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lunedì 21 luglio 2014

Daniel Santos, l'inquieto diavoletto di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 20/7/14


Pochi cantanti, come il portoricano Daniel Santos, contribuirono a fondere in un solo stile I modi di creare e cantare per Portorico e Cuba. Il suo lungo contatto col meglio della musica cubana degli anni ’40 e ’50 del secolo passato gli conferì un marchio di cubania bene percepibile in tutte le sue interpretazioni e composizioni, ciò che gli assicura un titolo di merito fra i grandi cantori della musica cubana del XX secolo. “El jefe”, come lo si chiama in Colombia e ricorda Gabriel García Márquez in alcuna delle sue cronache, fu un esponente eccezionale della musica popolare e ballabile del Caribe.
Fu alla fine del 1946 quando, il pure portoricano Bobby Capó lo presentó, all’Avana a Amado Trinidad, l’allora potente proprietario della RCH Cadena Azul. Da quell’incontro scaturì un contratto con Santos. Debuttò col piede giusto nel cosiddetto Palazzo della Radio, l’emittente di Prado 53. Il numero iniziale della trasmissione di quel giorno era Anacobero, del pure portoricano Andrés Tallada. Per errore, l’annunciatore presentò daniel come “l’anacobero”. A partire da questo momento lo identificarono con questo soprannome che si rese famoso nell’Isola e al quale si aggiunse quelo di “inquieto” che corrispondeva al carattere e alla personalità del cantante. Con il suo modo di cantare, l’Inquieto anacobero aveva impressionato l’Avana, tanto quanto questa città impressionava l’artista.
Che Avana abbagliò Daniel Santos? Josean Ramos nel suo libro sul musicista portoricano – Vengo a dire addio ai ragazzi, 1991 – dice che lo abbagliò “il delizioso camminare durante i tramonti per quell’Avana che allora aveva i migliori cabaret del mondo, con le donne più erotiche che abbiano visto occhi umani”. Aggiunge  di seguito che in questi centri notturni si presentavano “i migliori spettacoli del momento”, con Ester Borja e Jorge Negrete, Celia Cruz, il trio Los Panchos e la rumbera Ninon Sevilla, mentre la radio faceva ascoltare Miguelito Valdés, la Sonora Matancera, Panchito Riset, cascarita...” e tutti i cantanti “rumberos” e musicisti preferiti da un pubblico esigente.
E fu precisamente questo pubblico esigente di Cuba quello che modellò, poco a poco, modellarono Daniel Santos come uno dei grandi cantanti del mondo hispano dell’epoca, scrivono Olavo Alén e Ana Victoria Casanova nel loro saggio pDietro l’orma dei musicisti portoricani a Cuba. Precisano: “Durante 15 anni, Daniel Santos entrava e usciva da Cuba verso New york o altre città, del continente sudamericano, e ad ogni ingresso riconfermava la sua condizione di grande interprete della musica”.
Santos conservò sempre un buon ricordo di Amado Trinidad, “il primo imprenditore cubano – asseriva – che pagò un compenso decente alla radio”, ma quando i due uomini si incontrarono, il portoricano contava già anni di iniziazione nella musica cubana. Questa iniziazione fu nel 1941 quando, a causa di una discussione, il cantante cubano Miguelito Valdés abbandona l’orchestra di Xavier Cugat. Cugat allora chiede a Santos di cantare con la sua orchestra al Waldorf Astoria di New York. In quel momento, il portoricano cantava nel Cuban Casino e cominciava a farsi conoscere dal pubblico cubano.
Dopo il contratto con la RHC Cadena Azul, ci furono alti e bassi. In Radio Cadena Suaritos, dell’Avana, si alternò per un breve periodo con interpreti come Toña la Negra e in Radio Progreso cantò con l’accompagnamento di quello che alcuni considerano uno dei grandi gruppi musicali di tutti i tempi, la Sonora Matancera. Con questa formazione passa a CMQ e si presenta in “Cascabeles Candado”, forse il programma di maggior audience del momento. Lo stesso Daniel in un occasione disse: “C’è chi sostiene che io ho creato la Sonora Matancera. Altri che la Sonora ha creato me. Ci siamo beneficiati reciprocamente...” Certo è che col primo disco che ha inciso con questa orchestra, Daniel Santos, raggiunse il vertice della fama. Pezzi che poi portò all’acetato, con l’appoggio della Sonora Matancera, sono trascesi nel tempo e alla stessa vita dell’interprete. Tali sono gli esempi di Noche de ronda, di Agustín Lara: Cuidadito compay gallo, di Ñico Saquito e Dos gardenias di Isolina Carrillo: “gardenie che non appassiscono da che lui le ha coltivate col suo canto.

L’altalena della vita

“L’oligarchia avrebbe desiderato bruciarlo, alimentando la fiamma coi suoi dischi. I piccolo borghesi di sinistra lo trattarono come ‘oppio del popolo’. È che era il cantore dell’emarginazione, ovvero della maggioranza. Era un re per gli operai, negri, disoccupati, malviventi, donne di casa e prostitute. I suoi boleri, guarachas, mambo e son erano presenti in compleanni, nozze, feste popolari e bar di infimo grado, scrive il colombiano Hernando Calvo Ospina. Aggiunge che all’inquieto anacobero lo si venerava e non lo elevarono agli altari per puro miracolo.
Nacque nel 1916 a Santurce, Portorico, figlio di un falegname e di una sarta. Dovette lasciare presto la scuola elementare a andare per le strade a lucidare scarpe. Aveva nove anni quando la sua famiglia si installò a New York. Nonostante il cambio geografico, la situazione non migliorò e per aiutare il bilancio dei suoi, vendette ghiaccio e carbone, ramazzò strade e sturò cloache. Il suo ingresso nella musica fu casuale e fors c’è molta leggenda nella storia. Si dice che un pomeriggio cantasse sotto la doccia e la sua voce si sentisse in strada quando, capitò che passasse di lì il componente di un trio musicale. Il tipo, ammirato, volle conoscerlo. Insistette. Sulla porta di casa con un asciugamano allacciato in vita, Santos accettò di far parte di quel gruppo. Così cominciò la sua vita di cantante. Dopo, nel 1938, conobbe il suo compatriota e compositore Pedro Flores, incontro che risultò decisivo nella vita del futuro anacobero.
A partire da lì, si formò e girò per tutta l’America con uno stile unico lasciando al suo passaggio, dice Miguel López Ortíz, una sequela di leggende, ricordi incancellabili, un aneddotario monumentale, moltissime registrazioni e in non pochi casi, figli. Partecipa a films come Ángel caído, produzione cubano-messicana del regista José Ortega; Rtmos del Caribe e Rumba in televisione, quest’ultimo con la regia di Evelia Joffre e le interpretazioni di Rolando Ochoa e Lolita Berrios.
Cuba gli ispirò non pochi dei 400 pezzi che diceva di aver scritto. Fra questi il bolero L’altalena della vita, composta dopo una passeggiata sul Malecón, Lasciami vedere mio figlio, reclamo a sua moglie Eugenia che gli impediva l’incontro con Danielito e Vergine della carità che scrisse essendo prigioniero nel Castillo del Principe. Amicone è un’altra di queste composizioni e descrive, meglio che in qualunque altra delle sue, l’intensa vita di bar e osterie dell’artista.
Si è scritto molto su Daniel Santos. L’immensa maggioranza di articoli e cronache, compreso libri che gli si sono dedicati, si concentrano sul suo lavoro professionale e sopratutto sulla sua vita disordinata e piena di alcol, donne e risse.
Pochi di questi testi ricordano dichiarazioni come questa: “Io entro in qualunque quartiere del mondo, perché in tutti si parla una lingua comune, la lingua della povertà e anche ci siano assassini, malviventi, prostitute e contrabbandieri, mi rispettano sempre. Per altri sono bassifondi, per me no. Io so cos’ha passato questa gente perché sono nato così, e che cazzo. Sono nato povero e al povero danno la colpa di tutti i mali. C’è gente nobile in questi luoghi testimoni di dolore (...) io conosco tutti in questi quartieri dell’America Latina, sono stato in tutti i suoi bar, mi sono dato il cicchetto con tutti i suoi ubriaconi (...) In questi luoghi ci sono pochi soldi ee dove ci sono pochi soldi c’è delinquenza, c’è necessità, si deve rubare. Questa è la realtà di questi settori emarginati che tanto hanno contribuito allo sviluppo della musica popolare latinoamericana”.

In un bar di Maracaibo

Nel 1957, in un bar di Maracaibo Venezuela, Daniel Santos scrisse su un tovagliolo la sua canzone Sierra Maestra. Nessuno volle inciderla a Caracas e dovette inciderla a New York. Ricevette come pagamento le prime mille copie del disco. Poco a poco le vendette e mandò a Cuba pochi esemplari. Una di queste copie venne in potere della guerriglia fidelista che cominciò a trasmetterla con la sua emittente, Radio Rebelde, che trasmetteva dalle montagne orientali. Ciò fece in modo che Daniel Santos venisse accusato di essere comunista e amico personale dei barbudos.
Nei giorni iniziali del 1959, Daniel Santos vide l’ingresso trionfale dell’Esercito Ribelle all’Avana. Nel mese di febbraio si presenta al cabaret Venecia della città di Santa Clara e successivamente nel cabaret Nacional di Prado e San Rafael. Non è più necessario ascoltare la sua canzone Sierra Maestra attraverso la radio clandestina. Assieme a questa, altre melodie salutano la Rivoluzione vittoriosa. Sono i tempi di Fidel è arrivato, interpretata da Rolando Laserie: Come lo sognò Martí, di Juan Arrondo con la voce di Orlando Vallejo: Insalata ribelle e Lettera a Fidel, incise dai popolarissimi Pototo e Filomeno per il marchio Puchíto. Fajardo e le sue  Le stelle impongono Los Barbudos e Pablo del Río “l’Usignolo di Spagna” presenta, a tempo di pasodoble, Ali di libertà, Miguel Ángel Ortíz da a conoscere la bellissima Canzone di libertà, di cui lo scriba ricorda alcune strofe.
Tornò all’Isola nell’agosto del 1960, quando fu espulso dal Costarica. Si celebrava a San José, capitale di questo paese del Centro America, la VI Riunione della Consulta degli Stati Americani dei Ministri degli Esteri dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA). Washington preparava il terreno per espellere Cuba da questo organismo continentale e circoli ufficiali costaricensi non nascondevano la loro ostilità verso la delegazione cubana che era capeggiata dal cancelliere Raúl Roa e il gruppo dei giornalisti di Prensa Latina, capitanato dal suo direttore Jorge Masetti. La polizia aveva cercato di evitare, levando bandiere e cartelloni, che i simpatizzanti con la Rivoluzione Cubana salutassero i suoi delegati, all’aeroporto. Le autorità avevano dato il permesso per un atto di solidarietà con Cuba in cui avrebbe partecipato Roa, ma al giungervi il ministro e la sua comitiva trovarono un cordone di polizia che impediva loro l’accesso. Roa volle superare l’assedio e fu al punto di essere vittima di un’aggressione. Mancò poco perché fossero sfoderate le armi dei custodi di Roa e del gruppo di poliziotti costaricensi. Daniel santos avrebbe cantato in questo atto. Non solo gli si impedì di farlo, ma decisero di espellerlo dal Paese. L’ambasciata cubana, allora, gli offrì ospitalità e il giorno seguente partì per l’Avana.
Lo scriba non può precisare se questa fu proprio la sua ultima visita. Ma quella città non era già più quella che conosceva e rimpiangeva. Si rese conto che la svolta sociale che prendeva l’Isola si allontanava sempre più dai suoi interessi. Se ne andò di nuovo e non tornò mai al Paese che gli dette tanta fama. Morì a Ocala, Florida, nel 1992.


Daniel Santos, “el Inquieto anacobero”
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
19 de Julio del 2014 22:14:13 CDT

Pocos cantantes como el puertorriqueño Daniel Santos contribuyeron a
fundir en un solo estilo los modos de crear y cantar por Puerto Rico y
Cuba. Su largo contacto con lo mejor de la música cubana de los años
40 y 50 de la centuria pasada le confirió un sello de cubanía bien
perceptible en todas sus interpretaciones y composiciones, lo que le
asegura un sitial meritorio entre los grandes cantores de la música
cubana del siglo XX. “El Jefe”, como se le llama en Colombia y
recuerda Gabriel García Márquez en alguna de sus crónicas, fue un
exponente excepcional de la música popular bailable del Caribe.
Fue a finales de 1946 cuando el también puertorriqueño Bobby Capó lo
presentó en La Habana a Amado Trinidad, el entonces poderoso
propietario de la RHC Cadena Azul. De aquel encuentro surgió un
contrato para Santos. Debutó con el pie de la buena suerte en el
llamado Palacio de la Radio, la emisora de Prado 53. El número inicial
de la emisión de ese día era la canción Anacobero, del también
puertorriqueño Andrés Tallada. Por una equivocación, el locutor
presentó a Daniel como “el anacobero”. A partir de ese momento lo
identificaron por ese mote, que se hizo famoso en la Isla y al que se
le añadió el de “inquieto”, que correspondía con el carácter y la
personalidad del cantante. Con su modo de cantar el Inquieto anacobero
había impresionado a La Habana, tanto como esta ciudad impresionaba al
artista.
¿Qué Habana deslumbró a Daniel Santos? Josean Ramos en su libro sobre
el músico puertorriqueño --Vengo a decirle adiós a los muchachos, 1991--
dice que lo deslumbró el “delicioso caminar durante los atardeceres
por aquella Habana que entonces poseía los mejores cabarés del mundo
con las mujeres más eróticas que hayan visto ojos humanos”. Añade a
renglón seguido que en esos centros nocturnos se presentaban “los
mejores espectáculos del momento”, con Esther Borja y Jorge Negrete,
Celia Cruz, el trío Los Pancho y la rumbera Ninón Sevilla, mientras
que la radio dejaba escuchar a Miguelito Valdés, la Sonora Matancera,
Panchito Riset, Cascarita... “y todos los cantantes, rumberos y músicos
preferidos por los públicos exigentes”.
Y fueron precisamente esos públicos exigentes de Cuba los que poco a
poco moldearon a Daniel Santos como uno de los grandes cantantes del
mundo hispano de la época, escriben Olavo Alén y Ana Victoria Casanova
en su ensayo Tras la huella de los músicos puertorriqueños en Cuba.
Precisan: “Durante 15 años, Daniel Santos estuvo entrando y saliendo
de Cuba hacia Nueva York o hacia otras ciudades del continente
sudamericano y en cada entrada reafirmaba su condición de gran
intérprete de la música”.
Santos guardó siempre un buen recuerdo de Amado Trinidad, “el primer
empresario cubano --aseguraba-- que pagó un sueldo decente en la radio”,
pero cuando ambos hombres se encontraron, ya el puertorriqueño llevaba
años de iniciado en la música cubana. Ese inicio ocurrió en 1941
cuando, a causa de una discusión, el cantante cubano Miguelito Valdés
abandona la orquesta de Xavier Cugat. Cugat pide entonces a Santos que
cante con su orquesta en el hotel Waldorf Astoria, de Nueva York. Para
entonces, el puertorriqueño cantaba en el Cuban Casino y empezaba a
darse a conocer por el público cubano.
Después del contrato con la RHC Cadena Azul vinieron altas y bajas. En
Radio Cadena Suaritos, de La Habana, alternó durante una corta
temporada con intérpretes como Toña la Negra, y en Radio Progreso
cantó con el acompañamiento de la que algunos consideran una de las
grandes agrupaciones musicales de todos los tiempos, la Sonora
Matancera. Con esta agrupación pasa a CMQ y se presenta en Cascabeles
Candado, quizá el programa de mayor audiencia en ese momento. El mismo
Daniel dijo en una ocasión: “Hay quienes sostienen que yo hice a la
Sonora Matancera. Otros, que la Sonora me hizo. Nos beneficiamos
mutuamente...”. Lo cierto es que con el primer disco que grabó con esa
orquesta alcanzó Daniel Santos la cúspide de la fama. Piezas que
entonces llevó al acetato, con el respaldo de la Sonora Matancera,
trascendieron en el tiempo a la propia vida del intérprete. Tales son
los casos de Noche de ronda, de Agustín Lara; Cuidadito compay gallo,
de Ñico Saquito, y Dos gardenias, de Isolina Carrillo; “gardenias que
no se marchitan desde que él las cultivó con su canto”.

El columpio de la vida

“La oligarquía hubiera deseado quemarlo, atizando la candela con sus
discos. Los pequeños burgueses de izquierda lo trataron como otro
<opio del pueblo>. Es que era un cantor de la marginalidad, o sea, de
las mayorías. Era rey para obreros, negros, desempleados, matones,
amas de casa y putas. Sus boleros, guarachas, mambos y sones
estuvieron en cumpleaños, bodas, fiestas de pueblo y bares de "mala
muerte", escribe el colombiano Hernando Calvo Ospina. Añade que al
inquieto anacobero se le veneraba y de puro milagro no lo elevaron a
los altares.
Nació en 1916, en Santurce, Puerto Rico, hijo de un carpintero y de
una costurera. Pronto tuvo que abandonar los estudios primarios y
salir a la calle a limpiar zapatos. Tenía nueve años cuando su familia
se instaló en Nueva York. Pese al cambio de geografía, la situación no
mejoró y, para ayudar al sustento de los suyos vendió hielo y carbón,
barrió calles y destupió cloacas. Su entrada en la música fue casual y
quizá haya mucho de leyenda en la historia. Se dice que una tarde
cantaba bajo la ducha y su voz se oía en la calle cuando acertó a
pasar por allí el integrante de un trío musical. El tipo, admirado,
quiso conocerlo. Insistió. En la puerta de la casa, con una toalla
enrollada en la cintura, Santos aceptó ser parte de ese grupo. Así
empezó su vida de cantante. Luego, en 1938, conoció a su compatriota y
compositor Pedro Flores, encuentro que resultaría decisivo en la vida
del futuro anacobero.
A partir de ahí se labró y paseó por toda América con un estilo único,
dejando a su paso, dice Miguel López Ortiz, una estela de leyenda,
recuerdos imborrables, un anecdotario monumental, muchísimas
grabaciones e hijos en no pocos casos. Interviene en filmes como Ángel
caído, producción cubano-mexicana del director José Ortega; Ritmos del
Caribe y Rumba en televisión, con dirección este último de Evelia
Joffre y las actuaciones de Rolando Ochoa y Lolita Berrios.
Cuba le inspiró no pocas de las 400 piezas que decía haber escrito.
Entre estas, el bolero El columpio de la vida, compuesta tras una
caminata por el Malecón, Déjame ver a mi hijo, reclamo a su esposa
Eugenia que le impedía el encuentro con Danielito, y Virgen de la
Caridad, que escribió estando preso en el Castillo del Príncipe.
Amigote es otra de esas composiciones y describe, mejor que en
cualquier otra de las suyas, la intensa vida de bares y cantinas del
artista.
Mucho se ha escrito acerca de Daniel Santos. La inmensa mayoría de los
artículos y crónicas, incluso libros que se le han dedicado, se
centran en su quehacer profesional y sobre todo en su vida desordenada
y repleta de alcohol, mujeres y riñas.
Pocos de esos textos recuerdan declaraciones como esta: “Yo entro a
cualquier barrio del mundo, porque en todos se habla un idioma común,
el idioma de la pobreza, y aunque haya matones, tecatos, putas y
contrabandistas, siempre me respetan. Para otros, son barrios malos,
para mí, no. Yo sé lo que ha pasado esa gente porque yo nací así, qué
carajo. Nací pobre y al pobre le echan la culpa de todo lo malo. Hay
gente noble en esos lugares atestados de dolor (...) Yo conozco todos
esos barrios de Latinoamérica, he estado en todas sus barras, me he
dado el trago con todos sus borrachos (...) En estos lugares hay poco
dinero, y donde hay poco dinero, hay delincuencia, hay necesidad, hay
que robar. Esa es la realidad de esos sectores marginados que tanto
han contribuido al desarrollo de la música popular latinoamericana”.

En un bar de Maracaibo

En 1957, en un bar de Maracaibo, Venezuela, escribió Daniel Santos,
sobre una servilleta, su canción Sierra Maestra. Nadie quiso grabarla
en Caracas y tuvo que grabarla en Nueva York. Recibió como pago las
primeras mil copias del disco. Poco a poco las fue vendiendo y mandó a
Cuba unos escasos ejemplares. Una de esas copias llegó a poder de la
guerrilla fidelista que comenzó a pasarla por su emisora, Radio
Rebelde, que transmitía desde las montañas orientales. Eso hizo que
Daniel Santos fuera acusado de comunista y de amigo personal de los
barbudos.
En los días iniciales de enero de 1959, Daniel Santos vio la entrada
triunfal del Ejército Rebelde en La Habana. En el mes de febrero se
presenta en el cabaré Venecia, de la ciudad de Santa Clara, y está
después en el cabaré Nacional, de Prado y San Rafael. Ya no se hace
necesario escuchar su canción Sierra Maestra a través de la radio
clandestina. Junto con esta, otras melodías saludan la Revolución
victoriosa. Son los tiempos de Fidel ya llegó, interpretada por
Rolando Laserie; Como lo soñó Martí, de Juan Arrondo en la voz de
Orlando Vallejo; Ensalada rebelde y Carta a Fidel, grabadas por los
popularísimos Pototo y Filomeno para el sello Puchito. Fajardo y sus
estrellas imponen Los barbudos, y Pablo del Río, “el Ruiseñor de
España”, acomete, en tiempo de pasodoble, Alas de libertad. Miguel
Ángel Ortiz da a conocer la bellísima Canción de Libertad, algunas de
cuyas estrofas recuerda todavía el escribidor.
Volvió a la Isla en agosto de 1960 cuando lo expulsaron de Costa Rica.
Se celebraba en San José, capital de ese país centroamericano, la VI
Reunión de Consulta de los Ministros de Relaciones Exteriores de la
Organización de Estados Americanos (OEA). Washington abonaba el
terreno para conseguir la expulsión de Cuba de ese organismo
hemisférico y círculos oficiales ticos no ocultaban su hostilidad
hacia la delegación cubana, que encabezaba el canciller Raúl Roa y el
grupo de periodistas de Prensa Latina,  capitaneado por su director,
Jorge Ricardo Masetti. La Policía había intentado evitar, quitándoles
banderas y pancartas, que los simpatizantes con la Revolución Cubana
saludaran a sus delegados en el aeropuerto. Las autoridades habían
dado el permiso para un acto de solidaridad con Cuba, en el que
participaría Roa, pero al llegar allí el Ministro y su comitiva
encontraron que un cordón policial les vedaba el acceso. Quiso Roa
traspasar el cerco y estuvo a punto de ser víctima de una agresión.
Poco faltó para que quedaran desenfundadas las armas de los custodios
de Roa y del grupo de policías costarricenses. Daniel Santos cantaría
en ese acto. No solo se le impidió hacerlo, sino que decidieron
expulsarlo del país. La Embajada cubana le ofreció entonces
hospitalidad y al día siguiente viajó a La Habana.
No puede precisar el escribidor si esa fue su última visita. Pero ya
aquella ciudad no era la que él conocía y añoraba. Se percató de que
el giro social que tomaba la Isla se alejaba cada vez más de sus
intereses. Se fue de nuevo y nunca más regresó al país que le dio
tanta fama. Falleció en Ocala, Florida, en 1992.
     
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu




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