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lunedì 24 febbraio 2014

Andiamo per parti di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 23/2/14

Lo scriba ha ricevuto dalla Colombia un messaggio. Lo firma Álvaro Mariño e dopo aver assicurato che legge questa pagina per internet ogni settimana, domanda se a Cuba c’è stato un Governo chiamato “dei cinque sergenti” e se qualcuno di loro fosse stato colombiano. Aggiungeva anche informazioni sui laboratori Gómez Plata, ditta farmaceutica stabilitasi a Cuba dopo essere nata nel Paese sudamericano, dove mantenne una filiale.
Andiamo per parti. Non è esistito, a Cuba, un Governo di sergenti. Ci fu, effettivamente, il 4 settembre del 1934, un colpo di Stato protagonizzato da varie classi di soldati. La cosiddetta Giunta degli Otto, o Giunta della Difesa o Unione Militare Rivoluzionaria ed erano. Il sergente maggiore Pablo Rodríguez, il primo sergente José Eleuterio Pedraza, il sergente Manuel López Migoya, il sergente della Sanità Juan A. Estevez Maymir, il caporale Ángel Hechevarría, il soldato mario Alfonso Hernández e il soldato di Sanità Ramón Cruz Vidal. Componeva inoltre la Giunta il sergente maggiore (stenografo) Fulgencio Batista y Zaldívar che si aggiunse più tardi al movimento e finì controllandolo.
Abbatterono, alla data citata, il Governo di Carlos Manuel de Céspedes che era asceso alla presidenza il 12 agosto dello stesso anno, per aprire il passo a un Governo collegiale che prese il nome di Commissione Esecutiva. La componevano il professore universitario Guillermo Portela a carico del portafoglio dello Stato e Giustizia, il giornalista Sergio Carbó – Governo, Difesa e Marina e Comunicazioni -, il banchiere Porfirio Franca a carico del Ministero dell’Industria, l’avvocato José M. Irisarri per i settori delle Opere Pubbliche, Agricoltura, Commercio e lavoro; il medico e professore universitario Ramón Grau San Martín nei portafogli di Pubblica Istruzione, Belle Arti, Salute e beneficenza. Siccome gli integranti erano cinque, la Commissione Esecutiva si chiamò Pentarchia e pentarchi i suoi membri. La Commissione Esecutiva cessò le sue funzioni il 9 settembre, cinque giorni dopo di averli assunti, quando si decise di impiantare un Governo presidenziale e Grau San Martin è asceso alla prima magistratura.
Altri sergenti che appoggiarono al Giunta al momento del golpe del 4 settembre e furono ben compensati per quello, erano spagnoli di nascita. Sono i casi, non credo unici, di un soggetto che rispondeva al curioso nome di Ulsiceno Franco Genero che, già coi gradi di Comandante, sarebbe stato Capo della Polizia all’Avana e Jaime Mariné che venne a Cuba nel 1924 per portare un cavallo che il re Alfonso XIII di Spagna, inviò per regalo al maggior generale Mario García Menocal che aspirava nuovamente alla Presidenza, tentativo che perse definitivamente davanti al generale Gerardo Machado. Mariné, ex cavallerizzo, si arruolò nell’Esercito, ascese a Comandante dopo il golpe, fu Direttore Generale dello Sport, aiutante e testa di legno di Batista. Si convertirà in un prospero uomo d’affari.
Nessuno dei menzionati, tanto della Giunta degli Otto che della Pentarchia, è nato in Colombia. La confusione del lettore Álvaro Mariño viene perché nel suo Paese durante gli anni, non poche volte si aggiudicò a Batista la nazionalità colombiana. Così fece un’agenzia internazionale di stampa che nel luglio del 2005 trasmise una nota, presa da un importante giornale di Bogotà, dove si affermava che Batista era nato in Colombia.
Gli autori dell’investigazione, il dottor Moisés Morantes, medico appassionato di storia e il giornalista Jaime Ibañez, conclusero che il dittatore cubano vide la luce a El Carmen de Bolivar, località sita a1000 km dalla capitale colombiana, nella regione dei Monti di María. Da lì, dicono, il figlio di Rosa Zaldivar, impiegata domestica e di Alejandro Batista, un amico della casa dove lei prestava servizio, emigrò a Cuba per dedicarsi alla coltivazione del tabacco, che pure si raccoglieva ne El Carmen.
Sono molti, a El Carmen, - ricordava Morantes – che ripetono senza vacillare che Batista era oriundo del luogo e così lo affermò, in una notizia di prima pagina, il settimanale Ecos de la Montaña, in data tanto lontana come il 1° giugno del 1940. Però non basta che qualcosa si dica e si ripeta perché sia la verità e quel che è certo è che il medico, divenuto storico, non apporta una sola prova sostanziale che supporti quello che afferma.
In modo che non figurò nessun colombiano nella Giunta degli Otto. Con relazione all’altra domanda del lettore Álvaro Mariño, mi affido a Las empresas de Cuba, 1958, di Guillermo Jiménez. Questa produttrice di medicine operava sotto il nome di Laboratorios O.K. de Cuba S.A. e aveva sede in Monserrate n. 566, all’Avana. Era proprietà di Jorge Gómez Plata, che fungeva da amministratore-gestore dell’azienda che aveva come medicinale di punta l’analgesico denominato OK Gómez Plata.
Si candidò
Nella pagina del 22 dicembre del 2013 (Carteggi privati di Clavelito) lo scriba confessava di non essere sicuro che Clavelito, il popolare improvvisatore, si fosse candidato o no per occupare un posto alla Camera dei Rappresentanti. Suo figlio minore, Narciso, diceva che credeva che si lo avesse fatto, ma non ne era sicuro perchè lui non era ancora nato, allora, mentre sua figlia Rosita diceva: “In realtà egli non era un politico, ma i politici dell’epoca lo scelsero perché era famoso e aveva molto seguito”. “In ogni modo - assicurava allo scriba – se si candidò non fu eletto”.
Al riguardo scrive, da Portorico il musicografo Cristóbal Díaz Ayala. Nel suo breve messaggio elettronico dice: Ti copio dal mio libro Música cubana; del areito al rap cubano, pagina 289: “Nel 1954 ci sono le elezioni e diversi artisti sono candidati: Manolo Fernández, Leopoldo Fernández, Enrique Santisteban e un musicista, Clavelito. È un simulacro di elezioni che indice Batista per dare legalità alla sua dittatura. Di fronte a Batista si candida Grau, che poche ore prima delle elzioni si ritira per mancanza di garanzie. Credo che tutti i candidati fossero del partito di Grau e, naturalmente, non vennero eletti”.
La Corte Suprema
Una signora di mezza età, con cui condivido un “almendron” (taxi collettivo, n.d.t.) nell’andare al Vedado, mi domanda su “La Corte Suprema del Arte” che non giunse a conoscere. Sì, ricorda il programma di José Antonio Alonso in TV e vorrebbe conoscere le similitudini e differenze fra i due, adesso che il programma “A puro corazón”, di Gloria Torres, sta facendo strada alla televisione a cantanti non professionisti.
“La Corte Suprema del Arte” fu uno dei programmi più popolari e polemici della radio cubana. Sorse in momenti in cui abbisognava rinforzare e rinnovare il quadro lirico in questo mezzo. Vale a dire, lanciare all’aria nuove figure, le cosiddette stelle nascenti, al fine di trovare un rilievo per i veterani. Tutti coloro che si presentavano in quello spazio erano dilettanti e l’applauso del pubblico decideva chi fosse il vincitore.
Non fu, in quel momento, un avvenimento interamente nuovo. Prima, in uno spazio che si chiamò precisamente “Programma de aficionados”, che andava in onda con l’emittente radio CMW, René Cañizares tentó un esperimento molto simile quando una giuria composta da artisti professionisti, selezionava le migliori prestazioni di coloro che volevano inserirsi nel mondo artistico. Ma “Programa de aficionados”, copiato da un modello nordamericano, non progredì per mancanza di iniziative.
Quando Miguel Gabriel e Ángel Cambó, proprietari allora della CMQ, vollero dar maggior struttura ai loro programmi di musica e varietà, si trovarno con una difficoltà: le poche figure liriche di cui disponevano pretendevano onorari troppo alti per l’epoca e per le reali pssibilità dell’emittente. Fu allora che idearono la formula d’ingresso agli spettacoli dei dilettanti che potevano convertirsi in stelle della radio. Da lì nacque la frase che si usa ancora “Gli hanno suonato la campana”, per indicare che qualcuno è impossibilitato a raggiungere il traguardo in quanto l’altro glie lo impedisce. Perché ne “La Corte Suprema del Arte” si suonava la campana a quel cantante o dicitore, che fosse davvero scarso.
Questa campana che, dalla cabina di regia e fuori dalla vista del pubblico e dello stesso interprete, Miguel Gabriel faceva suonare, dette iniziale attrattiva al programma che cominciò ad andare in onda il 1° dicembre del 1937, dagli studi che questa emittente aveva in Monte quasi all’angolo con Cárdenas, all’Avana e da quelli a cui si giunge in modo invariabile per comodità, ubicati in Monte e Prado.
Subito i premi e regali che si aggiudicavano i vincitori attrassero una grande quantità di aspiranti. E José Antonio Alonso, conosciuto fino ad alloraq come declamatore e commentarista, consolidò il programma con la sua originale conduzione.
Alonso aveva un suo proprio stile e cultura, sapeva improvvisare e i suoi commenti erano sempre attinenti al caso. Rese famosa una frase con cui si iniziava l’inizio della prova: “A chi lo dedica?”, domandava all’aspirante Questi rispondeva e immediatamente Alonso, dirigendosi al direttore d’orchestra aggiungeva. “Musica maestro!”, formula che si usa ancora in non pochi spettacoli al mondo.
Sorse così una pleiade di giovani talenti lanciati dalla CMQ. Con il suo patrocinio erano presenti in feste e cerimonie, non solo nella capitale; anche in città dell’interno dell’Isola e molti di loro non tardarono nl consolidarsi ed a capitalizzare le simpatie del pubblico.
Tutto il procedimento de “La Corte Suprema del Arte” è polemico, afferma Oscar Luís López nel suo libro La radio en Cuba. Si lanció contro l’alto costo dei consacrati e sfoció in una spinta potente di rinnovamento. Cadde più tardi – afferma Oscar Luís – in eccessi e ci furono, mescolati con la legittima vittoria di alcuni buoni dilettanti, maneggi equivoci, sfruttamento, intrighi e crte intimità che dettero motivo a critiche severe.
Inoltre fu l’espressione della fiera competenza commerciale che, in quegli anni, cominciava a farsi sentire nella radio. “La Corte Suprema del Arte” fu patrocinata, all’inizio, dalla Competidora Gaditana, “la sigaretta ineguagliabile”, come diceva il suo slogan. Nell’ottenere un successo sensazionale, il programma, Miguel Gabriel in una delle sue giocate audaci, elevò in modo inusitato la cifra che doveva pagare l’inserzionista e obbligò in tal modo la Competidora a lasciare il campo libero ad un’azienda rivale, quella delle sigarette Regalías el Cuño, che preventivamente si era compromessa a pagare 12.000 pesos mensili per lo spazio. Cifra fuori dal comune in quei momenti e che segnò il primo passo verso gli alti preventivi d’investimento nella radio.
Al margine di tutto, senza dubbio, “La Corte Suprema del Arte” svelò e dette impulso a molti valori duraturi. Lì ci sono i nomi di Rosa Fornés, Raquel Revuelta, Elena Burke, Rámon Veloz, Obdulia Brejio, il duo Hermanas Martí, Natalia Herrera, Armando Bianchi...
Negli anni ’50 del secolo scorso si volle riviverla in CMQ Televisione. Allora si chiamò “Il programma di José Antonio Alonso” e si mise nell’orario del pomeriggio. Del suo predecessore, di quella prima “Corte Suprema del Arte”, ereditò la campana e Alonsò continuò con la sua buona presentazione. Nonostante si aggiudicasse alcuni successi, però, non giunse mai ad essere come “La Corte Suprema del Arte”.
Il titolo
Davo già per terminata questa pagina quando, nel rileggerla, il suo titolo i fece ricordare un aneddoto, vero o attribuito al dittatore Gerardo Machado. Dicono che l’uomo iniziasse a Santiago de Cuba un giro politico per la regione orientale e commentò a quelli della sua comitiva. “Mañana, cuando váyamo a Manzanillo...”. Qualcuno osò correggerlo: “Non váyamo, vayamos”, “No – disse Machado – a Manzanillo vamos mañana; a Bayamo vamos después”.
Il gioco di parole dato dalla fonética váyamo, vayamos, Bayamo non è traducibile in italiano (n.d.t)


Vayamos por partes

Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
22 de Febrero del 2014 19:43:33 CDT

Un mensaje procedente de Colombia recibió el escribidor. Lo firma
Álvaro Mariño y luego de asegurar que lee esta página en la Internet
semana tras semana, pregunta si hubo en Cuba un Gobierno llamado <<de
los cinco sargentos>> y si alguno de ellos era colombiano. Recaba
asimismo información sobre los laboratorios Gómez Plata, firma
farmacéutica establecida en Cuba luego de haberse originado en el país
sudamericano, donde mantenía una filial.
Vayamos por partes. No existió en Cuba un Gobierno de sargentos. Hubo,
sí, el 4 de septiembre de 1933, un golpe de Estado protagonizado por
un grupo de clases y soldados. Conformaban la llamada Junta de los
Ocho, Junta de Defensa o Unión Militar Revolucionaria, y eran el
sargento mayor Pablo Rodríguez, el sargento primero José Eleuterio
Pedraza, el sargento Manuel López Migoya, el sargento sanitario Juan
A. Estévez Maymir, el cabo Ángel Echevarría, el soldado Mario Alfonso
Hernández y el soldado sanitario Ramón Cruz Vidal. Integraba también
la Junta el sargento mayor (taquígrafo) Fulgencio Batista y Zaldívar,
que se sumó tarde al movimiento y terminó controlándolo.
Derrocarían, en la fecha señalada, al Gobierno de Carlos Manuel de
Céspedes, que había accedido a la Presidencia el 12 de agosto del
mismo año, para dar paso a un Gobierno colegiado que recibió el nombre
de Comisión Ejecutiva. La componían el profesor universitario
Guillermo Portela, a cargo de las carteras de Estado y Justicia; el
periodista Sergio Carbó --Gobernación, Guerra y Marina y
Comunicaciones--, el banquero Porfirio Franca, a cargo de la Secretaría
de Hacienda; el abogado José M. Irisarri, para los sectores de Obras
Públicas, Agricultura, Comercio y Trabajo; y el médico y profesor
universitario Ramón Grau San Martín en las carteras de Instrucción
Pública y Bellas Artes, Sanidad y Beneficencia. Como eran cinco sus
integrantes, se llamó Pentarquía a la Comisión Ejecutiva, y pentarcas
a sus miembros. La Comisión Ejecutiva cesó en sus funciones el 9 de
septiembre, cinco días después de haberlas asumido, cuando se decidió
implantar un Gobierno presidencial y Grau San Martín es exaltado a la
primera magistratura.
Otros sargentos que apoyaron a la Junta en el momento del golpe del 4
de septiembre y fueron bien recompensados por ello, eran españoles de
nacimiento. Son los casos, y no creo que sean los únicos, de un sujeto
que respondía al curioso nombre de Ulsiceno Franco Granero, quien, ya
con grados de Comandante, sería jefe de la Policía en La Habana, y
Jaime Mariné, que vino a Cuba en 1924 para traer un caballo que el rey
Alfonso XIII, de España, envió de regalo al mayor general Mario García
Menocal, el cual aspiraba de nuevo a la Presidencia, intento que en
definitiva perdió frente al general Gerardo Machado. Mariné, ya
excaballerizo, se enroló en el Ejército, ascendió a Comandante después
del golpe, fue Director General de Deportes y ayudante y testaferro de
Batista. Se convertiría en un próspero hombre de negocios.
Ninguno de los mencionados, tanto de la Junta de los Ocho como en la
Pentarquía, nació en Colombia. La confusión del lector Álvaro Mariño
viene porque en su país y a lo largo de los años no pocas veces se
adjudicó a Batista la nacionalidad colombiana. Así lo hizo una agencia
internacional de prensa que en julio del 2005 propagó una nota, tomada
de un importante diario bogotano, en la que se afirmaba que Batista
había nacido en Colombia.
Los autores de la investigación, el doctor Moisés Morantes, médico
apasionado por la historia, y el periodista Jaime Ibáñez, concluyeron
que el dictador cubano vio la luz en El Carmen de Bolívar, localidad
situada a mil kilómetros de la capital colombiana, en la región de los
montes de María. De allí, dicen, el hijo de Rosa Zaldívar, empleada
doméstica, y de Alejandro Batista, un amigo de la casa donde ella
hacía el servicio, emigró a Cuba para dedicarse al cultivo del tabaco,
que también se cosechaba en El Carmen.
Son muchos en El Carmen --recordaba Morantes-- que repiten sin
vacilación que Batista era oriundo del lugar y así lo aseguró, en una
información de primera plana, el semanario Ecos de la Montaña, en
fecha tan lejana como el 1ro. de junio de 1940. Pero no basta que algo
se diga y se repita para que sea verdad y lo cierto es que el médico
devenido historiador no aporta una sola prueba sustancial que calce lo
que asevera.
De manera que no figuró ningún colombiano en la Junta de los Ocho. Con
relación a la otra pregunta del lector Álvaro Mariño, me remito a Las
empresas de Cuba, 1958, de Guillermo Jiménez. Esa productora de
medicamentos operaba bajo el nombre de Laboratorios O.K. de Cuba S.A.,
y tenía su sede en Monserrate No. 566, en La Habana. Era propiedad de
Jorge Gómez Plata, quien fungía como administrador-gerente de la
empresa que tenía como medicamento insignia el analgésico denominado
OK Gómez Plata.

Sí se postuló

En la página del 22 de diciembre de 2013 (Papeles privados de
Clavelito) confesaba el escribidor no estar seguro de que Clavelito,
el popular improvisador, se hubiese postulado o no para ocupar un
puesto en la Cámara de Representantes. Su hijo menor, Narciso, decía
que creía que sí lo había hecho, pero no estaba seguro porque no era
nacido entonces, mientras que su hija Rosita decía: <<En realidad, él
no era político, pero los políticos de la época lo escogieron porque
era famoso y tenía muchos seguidores>>. <<De cualquier manera --aseguraba
el escribidor--, si se postuló, no resultó electo>>.
Escribe al respecto desde Puerto Rico el musicógrafo Cristóbal Díaz
Ayala. Dice en su breve mensaje electrónico: <<Te copio de mi libro
Música cubana; del areito al rap cubano, página 289: "Hay elecciones
en el año de 1954, y varios artistas son candidatos: Manolo Fernández,
Leopoldo Fernández, Enrique Santisteban y un músico, Clavelito". Es un
simulacro de elecciones que hace Batista para darle legalidad a su
dictadura. Frente a Batista se postula Grau, quien horas antes de las
elecciones se retracta por falta de garantías. Creo que todos los
postulados eran del partido de Grau, y claro, no salieron>>.

La corte suprema

Una señora de mediana edad, con la que comparto un <<almendrón>> camino
del Vedado, me pregunta sobre La Corte Suprema del Arte, que no
alcanzó a conocer. Recuerda, sí, el programa de José Antonio Alonso en
TV y quiere precisar semejanzas y diferencias entre ambos, ahora que
el programa A puro corazón, de Gloria Torres, está dándoles entrada en
la televisión a cantantes no profesionales.
La Corte Suprema del Arte fue uno de los programas más populares y
polémicos de la radio cubana. Surgió en momentos en que se necesitaba
fortalecer y renovar el cuadro lírico en ese medio. Es decir, lanzar
al ruedo a nuevas figuras, las llamadas estrellas nacientes, a fin de
irles buscando relevo a los veteranos. Todos los que se presentaban en
ese espacio eran aficionados y el aplauso del público decidía cuál
resultaba triunfador.
No fue, en su momento, un acontecimiento enteramente novedoso. Antes,
en un espacio que se llamó precisamente Programa de aficionados, que
salía al aire por la radioemisora CMW, René Cañizares intentó un
experimento muy parecido cuando un jurado conformado por artistas
profesionales seleccionaba las mejores actuaciones de aquellos que
querían iniciarse en el mundo artístico. Pero Programa de aficionados,
copiado de un modelo norteamericano, no progresó por falta de
iniciativas.
Cuando Miguel Gabriel y Ángel Cambó, propietarios entonces de la CMQ,
quisieron darles mayor estructura a sus programas de música y de
variedades, se encontraron con una dificultad: las pocas figuras
líricas de las que disponían cobraban honorarios demasiado altos para
la época y las posibilidades reales de la emisora. Fue entonces que
idearon la fórmula de dar entrada espectacular a los aficionados que
pudieran convertirse en estrellas de la radio. De ahí surgió la frase
que todavía se usa de <<Le tocaron la campana>> para indicar que alguien
se ve imposibilitado de llegar a su meta porque otro se lo impide.
Porque en La Corte Suprema del Arte se tocaba ciertamente la campana a
aquel intérprete, cantante o recitador, que fuese notoriamente malo.
Esa campana que, desde la cabina de control y fuera de la vista del
público y del mismo intérprete, hacía sonar Miguel Gabriel, dio
atractivo inicial al programa, que comenzó a salir al aire el 1ro. de
diciembre de 1937, desde los estudios que esa emisora tenía en Monte
casi esquina a Cárdenas, en La Habana, y a los que se alude, de manera
invariable y por comodidad, como ubicados en Monte y Prado.
Pronto los premios y los regalos que se llevaban los triunfadores
atrajeron a una cantidad de aspirantes enorme. Y José Antonio Alonso,
conocido hasta entonces como declamador y comentarista, lo consolidó
con su conducción original.
Alonso tenía estilo propio y cultura, sabía improvisar y sus
comentarios eran siempre atinados. Hizo famosa una frase que marcaba
el comienzo de la prueba. <<¿A quién se lo va a dedicar?>>, preguntaba
al aspirante. Respondía este y enseguida Alonso, dirigiéndose al
director de la orquesta, añadía: <<¡Música, maestro!>>, fórmula que aún
se usa en no pocos espectáculos en el mundo.
Surgió así toda una pléyade de valores jóvenes lanzados por CMQ. Con
su patrocinio, estaban en fiestas y ceremonias, no solo en la capital;
también en ciudades del interior de la Isla, y muchos de ellos no
demoraron en consolidarse y capitalizar las simpatías del público.
Todo el proceso de La Corte Suprema del Arte es polémico, afirma Oscar
Luis López en su libro La radio en Cuba. Se inició contra el alto
costo de los consagrados, y derivó en un impulso potente de
renovación. Cayó más tarde --asevera Oscar Luis-- en excesos y hubo,
mezclado con el triunfo legítimo de algunos buenos aficionados, malos
manejos, explotación, intrigas y ciertas intimidades que dieron motivo
a serias críticas.
Fue además expresión de la fiera competencia comercial que en esos
años comenzaba a hacerse sentir en la radio. La Corte Suprema del Arte
la patrocinó en sus inicios Competidora Gaditana, <<el cigarro
inigualable>>, tal como rezaba su eslogan. Al obtener el programa un
éxito sensacional, Miguel Gabriel, en una de sus jugadas de audacia,
elevó de manera inusitada la cifra que debía pagar el anunciante, y
obligó de esa manera a Competidora a dejar el campo libre a una
empresa rival, la de los cigarros Regalías el Cuño, que previamente se
había comprometido a abonar 12 000 pesos mensuales por el espacio.
Cifra descomunal en aquellos momentos, y que marcó el primer paso
hacia los altos presupuestos de inversión en la radio.
Al margen de todo, sin embargo, La Corte Suprema del Arte reveló e
impulsó a muchos valores perdurables. Ahí están los nombres de Rosa
Fornés, Raquel Revuelta, Elena Burke, Ramón Veloz, Obdulia Breijo, el
dúo Hermanas Martí, Natalia Herrera, Armando Bianchi...
En los años 50 del pasado siglo quiso revivírsele en CMQ Televisión.
Se llamó entonces El programa de José Antonio Alonso. Y se le situó en
el horario de la tarde. De su antecesor, de aquella primitiva Corte
Suprema del Arte, heredó la campana, y Alonso siguió con su buena
conducción. Aunque se anotó algunos éxitos, nunca llegó a ser como La
Corte Suprema del Arte.

El título

Daba ya por terminada esta página cuando, al releerla, su título me
hizo recordar una anécdota, real o atribuida al dictador Gerardo
Machado. Dicen que el hombre comenzaba en Santiago de Cuba una gira
política por la región oriental y comentó con los de su comitiva:
<<Mañana, cuando váyamo a Manzanillo...>>. Alguien se atrevió a
rectificarlo: <<Váyamo no, vayamos>>. <<No --dijo Machado--. A Manzanillo
vamos mañana; a Bayamo vamos después>>.





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