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domenica 8 maggio 2016
sabato 7 maggio 2016
giovedì 5 maggio 2016
English o "spanglish" alla cubana?
La mia
conoscenza della lingua inglese non è nemmeno elementare (nessuno è perfetto),
diciamo che è a livello di giardino d’infanzia, come oggi si chiama l’asilo
infantile, ma mi è sorto il dubbio visto
che qualcuno non la la conosca affatto, nonstante i compiti che svolge.
Come
già detto in queste note ho presentato la domanda di riaccredito all’Ufficio
Stampa Estera di Cuba, dove loro stessi mi hanno detto, oggi è possibile
accreditarsi come “freelance”. Dopo qualche tempo, giusto per sapere se la mia
richiesta venisse accolta o meno, mi sono presentato negli appositi uffici per
parlare con l’incaricata dei rapporti coi giornalisti italiani a cui avevo
indirizzato la mia sollecitudine.
Molto
amabilmente, direi tipicamente cubanamente, la suddetta e molto carina signora
o signorina mi ha detto che la mia richiesta è “stata elevata”, in Paradiso? E
che sì è possibile accreditarsi come “freelance”, ma ci vuole la richiesta di
una testata giornalistica che avalli la domanda. Ora, con le mie straminime
conoscenze dell’english language (si scriverà così?), credo di aver capito che
un giornalista “freelance” è uno che lavora per conto proprio e offre i suoi
servizi a chi interessano (magari) scegliendo il miglior offerente o non da
esclusive a nessuno e può darle a destra e anche a sinistra, se capita.
Credo
che con il ristabilimento delle relazioni diplomatiche e con le prospettive
(spinose) di affari convenga comunque, a chi di dovere, dare una rinfrescatina
all’albionico dizionario.
Se
sbalio mi corigerete.
mercoledì 4 maggio 2016
martedì 3 maggio 2016
Piazza della Cattedrale, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 1°/5/16
Tre
domeniche fa abbiamo fatto, in questa pagina, una rapida visita alla Plaza de
San Francísco per poi passare a quella de Armas e per ultima alla cosiddetta
Plaza Vieja. Allora si era detto che per ragioni di spazio, la Plaza de la
Catedral sarebbe stata rimandata ad altra occasione. Quello che faremo adesso.
Ai suoi
inizi si chiamò Plaza de la Cienaga (Palude, n.d.t.). Passò il tempo. L’Isola
si divise in due diocesi e il vescovo José de Tres Palacios che reggeva la
parte occidentale, ricostruì coi suoi soldi e con quelli dei suoi fedeli, la
Santa Casa Lauretana, edificata dall’ordine gesuita, già espulsa dai domini
spagnoli e la trasformò nella Santa Iglesia Catedral. Allo stesso tempo, il
collegio che avevano costruito i gesuiti si ampliò per convertirsi in quello
che doveva essere il famoso seminario di San Carlos y San Ambrosio.
Con
l’apertura del nuovo tempio, il carattere e l’aspetto della piazza cambiarono.
Nella zona esistevano già case di bello stile, ma a partire da allora si
trasformarono tutte in magioni signorili di figure che ostentavano titoli di
Castiglia e lo spazio cessò di essere conosciuto col suo vecchio nome
dispregiativo, per cominciare ad essere la Plaza de la Catedral.
“L’antico
pantano utilizzato come mercato e recinto del bestiame che fu sito di riunioni
di pescatori, scrive lo storico Emilio Roig, si convertì in uno dei posti più
eleganti della capitale, scenario di feste fastuose e cerimonie che cominciò a
disputare la supremazia de la Plaza de Armas”.
Oggi
continua ad essere la parte più bella e armoniosa della capitale. “La zona del
primo incantesimo avanero”, la chiamò il grande scrittore cubano José Lezama
Lima. E Alejo Carpentier, altro avanero irriducibile pur essendo nato a
Losanna, in Svizzera, affermava che la facciata della Cattedrale era nientemeno
che “musica trasformata in pietra”.
Recinto per muli e immondezzaio
Quella
che sarebbe stata la Plaza de la Catedral prima fu, come si rileva dal suo nome
originario, un posto pantanoso, malsano. Lì nel 1857, il governatore Gabriel de
Luján, aprofittando delle sorgenti che sgorgavano in quel posto, fece costruire
un contenitore o cisterna che manteneva sempre una quantità d’acqua sufficiente
per rifornire le imbarcazioni in porto e la popolazione della città. Il flusso
abbondante di queste sorgenti si
mantenne per lunghi anni, tanto che ancora nel secolo XIX, riforniva una
installazione che col nome di “Bagni della Cattedrale” si installò all’angolo
del Callejon del Chorro, dove apre le sue porte la galleria Víctor Manuel.
L’atto
del Cabildo (antenato coloniale del municipio, n.d.t.) dell’Avana
corrispondente al 23 agosto del 1577 rende conto che la palude impedisce il
passaggio degli abitanti che vivono “all’altro lato della città, verso la
vecchia fortezza” e li ostacola ad assistere alla messa. Da qui il Cabildo
raccomanda la costruzione di un ponte e chiede che il fatto si comunichi ai
pergiudicati e con loro si veda “le giornate che potrebbero dare per fare un
ponte come si conviene”.
Nalla
stessa data in cui si costruiva la cisterna, il governatore Luján incitava gli
abitanti a costruire le loro case nell’area. Si erano già edificate alcune
belle case e se ne costruivano altre per cui, affermava il governatore, “questo luogo si va
nobilitando”.
La
terra si asciugava poco a poco e già nel 1623 si parlava della piazzetta della
Palude. Nel 1625 il Cabildo proibiva negoziare parcelle nel centro dello
spazio, “al fine che da ora in poi serva da piazza e da ornamento di quel
quartiere e non si spiani né si conceda per edificio a nessuna persona”. E una Bolla
Reale riaffermava, nel 1632, “che non si venda né si ceda per mercede, ma che
si conservi per la città nello stato originale in cui si trova”.
Gli
abitanti che si sentivano pregiudicati dalla misura protestarono.Uno di loro, a
cui si negò il terreno per edificare la sua casa si lamentava, nel 1636, dello
stato deplorevole dal quale la località non ne usciva, diceva, recinto di muli
e immondezzaio con acqua che imputridiva; Il
danneggiato aggiungeva che si trattava di un’area molto brutta in una
città che si stava abbellendo e costruendo begli edifici.
Una
piazzetta deserta che causa solo inconvenienti e che si manteneva sopratutto
per ricoverare il bestiame destinato al mattatoio.
Già dal
1597 la Zanja Real sboccava nel cosiddetto
Callejón del Chorro.
Sul
posto c’è lapide che ricorda il fatto.
Pericolo di crollo
Nel
secolo XVII, la futura Plaza de la Catedral era un luogo poco considerato dagli
avaneri. La situazione cambiò col tempo. Già nel 1704 il Procuratore Generale della
città si opponeva al proposito dei gesuiti di costruire lì la loro chiesa. Il
Procuratore asseriva che non aveva un’altra piazza per lo svago degli abitanti,
l’esercito aveva alienato al pubblico la Plaza de Armas. Quella della Ciénaga,
in cambio, serviva per feste, esercitazioni e sfilate militari e poteva essere
utilizzata anche come mercato. Aggiungeva che la città disponeva di poche
marine e in quella della Ciénaga si poteva prestare un grande servizio alla
Flotta in quanto a cucire vele, torcere cordami e immagazzinare l’acqua
necessaria.
Siccome
già allora la legge si rispettava, ma non si compiva, ci fu chi fece orecchie
da mercante alla disposizione del Re, agli accordi del Cabildo e commerciò terreni
che non pregiudicavano il tracciato della piazza. Il vescovo Compostela
acquistò per 10.000 pesos la parcella dove si eleverà la missione e il collegio
dei padri gesuiti che è lo stesso spazio che col tempo occuperà la Cattedrale.
Sarebbe, da principio, un umile oratorio di travi e tetto di foglie, molto
simile alle capanne dei pescatori erette in luogo. Muore Compostela, suo
protettore e la Compagnia di Gesù convertirà la cappella in un edificio ampio
che potesse ospitare la chiesa, il convento e il collegio. Il Procuratore tornò
a occuparsene. Ai suoi vecchi argomenti aggiungeva, forse a ragione che la zona
era conveniente e magari imprescindibile per la difesa dell’Avana.
I
gesuiti vinsero la partita e nel 1748 conseguirono, non senza altri ostacoli, di
collocare la prima pietra del loro edificio che avrebbero messo sotto la
protezione di Nostra Signora di Loreto. Quasi 20 anni dopo terminarono la
costruzione del collegio, non la chiesa né il convento, ma Carlos III li
espulse dai loro domini.
Nel
1772 la Chiesa Parrocchiale Maggiore, situata di fronte alla Plaza de Armas –occupava
parte di quello che sarà il Palazzo dei Capitani Generali, oggi Museo della
Città-, presentava pericolo di crollo. Si determinò il suo trasloco per
l’oratorio di San Felipe Neri, nella calle Aguiar e il 9 dicembre del 1977 i
trasferì solennemente nell’edificio costruito dai gesuiti. Come si è già detto,
il vescovo Tres Palacios gli fece modifiche per adeguarlo a Santa Chiesa
Cattedrale, dedicata alla Santissima Concezione, mentre il collegio dei gesuiti
fu ampliato e convertito nel Seminario di San Carlos y San Ambrosio.
Ritorno alla piazza
Quando
lo scriba cominciò a percorrere l’Avana Vecchia, verso il 1963, l’Ufficio dello
Storico dell’Avana era installato nel Palazzo di Lombillo. Si trova all’angolo
di Empedrado, alla sinistra uscendo dalla Cattedrale. Ha due facciate e
nonostante essere molto bella, la meno importante è quella che guarda alla
Plaza. Si tratta di un edificio che esisteva già nel 1739. Appartenne
originariamente alla famiglia Pedroso e poi a quella dei Lombillo, sposato con
una Pedroso.
Già
nella Repubblica, fu acquistato da un avvocato e politico, Ricardo Dolz;
risiedeva in quell’edificio con la sua famiglia e lì aveva il suo studio.
Nel
1932, quando per vendicare il suo amico e correligionario Clemenete Vázquez
Bello, morto in un attentato, il dittatore Gerardo Machado ordinò di
assassinare varie figure dell’opposizione, Dolz che era anche lui nella lista,
salvò miracolosamente la vita perché, avvisato in tempo, riuscì a uscire da una
porta mentre i sicari entravano da un’altra.
Nel
1937, vi funzionò il Ministero della Difesa Nazionale fino al suo trasferimento
a Empedrado e Monserrate, allora lo occuparono diversi uffici del Municipio.
Già in questo secolo, lo Storico vi installò un’altra volta il suo Ufficio e
oggi è essenzialmente una sala da esposizioni.
Il
palazzo del Marchese di Arcos confina con quello di Lombillo. Esisteva già nel
1739. Due anni dopo veniva acquisito da Diego Peñalver y Angulo, Tesoriere
dell’Industria Reale.
Suo figlio Ignacio fu nominato Marchese di
Arcos nel 1792 come pagamento ai servigi prestati alla Corona, durante la presa
dell’Avana degli inglesi, nel 1762. Si chiamò la Tesoreria quando la occuparono
i Peñalver. Poi l’affittarono all’amministrazione delle poste e ricevette il
nome di Casa delle Poste.
Fu, a
partire dal 1844, sede del Liceo Artistico dell’Avana. Da lì il murale che
ricorda grandi figure della cultura cubana e che si apprezza nella calle
Mercaderes, perché questa casa ha due fronti, quello che guarda la Cattedrale e
quello che guarda alla calle citata che è sempre stata quella principale.
A
parere di specialisti, il Palazzo del Marchese di Arcos è il tipo più perfetto
di casa coloniale che ci resta. Non c'è niente di più tipicamente avanero che
l’atrio e la scala di questo edificio. La scala è quella dei grandi palazzi del
Rinascimento. L’impressione che si ha nel salirvi è di grandezza. È la scala di
un palazzo.
Al
fondo della Plaza, al lato opposto, e di fronte alla Cattedrale, si eleva l’amabile
casa dei conti di Casa Bayona. Anch’essa è anteriore alla Cattedrale; data dal
1720. La si considera uno dei nostri palazzi più tipici nell’aspetto esterno,
per la simmetria dei suoi interni, per i materiali che si impiegarono per la
sua costruzione...”Grande casa di vita all’interno, fatta per godere l’intimità
e che offre solo, al passante, un freddo ermetismo. Che distinzione il suo
interno! Le stanze sono ampie e accoglienti, i cortili chiusi, ombreggiati,
pieni di rumori di fronde e dell’acqua delle fonti. Le gallerie, ridenti; i
saloni vastissimi...” dice uno specialista.
Già nel
XX secolo fu acquisita dal Collegio degli Scrivani. Poi vi ebbe sede il
giornale La Discusión e più tardi gli uffici della distilleria di rum
Arechabala. Oggi è il Museo dell’Arte Coloniale.
Il
Palazzo del Marchese di Aguas Claras è l’attuale ristorante El Patio, Francisco
Filomeno Ponce de León, lo costruì nel XVIII secolo e i suoi discendenti lo
vendettero nel 1870 al Conte di Peñalver. In uno degli appartamenti superiori
di questo edificio, visse Victor Manuel, iniziatore della pittura moderna a
Cuba.
Completa
la piazza un’altra stupenda magione, senza portici, molto meno palazzo e molto
meno tipica delle sue vicine. In una delle sue pareti c’è la targa
commemorativa della costruzione della prima Zanja (Fossato, n.d.t.)
Merita
di essere citata per il destino disgraziato di due dei suoi principali
abitanti. Nonostante le loro ricchezze e importanza sociale, entrambi finirono
in carcere e vi morirono, in differenti periodi del XVIII secolo. Uno per
opporsi al governatore Güemes de Horcasitas, Conte di Revillagigedo; l’altro
per aver collaborato con l’occupante britannico nel 1762.
Plaza de la Catedral
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
30 de Abril del 2016 21:41:18 CDT
Hace tres domingos hicimos en esta
página una rápida visita a la Plaza de San Francisco para pasar después a la de
Armas y, por último, a la llamada Plaza Vieja. Consignamos entonces que, por
razones de espacio, la Plaza de la Catedral quedaría para otra ocasión. Lo
haremos ahora.
Se le llamó en sus comienzos Plaza
de la Ciénaga. Pasó el tiempo. La Isla se dividió en dos diócesis, y el obispo
José de Tres Palacios, que regía en su parte occidental, reconstruyó con su
dinero y con los de su prelacía, la Santa Casa Lauretana, edificada por la
orden jesuita, expulsada ya de los dominios españoles, y la transformó en Santa
Iglesia Catedral. Al mismo tiempo, el colegio que construyeron los jesuitas se
amplió para convertirse en lo que habría de ser el famoso seminario de San
Carlos y San Ambrosio.
Con la apertura del nuevo templo
cambió el aspecto y el carácter de la plaza. Existían ya en la zona casas de
buen estilo, pero a partir de ahí todas se convirtieron en mansiones señoriales
de figuras que ostentaban títulos de Castilla, y el espacio dejó de ser
conocido por su nombre viejo y despectivo, para empezar a ser la Plaza de la
Catedral.
«El antiguo desaguadero utilizado
como mercado y corral de ganado que fue sitio de reunión de pescadores, escribe
el historiador Emilio Roig, se convirtió en uno de los lugares más elegantes de
la capital, escenario de fiestas fastuosas y ceremonias, que comenzó a
disputarle la primacía a la Plaza de Armas».
Hoy sigue siendo la parte más bella
y armoniosa de la capital. «La zona del primer hechizo habanero», la llamó el
gran escritor cubano José Lezama Lima. Y Alejo Carpentier, otro habanero
irreductible aunque nació en Lausana, Suiza, afirmaba que la fachada de la
Catedral era nada más y nada menos que «música convertida en piedra».
Muladar y basurero
Lo que sería la Plaza de la Catedral
fue antes, como se desprende de su nombre original, un sitio anegadizo, un
lugar malsano. Allí, en 1587, el gobernador Gabriel de Luján, aprovechando los
manantiales que brotaban en ese sitio, hizo construir un aljibe o cisterna que
mantenía siempre una cantidad de agua suficiente para abastecer las
embarcaciones en puerto y a la población de la villa. El abundante caudal de
esos manantiales se mantendría durante largos años, tantos que todavía en el
siglo XIX surtía un establecimiento que, con el nombre de «Baños de la
Catedral», se instaló en la esquina del Callejón del Chorro, donde abre sus
puertas la galería Víctor Manuel.
El acta del Cabildo de La Habana
correspondiente a 23 de agosto de 1577 da cuenta de que la ciénaga impide el
paso de los vecinos que viven «en la otra banda de la villa, hacia la fortaleza
vieja», y les obstaculiza asistir a misa. De ahí que el Cabildo recomiende la
construcción de un puente y pide que el asunto se comunique a los perjudicados
y se vea con ellos «los jornales que podrán dar para hacer un puente como conviene».
En la misma fecha en que se
construía el aljibe, el gobernador Luján instaba a los vecinos a que
construyesen sus viviendas en el área. Ya se han edificado algunas buenas casas
y se levantan otras con lo que, afirmaba el Gobernador, «este lugar se va
ennobleciendo».
La tierra se secaba poco a poco y ya
en 1623 se hablaba de la plazuela de la Ciénaga. En 1625 el Cabildo prohibía
mercedar solares en el centro del espacio, «a fin de que ahora y para todo el
tiempo sirva de plaza y adorno de aquel barrio, y no se labre ni conceda para
edificio a ninguna persona». Y una Real Cédula reafirmaba en 1632 «que no se
venda ni enajene por vía de la merced, sino que se conserve para la ciudad en
el antiguo estado en que se encuentra».
Protestaban los vecinos que se
sentían perjudicados por la medida. Uno de ellos, al que se le negó el terreno
para levantar su vivienda, se quejaba, en 1636, del deplorable estado del lugar
que no pasaba de ser, expresaba, muladar y basurero, con un agua que se pudre e
infecta la ciudad. Añadía el perjudicado que se trataba de un área de mucha
fealdad en una urbe que se va ilustrando y hermoseando de edificios.
Una plazuela desierta que solo causa
perjuicios y que se utilizaba sobre todo para sustentar el ganado destinado al
matadero.
Ya desde 1597 la Zanja Real vertía
en el llamado Callejón del Chorro.
Hay en el lugar una lápida que
conmemora el suceso.
Peligro de derrumbe
En el siglo XVII la futura Plaza de
la Catedral era un lugar poco estimado por los habaneros. La situación varió con
el tiempo. Ya en 1704 el Procurador General de la ciudad se oponía al propósito
de los jesuitas de construir allí su iglesia. Aducía el Procurador que La
Habana no contaba con otra plaza para el esparcimiento de los vecinos, pues el
Ejército había enajenado al pueblo la de Armas. La de la Ciénaga, en cambio,
servía para fiestas, ejercicios y desfiles militares y hasta podía utilizarse
como mercado. Añadía que la ciudad disponía de pocas marinas, y en la de la
Ciénaga se podía prestar un gran servicio a la Armada en cuanto a coser velas,
torcer jarcias y almacenar el agua necesaria.
Como ya entonces la ley se
respetaba, pero no se cumplía, hubo quien hizo caso omiso a la disposición del
Rey y a los acuerdos del Cabildo y mercedó terrenos que no perjudicaban el
trazado de la plaza. El obispo Compostela adquiere por 10 000 pesos la parcela
donde se levantaría la misión y el colegio de los padres jesuitas, que es el
mismo espacio que con el tiempo ocuparían la Catedral. Sería, de entrada, un
humilde oratorio de horcones y techo de guano, muy parecido a las chozas de
pescadores erigidas en el lugar. Muere Compostela, su protector, y quiere la
Compañía de Jesús convertir la ermita en un edificio amplio que albergase
iglesia, convento y colegio. Volvió a oponérsele el Procurador. A sus viejos
argumentos añadía quizá con razón que la zona era conveniente y acaso
imprescindible para la defensa de La Habana.
Ganaron los jesuitas la partida y en
1748 consiguieron, no sin otros obstáculos, colocar la primera piedra de su
edificio, que pondrían bajo la advocación de Nuestra Señora de Loreto. Casi 20
años después terminaron la construcción del colegio, no la iglesia ni el
convento, pero Carlos III los expulsó de sus dominios.
En 1772 la Iglesia Parroquial Mayor,
situada frente a la Plaza de Armas —ocupaba parte de lo que sería el Palacio de
los Capitanes Generales, hoy Museo de la Ciudad—, presentaba peligro de
derrumbe. Se determinó su traslado para el oratorio de San Felipe de Neri, en
la calle Aguiar, y el 9 de diciembre de 1777 se trasladó solemnemente para el
edificio construido por los jesuitas. Como ya se dijo, el obispo Tres Palacios
le hizo modificaciones para adecuarlo a la Santa Iglesia Catedral, dedicada a
la Santísima Concepción, en tanto que el colegio establecido por los jesuitas
fue ampliado y convertido en el Seminario de San Carlos y San Ambrosio.
Vuelta a la plaza
Cuando el escribidor comenzó a
recorrer La Habana Vieja, allá por 1963, la Oficina del Historiador de La
Habana estaba instalada en el Palacio de Lombillo. Se halla en la esquina de
Empedrado, a la izquierda según se sale de la Catedral. Tiene dos fachadas y
pese a ser muy bella, la menos importante es la que mira a la Plaza. Se trata
de un edificio que existía ya en 1739. Perteneció originalmente a la familia
Pedroso y luego a la de Lombillo, casado con una Pedroso.
Ya en la República fue adquirido por
el abogado y político Ricardo Dolz; residía en ese inmueble con su familia y
tenía allí su bufete.
En 1932, cuando para vengar a su
amigo y correligionario Clemente Vázquez Bello, muerto en un atentado, el
dictador Gerardo Machado ordenó asesinar a varias figuras de la oposición,
Dolz, que estaba también en la lista, salvó la vida milagrosamente porque
avisado a tiempo, logró huir por una de las puertas mientras los sicarios
entraban por la otra.
En 1937 funcionó allí el Ministerio
de Defensa Nacional hasta su traslado a Empedrado y Monserrate, y lo ocuparon
entonces diversas dependencias del Ayuntamiento. Ya en este siglo, el
Historiador instaló otra vez allí su Oficina y hoy es esencialmente una sala de
exposiciones.
El Palacio del Marqués de Arcos
colinda con el de Lombillo. Existía ya en 1739. Dos años después era adquirido
por Diego Peñalver y Angulo, Tesorero de la Real Hacienda. Su hijo Ignacio fue
nombrado Marqués de Arcos en 1792, en pago a los servicios prestados a la
Corona cuando la toma de La Habana por los ingleses, en 1762. Se le llamó de la
Tesorería cuando la ocuparon los dos Peñalver. Luego la arrendaron a la
administración de correos y recibió el nombre de Casa de Correos.
Fue, a partir de 1844, sede del
Liceo Artístico Literario de La Habana. De ahí el mural que recuerda a grandes
figuras de la cultura cubana y que se aprecia en la calle Mercaderes, porque
esta casa tiene dos frentes, el que mira a la Catedral y el que da a la calle
mencionada, que siempre se ha tenido como el principal.
En opinión de especialistas, el
Palacio del Marqués de Arcos es el tipo más perfecto de casa colonial que nos
queda. No hay nada más típicamente habanero que el zaguán y la escalera de este
edificio. La escalera es la de los grandes palacios del Renacimiento. La
impresión que se recibe al ascenderla es de grandeza. Es la escalera de un
palacio.
En el fondo de la Plaza, en el lado
opuesto y frente por frente a la Catedral, se alza la amable casona de los
condes de Casa Bayona. Es también anterior a la Catedral; data de 1720. Se le
considera una de nuestros palacios más típicos por su aspecto exterior, por la
simetría de sus interiores, por los materiales que se emplearon en su
construcción… «Casona de vida dentro, hecha para gozar de lo íntimo, que solo
brinda al transeúnte un frío hermetismo. ¡Qué distinto su interior! Las
habitaciones son amplias y acogedoras, los patios cerrados, umbrosos, pleno de rumores
de fronda y del agua de las fuentes. Las galerías rientes; los salones,
vastísimos…», dice un especialista.
Ya en el siglo XX fue adquirida por
el Colegio de Escribanos. Radicó después allí el periódico La Discusión, y más
tarde las oficinas de la ronera Arechabala. Hoy es el Museo de Arte Colonial.
El Palacio del Marqués de Aguas
Claras es el actual restaurante El Patio. Francisco Filomeno Ponce de León lo
construyó en el siglo XVIII y sus descendientes lo vendieron, en 1870, al Conde
de Peñalver. En uno de los apartamentos superiores de este edificio vivió
Víctor Manuel, iniciador de la pintura moderna en Cuba.
Completa la Plaza otra hermosa
mansión, sin portales, mucho menos palacial y mucho menos típica que sus
vecinas. En una de sus paredes está la tarja conmemorativa de la construcción
de la Zanja primitiva.
Merece mención por el desgraciado
destino de dos de sus moradores principales. Pese a sus riquezas e importancia
social, ambos fueron a parar a la cárcel y murieron en ella, en diferentes etapas
del siglo XVIII. Uno, por oponerse al gobernador Güemes de Horcasitas, Conde de
Revillagigedo; el otro por haber colaborado con el ocupante británico en 1762.
Ciro Bianchi
Ross
lunedì 2 maggio 2016
Dopo oltre 50 anni una nave statunitense attracca al porto dell'Avana
Dopo la "prima volta" di un presidente, è venuta la "prima volta di una nave statunitense dopo le rotture avvenute oltre 50 anni fa. Questa mattina è passata davanti al faro dei Tres Reyes del Morro, per scivolare lungo il canale costeggiato dalla fortezza di San Carlos de la Cabaña e dominato dal Cristo dell'Avana, la nave Adonia, appartenente al gruppo Carnival, leader mondiale delle crociere e che avrà una cadenza bisettimanale nei porti cubani di l'Avana, Cienfuegos e Santiago de Cuba per proseguire la sua crociera nei Caraibi con rientro a Miami, da dove ha origine.
Sulla nave c'erano 12 cittadini dal doppio passaporto, cubano e statunitense che però sono obbligati a rientrare esibendo il cubano e che fino ad ora non potevano fare viaggi in mare, autorizzati.
domenica 1 maggio 2016
1 maggio 1916
Come ogni anno, grandiosa sfilata per la festa dei Lavoratori, molte le delegazioni straniere, più folta che mai quella turca. Con il contingente dell’Istituto per la Ricreazione e lo Sport ha sfilato, assieme ad altri volti popolari nei rispettivi contingenti, il tre volte campione olimpico e Presidente della Federazione di Atletica di Cuba, Alberto Juantorena con i figli e sempre disponibile col pubblico.
C'è voluta qualche ora e non so quanti tentativi falliti, ma ce l'ho fatta...
sabato 30 aprile 2016
venerdì 29 aprile 2016
Dizionario del mare per lupi di terra
BANCHINA: usata nei barchi e ciardini, specialmente dai bensionati
giovedì 28 aprile 2016
mercoledì 27 aprile 2016
domenica 24 aprile 2016
Un vice presidente degli U.S.A. ha giurato a Limonar, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 24/4/16
Il
senatore James Buchanan che con l’andare del tempo (1857) risulterà eletto
presidente degli Stati Uniti, scriveva alla sua amica Cornelia Roosvelt, in
occasione dell’assenza del suo amico, il pure senatore e più tardi vice
presidente della nazione, William Rufus King, ciò che segue: “Adesso sono solo,
solitario, perché non ho compagnia in casa con me. Ho corteggiato diversi
cavalieri, ma non ho avuto successo con nessuno di loro. Sento che per un uomo
non è belloe essere solo e non mi stupirei di trovarmi sposato, un gioeno, con
una zitellona che mi curi quando sono malato, mi faccia dei buoni cibi quando
sto bene e che non si aspetti da me nessuna affetto ardente e romantico”.
Gli
storici nordamericani consumarono molte pagine nell’analisi della relazione fra
questi due ambiziosi uomini politici che nel 1844 decisero di candidarsi come
presidente e vice presidente del Paese, cosa che gli impedì il Partito
Democratico, al quale appartenevano entrambi. Anche se alcuni esperti dicevano
che non c’era niente di strano, all’epoca che due uomini condividessero lo
stesso letto e che i termini affettivi che potevano usare nella corrispondenza
trasmessa tra di loro, non significava nessun indizio romantico e catalogarono
Buchanan e Rufus come “asessuati e scapoloni”, l’amicizia tra i due suscitò la curiosità dei loro compagni al
Congresso che finirono per definirli “ la signorina Nancy” e la “zia Nancy”,
eufemismi usati allora per indicare che un uomo era effemminato. A Buchanan e
Rufus che vennero a sapere di questi commenti, non importò mai molto e
continuarono la loro vita in comune e il loro lavoro di legislatori. Dal 1834
fino a che Rufus fu nominato ambasciatore in Francia – separazione che motivò
la lettera di Buchanan a Cornelia – condiviso lo stesso tetto a Washington e
assistevano assieme agli atti in Campidoglio e agli eventi sociali.
Un
legislatore diceva che Rufus era la “mezza mela” di Buchanan e un altro si
riferiva a loro come ai “gemelli siamesi”, ebbene, stavano sempre assieme.
Rufus diceva che questa amicizia era una “comunione”.
Buchanan
ebbe una fidanzata con cui ruppe prima di arrivare al matrimonio interessato,
sopratutto com’era, alla dote della ragazza. A Rufus non si conobbe nessuna
relazione con donne. Alla morte di entrambi – Rufus morì nel 1853 e Buchanan
nel 1868 – le rispettive famiglie distrussero la corrispondenza fra di loro. Le lettere che
si salvarono, senza dubbio lasciarono molti argomenti interessanti.
Il vice che non fu
Non è
interesse dello scriba e lo esprime, a qualsiasi intimità, come usava dire
un noto avvocato, prima del 1959 mentre si appoggiava con entrambe le mani al
suo bastone, abbondare nell’orientamento sessuale di William Rufus King. Vuole,
sì, sottolineare un fatto inedito nella storia degli Stati Uniti. Rufus,
tredicesimo vice presidente di questo Paese – con Franklin Pierce come
presidente -, giurò per il suo alto incarico nella casa di abitazione dello
zuccherificio Adriadna, a Limonar in provincia di Matanzas. Si avvicinava la
date del giuramento e collaboratori e amici si convinsero che il soggetto che
cercava di recuperarsi a Cuba, non sarebbe arrivato a Washington. Stava tanto
male di salute che per la cerimonia si dovette mantenerlo in piedi sostenendolo
per le due braccia.
Pass diversi giorni in più nella zona e giunse a casa sua il 17 aprile del 1853.
Morì il giorno dopo, nella sua fattoria nella contea di Dallas, in Alabama. Si
mantenne in carica solo un mese. Non poté disimpegnare nessun incarico inerente
alla sua alta investitura.
Fu lo
storico matanzero Raúl Ruíz già deceduto, a portare alla luce, anni fa, questa
storia dimenticata, pagine che compilò in un libro quasi introvabile, Aguas de la ciudad.,
Alla
fine della decade del 1940 o all’inizio del 1950, la Alabama Historial Society,
volle perpetuare il fatto con la collocazione di una targa in una delle colonne
vicine all’entrata principale del Palazzo Municipale matanzero: targa non
conosciuta dallo scriba.
Nonostante
i suoi compagni di emiciclo si burlavano
di un uomo melenso e stravagante che usava coprirsi con parrucche impolverate
che ai suoi tempi erano già fuori moda Rufus fu, si dice, un legislatore capace
e un oratore impressionante. Alla sua morte, Buchanan lo definì “tra i
migliori, più puri e più consistenti uomini pubblici che abbia conosciuto”, ma
l’apprezzamento veniva da molto vicino.
In ogni
modo la sua carriera politica fu folgorante. Discendente di irlandesi e di
ugonotti francesi, William Rufus King nacque nella contea di Sampson, Carolina
del Nord, il 7 aprile 1786. La sua era una famiglia grande, benestante e con
molti buoni contatti. Fece gli studi universitari e nel 1806 fu eletto deputato
alla rappresentanza del suo Stato di nascita. Disimpegnò in tre
occasioni l’atto di Rappresentante alla Camera a Washington e partecipò come
delegato alla convenzione organizzata dal Governo dello Stato dell’Alabama. Nel
1819, nel riconoscere questo territorio come il ventiduesimo Stato dell’Unione,
fu eletto al Senato, camera dove giunse a presiedere la commissione per le
Relazioni Esterne.
Alla
morte del presidente Zachary Taylor, il vice Millar Filmore occupò la prima
magistratura, per cui la vice presidenza rimase vacante. William Rufus King,
già vice presidente del Senato, fu posto, come previsto dalla Costituzione, nella
prima linea di successione presidenziale.
I suoi
contemporanei lo consideravano moderato in temi come la schiavitù, separazione
tra il nord e il sud ed espansione verso l’Ovest. Siccome lui e la sua famiglia
erano proprietari di grandi piantagioni di cotone e di circa 500 schiavi, si
dice che era un difensore della schiavitù.
Il suo
maggior successo fu l’elezione, per il Partito Democratico, alla vice
presidenza degli Stati Uniti.
Un uomo ammalato
In quel
momento era già un uomo molto ammalato. Minato dalla tubercolosi, i medici gli
raccomandarono di andare a Cuba in cerca di un possibile ristabilimento della
salute. Fece il viaggio subito dopo la sua elezione.
All’inizio
del suo soggiorno nell’Isola, alloggiò nella residenza di William Scott Jencks
Updicke, proprietario di uno zuccherificio e suo amico personale. Una magnifica
magione di due piani ubicata a la Cumbre, attuale reparto Versalles, vicino
alla baia matanzera. Era una zona raccomandata dai medici e lì Rufus rimase,
dice l’investigatore Raúl Ruíz, per un periodo di due settimane, fino a che le
moleste perturbazioni del nord con pioggia e freddo, raccomandarono il suo
trasferimento in altro luogo.
Coi due
nipoti che lo accompagnavano e i collaboratori, allora si trasferì allo
zuccherificio Ariadna, nella zona di Limonar, bel lontano dalla costa e con un
clima eccellente, proprietà di JuanChartrand-Dubois, padre di Esteban e Felipe,
gli eccellenti paesaggisti. Era la stessa fabbrica di zucchero dove, nel 1851,
si era installata la svedese Fredrika Bremer, occasione in cui aprofittò di
scfrivere buona parte del suo libro Cartas
desde Cuba che lei stessa illustrò.
Rufus,
nello zuccherificio Ariadna, vide lo stesso panorama che precedentemente aveva
apprezzato la svedese e che lo scriba rivive grazie a lei. Una grande ceiba in pieno vigore e magnificenza. I
margini delle strade bordeggiati, alcune da palme, altre da manghi. I frutteti.
Il ballo dei negri la domenica, quando gli si permetteva una pausa nel duro
lavoro. Il baraccone degli schiavi, una specie di muraglia bassa, costruita
attorno ai quattro lati di un gran patio, col portone su un lato che si
chiudeva la sera. Dentro questa muraglia c;erano le stanze degli schiavi – una
stanza per ogni famiglia e nel centro del patio, la cucina e il lavandino. –
Felipe era sui 25 anni e Esteban che giunse ad essere il più famoso dei due sui
20. La signora della casa, la moglie di Chartrand-Dubois, aveva doti musicali e
una voce che ara un vero piacere ascoltare. Dimostrava un carattere tranquillo e
dolce, come attivo e vivace era quello del marito, un francese oriundo di Santo
Domingo che fece la sua ricchezza grazie alla fortuna, era vivace, ciarliero e
cortese, possedeva grande acume e sagacia.
Con l’Approvazione del Congresso
Gli
investigatori non si mettono d’accordo nel fissare il luogo esatto dove William
Rufus King giurò come vice presidente degli Stati Uniti.
Alcuni
insistono a dire che la cerimonia si effettuò a la Cumbre, la residenza di
William Updicke, latifondista e interprete della Marina spagnola. Altri su una
nave da guerra che Washington inviò a Matanzas per l’occasione. La versione
ufficiale assicura che questo giuramento si portò a termine all’Avana. È poco
probabile che a questo punto Rufus che era molto malato, in quello stato, si
trasferisse alla capitale dell’Isola. D’altra parte il Fulton, una nave della
Marina Militare nordamericana che lo portò a Matanzas, fu lo stesso che lo
riportò negli Stati Uniti e questa imbarcazione, col suo illustre passeggero a
bordo, salpò dall’Atene di Cuba.
Rimane
quindi l’ipotesi sostenuta da Raúl Ruíz che la cerimonia ebbe luogo nei
possedimenti dei Chartrand.
Si
avvicinava la data della presa di possesso e Rufus capì che gli risultava
impossibile fare il viaggio. I suoi correligionari e amici iniziarono allora le
pratiche per ottenere l’autorizzazione, al fine che il giuramento si
effettuasse a Cuba.
La
petizione contò dell’approvazione del Congresso. In virtù della decisione,
William Sharley, console degli Stati Uniti all’Avana, si sarebbe presentato a
Matanzas e avrebbe preso il giuramento di Rufus nello zuccherificio Adriadna.
Giunto il momento, si dovette sostenerlo per le braccia per compiere le
formalità.
Conclusa
la cerimonia, Rufus King conversò coi presenti e si ritirò in una stanza.
Dodici giorni dopo, partiva di ritorno agli Stati Uniti. Nel porto di Mobile,
una moltitudine aspettava il passeggero che dopo una breve sosta in luogo,
rimontò il fiume Alabama fino alla sua tenuta, di Dallas, dove morì.
La
legislatura territoriale dell’Oregon creò la contea di King a suo nome. Molti
anni dopo, le autorità di questa località emendarono la designazione e il suo
logotipo per onorare la memoria di Martin Luther King, l’eroe afroamericano che
lottò contro la discriminazione razziale.
Un Vicepresidente de EE.UU. juró en Limonar
Ciro Bianchi
Ross • digital@juventudrebelde.cu
23 de Abril del 2016 20:44:44 CDT
El senador James Buchanan que
andando el tiempo (1857) resultaría electo presidente de los Estados Unidos,
escribía a su amiga Cornelia Roosevelt, con motivo de la ausencia de su amigo,
el también senador y más tarde vicepresidente de la nación, William Rufus King,
lo
siguiente: «Ahora estoy solo y
solitario porque no tengo compañía en la casa conmigo. He cortejado a varios
caballeros pero no he tenido éxito con ninguno de ellos. Siento que no es bueno
para un hombre el estar solo, y no me sentiría asombrado de encontrarme un día
casado con una solterona que me cuide cuando estoy enfermo, me provea buenas
comidas cuando estoy bien y que no espere de mí ningún afecto ardiente y
romántico».
Muchas páginas consumieron los
historiadores norteamericanos en el análisis de la relación entre esos dos
ambiciosos políticos que en 1844 decidieron postularse como presidente y vice
del país, lo que les impidió el Partido Demócrata, al que ambos pertenecían.
Aunque algunos conocedores plantean que no había nada raro en la época en que
dos hombres compartieran la misma cama, que los términos afectivos que podían
utilizar en la correspondencia cursada entre ellos no significaba ningún tipo
de apego romántico, y catalogan a Buchanan y a Rufus como «asexuales y
solterones», la amistad entre ambos despertó la curiosidad de sus compañeros en
el Congreso, que terminaron aludiendo a ellos como la «señorita Nancy» y la
«tía Nancy», eufemismos empleados entonces para sugerir que un hombre era
afeminado. A Buchanan y a Rufus, que llegaron a conocer de esos comentarios,
nunca les importó mucho pues prosiguieron su vida en común y su trabajo como
legisladores. Desde 1834 hasta que Rufus fue nombrado embajador en Francia
—separación que motivó la citada carta de Buchanan a Cornelia—, compartieron en
Washington el mismo techo y juntos asistían a las sesiones del Capitolio y a
los actos sociales.
Un legislador decía que Rufus era la
«media naranja» de Buchanan, y otro se refería a ellos como los «hermanos
siameses», pues siempre andaban juntos. Rufus diría que esa amistad era una
«comunión».
Buchanan tuvo una novia con la que
rompió antes de llegar al matrimonio, interesado como estaba sobre todo, se
dice, en la dote de la muchacha. A Rufus no se le conoció ninguna relación con
mujeres. A la muerte de ambos —Rufus falleció en 1853, y Buchanan, en 1868— las
familias respectivas destruyeron la
correspondencia entre ellos. Las cartas que quedaron, sin embargo, dan mucha
tela por donde cortar.
El vice que no fue
No es interés del escribidor, y lo
expresa a toda intimidad, como solía decir un abogado notable antes de 1959
mientras se apoyaba con ambas manos en su bastón, abundar en la orientación
sexual de William Rufus King. Quiere, sí, destacar un hecho inédito y hasta
ahora no repetido en la historia de Estados Unidos. Rufus, décimo tercer
vicepresidente de ese país —con Franklin Pierce como primer mandatario—, juró
su alto cargo en la casa de vivienda del ingenio azucarero Adriadna, en
Limonar, provincia de Matanzas. Se acercaba la fecha del juramento, y amigos y
colaboradores se convencieron de que el sujeto, que intentaba recuperarse en
Cuba, no llegaría a Washington. Estaba tan mal de salud que, para que pudiera
mantenerse en pie durante la ceremonia, hubo que sostenerlo por ambos brazos.
Pasó varios días más en la zona y
llegó a su casa el 17 de abril de 1853. Murió al día siguiente, en su hacienda
del condado de Dallas, en Alabama. Se mantuvo en el cargo apenas un mes. No
pudo desempeñar ninguna de las funciones inherentes a su alta investidura.
Fue el historiador matancero Raúl
Ruiz, ya fallecido, quien sacó a relucir años atrás esta historia olvidada,
páginas que compiló en un libro ya casi inencontrable, Aguas de la ciudad. A
fines de la década de 1940 o a comienzos de la de 1950, la Alabama Historial
Society quiso perpetuar el hecho con la colocación de una tarja en una de las
columnas cercanas a la entrada del Palacio Municipal matancero; tarja de la que
desconoce el escribidor.
Aunque sus compañeros de hemiciclo
se burlaban de un hombre melindroso y cursi, que solía cubrirse con pelucas
empolvadas que en su tiempo estaban ya fuera de moda, Rufus fue, se dice, un
legislador capaz y un orador impresionante. A su muerte, Buchanan lo ubicó
«entre los mejores, más puros y más consistentes hombres públicos que he
conocido», pero la recomendación venía desde muy cerca.
De cualquier manera su carrera
política fue meteórica. Descendiente de irlandeses y de hugonotes franceses,
William Rufus King nació en el condado de Sampson, Carolina del Norte, el 7 de
abril de 1786. Era la suya una familia extensa, acaudalada y con muy buenas
conexiones. Hizo estudios universitarios y en 1806 fue electo diputado a la
legislatura de su estado natal. Desempeñó en tres ocasiones un acta de
Representante a la Cámara en Washington y participó como delegado en la
convención organizada por el Gobierno del estado de Alabama. En 1819, al
reconocerse ese territorio como el vigésimo segundo estado de la Unión, fue
electo al Senado, cámara donde llegó a presidir la comisión de Relaciones
Exteriores.
A la muerte del presidente Zachary
Taylor, el vice Millar Fillmore ocupó la primera magistratura, con lo que la
vicepresidencia quedó vacante. William Rufus King, ya presidente del Senado, se
colocó, como estipulaba entonces la Constitución, en la primera línea de la
sucesión presidencial.
Sus contemporáneos lo consideraron
moderado en temas como esclavitud, separación entre el norte y el sur,
expansión hacia el Oeste. Como él y su
familia eran propietarios de grandes plantaciones de algodón y de unos 500
esclavos, se dice que era un defensor de la esclavitud.
Su mayor éxito fue su elección en
1852, por el Partido Demócrata, a la vicepresidencia de Estados Unidos.
Un hombre enfermo
A esas alturas era ya un hombre muy
enfermo. Minado por la tuberculosis, los médicos le recomendaron que viajara a
Cuba en busca del posible restablecimiento de la salud. Hizo el viaje
inmediatamente después de su elección.
Se alojó, al comienzo de su estancia
en la Isla, en la residencia de William Scott Jencks Updike, propietario de un
ingenio azucarero y su amigo personal. Una magnífica mansión de dos plantas
ubicada en la Cumbre, actual reparto Versalles, junto a la bahía matancera. Era
una zona recomendada por los médicos y allí Rufus permaneció, dice el
investigador Raúl Ruiz, por espacio de dos semanas hasta que los molestos
nortes, con lluvia y frío, recomendaron su traslado a otro sitio.
Con los dos sobrinos que lo
acompañaban y colaboradores se trasladó entonces al ingenio Adriadna, en la
zona de Limonar, bien alejado de la costa y con un clima excelente, propiedad
de Juan Chartrand-Dubois, padre de Esteban y Felipe, los excelentes
paisajistas. Era la misma fábrica de azúcar donde, en 1851, se había instalado
la sueca Fredrika Bremer, ocasión que aprovechó para escribir buena parte de su
libro Cartas desde Cuba, que ella misma ilustró.
Rufus, en el ingenio Adriadna, ve el
mismo paisaje que antes apreció la sueca y que el escribidor revive gracias a
ella. Una gran ceiba en pleno vigor y magnificencia. Las guardarrayas
bordeadas, unas de palmas y otras, de mangos. Los frutales. El baile de los
negros los domingos, cuando se les permite un alto en el duro trabajo. El
barracón de los esclavos, una especie de muralla baja, construida en torno a
los cuatro lados de un gran patio, con un portón por un lado, que se cierra por
la noche. Dentro de esa muralla están las viviendas de los esclavos —una
habitación para cada familia, y en el centro del patio, la cocina y el lavadero.
Felipe anda por los 25 años, y Esteban, que llegaría a ser el más famoso de los
dos, por los 20. La señora de la casa, la esposa de Chartrand-Dubois, tiene
dotes musicales y una voz que es verdaderamente un placer escuchar. Da muestras
de un carácter tan tranquilo y suave, como activo y vivaz es el del marido, un
francés oriundo de Santo Domingo que hizo su fortuna gracias a la suerte, y es
vivo, charlatán y cortés, y posee gran agudeza y sagacidad.
Con la aprobación del congreso
No se ponen de acuerdo los
investigadores al fijar el lugar exacto donde William Rufus King juró como
vicepresidente de los Estados Unidos.
Algunos insisten en que la ceremonia
se efectuó en la Cumbre, la residencia de William Updike, hacendado e intérprete
de la Marina española. Otros, en un barco de guerra que Washington envió a
Matanzas para la ocasión. La versión oficial asegura que ese juramento se llevó
a cabo en La Habana. Es poco probable porque a esas alturas Rufus se encontraba
muy enfermo y en ese estado no se trasladaría a la capital de la Isla. Por otra
parte, el Fulton, un buque de la Marina de Guerra norteamericana, que lo llevó
a Matanzas, fue el mismo que lo regresó a Estados Unidos, y esa embarcación,
con su ilustre pasajero a bordo, zarpó de la bahía de la Atenas de Cuba.
Queda entonces la hipótesis
sostenida por Raúl Ruiz, de que la ceremonia del juramento tuvo lugar en el
predio de los Chartrand.
Se acercaba la fecha de la toma de
posesión, y Rufus comprendió que le resultaría imposible hacer el viaje. Sus
correligionarios y amigos inician entonces las gestiones para lograr la
autorización, a fin de que el juramento se efectuara en Cuba.
La petición contó con la aprobación
del Congreso. En virtud de la decisión, William Sharley, cónsul de Estados
Unidos en La Habana, se personaría en Matanzas y tomaría juramento a Rufus en
el ingenio Adriadna. Llegado el momento, hubo que sostenerlo por los brazos
para cumplir con las formalidades.
Concluida la ceremonia, Rufus King
conversó con los asistentes y se retiró a una habitación. Doce días después
partía de regreso a Estados Unidos. En el puerto de Mobile una multitud
aguardaba al viajero que, tras una breve estancia en el lugar, remontó el río
Alabama hasta su hacienda, en Dallas, donde murió.
La legislatura territorial de Oregón
creó el condado King en su nombre. Muchos años después, las autoridades de esa
localidad enmendaron la designación y su logo para honrar la memoria de Martin
Luther King, el héroe afroamericano que luchó contra la discriminación racial.
Ciro Bianchi
Ross
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