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lunedì 22 febbraio 2016
Salute e cin cin, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 21/2/16
Lo scriba ha ricevuto
diversi messaggi in relazione alla pagina del 7 febbraio (Bar avaneri). Bruno
Emilio Rea e Gabriel M. Valdés si riferiscono al mojito, uno dei dieci classici
tra i cocktail cubani, mentre Aníbal García e Modesto Reyes Canto ricordano
dettagli interessanti circa alcuni dei bar citati nella cronaca citata,
specialmente Dos hermanos e Sloppy Joe’s. Su quest’ultimo esercizio si estende
un’altro lettore: Carlos Villanueva. Roberto Garaycoa e César O. Gómez López
scrivono per dare la ricetta del cocktail Pepín Rivero che io non sono riuscito
a trovare e che, mi dicono, appare nel libro Cocteles cubanos; 1.100 recetas en el tiempo, di José Alfonso
castro, pubblicato con il marchio della Editorial Oriente. Un altro lettore,
Manuel Rodríguez González, offre dettagli interessantissimi sul ferry tra Key
West e l’Avana. Andiamo per parti.
Fernando G. Campoamor,
storico del rum e autore di quel libro delizioso che è El hijo alegre de la caña de azúcar, diceva che il mojito era una
derivazione del draque o drake, un “composto” che fino ben addentro al XIX
secolo, fu molto richiesto nelle Antille. Campoamor aggiungeva che lo inventò
un corsaro con questo nome, Francis Drake, e si elaborava con grappa. Aveva
proprietà curative. Almeno, Ramón de Palma, scrisse nel suo romanzo El cólera en La Habana (1838): “io mi bevo tutti i giorni alle undici un ‘draquecito’ e mi va perfettamente”. Per
preparare il mojito si versa in un bicchiere succo di limone e un cucchiaino di
zucchero. Si aggiunge mentuccia, si macera il gambo, non le foglie, in modo che
il suo succo si mescoli bene col limone e lo zucchero. Si aggiungono due dita
di rum bianco, si mescola il tutto e si mettono nel bicchiere due o tre cubetti
di ghiaccio, si completa con acqua minerale e si adorna con un rametto di
mentuccia. Verso il 1910 all’Avana, si comincia a parlare del mojito frullato.
Più tardi, quando si inaugurano i bagni La Concha, sulla spiaggia di Marianao,
il mojito si converte nel cocktail insegna dell’installazione. Hanno detto a
chi scrive questo che nel bar c’erano due banconi. Uno di essi era esclusivo
per il mojito, l’altro per tutto il resto. Da La Concha, il mojito salta
all’hotel Florida, in Obispo e Cuba, dove se ne occupa un barman conosciuto
come Maragato. Da lì, passa alla Bodeguita del Medio.
Precisamente al mojito de La
Concha, si riferisce il lettore Bruno Emilio nel suo messaggio. Segnala che lì
c’era un barman chiamato Rogelio che li elaborava in “modo esemplare” e
aggiunge che i soci di altri club si recavano a La Concha per assaporarli.
Arrivavano da club così esclusivi come
l’Havana, il Miramar Yacht Club eEl Casino Español, a passare un buon
momento dvanti a un mojito in uno stabilimento balneare prevalentemente
popolare, al quale si accedeva solo con pagare il biglietto d’ingresso. Anche
nel Club Náutico, racconta Gabriel M. Valdés, si preparavano ugualmente
eccellenti mojitos e non era raro che un gruppo di amici si giocasse ai dadi il
pagamento di un giro. Salute e cin cin!
Carlos Villanueva dichiara
che tanto il Dos Hermanos, nell’Avenida del Puerto come lo Sloppy, disponevano
di camere perché le prostitute che “facevano la vita” in questi esercizi si
incontrassero coi loro clienti. Aggiunge che quando si restaurò il bar, dopo
essere rimasto chiuso per quasi cinque decadi, si commentò che nel suo
sotterraneo funzionava una sala da gioco alla quale, per le ingenti somme delle
scommesse, avevano accesso solo gli eletti. Ricorda di aver visto non pochi
segni di proiettili incrostati nelle pareti. Non c’era chi testimoniasse se ci
fossero stati, in quella sala, uno e vari scontri a fuoco. Poi si seppe,
continua dicendo Villanueva che agli inizi della Rivoluzione, il luogo fu sede
del comando di un battaglione delle Milizie e c’è da pensare che alcuni dei
suoi componenti aggiustasse la sua mira con obbiettivi posti in quelle pareti.
Il mio corrispondente che ha
in suo avere uno studio sui parcheggi dimenticati dell’Avana, dice che lo
Sloppy aveva il suo, sotterraneo, nel luogo dove nella decade del 1990 si
trovava la falegnameria e l’officina di manutenzione dell’hotel Plaza e oggi
sono i sotterraneidell’ampliamento dell’hotel Parque Central.
Arriva
la ricetta
Constantino Ribalaigua, il
re dei barman cubani nonostante fosse catalano, aveva il cocktail Pepín Rivero
come una delle sue creazioni migliori, assieme al Daiquirí e il Presidente,
come si è già commentato da un paio di settimane. Rivero diresse El Diario de
la Marina dalla morte di suo padre, nel 1919, fino alla suo prematuro decesso,
il 1° aprile del 1944. Fu molto letta la colonna che pubblicò per anni col titolo
di Impresiones.
La ricetta del cocktail che
porta il suo nome è questa: Si metta del ghiaccio in una coppa di vetro e vi si
versi 1,5 once di London Dry Gin, un’oncia di crema di cacao bianco Kuyper e un’oncia di latte. Agitare
gli ingredienti e versarli in un bicchiere freddo. Decorarlo con cerchio di
cioccolato in polvere.
Traghetti
Il lettore Manuel Rodríguez
González chiarisce nel suo messaggio che ha pubblicato diversi articoli sui
traghetti ferroviari e di passeggeri e vuole, col suo messaggio allo scriba,,
offrire alcune precisazioni sul tema. Segnala:
“Henry Flagler costruì la
linea ferroviaria Florida-Key West (1905-1912), come parte del suo progetto di
fare di quest’ultimo punto una gran base per la sua vicinanza con Cuba e col
Canale di Panama, allora in costruzione. Key West era il porto di acque
profonde più meridionale degli Stati Uniti. Il proposito iniziale era di
trasportare, a bordo di traghetti, treni carichi di merci con destinazione
l’Avana.
Il servizio cominciò nel
gennaio del 1915 e si costruirono tre traghetti; l’SS Henry M. Flagler, l’SS
Estrada Palma e l’SS Joseph R. Parrot. Ognuno di essi poteva trasportare 26
vagoni. La traversata tra Key West e l’Avana sarebbe durata sei ore.”
Rodríguez González ricorda
che quella fu tutta una novità; qualcosa di inedito nel trasporto
internazionale. Lo classifica come il precedente più immediato dell’attuale
trasporto con container. I vagoni facevano la funzione di contenitori, solo che
avevano le ruote e abbattevano i costi di trasporto e maniploazione dei
carichi. Così se un treno merci partiva, diciamo da Chicago, mnontava sul
traghetto a Key West, arrivava all’Avana e poteva continuare il viaggio fino a
Santiago de Cuba o qualsiasi altro punto della geografia cubana, senza che il
suo carico subisse alcuna manipolazione. Rodríguez González puntualizza nella
sua e-mail: “Il trfaghetto si caricava in mezz’ora, mentre una nave normale ci
impiegava da da tre a sei giorni a caricare lo stesso volume di merci. Da lì il
vantaggio commerciale del sistema che ebbe totale accettazione degli
imprenditori, comercianti e consegnatari”.
Aggiunge:
“Il treno Havana Special fu
un’idea di Flagler, parallela ai treghetti ferroviari, ma cominciò prima, nel
1912. Il treno ci metteva 38 ore sulla rotta New York-Key West e lì, i
passeggeri erano trasferiti a trasbordatori che attraversavano lo stretto della
Florida, com l’SS Governor Cobb, l’SS Cuba e l’SS Miami. Secondo quello che ho
investigato per anni, fin ora, non ci sono evidenze che i passeggeri attraversassero
il mare a bordo dei vagoni, i traghetti erano disegnati solo per i vagoni
merci”.
Il terminal di quei
traghetti trasbordadori, dice il mio
corrispondente, era l’imboccatura dell’Arsenale, adiacente ai moli che erano allora della Pan
American – attuale La Coubre – e Ward Line – attuale Aracelio iglesias-. Da un
lato del molo c’era l’imboccatura del traghetto. Si possono vedere ancora i
resti della strada ferrata che attraversavano il corso verso la Stazione dei
Treni, dove in uno spiazzo, si concentravano i vagoni che arrivavano dagli
Stati Uniti e quelli che partivano. Dall’altra parte c’erano i citati
trasbordadori dell’Havana Special. Questo molo fu l’attracco dell’SS Florida,
l’unico che rimase in servizio fino alla messa in atto dell’embargo.
“Il viadotto ferroviario, in
effetti, fu seriamente danneggiato dal ciclone del 1935. La base dei traghetti
ferroviari si trasladò a Palm Beach e la durata del viaggio verso l’Avana era
allora di 18 ore. Si costruirono due nuovi traghetti: il New Grand Haven, nel
1951 e il City of New Orleans, nel 1959. Trasportavano 56 vagoni ciascuno.
Vale la pena di menzionare
che il traghetto City of Havana che da Key West trasportava passeggeri nelle
loro automobili, continuò a usare il viadotto di Flagler ricostruito come
autostrada nel 1938, l’attuale Overseas Highway. Questo traghetto di
passeggeri, in servizio tra il 1956 e il 1960, era il più grande dell’area;
gtrasportava 500 passeggeri e 125 automobili. Atraccava all’imbocco di
Hacendados, nella rada di Atarés e risultò essere un successo commerciale come
i traghetti ferroviari”, termina il suo messaggio Manuel Rodríguez González e
lo scriba passa ad altro tema.
Cosa
è successo di mio nonno?
Il lettore Ramón de Armas
riferisce, nel suo messaggio che suo nonno, spagnolo giunto a Cuba attorno al
1881 con circa 18 anni d’età, non appare in nessun registro “anche se lavorò,
creò una famiglia, si pensionò e ricevette la pensione che alla sua morte,
godette mia nonna fino alla sua morte”.
Immagino che il registro a
cui si riferisce il lettore sia quello degli stranieri. Chiede: “Cosa è
successo con gli spagnoli residenti a Cuba dopo l’intervento nordamericano e
successivamente alla costituzione della Repubblica? Furono obbligati a
registrarsi come stranieri o gli venne concessa automaticamente la cittadinanza
cubana? Se non si sono registrati quale fu, allora, il loro status?”.
La risposta che chi scrive
può offrire adesso all’interessato, chissà non sia la più completa. Sul tema,
lo scriba ha più dati di quelli che espone qua, ma si rifiutano di apparire in
un archivio che diventa più caotico ogni giorno.
Secondo il censimento che il
Governo di occupazione nordamericano fece sull’Isola nel 1899, risiedevano a
Cuba 129.236 spagnoli di nascita. Una quantità significativa, se si tiene conto
che il Paese aveva una popolazione totale di 1.527.797 abitanti.
Nel 1902, una legge
della recente proclamata Repubblica,
dispose che tutti gli stranieri che lo sollecitassero si sarebbero considerati
come cubani di nascita.Immagino che il nonno di de Armas si sia avvalso dei
benefici di questa legge.
¡Salud
y chinchín!
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
20 de
Febrero del 2016 21:35:22 CDT
Varios
mensajes recibió el escribidor con relación a la página del 7 de febrero (Bares
habaneros). Bruno Emilio Rea y Gabriel M. Valdés aluden al mojito, uno de los
diez clásicos de la coctelería cubana, mientras que Aníbal García y Modesto
Reyes Canto recuerdan detalles de interés acerca de algunos de los bares
citados en la crónica mencionada, en especial Dos Hermanos y Sloppy Joe’s.
Sobre este último establecimiento se extiende otro lector: Carlos Villanueva.
Roberto Garaycoa y César O. Gómez López escriben para dar la receta del coctel
Pepín Rivero, que yo no pude localizar y que, me dicen, aparece en el libro Cocteles cubanos; 1 100 recetas en el
tiempo, de José Alfonso Castro, publicado con el sello de la Editorial
Oriente. Otro lector, Manuel Rodríguez González, ofrece detalles
interesantísimos sobre los ferry entre Cayo Hueso y La Habana. Vayamos por
parte.
Decía
Fernando G. Campoamor, historiador del ron y autor de ese libro delicioso que
es El hijo alegre de la caña de azúcar,
que el mojito era una derivación del draque o drake, un «compuesto» que hasta
bien entrado el siglo XIX fue muy demandado en Las Antillas. Añadía Campoamor
que lo inventó el corsario de ese nombre, Francis Drake, y se elaboraba con
aguardiente. Tenía propiedades curativas. Al menos Ramón de Palma escribió en
su novela El cólera en La Habana (1838):
«Yo me
tomo todos los días a las once un draquecito y me va perfectamente». Para
preparar el mojito se vierte en un vaso zumo de limón y una cucharadita de
azúcar. Se añade yerba buena y se macera el tallo, no las hojas, a fin de que
su jugo se mezcle bien con el limón y el azúcar. Se adiciona línea y media de
ron blanco, se revuelve la mezcla y se ponen dos o tres cubitos de hielo en el
vaso, que se completa con agua mineral y se adorna con una ramita de
yerbabuena.
Sobre 1910
empieza a hablarse en La Habana del mojito batido. Más tarde, cuando se
inaugura el balneario de La Concha, en la playa de Marianao, el mojito se
convierte en el coctel insignia de la instalación. Han dicho a quien esto
escribe que en el bar había dos mostradores. Uno de ellos, en exclusiva, para
el mojito, y el otro para todo lo demás. De La Concha, el mojito salta al bar
del hotel Florida, en Obispo y Cuba, donde lo asume un barman conocido como
Maragato. De allí pasa a La Bodeguita del Medio.
Precisamente
al mojito de La Concha se refiere el lector Bruno Emilio en su mensaje. Apunta
que había allí un barman llamado Rogelio, que los elaboraba «de manera
ejemplar», y precisa que socios de otros clubes acudían a La Concha a
deleitarse con ellos. Llegaban desde clubes tan exclusivos como el Havana y el
Miramar Yacht Club y el Casino Español, a pasar un buen rato en torno a un
mojito en un balneario eminentemente popular, al que se accedía solo con abonar
el importe del tique de entrada. En el Club Náutico, cuenta Gabriel M.
Valdés, se
preparaban asimismo excelentes mojitos y no era raro que un grupo de amigos se
jugara al cubilete el pago de la ronda. ¡Salud y chinchín!
Carlos
Villanueva expresa que tanto Dos Hermanos, en la Avenida del Puerto, como el
Sloppy disponían de habitaciones para que las prostitutas que «hacían la vida»
en esas instalaciones se encontraran con los clientes. Añade que cuando se
restauró el bar, luego de permanecer cerrado durante casi cinco décadas, se
comentó que en su sótano funcionaba una sala de juegos a la que por el alto
monto de las apuestas solo los escogidos tenían acceso. Recuerda haber visto
allí no pocos plomos de balas incrustados en las paredes. No había quien
atestiguara si ocurrieron en esa sala uno o varios encuentros a tiros.
Después se
supo, sigue diciendo Villanueva, que en los inicios de la Revolución el lugar
fue sede de la jefatura de un batallón de Milicias y es de pensar que algunos
de sus componentes afinaran la puntería con objetivos colocados en aquellas
paredes.
Mi
corresponsal, que tiene en su haber un estudio sobre los parqueos olvidados de
La Habana, dice que el Sloppy tenía el suyo, subterráneo, en el sitio donde en
la década de 1990 se encontraba la carpintería y el departamento de
mantenimiento del hotel Plaza, y hoy son los sótanos de la ampliación del hotel
Parque Central.
Va la receta
Constantino
Ribalaigua, el rey de los cantineros cubanos, aunque era catalán, tenía el
coctel Pepín Rivero como una de sus mejores creaciones, junto al Daiquirí y el
Presidente, como ya se comentó hace un par de semanas. Rivero dirigió el Diario
de la Marina desde la muerte de su padre, en 1919, hasta su prematuro
fallecimiento, el 1ro.
de abril
de 1944. Muy leída fue la columna que durante años publicó bajo el título de
Impresiones.
La receta
del coctel que lleva su nombre es esta: Póngase hielo en una copa de vidrio y
viértase en ella 1,5 onzas de London Dry Gin, una onza de Kuyper Crema de cacao
blanco y una onza de leche. Agite los ingredientes y cuélelos en un vaso frío.
Decórelo con una llanta de chocolate espolvoreado.
Ferrys
El lector
Manuel Rodríguez González aclara en su mensaje que ha publicado varios
artículos sobre los ferry ferroviario y de pasajeros, y quiere, con su mensaje
al escribidor, ofrecer algunas precisiones sobre el tema. Señala:
«Henry
Flagler construyó la línea ferroviaria Florida-Cayo Hueso
(1905-1912)
como parte de su proyecto de hacer de ese último punto una gran base comercial
por su cercanía con Cuba y el Canal de Panamá, en construcción entonces. Cayo
Hueso era el puerto de aguas profundas más meridional de Estados Unidos. El
propósito inicial era el de transportar, a bordo del ferry, trenes cargados de
mercancías con destino a La Habana.
«El
servicio comenzó en enero de 1915 y se construyeron tres ferry: el SS Henry M.
Flagler, el SS Estrada Palma y el SS Joseph R. Parrot.
Cada uno
de ellos podía transportar 26 vagones. La travesía entre Cayo Hueso y La Habana
demoraría seis horas».
Recuerda
Rodríguez González que aquello fue toda una novedad; algo inédito en la
transportación internacional. Lo cataloga como el precedente más inmediato de
la actual transportación containerizada.
Los
vagones hacían la función de los contenedores, solo que poseían ruedas, y
abarataban los costos de transporte y manipulación de los cargamentos. Así, un
tren de mercancías salía, digamos, de Chicago, abordaba el ferry en Cayo Hueso,
llegaba a La Habana y podía continuar viaje a Santiago de Cuba o a cualquier
otro punto de la geografía cubana sin que su carga sufriera manipulación de
ningún tipo.
Puntualiza
Rodríguez González en su email: «El ferry se cargaba en media hora, mientras
que un barco corriente demoraba entre tres y seis días en cargar el mismo volumen
de mercancías. De ahí la ventaja comercial del sistema, que tuvo total
aceptación por parte de empresarios, comerciantes y consignatarios».
Añade:
«El tren
Havana Special fue una idea de Flagler paralela a los ferry ferroviarios, pero
comenzó antes, en 1912. El tren demoraba 38 horas en la ruta Nueva York-Cayo
Hueso y allí los pasajeros eran transferidos a trasbordadores que cruzaban el
estrecho de la Florida, como el SS Governor Cobb, el SS Cuba y el SS Miami.
Según lo que he investigado durante años hasta ahora, no hay evidencias de que
los viajeros cruzaran el mar a bordo de los vagones, pues los ferry estaban
diseñados solo para vagones de mercancías».
La
terminal de aquellos ferry trasbordadores, dice mi corresponsal, era el emboque
del Arsenal, adyacente a los muelles que eran entonces de la Pan American
—actual La Coubre— y Ward Line —actual Aracelio Iglesias—. A un lado del
espigón estaba el emboque del ferry. Aún pueden verse los restos de las líneas
férreas que atravesaban la calzada hacia la Terminal de Trenes donde, en un
patio, se concentraban los vagones que llegaban de Estados Unidos y los que
partían. Del otro lado estaban los referidos trasbordadores del Havana Special.
Ese muelle fue el atracadero del SS Florida, el único que quedó en servicio
hasta la implantación del bloqueo.
«El
viaducto ferroviario, en efecto, fue seriamente dañado por el ciclón de 1935.
La base de los ferry ferroviarios se trasladó a Palm Beach y la duración del
viaje hasta La Habana era entonces de 18 horas. Se construyeron dos nuevos
ferry: el New Grand Haven, en 1951, y el City of New Orleáns, en 1959.
Transportaban 56 vagones cada uno.
«Cabe
mencionar que el ferry City of Havana, que desde Cayo Hueso transportaba
viajeros en sus automóviles, siguió usando el antiguo viaducto de Flagler
reconstruido como autopista en 1938, la actual Overseas Highway. Ese ferry de
pasajeros, en servicio entre 1956 y 1960, era el mayor de toda el área pues
transportaba 500 pasajeros y
125
automóviles. Atracaba en el emboque de Hacendados en la ensenada de Atarés y
resultó un éxito comercial al igual que los ferry ferroviarios», finaliza su
mensaje Manuel Rodríguez González, y el escribidor pasa a otro tema.
¿Qué pasó con mi abuelo?
El lector
Ramón de Armas refiere en su mensaje que su abuelo, español llegado a Cuba
alrededor de 1881 con unos 18 años de edad, no aparece en ningún registro «aun
cuando trabajó, creó una familia, se jubiló y recibió pensión que, a su muerte,
disfrutó mi abuela hasta su fallecimiento».
Imagino
que el registro al que se refiere el lector sea el de extranjeros. Inquiere:
«¿Qué sucedió con los españoles residentes en Cuba luego de la intervención
norteamericana y posteriormente al constituirse la República? ¿Les fue
obligatorio registrarse como extranjeros o les fue otorgada automáticamente la
ciudadanía cubana?
¿Si no se
registraron, cuál fue entonces su estatus?».
La
respuesta que el que esto escribe puede ofrecer ahora al interesado, quizá no
sea la más completa. Sobre el tema, el escribidor tiene más datos de los que
ofrece aquí, pero se niegan a aparecer en un archivo que se caotiza por día.
Según el
censo que el Gobierno de ocupación norteamericano acometió en la Isla en 1899,
residían en Cuba 129 236 españoles de nacimiento. Una cantidad significativa si
se toma en cuenta que el país tenía una población total de 1 572 797
habitantes.
En 1902,
una ley de la recién proclamada República dispuso que todos los extranjeros que
lo solicitaran se considerarían como cubanos de nacimiento. Imagino que el
abuelo de De Armas se habrá acogido a los beneficios de esa ley.
Ciro Bianchi Ross
sabato 20 febbraio 2016
Obama: "Nuovo capitolo nelle relazioni bilaterali"
Fonte: El Nuevo herald:
CUBA
FEBRERO 20, 2016 8:50 AM
Obama: Visita a Cuba abre “nuevo capítulo” en relaciones bilaterales
Dijo que es la mejor manera de “promover los intereses y valores estadounidenses”
Agence France Presse
WASHINGTON
El presidente Barack Obama
dijo el sábado que su visita a la isla comunista de Cuba en marzo “abre un
nuevo capítulo” en las relaciones bilaterales y es la mejor manera de “promover
los intereses y valores estadounidenses” y ayudar al pueblo cubano.
“Buenos Días, a todo el
mundo. Esta semana, lo hemos anunciado oficialmente, voy a Cuba”, declaró el
presidente estadounidense en su alocución radial semanal.
La visita prevista para el
21 y el 22 de febrero reviste carácter histórico, pues el último presidente de
Estados Unidos en visitar Cuba durante su mandato fue Calvin Coolidge, en 1928.
El viaje apunta a “comenzar
un nuevo capítulo en nuestro relacionamiento con el pueblo de Cuba”, dijo
Obama.
“Creo que la mejor manera de
promover los intereses y valores estadounidenses, y la mejor manera de ayudar
al pueblo cubano a mejorar su vida, es a través del compromiso, mediante la
normalización de las relaciones entre nuestros gobiernos y el aumento de los
contactos entre nuestros pueblos”, consideró el mandatario.
De todas formas, Obama
destacó que “el cambio no vendrá a Cuba del día a la noche”, ya que si la isla
“se abre más, significarán más oportunidades y recursos para los cubanos de a
pie”.
Desde que llegó a la
presidencia, Obama ha argumentado que el compromiso haría más por cambiar a
Cuba que medio siglo de embargos y aislamiento impuesto por anteriores
gobiernos.
En diciembre de 2014, Obama anunció que había
participado con el gobernante Raúl Castro de conversaciones secretas para un
acercamiento. Las relaciones diplomáticas se restablecieron formalmente en julio de 2015.
giovedì 18 febbraio 2016
Confermato il viaggio di Obama a Cuba
Sciolto ogni riserbo, poco fa l'annuncio ufficiale che il Presidente degli Stati Uniti d'America, Barak Obama, visiterà Cuba il 21 e 22 de prossimo mese di marzo.
Miracolo all'Avana
Dopo giorni e giorni che il tentativo di pubblicare foto si interrompeva con l'avviso di "TIME OUT", oggi sono riuscito a pubblicarne due relative alla presentazione di libri alla Fiera.
Ci ho messo un po', ma parafrasando il senatur Umberto, chi l'ha duro la vince...
Obama dovrebbe visitare Cuba il prossimo mese
Fonte El Nuevo Herald
CUBA
FEBRERO
17, 2016 8:44 PM
Reporte: Obama viajaría a
Cuba el próximo mes
El anuncio oficial se haría el jueves por la mañana
La última vez que un presidente estadounidense viajó a
la isla fue en 1928
Obama ya había
expresado su deseo de visitar Cuba bajo las condiciones necesarias
NORA GÁMEZ TORRES Y SERGIO
N. CÁNDIDO
El presidente Barack Obama viajaría a Cuba en marzo,
según anunció este miércoles en la noche el canal de televisión nacionalABC a través de las redes sociales.
Hasta el momento no ha habido confirmación de esta
información por parte de la Casa Blanca, aunque una fuente del Departamento de
Estado le dijo a el Nuevo Herald en condición de anonimato que el anuncio será
hecho este jueves por la mañana.
De ser así, sería la primera vez que un presidente
estadounidense en funciones visita la isla en más de 80 años. La última vez lo
hizo el presidente Calvin Coolidge en 1928. El ex presidente Jimmy Carter viajó
a Cuba en marzo del 2011.
Fuentes dijeron al Nuevo Herald que la Casa Blanca
está valorando una visita de un día a mediados de marzo (entre el 12 y el 15 de
ese mes) pero los detalles no están finalizados aún.
En marzo, se espera también en la isla a los Rollings
Stones y al equipo de béisbol de las grandes ligas Tampa Bay Rays, que jugará
contra la selección nacional cubana.
La visita a Cuba sería la culminación del proceso de
acercamiento que sorprendió al mundo cuando Obama anunció el canje de espías y
la intención de restaurar las relaciones diplomáticas con Cuba el 17 de
diciembre de 2014.
El Nuevo Herald reportó en julio sobre una reunión en la Casa Blanca en la que se
supo que la Administración evaluaría a principios del 2016 la posibilidad de un
viaje del Presidente a Cuba.
En entrevista con Yahoo para marcar el aniversario del
anuncio del 17 de diciembre del 2014, Obama aseguró que estaba “muy interesado
en ir a Cuba” pero “las condiciones tendrían que ser las correctas. Le he dicho
al gobierno cubano que, si podemos decir que ha habido progresos en las
libertades de los cubanos, me gustaría que mi visita sirva para destacar esos
avances”, añadió.
Asimismo dijo que había comunicado al gobierno cubano
su deseo de poder reunirse y “hablar con todo el mundo” y que si no podían
verificarse progresos no habría “mucha razón para que yo vaya,porque no me interesa validar
el status quo”.
El anuncio del viaje de Obama ocurría a solo días de
que el gobierno cubano finalmente devolviera un misil Hellfire que llegó a la
isla por equivocación desde el 2014 y mientras se encuentre todavía en la
capital estadounidense una amplia delegación comercial encabezada por el
ministro de Comercio e Inversión Extranjera de Cuba Rodrigo Malmierca. Este
miércoles, Malmierca almorzó con la Secretaria de Comercio Penny Pritzker en la
Casa Blanca y el jueves será recibido en la tarde por el Secretario de Estado
John Kerry en Washington D.C.
mercoledì 17 febbraio 2016
Fiera a gonfie vele
Come, ormai da 25 anni l'accettazione del pubblico è grande e colma ogni giorno il grande spazio della fortezza de La Cabaña col suo scenario suggestivo e la splendida vista sulla città e la baia.
Ieri (martedì 16), nella sala Lezama Lima, già cappella militare della guarnigione spagnola, della Fiera Internazionale del Libro è stato presentato ”Palabra de escribidor” di Ciro Bianchi Ross.
Ieri (martedì 16), nella sala Lezama Lima, già cappella militare della guarnigione spagnola, della Fiera Internazionale del Libro è stato presentato ”Palabra de escribidor” di Ciro Bianchi Ross.
Oggi invece viene presentato “História y pasión del
Automóvil en Cuba” di Marcelo Gorajuria Marichal.
Entrambi i testi erano già presenti sul mercato, ma con questa presentazione hanno avuto il battesimo ufficiale davanti al grande pubblico.
martedì 16 febbraio 2016
Voli commerciali, da ottobre?
Dalle voci che indicavano marzo come possibile inizio delle operazioni, adesso sembra che più realisticamente si vada a ottobre. Rimangono, per il momento, i dubbi già espressi in post precedenti...
Fonte: TTG
Accordo Cuba-Usa
sui voli commerciali, si apre la battaglia dei vettori
Inizia la lotta dei vettori statunitensi per la
conquista di rotte e slot aeroportuali sull’isola dei Castro. È infatti
prevista per oggi, all’Avana, la firma dell’accordo tra Stati Uniti e Cuba per
l’istituzione di voli commerciali tra i due Paesi a partire dal prossimo
autunno.
Da oggi, dunque, i vettori americani
avranno 15 giorni di tempo per presentare al Dipartimento dei Trasporti le
domande per le rotte tra Usa e Cuba. L’accordo, che sarà firmato nella capitale
cubana dal Segretario ai Trasporti Anthony Foxx, volato a Cuba insieme allo
staff del Dipartimento di Stato, potrebbe dare il via a una rete di
collegamenti il cui potenziale è stato calcolato in 110 voli giornalieri di
andata e ritorno, con venti voli giornalieri dall’Avana e altri dieci da
ciascuno dei nove aeroporti dell’isola.
Il Dipartimento dei Trasporti potrebbe procedere all’aggiudicazione delle tratte e degli slot a partire da questa estate e i voli potrebbero iniziare a ottobre.
Il Dipartimento dei Trasporti potrebbe procedere all’aggiudicazione delle tratte e degli slot a partire da questa estate e i voli potrebbero iniziare a ottobre.
Italia e presenze a Cuba
Un comunicato del Ministero del Turismo informa, senza peraltro dare cifre in dettaglio, che nel mese di dicembre 2015 sono entrati a Cuba oltre 300.000 turisti con la conferma al primo posto del tradizionale "mercato" canadese.
Al secondo posto figura l'Italia, davanti a Germania, Gran Bretagna e via via gli altri...ma non c'è la crisi? Naturalmente sono contento che ci siano connazionali (mica pochi) che possano permettersi di fare vacanze invernali a lungo raggio.
Al secondo posto figura l'Italia, davanti a Germania, Gran Bretagna e via via gli altri...ma non c'è la crisi? Naturalmente sono contento che ci siano connazionali (mica pochi) che possano permettersi di fare vacanze invernali a lungo raggio.
lunedì 15 febbraio 2016
Vite parallele, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 14/2/16
Nella pagina che ho
dedicato, la settimana scorsa (7 febbraio) ai bar dell’Avana, mi é mancato il
tempo, vale a dire spazio, per menzionare Fabio Delgado Fuentes, uno dei grandi
della cantina cubana, creatore di oltre 30 cocktails, alcuni di essi tanto
famosi e vigenti come il Cuba Bella che si prepara con granatina, succo di
limone, rum bianco, menta e rum invecchiato.
Fabio (o Favio che lo scriba
ha visto scritto nei due modi), cominciò nel 1934 nel giro della gastronomia e
tre anni più tardi riuscì ad essere ammesso al già scomparso Club de Cantineros
– attuale Asociación de Cantineros de Cuba -. Nel 1939 un corso, auspiciato da
detta entità, nello svelargli molti dei segreti dei bar, lo preparò nel modo
adeguato. Non per questo trovò un lavoro fisso. Era l’epoca in cui molti
gastronomici lavoravano, generalmente nella cosiddetta alta stagione, solo per la mancia o come
sostituti, nei bar, ristoranti e cabaret. Fabio Lavorò in alcuni dei bar più
esclusivi come quello del Country Club, Vedado Tenis, Havana, Miramar e
Biltmore Yacht Club, i cosiddetti Cinque Grandi dell’alta società avanera, fino
a che nel 1945 conseguì un posto fisso allo Sloppy Joe’s. Rimase lì fino al
1956 poi passò, sempre come barman, al ristorante Normandie, casa di cucina
francese con specialità regionali, ubicato al km. 19 della strada per Pinar del
Río, a sei kilometri dell’Havana Yacht Club lungo l’Autopista del Mediodía e a
quattro dal cabaret Sans Soucí in Arroyo Arenas.
Nel Normandie gli toccò
servire non poche celebrità, come Errol Flynn, Tyrone Power, César Romero e Joe
Luis, fra gli altri, diceva e con un sorriso furbesco aggiungeva che allo
Sloppy non vide mai Ernest Hemingway.
Tempo dopo, Fabio Delgado
comprò il bar Actualidades in Monserrate 264, un esercizio che attualmente i
cantinieri vorrebbero come sede per la loro associazione. Vinse la Rivoluzione
e il bar Actualidades divenne di proprietà statale, Fabio Delgado amministrò alberghi, fu
consigliere di centri ricreativi e sopratutto si disimpegnò come professore
della Scuola Nazionale Alberghiera installata, dapprima, nel cabaret Tropicana
e poi nell’hotel Sevilla, quando il ristorante di Alta Cucina faceva parte di
questa installazione turistica. Fabio
che morì a oltre 80 anni d’età, privilegiò sempre il suo passaggio dallo
Sloppy Joe’s. Nella carta del famoso bar avanero continuano ad essere segnalati
alcuni dei suoi cocktails come il Martini Special, Cubanacán e Sol y Sombra.
Che
coppia!
Nel Normandie, Fabio Delgado
coincise con Gilberto Smith. Al cosiddetto Mago delle Salse non andava per
niente male al Carmelo di Calzada e D, nel Vedado, dov’era giunto proveniente
da Los Tres Ases, il ristorante di Prado 356, dove adesso ha sede il Centro
Andaluso. Ma ricevette l’offerta irresistibile che gli fece il signor François
Toussé, proprietario del Normandie: se andava a lavorare con lui sarebbe stato
una specie di chéf-padrone, con una percentuale degli utili dati dalla cucina.
Inoltre la casa metteva a sua disposizione un’automobile con autista.
A Smith spiaceva abbandonare
il Carmelo, il miglior grill-room dell’Avana nella decade dei ’50 dove, su
griglie al carbone, si preparavano quotidianamente 20 linee di carne arrosto,
senza contare i piccioni, le pernici, i fagiani, i cinghiali, le lepri, i
polli, come specialità. Tutto ciò che c’era nel mondo della cucina si trovava a
El Carmelo, una casa con 150 dipendenti, dove si vendevano 25 prosciutti al
giorno.
A El Carmelo
guadagnava bene e i suoi padroni lo consideravano molto. E fu sopratutto lì,
dove si era convertito nel cuoco che già era. In ciò lo aveva aiutato molto
Juan Cañella, un catalano brontolone che era un artista nella composizione dei
piatti, un genio nelle gelatine e un maestro pasticcere senza pari. La
posizione di Cañella era un po’ ambigua in quella casa dove batteva il polso della
città. Non era lo chéf, non cucinava, né confezionava le torte, né le salse, ma
si immischiava ovunque, consigliava, orientava, ordinava! Álvarez e Méndez, i
padroni de El Carmelo, lo tenevano con mansioni di specialista e siccome non si
parlavano fra di loro, lo usavano come mediatore.
Anche se c’era di
tutto, il Normandie aveva una clientela selezionata. Era il posto alla moda.
Tutte le grandi personalità che passarono da Cuba nella seconda metà della
decade dei ’50, mangiarono al Normandie. Si concepì come ristorante di cucina
francese, ma dato che il cliente paga e perciò comanda,si cucinava anche
secondo il gusto dei commensali. Smith conoscendo molti di loro, lo seguivano
dai suoi tempi nel Tres Ases, cercava di soddisfarli tutti.
Un giorno arrivò il
dottor Alberto Inclán, figlio dell’eminente ortopedico dallo stesso nome e ortopedico
anche lui, nipote del dottor Clemente Inclán, pediatra, rettore dell’Universitá
avanera, il cosiddetto Magnifico Rettore; i tre con studio privato nella calle
21 al numero 454 nel Vedado. Inclan figlio, era l’eterno rivale del dottor
Julio Martínez Páez, entrambi professori ausiliari di Ortopedia all’Università.
Quando il vecchio Inclan morisse o andasse in pensione, solo uno poteva
occupare il suo posto. Quel giorno, 15 persone accompagnavano Inclan... Gli si
consegnò la carta e i 16 si decisero, casi della vita, per la suprema di
fagiano, delle quali ce n’erano solo 15 nel frigorifero.
“Questo si risolve
facilmente”, si disse Smith, cercò quattro o cinque faraone molto tenere e
scelse la migliore.
Nel metterle a
tavola, lo chéf ebbe cura che la suprema di faraona toccasse al dottor Inclán.
A quel punto, i cocktails di Fabio Delgado rallegravano il gruppo. Mangiarono,
bevettero, conversarono. Smith li guardava da lontano e avvertiva la faccia
soddisfatta di tutti. Celebravano qualche avvenimento e i cocktails, la buona
tavola e i buoni vini contribuivano a renderli più contenti.
Quando si disponevano
ad andarsene, Inclán si appartò col cuoco. Gli disse:
-Non credere che non
me ne sia accorto...mi hai dato una suprema di faraona.
- È che c’erano solo
15 supreme di fagiano. Ho messo a lei quella di faraona perché era
l’anfitrione. Non volevo farla restar male davanti ai suoi invitati.
Il dottor Inclàn
sorrise. Stese la sua mano destra e strinse quella di Smith, con forza, per
lasciare dentro di essa un biglietto da cento dollari, accuratamente piegato.
Pettegolezzo di cucina
Lo scriba non ha la
certezza che quello che racconterà adesso sia vero. Non potrà comprovarlo mai.
Per questo omette il nome della dama, un’attrice francese, molto giovane e già famosa,
abbagliante per la sua bellezza provocante da donna indiavolata, sguardo furbo
e labbra che socchiudeva in un modo da far si che si infiammasse il lato oscuro
del cuore a chi la guardava. Una donna come fosse stata creata per Dio che
arrivava a Cuba, per la seconda volta, avvolta in un’ondata nuova di
popolaritá.
Si diceva che
quell’attrice era venuta a Cuba, nelle due occasioni, invitata da uno dei
proprietari del Gran Stadium del Cerro. Toussé volle conquistarla e siccome non
giungeva a lei, le offrì una considerevole somma di denaro. Se la ragazza
accettò o no, non si sa; ma per entrare nelle sue grazie, a Toussé non venne
idea migliore che invitarla al Normandie e quella sera travestirsi da cuoco,
servirla personalmente e farle credere che i piatti che degustava uscivano
dalle sue mani. Per la cronaca, la giovane decise sempre per l’aragosta
cardenal.
Che lo facesse,
passi. Se voleva uscire nel salone col cappello e il grembiule a dire quello
che voleva non sembrava un male. Ne aveva diritto come proprietario del
ristorante. Ma Toussé esagerò, si credette davvero cuoco e si mise a dare
ordini in cucina. Lo chéf Gilberto non poté rimanere zitto. Gli suggerì, con
rispetto, che uscisse da lì o rimanesse zitto. Toussé lo ignorò. Continuò dando
ordini. Smith perse la pazienza.
- Chi è questo
signore? Domandò ai suoi compagni. Il capo della cucina sono io. Continuate nel
vostro lavoro e non fategli caso.
La possibiltà di
avere tra le lenzuola una delle donne più desiderate del mondo gli aveva fatto
perdere la testa. Toussé lo affrontò.
- Qua il padrone sono
io – gridò.
Smith fece quello che
doveva fare. Si tolse cappello e grembiule.
- Cucini lei – gli
disse.
Con lui si
spogliarono di cappello e grembiule tutti i componenti della squadra che si
occupava, quella sera, della cucina.
A questo punto a
Toussé caddero le braccia, gli si corrugavano le orecchie. Smith non diceva per
scherzo; quegli uomini se ne andavano davvero e lo lasciavano nei pasticci.
Divenne piccolo, piccolo. Implorava che non potevano fargli quello. Che lui non
era una persona cattiva. Che aveva capito di aver esagerato. Che si mettessero
al suo posto. Che lei mi scusi signor Smith.
Non ci fu maniera.
Non ci fu accordo. Quella fu l’ultima sera di Gilberto Smith nel Normandie.
Perdeva denaro e posizione. Restava senza lavoro e con una famiglia numerosa
sulle spalle. Poteva sempre tornare a El Carmelo, ma risultava duro farlo in
quel momento. Qualcuno gli parlò de La Roca, un ristorante appena aperto all’angolo
di 21 e M, nel Vedado, nello stesso posto che aveva occupato il ristorante
Colonial e che era carente di personale. Fu a La Roca come semplice cuoco. Lì
creò un piatto che ebbe fra i migliori fino alla fine della sua vita: la
tortilla di frutta al rum. E un’altro, la tortilla con intervento dello chéf.
Smith non restò molto
tempo a La Roca. Un giorno entrò a El Carmelo e come se non si volesse, disse
al gestore che quella era la casa che preferiva. Ebbene, El Carmelo per lei è
aperto, gli rispose il gestore.
Quella stessa sera se
ne andò da La Roca. Tornò a El Carmelo col suo ritmo di lavoro di sempre, ma
questa volta con una responsabilità speciale: servire il gruppo di Meyer
Lansky, il finanziere della mafia che era di nuovo al’Avana al fine di seguire,
tra altre cose, la costruzione dell’hotel Habana Riviera.
Nel frattempo, nel
bar Actualidades, Fabio Delgado, continuava con la sua carriera di successo.
Vidas paralelas
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
13 de Febrero del 2016 20:56:26 CDT
13 de Febrero del 2016 20:56:26 CDT
En la página que la semana pasada (7 de febrero) dediqué a bares de La
Habana, me faltó tiempo, es decir, espacio para aludir a Fabio Delgado Fuentes,
uno de los grandes de la cantina cubana, creador de más de 30 cocteles, algunos
de ellos tan famosos y vigentes como el Cuba Bella, que se elabora con
granadina, zumo de limón, ron blanco, menta y ron añejo.
Fabio (o Favio, que de las dos maneras lo ha visto escrito este escribidor)
se inició en 1934 en el giro de la gastronomía, y tres años más tarde logró ser
admitido en el ya desaparecido Club de Cantineros —actual Asociación de
Cantineros de Cuba—. En 1939, un curso auspiciado por dicha entidad, al
develarle muchos de los secretos del bar, lo preparó de manera adecuada. No por
eso consiguió trabajo fijo. Era la época en la que muchos gastronómicos, en
bares, restaurantes y cabarés, trabajaban solo por la propina, generalmente en
la llamada temporada alta. Solo por la propina o como suplente, Fabio trabajó
en algunos de los bares más exclusivos, como los del Country Club, Vedado
Tenis, y Havana, Miramar y Biltmore Yacht Club, los llamados Cinco Grandes de
la alta sociedad habanera, hasta que en 1945 consiguió una plaza fija en el
Sloppy Joe’s y allí estuvo hasta que en 1956 pasó, siempre como barman, al
restaurante Normandie, casa de cocina francesa, con especialidades regionales,
ubicado en el kilómetro 19 de la carretera a Pinar del Río; a seis kilómetros
del Havana Yacht Club por la Autopista del Mediodía y a cuatro del cabaré Sans
Souci por Arroyo Arenas.
En el Normandie le tocó atender a no pocos famosos, como Errol Flynn,
Tyrone Power, César Romero y Joe Louis, entre otros, decía, y con una sonrisa
pícara añadía que en el Sloppy jamás vio a Ernest Hemingway.
Tiempo después, Fabio Delgado adquiría el bar Actualidades, en Monserrate
264, un establecimiento que los cantineros quieren ahora para sede de su
asociación. Triunfó la Revolución, el bar Actualidades pasó a ser propiedad
estatal, y Fabio Delgado administró hoteles, asesoró centros recreativos y,
sobre todo, se desempeñó como profesor de la Escuela Nacional de Hotelería,
instalada primero en el cabaré Tropicana y luego en el hotel Sevilla cuando el
restaurante de Alta Cocina fue parte de esa instalación turística.
Fabio, que falleció con más de 80 años de edad, privilegió siempre su paso
por Sloppy Joe’s. En la carta de ese famoso bar habanero siguen consignándose
algunos de sus cocteles como Martini Especial, Cubanacán y Sol y Sombra.
¡Qué pareja!
En el Normandie, Fabio Delgado coincidió con Gilberto Smith. Al llamado
Mago de las Salsas no le iba nada mal en El Carmelo, de Calzada y D, en el
Vedado, adonde había llegado procedente de Los Tres Ases, el restaurante de
Prado 356, donde ahora radica el Centro Andaluz. Pero recibió la oferta
irresistible que le hacía el señor François Toussé, propietario del Normandie:
si pasaba a trabajar con él, sería una especie de chef dueño, con un por ciento
de los ingresos por concepto de la cocina. Además, la casa pondría a su disposición
un automóvil con chofer.
Smith sentía abandonar El Carmelo, el mejor grill-room de La Habana de la
década del 50 y donde en parrillas de carbón, se preparaban a diario 20 líneas
de carne asada, sin contar las palomas, las perdices, los faisanes, los
jabalíes, las liebres, los pollos de especialidades. Todo lo que había en el
mundo de la cocina se encontraba en El Carmelo, una casa con 150 empleados,
donde se vendían 25 jamones diarios.
Ganaba bien en El Carmelo y los dueños lo distinguían mucho. Y fue allí,
sobre todo, donde se había convertido en el cocinero que era ya. En eso lo
había ayudado mucho Juan Cañella, un catalán cascarrabias que era un artífice
en el montaje de los platos, un genio en las gelatinas y un maestro dulcero sin
igual. La posición de Cañella era un tanto ambigua en aquella casa donde latía
el pulso de la ciudad. No era el chef ni cocinaba ni confeccionaba los pasteles
ni las salsas, pero se metía en todo, aconsejaba, orientaba, ¡ordenaba! Álvarez
y Méndez, los dueños de El Carmelo, lo tenían en funciones de especialista y,
como no se hablaban entre ellos, lo utilizaban de mediador.
Aunque había de todo, el Normandie tenía una clientela selecta. Era el
lugar de moda. Todas las grandes personalidades que pasaron por Cuba durante la
segunda mitad de la década de los 50, comieron en el Normandie. Se concibió
como un restaurante de cocina francesa, pero debido a que el cliente paga y,
por tanto, manda, se cocinaba también al gusto de los comensales. Smith conocía
a muchos de ellos, pues venían siguiéndolo desde sus tiempos en Los Tres Ases,
trataba de satisfacerlos a todos.
Un día llegó el doctor Alberto Inclán, hijo del eminente ortopédico de
igual nombre y ortopédico él mismo, sobrino del doctor Clemente Inclán,
pediatra, rector de la Universidad habanera, el llamado Rector Magnífico; los
tres con consulta privada en la calle 21 número 454, en el Vedado. Inclán hijo
era el eterno rival del doctor Julio Martínez Páez, ambos profesores auxiliares
de Ortopedia en la Universidad. Cuando el viejo Inclán muriera o se jubilara,
solo uno podía ocupar su puesto. Quince personas acompañaban a Inclán aquel
día... Se les entregó la carta y todos, los 16 se decidieron, cosas de la vida,
por la suprema de faisán, de las que solo había 15 en la nevera.
«Esto se soluciona fácil», se dijo Smith, y buscó cuatro o cinco guineos
muy tiernos y seleccionó el mejor.
Al ponerse el servicio en la mesa, el chef cuidó que la suprema de guineo
tocara al doctor Inclán. A esa altura, los cocteles de Fabio Delgado alegraban
al grupo. Comieron, bebieron, conversaron. Smith los miraba de lejos y advertía
la cara de satisfacción de todos. Celebraban algún acontecimiento, y los
cocteles, la buena mesa y los buenos vinos contribuían a hacerlos más felices.
Cuando se disponían ya a retirarse, Inclán hizo un aparte con el cocinero.
Le dijo:
—No creas que no me percaté… me pusiste suprema de guineo.
—Es que solo había en la cocina 15 supremas de faisán. Puse a usted la de
guineo porque era el anfitrión. No quería hacerlo quedar mal delante de sus
invitados.
El doctor Inclán sonrió. Extendió su mano derecha y estrechó la de Smith,
con fuerza para dejar en ella un billete de cien dólares cuidadosamente
doblado.
Chisme de cocina
El escribidor no tiene la certeza de que lo que contará ahora sea cierto.
No podrá corroborarlo nunca. Por eso omite el nombre de la dama, una actriz
francesa muy joven entonces, famosa ya, deslumbrante por su belleza provocativa
de mujer endemoniada, mirada pícara y labios que entreabría de una manera que
hacía que a quienes la veían se les inflamara el lado oscuro del corazón. Una
mujer como creada por Dios que llegaba a Cuba, por segunda vez, envuelta en
otra nueva ola de popularidad.
Se decía que aquella actriz había venido a la Isla, en las dos ocasiones,
invitada por uno de los propietarios del Gran Stadium del Cerro. Toussé quiso
conquistarla y como no le llegaba, le ofreció una considerable suma de dinero.
Si la muchacha aceptó o no, se desconoce; pero para congraciarse con ella, a
Toussé no se le ocurrió idea mejor que invitarla al Normandie y disfrazarse esa
noche de cocinero, atenderla personalmente y hacerle creer que los platos que
degustaba salían de sus manos. Por cierto, la joven se decidió siempre por la
langosta cardenal.
Que lo hiciera, pase. Si quería salir al salón con el gorro y el delantal y
decir lo que le pareciera, no estaba mal. Tenía derecho como propietario del
restaurante. Pero Toussé se fue de rosca, se creyó cocinero de verdad y se
metió en la cocina a dar órdenes.
El chef Gilberto Smith no pudo permanecer en silencio. Le aconsejó con
respeto que saliera de allí o se mantuviera callado. Toussé lo ignoró. Siguió
dando órdenes. A Smith se le colmó la paciencia.
—¿Quién es este señor? —preguntó a sus compañeros. Yo soy el jefe de
cocina. Sigan en lo suyo como hasta ahora y no le hagan caso.
La posibilidad de tener entre las sábanas a una de las mujeres más
codiciadas del mundo, le había hecho perder la cabeza. Toussé se le encaró.
—Aquí el dueño soy yo —gritó.
Smith hizo lo que tenía que hacer. Se quitó el gorro y el delantal.
—Cocine usted —le dijo.
Con él se despojaron de sus gorros y delantales todos los componentes de la
brigada que esa noche se ocupaba de la cocina.
En ese punto, a Toussé se le cayeron las medias, se le arrugaron los
atabales. Smith no hablaba en broma; aquellos hombres se marchaban de verdad y
se la dejaban en la mano. Se puso chiquitico, chiquitico. Imploraba. Que no le
podían hacer aquello. Que él no era una mala persona. Que comprendía que se
había extralimitado. Que se pusieran en su lugar. Que usted disculpe, señor
Smith.
Ni modo. No hubo entendimiento. Aquella fue la última noche de Gilberto
Smith en el restaurante Normandie. Perdía dinero y posición. Quedaba sin empleo
y con una familia numerosa a su abrigo. Siempre podía volver a El Carmelo, pero
resultaba duro hacerlo en ese momento. Alguien le habló de La Roca, un
restaurante que acaba de abrir en la esquina de 21 y M, en el Vedado, en el
mismo sitio que había ocupado el restaurante Colonial, y que estaba carente de
personal. Se fue a La Roca como cocinero de a pie. Crearía allí un plato que
hasta el final de su vida tuvo entre los mejores: la tortilla de frutas al ron.
Y otro, la tortilla interventora del chef.
No estaría Smith mucho tiempo en La Roca. Un día entró en El Carmelo y,
como quien no quiere las cosas, dijo al gerente que aquella era la casa que él
prefería. Pues El Carmelo está abierto para usted, respondió el gerente.
Aquella misma noche se fue de La Roca. Volvió a El Carmelo con su ritmo de
trabajo de siempre, pero esta vez con una responsabilidad especial: atender al
grupo de Meyer Lansky, el financiero de la mafia, que estaba de nuevo en La
Habana a fin de seguir, entre otros asuntos, la construcción del hotel Havana
Riviera.
Mientras tanto, en el bar Actualidades, Fabio Delgado continuaba su exitosa
carrera.
sabato 13 febbraio 2016
Firmato il convegno per i voli commerciali (?)
Devo essermi perso qualche cosa…Ieri sera il Noticiero Nacional de Televisión ha diffuso un comunicato secondo il quale Cuba e Stati Uniti hanno firmato un accordo per l’inizio dei “voli commerciali” chiarendo (si fa per dire) che sarà il potenziamento degli attuali voli charter che trasportano gli statunitensi compresi nelle 12 “categorie” ammesse a visitare Cuba da parte del Ministero del Tesoro degli USA, senza altre formalità che dichiarare di appartenere a una di esse con realtivo programma, di massima, del viaggio e soggiorno a Cuba. Aggiungendo per chiarezza che i “normali” viaggi turistici sono ancora vietati ai cittadini statunitensi.
Forse sono un po’ tardo e duro di comprendonio, ma...cchevordì? Si tratta di un potenziamento dei charter, quindi...altri charter o voli commerciali veri e propri? Se il “cittadino comune” nordamericano non ne può usufruire, chi lo può fare? Cittadini di altri Paesi, anche non residenti che vogliono spostarsi nelle due direzioni? Le aerolinee statunitensi apriranno agenzie a Cuba per la biglietteria? Sarebbe bello saperlo chiaramente.
venerdì 12 febbraio 2016
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