en aumento y como el estanco del tabaco había reportado a España
grandes riquezas, varios comerciantes españoles y algunos hacendados criollos
calorizaron la idea de monopolizar todo el comercio de la Colonia. Fue así que
acordaron constituir la Real Compañía de Comercio de La Habana, que fue
autorizada por el Rey con la recomendación previa del conde de Revillagigedo.
Con el fin de obtener los mayores privilegios, la naciente entidad dio al
monarca y al gobernador participación en las ganancias. Obtuvo primero el
monopolio del tabaco y un año después el de todo el comercio de importación y
exportación de la Isla.
El
Gobierno concedió a la Compañía el privilegio de introducir en España, libre de
derechos, los productos del país —cuero, madera, azúcar, miel…— y el de
importar artículos de consumo. A cambio, se vio obligada a construir barcos
para la marina de guerra y la mercante, de abastecer los barcos de guerra que
fondearan en el puerto de La Habana y de mantener diez embarcaciones armadas
para perseguir el contrabando y proteger a los barcos que realizaban el tráfico
entre los puertos de Cádiz y La Habana. También tuvo a su cargo el comercio de
esclavos.
Los
resultados de la Compañía fueron el enriquecimiento desmedido de comerciantes
españoles y de algunos pocos hacendados criollos de La Habana. En el resto de
la Isla se soportaron los privilegios de la Compañía, teniendo que pagar a
precios elevadísimos los artículos de importación y vender sus productos a
precios de miseria. Los cabildos de ciudades del interior se cansaron de enviar
quejas a la metrópoli demandando el cese de la Compañía. Hubo que esperar a que
los ingleses se apoderaran de La Habana, en 1762, muchos años después de que el
conde de Revillagigedo saliera del poder. Entonces los ocupantes británicos se
apoderaron de todas las propiedades de la Compañía, a la que Carlos III daría
el tiro de gracia al decretar las franquicias en 1765.
Pero antes
se enriquecieron los hacendados de La Habana y aquellos dueños de ingenios que
poseían acciones en la Real Compañía. Para comprender lo lucrativo de su
negocio baste decir que un barril de harina de trigo comprado en España por
cinco o seis pesos era vendido en La Habana en 35 o 36 pesos.
El
gobernador Juan Francisco Güemes de Horcasitas, propiciador oficial del monopolio
de la Real Compañía, se enriqueció con su participación en el negocio. Recibió
el título de conde y llegó al codiciado cargo de virrey de México.
Desde
entonces, el cargo de capitán general y de gobernador de Cuba se convirtió en
una posición muy codiciada.
El vasallo más rico
El conde
de Revillagigedo era avaro y rapaz. Era ese, dice Álvaro de la Iglesia, su
mayor defecto. Cuando se presentaba un negocio en el que veía la posibilidad de
ganar, lo acometía aunque supiera que sería causa de escándalo. La enorme
fortuna que llegó a acaparar por esa vía le permitió crear en España un
mayorazgo para cada uno de sus hijos, y fueron varios, mientras que en La
Gaceta de Holanda se le calificaba como «el vasallo más rico que tenía Fernando
VI».
Revillagigedo
robaba, pero no dejaba robar. Si hubiese hecho la vista gorda con los ladrones
y malversadores que lo rodeaban, nadie hubiera dicho media palabra en su
contra. Pero él lo entendió de otra forma, suscitando contra su persona y todos
sus actos de Gobierno una tempestad de censuras y aun de calumnias. Se repetían
las denuncias en su contra, pero en Madrid comprendieron que si el conde
robaba, las rentas de Cuba no habían alcanzado nunca antes el monto de lo que
él remitía desde La Habana. A eso se unía su adecuada defensa de la Isla, pues
tenía a raya a las armadas enemigas. De ahí que Madrid lo mantuviera en su
cargo contra viento y marea.
Nombraron
sus enemigos al abogado Lorenzo Hernández Tinoco como una especie de acusador
privado contra Güemes, y Güemes sin perder tiempo lo deportó a España. No les
quedaba ya nada que hacer como pedir al cielo que lo partiera un rayo, al igual
que le había sucedido en esos días al navío Invencible en la bahía habanera.
No lo
partió el rayo, pero un ataque de apoplejía pareció que lo sacaría del juego de
manera definitiva. Cantaron victoria sus enemigos, que no contaron con la
resistencia del asturiano. La familia Chacón lo llevó a sus predios de Santa
María del Rosario y las aguas medicinales del lugar hicieron que se restableciera
en un mes. Volvió a La Habana dispuesto a seguir enriqueciéndose y a hacer
rabiar aún más a sus enemigos.
Dice
Álvaro de la Iglesia que por los días de su grave dolencia fue que circuló un
dicho popular que aludía a su mezquina avaricia. Decía:
«Ni conde
ni marqués; Juan es». «Más que los ataques de que había sido objeto, debió
dolerle a Revillagigedo aquel dicho que corría de boca en boca, pues desde
entonces se hizo aún más avinagrado y terrible que antes, poniendo en cuidado a
sus perseguidores, que le temían como al cólera».
Pasó el
tiempo. Los que seguían en espera de verlo caer, creyeron volverse locos al
saber que Juan Francisco Güemes de Horcasitas era nombrado virrey de México.
De mi padre lo aprendí
Su hijo
mayor, Juan Vicente Güemes Pacheco, segundo conde de Revillagigedo, nacido en
La Habana en 1738, fue también virrey de México, el virrey número 52 que
gobernó ese país durante cinco años. A escasos ocho días de haber asumido su
mandato condenó a muerte a los asesinos de un acaudalado mercader. Su proceder
le ganó fama de justo.
Modificó
la administración pública y transformó intendencias y tribunales, lo que
permitió un manejo más eficiente de los recursos de la Colonia. Fundó varias
escuelas, entre estas el Real Colegio de Minería. En su tiempo la ciudad de
México se remozó y se levantaron nuevos edificios. El Ayuntamiento de la ciudad
le formó un juicio de residencia, pero sus acusadores fueron obligados a pagar
los gastos del proceso al demostrarse la inocencia del virrey. Murió en Madrid
en 1799.
Ciro
Bianchi Ross
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