Sciolto ogni riserbo, poco fa l'annuncio ufficiale che il Presidente degli Stati Uniti d'America, Barak Obama, visiterà Cuba il 21 e 22 de prossimo mese di marzo.
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giovedì 18 febbraio 2016
Miracolo all'Avana
Dopo giorni e giorni che il tentativo di pubblicare foto si interrompeva con l'avviso di "TIME OUT", oggi sono riuscito a pubblicarne due relative alla presentazione di libri alla Fiera.
Ci ho messo un po', ma parafrasando il senatur Umberto, chi l'ha duro la vince...
Obama dovrebbe visitare Cuba il prossimo mese
Fonte El Nuevo Herald
CUBA
FEBRERO
17, 2016 8:44 PM
Reporte: Obama viajaría a
Cuba el próximo mes
El anuncio oficial se haría el jueves por la mañana
La última vez que un presidente estadounidense viajó a
la isla fue en 1928
Obama ya había
expresado su deseo de visitar Cuba bajo las condiciones necesarias
NORA GÁMEZ TORRES Y SERGIO
N. CÁNDIDO
El presidente Barack Obama viajaría a Cuba en marzo,
según anunció este miércoles en la noche el canal de televisión nacionalABC a través de las redes sociales.
Hasta el momento no ha habido confirmación de esta
información por parte de la Casa Blanca, aunque una fuente del Departamento de
Estado le dijo a el Nuevo Herald en condición de anonimato que el anuncio será
hecho este jueves por la mañana.
De ser así, sería la primera vez que un presidente
estadounidense en funciones visita la isla en más de 80 años. La última vez lo
hizo el presidente Calvin Coolidge en 1928. El ex presidente Jimmy Carter viajó
a Cuba en marzo del 2011.
Fuentes dijeron al Nuevo Herald que la Casa Blanca
está valorando una visita de un día a mediados de marzo (entre el 12 y el 15 de
ese mes) pero los detalles no están finalizados aún.
En marzo, se espera también en la isla a los Rollings
Stones y al equipo de béisbol de las grandes ligas Tampa Bay Rays, que jugará
contra la selección nacional cubana.
La visita a Cuba sería la culminación del proceso de
acercamiento que sorprendió al mundo cuando Obama anunció el canje de espías y
la intención de restaurar las relaciones diplomáticas con Cuba el 17 de
diciembre de 2014.
El Nuevo Herald reportó en julio sobre una reunión en la Casa Blanca en la que se
supo que la Administración evaluaría a principios del 2016 la posibilidad de un
viaje del Presidente a Cuba.
En entrevista con Yahoo para marcar el aniversario del
anuncio del 17 de diciembre del 2014, Obama aseguró que estaba “muy interesado
en ir a Cuba” pero “las condiciones tendrían que ser las correctas. Le he dicho
al gobierno cubano que, si podemos decir que ha habido progresos en las
libertades de los cubanos, me gustaría que mi visita sirva para destacar esos
avances”, añadió.
Asimismo dijo que había comunicado al gobierno cubano
su deseo de poder reunirse y “hablar con todo el mundo” y que si no podían
verificarse progresos no habría “mucha razón para que yo vaya,porque no me interesa validar
el status quo”.
El anuncio del viaje de Obama ocurría a solo días de
que el gobierno cubano finalmente devolviera un misil Hellfire que llegó a la
isla por equivocación desde el 2014 y mientras se encuentre todavía en la
capital estadounidense una amplia delegación comercial encabezada por el
ministro de Comercio e Inversión Extranjera de Cuba Rodrigo Malmierca. Este
miércoles, Malmierca almorzó con la Secretaria de Comercio Penny Pritzker en la
Casa Blanca y el jueves será recibido en la tarde por el Secretario de Estado
John Kerry en Washington D.C.
mercoledì 17 febbraio 2016
Fiera a gonfie vele
Come, ormai da 25 anni l'accettazione del pubblico è grande e colma ogni giorno il grande spazio della fortezza de La Cabaña col suo scenario suggestivo e la splendida vista sulla città e la baia.
Ieri (martedì 16), nella sala Lezama Lima, già cappella militare della guarnigione spagnola, della Fiera Internazionale del Libro è stato presentato ”Palabra de escribidor” di Ciro Bianchi Ross.
Ieri (martedì 16), nella sala Lezama Lima, già cappella militare della guarnigione spagnola, della Fiera Internazionale del Libro è stato presentato ”Palabra de escribidor” di Ciro Bianchi Ross.
Oggi invece viene presentato “História y pasión del
Automóvil en Cuba” di Marcelo Gorajuria Marichal.
Entrambi i testi erano già presenti sul mercato, ma con questa presentazione hanno avuto il battesimo ufficiale davanti al grande pubblico.
martedì 16 febbraio 2016
Voli commerciali, da ottobre?
Dalle voci che indicavano marzo come possibile inizio delle operazioni, adesso sembra che più realisticamente si vada a ottobre. Rimangono, per il momento, i dubbi già espressi in post precedenti...
Fonte: TTG
Accordo Cuba-Usa
sui voli commerciali, si apre la battaglia dei vettori
Inizia la lotta dei vettori statunitensi per la
conquista di rotte e slot aeroportuali sull’isola dei Castro. È infatti
prevista per oggi, all’Avana, la firma dell’accordo tra Stati Uniti e Cuba per
l’istituzione di voli commerciali tra i due Paesi a partire dal prossimo
autunno.
Da oggi, dunque, i vettori americani
avranno 15 giorni di tempo per presentare al Dipartimento dei Trasporti le
domande per le rotte tra Usa e Cuba. L’accordo, che sarà firmato nella capitale
cubana dal Segretario ai Trasporti Anthony Foxx, volato a Cuba insieme allo
staff del Dipartimento di Stato, potrebbe dare il via a una rete di
collegamenti il cui potenziale è stato calcolato in 110 voli giornalieri di
andata e ritorno, con venti voli giornalieri dall’Avana e altri dieci da
ciascuno dei nove aeroporti dell’isola.
Il Dipartimento dei Trasporti potrebbe procedere all’aggiudicazione delle tratte e degli slot a partire da questa estate e i voli potrebbero iniziare a ottobre.
Il Dipartimento dei Trasporti potrebbe procedere all’aggiudicazione delle tratte e degli slot a partire da questa estate e i voli potrebbero iniziare a ottobre.
Italia e presenze a Cuba
Un comunicato del Ministero del Turismo informa, senza peraltro dare cifre in dettaglio, che nel mese di dicembre 2015 sono entrati a Cuba oltre 300.000 turisti con la conferma al primo posto del tradizionale "mercato" canadese.
Al secondo posto figura l'Italia, davanti a Germania, Gran Bretagna e via via gli altri...ma non c'è la crisi? Naturalmente sono contento che ci siano connazionali (mica pochi) che possano permettersi di fare vacanze invernali a lungo raggio.
Al secondo posto figura l'Italia, davanti a Germania, Gran Bretagna e via via gli altri...ma non c'è la crisi? Naturalmente sono contento che ci siano connazionali (mica pochi) che possano permettersi di fare vacanze invernali a lungo raggio.
lunedì 15 febbraio 2016
Vite parallele, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 14/2/16
Nella pagina che ho
dedicato, la settimana scorsa (7 febbraio) ai bar dell’Avana, mi é mancato il
tempo, vale a dire spazio, per menzionare Fabio Delgado Fuentes, uno dei grandi
della cantina cubana, creatore di oltre 30 cocktails, alcuni di essi tanto
famosi e vigenti come il Cuba Bella che si prepara con granatina, succo di
limone, rum bianco, menta e rum invecchiato.
Fabio (o Favio che lo scriba
ha visto scritto nei due modi), cominciò nel 1934 nel giro della gastronomia e
tre anni più tardi riuscì ad essere ammesso al già scomparso Club de Cantineros
– attuale Asociación de Cantineros de Cuba -. Nel 1939 un corso, auspiciato da
detta entità, nello svelargli molti dei segreti dei bar, lo preparò nel modo
adeguato. Non per questo trovò un lavoro fisso. Era l’epoca in cui molti
gastronomici lavoravano, generalmente nella cosiddetta alta stagione, solo per la mancia o come
sostituti, nei bar, ristoranti e cabaret. Fabio Lavorò in alcuni dei bar più
esclusivi come quello del Country Club, Vedado Tenis, Havana, Miramar e
Biltmore Yacht Club, i cosiddetti Cinque Grandi dell’alta società avanera, fino
a che nel 1945 conseguì un posto fisso allo Sloppy Joe’s. Rimase lì fino al
1956 poi passò, sempre come barman, al ristorante Normandie, casa di cucina
francese con specialità regionali, ubicato al km. 19 della strada per Pinar del
Río, a sei kilometri dell’Havana Yacht Club lungo l’Autopista del Mediodía e a
quattro dal cabaret Sans Soucí in Arroyo Arenas.
Nel Normandie gli toccò
servire non poche celebrità, come Errol Flynn, Tyrone Power, César Romero e Joe
Luis, fra gli altri, diceva e con un sorriso furbesco aggiungeva che allo
Sloppy non vide mai Ernest Hemingway.
Tempo dopo, Fabio Delgado
comprò il bar Actualidades in Monserrate 264, un esercizio che attualmente i
cantinieri vorrebbero come sede per la loro associazione. Vinse la Rivoluzione
e il bar Actualidades divenne di proprietà statale, Fabio Delgado amministrò alberghi, fu
consigliere di centri ricreativi e sopratutto si disimpegnò come professore
della Scuola Nazionale Alberghiera installata, dapprima, nel cabaret Tropicana
e poi nell’hotel Sevilla, quando il ristorante di Alta Cucina faceva parte di
questa installazione turistica. Fabio
che morì a oltre 80 anni d’età, privilegiò sempre il suo passaggio dallo
Sloppy Joe’s. Nella carta del famoso bar avanero continuano ad essere segnalati
alcuni dei suoi cocktails come il Martini Special, Cubanacán e Sol y Sombra.
Che
coppia!
Nel Normandie, Fabio Delgado
coincise con Gilberto Smith. Al cosiddetto Mago delle Salse non andava per
niente male al Carmelo di Calzada e D, nel Vedado, dov’era giunto proveniente
da Los Tres Ases, il ristorante di Prado 356, dove adesso ha sede il Centro
Andaluso. Ma ricevette l’offerta irresistibile che gli fece il signor François
Toussé, proprietario del Normandie: se andava a lavorare con lui sarebbe stato
una specie di chéf-padrone, con una percentuale degli utili dati dalla cucina.
Inoltre la casa metteva a sua disposizione un’automobile con autista.
A Smith spiaceva abbandonare
il Carmelo, il miglior grill-room dell’Avana nella decade dei ’50 dove, su
griglie al carbone, si preparavano quotidianamente 20 linee di carne arrosto,
senza contare i piccioni, le pernici, i fagiani, i cinghiali, le lepri, i
polli, come specialità. Tutto ciò che c’era nel mondo della cucina si trovava a
El Carmelo, una casa con 150 dipendenti, dove si vendevano 25 prosciutti al
giorno.
A El Carmelo
guadagnava bene e i suoi padroni lo consideravano molto. E fu sopratutto lì,
dove si era convertito nel cuoco che già era. In ciò lo aveva aiutato molto
Juan Cañella, un catalano brontolone che era un artista nella composizione dei
piatti, un genio nelle gelatine e un maestro pasticcere senza pari. La
posizione di Cañella era un po’ ambigua in quella casa dove batteva il polso della
città. Non era lo chéf, non cucinava, né confezionava le torte, né le salse, ma
si immischiava ovunque, consigliava, orientava, ordinava! Álvarez e Méndez, i
padroni de El Carmelo, lo tenevano con mansioni di specialista e siccome non si
parlavano fra di loro, lo usavano come mediatore.
Anche se c’era di
tutto, il Normandie aveva una clientela selezionata. Era il posto alla moda.
Tutte le grandi personalità che passarono da Cuba nella seconda metà della
decade dei ’50, mangiarono al Normandie. Si concepì come ristorante di cucina
francese, ma dato che il cliente paga e perciò comanda,si cucinava anche
secondo il gusto dei commensali. Smith conoscendo molti di loro, lo seguivano
dai suoi tempi nel Tres Ases, cercava di soddisfarli tutti.
Un giorno arrivò il
dottor Alberto Inclán, figlio dell’eminente ortopedico dallo stesso nome e ortopedico
anche lui, nipote del dottor Clemente Inclán, pediatra, rettore dell’Universitá
avanera, il cosiddetto Magnifico Rettore; i tre con studio privato nella calle
21 al numero 454 nel Vedado. Inclan figlio, era l’eterno rivale del dottor
Julio Martínez Páez, entrambi professori ausiliari di Ortopedia all’Università.
Quando il vecchio Inclan morisse o andasse in pensione, solo uno poteva
occupare il suo posto. Quel giorno, 15 persone accompagnavano Inclan... Gli si
consegnò la carta e i 16 si decisero, casi della vita, per la suprema di
fagiano, delle quali ce n’erano solo 15 nel frigorifero.
“Questo si risolve
facilmente”, si disse Smith, cercò quattro o cinque faraone molto tenere e
scelse la migliore.
Nel metterle a
tavola, lo chéf ebbe cura che la suprema di faraona toccasse al dottor Inclán.
A quel punto, i cocktails di Fabio Delgado rallegravano il gruppo. Mangiarono,
bevettero, conversarono. Smith li guardava da lontano e avvertiva la faccia
soddisfatta di tutti. Celebravano qualche avvenimento e i cocktails, la buona
tavola e i buoni vini contribuivano a renderli più contenti.
Quando si disponevano
ad andarsene, Inclán si appartò col cuoco. Gli disse:
-Non credere che non
me ne sia accorto...mi hai dato una suprema di faraona.
- È che c’erano solo
15 supreme di fagiano. Ho messo a lei quella di faraona perché era
l’anfitrione. Non volevo farla restar male davanti ai suoi invitati.
Il dottor Inclàn
sorrise. Stese la sua mano destra e strinse quella di Smith, con forza, per
lasciare dentro di essa un biglietto da cento dollari, accuratamente piegato.
Pettegolezzo di cucina
Lo scriba non ha la
certezza che quello che racconterà adesso sia vero. Non potrà comprovarlo mai.
Per questo omette il nome della dama, un’attrice francese, molto giovane e già famosa,
abbagliante per la sua bellezza provocante da donna indiavolata, sguardo furbo
e labbra che socchiudeva in un modo da far si che si infiammasse il lato oscuro
del cuore a chi la guardava. Una donna come fosse stata creata per Dio che
arrivava a Cuba, per la seconda volta, avvolta in un’ondata nuova di
popolaritá.
Si diceva che
quell’attrice era venuta a Cuba, nelle due occasioni, invitata da uno dei
proprietari del Gran Stadium del Cerro. Toussé volle conquistarla e siccome non
giungeva a lei, le offrì una considerevole somma di denaro. Se la ragazza
accettò o no, non si sa; ma per entrare nelle sue grazie, a Toussé non venne
idea migliore che invitarla al Normandie e quella sera travestirsi da cuoco,
servirla personalmente e farle credere che i piatti che degustava uscivano
dalle sue mani. Per la cronaca, la giovane decise sempre per l’aragosta
cardenal.
Che lo facesse,
passi. Se voleva uscire nel salone col cappello e il grembiule a dire quello
che voleva non sembrava un male. Ne aveva diritto come proprietario del
ristorante. Ma Toussé esagerò, si credette davvero cuoco e si mise a dare
ordini in cucina. Lo chéf Gilberto non poté rimanere zitto. Gli suggerì, con
rispetto, che uscisse da lì o rimanesse zitto. Toussé lo ignorò. Continuò dando
ordini. Smith perse la pazienza.
- Chi è questo
signore? Domandò ai suoi compagni. Il capo della cucina sono io. Continuate nel
vostro lavoro e non fategli caso.
La possibiltà di
avere tra le lenzuola una delle donne più desiderate del mondo gli aveva fatto
perdere la testa. Toussé lo affrontò.
- Qua il padrone sono
io – gridò.
Smith fece quello che
doveva fare. Si tolse cappello e grembiule.
- Cucini lei – gli
disse.
Con lui si
spogliarono di cappello e grembiule tutti i componenti della squadra che si
occupava, quella sera, della cucina.
A questo punto a
Toussé caddero le braccia, gli si corrugavano le orecchie. Smith non diceva per
scherzo; quegli uomini se ne andavano davvero e lo lasciavano nei pasticci.
Divenne piccolo, piccolo. Implorava che non potevano fargli quello. Che lui non
era una persona cattiva. Che aveva capito di aver esagerato. Che si mettessero
al suo posto. Che lei mi scusi signor Smith.
Non ci fu maniera.
Non ci fu accordo. Quella fu l’ultima sera di Gilberto Smith nel Normandie.
Perdeva denaro e posizione. Restava senza lavoro e con una famiglia numerosa
sulle spalle. Poteva sempre tornare a El Carmelo, ma risultava duro farlo in
quel momento. Qualcuno gli parlò de La Roca, un ristorante appena aperto all’angolo
di 21 e M, nel Vedado, nello stesso posto che aveva occupato il ristorante
Colonial e che era carente di personale. Fu a La Roca come semplice cuoco. Lì
creò un piatto che ebbe fra i migliori fino alla fine della sua vita: la
tortilla di frutta al rum. E un’altro, la tortilla con intervento dello chéf.
Smith non restò molto
tempo a La Roca. Un giorno entrò a El Carmelo e come se non si volesse, disse
al gestore che quella era la casa che preferiva. Ebbene, El Carmelo per lei è
aperto, gli rispose il gestore.
Quella stessa sera se
ne andò da La Roca. Tornò a El Carmelo col suo ritmo di lavoro di sempre, ma
questa volta con una responsabilità speciale: servire il gruppo di Meyer
Lansky, il finanziere della mafia che era di nuovo al’Avana al fine di seguire,
tra altre cose, la costruzione dell’hotel Habana Riviera.
Nel frattempo, nel
bar Actualidades, Fabio Delgado, continuava con la sua carriera di successo.
Vidas paralelas
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
13 de Febrero del 2016 20:56:26 CDT
13 de Febrero del 2016 20:56:26 CDT
En la página que la semana pasada (7 de febrero) dediqué a bares de La
Habana, me faltó tiempo, es decir, espacio para aludir a Fabio Delgado Fuentes,
uno de los grandes de la cantina cubana, creador de más de 30 cocteles, algunos
de ellos tan famosos y vigentes como el Cuba Bella, que se elabora con
granadina, zumo de limón, ron blanco, menta y ron añejo.
Fabio (o Favio, que de las dos maneras lo ha visto escrito este escribidor)
se inició en 1934 en el giro de la gastronomía, y tres años más tarde logró ser
admitido en el ya desaparecido Club de Cantineros —actual Asociación de
Cantineros de Cuba—. En 1939, un curso auspiciado por dicha entidad, al
develarle muchos de los secretos del bar, lo preparó de manera adecuada. No por
eso consiguió trabajo fijo. Era la época en la que muchos gastronómicos, en
bares, restaurantes y cabarés, trabajaban solo por la propina, generalmente en
la llamada temporada alta. Solo por la propina o como suplente, Fabio trabajó
en algunos de los bares más exclusivos, como los del Country Club, Vedado
Tenis, y Havana, Miramar y Biltmore Yacht Club, los llamados Cinco Grandes de
la alta sociedad habanera, hasta que en 1945 consiguió una plaza fija en el
Sloppy Joe’s y allí estuvo hasta que en 1956 pasó, siempre como barman, al
restaurante Normandie, casa de cocina francesa, con especialidades regionales,
ubicado en el kilómetro 19 de la carretera a Pinar del Río; a seis kilómetros
del Havana Yacht Club por la Autopista del Mediodía y a cuatro del cabaré Sans
Souci por Arroyo Arenas.
En el Normandie le tocó atender a no pocos famosos, como Errol Flynn,
Tyrone Power, César Romero y Joe Louis, entre otros, decía, y con una sonrisa
pícara añadía que en el Sloppy jamás vio a Ernest Hemingway.
Tiempo después, Fabio Delgado adquiría el bar Actualidades, en Monserrate
264, un establecimiento que los cantineros quieren ahora para sede de su
asociación. Triunfó la Revolución, el bar Actualidades pasó a ser propiedad
estatal, y Fabio Delgado administró hoteles, asesoró centros recreativos y,
sobre todo, se desempeñó como profesor de la Escuela Nacional de Hotelería,
instalada primero en el cabaré Tropicana y luego en el hotel Sevilla cuando el
restaurante de Alta Cocina fue parte de esa instalación turística.
Fabio, que falleció con más de 80 años de edad, privilegió siempre su paso
por Sloppy Joe’s. En la carta de ese famoso bar habanero siguen consignándose
algunos de sus cocteles como Martini Especial, Cubanacán y Sol y Sombra.
¡Qué pareja!
En el Normandie, Fabio Delgado coincidió con Gilberto Smith. Al llamado
Mago de las Salsas no le iba nada mal en El Carmelo, de Calzada y D, en el
Vedado, adonde había llegado procedente de Los Tres Ases, el restaurante de
Prado 356, donde ahora radica el Centro Andaluz. Pero recibió la oferta
irresistible que le hacía el señor François Toussé, propietario del Normandie:
si pasaba a trabajar con él, sería una especie de chef dueño, con un por ciento
de los ingresos por concepto de la cocina. Además, la casa pondría a su disposición
un automóvil con chofer.
Smith sentía abandonar El Carmelo, el mejor grill-room de La Habana de la
década del 50 y donde en parrillas de carbón, se preparaban a diario 20 líneas
de carne asada, sin contar las palomas, las perdices, los faisanes, los
jabalíes, las liebres, los pollos de especialidades. Todo lo que había en el
mundo de la cocina se encontraba en El Carmelo, una casa con 150 empleados,
donde se vendían 25 jamones diarios.
Ganaba bien en El Carmelo y los dueños lo distinguían mucho. Y fue allí,
sobre todo, donde se había convertido en el cocinero que era ya. En eso lo
había ayudado mucho Juan Cañella, un catalán cascarrabias que era un artífice
en el montaje de los platos, un genio en las gelatinas y un maestro dulcero sin
igual. La posición de Cañella era un tanto ambigua en aquella casa donde latía
el pulso de la ciudad. No era el chef ni cocinaba ni confeccionaba los pasteles
ni las salsas, pero se metía en todo, aconsejaba, orientaba, ¡ordenaba! Álvarez
y Méndez, los dueños de El Carmelo, lo tenían en funciones de especialista y,
como no se hablaban entre ellos, lo utilizaban de mediador.
Aunque había de todo, el Normandie tenía una clientela selecta. Era el
lugar de moda. Todas las grandes personalidades que pasaron por Cuba durante la
segunda mitad de la década de los 50, comieron en el Normandie. Se concibió
como un restaurante de cocina francesa, pero debido a que el cliente paga y,
por tanto, manda, se cocinaba también al gusto de los comensales. Smith conocía
a muchos de ellos, pues venían siguiéndolo desde sus tiempos en Los Tres Ases,
trataba de satisfacerlos a todos.
Un día llegó el doctor Alberto Inclán, hijo del eminente ortopédico de
igual nombre y ortopédico él mismo, sobrino del doctor Clemente Inclán,
pediatra, rector de la Universidad habanera, el llamado Rector Magnífico; los
tres con consulta privada en la calle 21 número 454, en el Vedado. Inclán hijo
era el eterno rival del doctor Julio Martínez Páez, ambos profesores auxiliares
de Ortopedia en la Universidad. Cuando el viejo Inclán muriera o se jubilara,
solo uno podía ocupar su puesto. Quince personas acompañaban a Inclán aquel
día... Se les entregó la carta y todos, los 16 se decidieron, cosas de la vida,
por la suprema de faisán, de las que solo había 15 en la nevera.
«Esto se soluciona fácil», se dijo Smith, y buscó cuatro o cinco guineos
muy tiernos y seleccionó el mejor.
Al ponerse el servicio en la mesa, el chef cuidó que la suprema de guineo
tocara al doctor Inclán. A esa altura, los cocteles de Fabio Delgado alegraban
al grupo. Comieron, bebieron, conversaron. Smith los miraba de lejos y advertía
la cara de satisfacción de todos. Celebraban algún acontecimiento, y los
cocteles, la buena mesa y los buenos vinos contribuían a hacerlos más felices.
Cuando se disponían ya a retirarse, Inclán hizo un aparte con el cocinero.
Le dijo:
—No creas que no me percaté… me pusiste suprema de guineo.
—Es que solo había en la cocina 15 supremas de faisán. Puse a usted la de
guineo porque era el anfitrión. No quería hacerlo quedar mal delante de sus
invitados.
El doctor Inclán sonrió. Extendió su mano derecha y estrechó la de Smith,
con fuerza para dejar en ella un billete de cien dólares cuidadosamente
doblado.
Chisme de cocina
El escribidor no tiene la certeza de que lo que contará ahora sea cierto.
No podrá corroborarlo nunca. Por eso omite el nombre de la dama, una actriz
francesa muy joven entonces, famosa ya, deslumbrante por su belleza provocativa
de mujer endemoniada, mirada pícara y labios que entreabría de una manera que
hacía que a quienes la veían se les inflamara el lado oscuro del corazón. Una
mujer como creada por Dios que llegaba a Cuba, por segunda vez, envuelta en
otra nueva ola de popularidad.
Se decía que aquella actriz había venido a la Isla, en las dos ocasiones,
invitada por uno de los propietarios del Gran Stadium del Cerro. Toussé quiso
conquistarla y como no le llegaba, le ofreció una considerable suma de dinero.
Si la muchacha aceptó o no, se desconoce; pero para congraciarse con ella, a
Toussé no se le ocurrió idea mejor que invitarla al Normandie y disfrazarse esa
noche de cocinero, atenderla personalmente y hacerle creer que los platos que
degustaba salían de sus manos. Por cierto, la joven se decidió siempre por la
langosta cardenal.
Que lo hiciera, pase. Si quería salir al salón con el gorro y el delantal y
decir lo que le pareciera, no estaba mal. Tenía derecho como propietario del
restaurante. Pero Toussé se fue de rosca, se creyó cocinero de verdad y se
metió en la cocina a dar órdenes.
El chef Gilberto Smith no pudo permanecer en silencio. Le aconsejó con
respeto que saliera de allí o se mantuviera callado. Toussé lo ignoró. Siguió
dando órdenes. A Smith se le colmó la paciencia.
—¿Quién es este señor? —preguntó a sus compañeros. Yo soy el jefe de
cocina. Sigan en lo suyo como hasta ahora y no le hagan caso.
La posibilidad de tener entre las sábanas a una de las mujeres más
codiciadas del mundo, le había hecho perder la cabeza. Toussé se le encaró.
—Aquí el dueño soy yo —gritó.
Smith hizo lo que tenía que hacer. Se quitó el gorro y el delantal.
—Cocine usted —le dijo.
Con él se despojaron de sus gorros y delantales todos los componentes de la
brigada que esa noche se ocupaba de la cocina.
En ese punto, a Toussé se le cayeron las medias, se le arrugaron los
atabales. Smith no hablaba en broma; aquellos hombres se marchaban de verdad y
se la dejaban en la mano. Se puso chiquitico, chiquitico. Imploraba. Que no le
podían hacer aquello. Que él no era una mala persona. Que comprendía que se
había extralimitado. Que se pusieran en su lugar. Que usted disculpe, señor
Smith.
Ni modo. No hubo entendimiento. Aquella fue la última noche de Gilberto
Smith en el restaurante Normandie. Perdía dinero y posición. Quedaba sin empleo
y con una familia numerosa a su abrigo. Siempre podía volver a El Carmelo, pero
resultaba duro hacerlo en ese momento. Alguien le habló de La Roca, un
restaurante que acaba de abrir en la esquina de 21 y M, en el Vedado, en el
mismo sitio que había ocupado el restaurante Colonial, y que estaba carente de
personal. Se fue a La Roca como cocinero de a pie. Crearía allí un plato que
hasta el final de su vida tuvo entre los mejores: la tortilla de frutas al ron.
Y otro, la tortilla interventora del chef.
No estaría Smith mucho tiempo en La Roca. Un día entró en El Carmelo y,
como quien no quiere las cosas, dijo al gerente que aquella era la casa que él
prefería. Pues El Carmelo está abierto para usted, respondió el gerente.
Aquella misma noche se fue de La Roca. Volvió a El Carmelo con su ritmo de
trabajo de siempre, pero esta vez con una responsabilidad especial: atender al
grupo de Meyer Lansky, el financiero de la mafia, que estaba de nuevo en La
Habana a fin de seguir, entre otros asuntos, la construcción del hotel Havana
Riviera.
Mientras tanto, en el bar Actualidades, Fabio Delgado continuaba su exitosa
carrera.
sabato 13 febbraio 2016
Firmato il convegno per i voli commerciali (?)
Devo essermi perso qualche cosa…Ieri sera il Noticiero Nacional de Televisión ha diffuso un comunicato secondo il quale Cuba e Stati Uniti hanno firmato un accordo per l’inizio dei “voli commerciali” chiarendo (si fa per dire) che sarà il potenziamento degli attuali voli charter che trasportano gli statunitensi compresi nelle 12 “categorie” ammesse a visitare Cuba da parte del Ministero del Tesoro degli USA, senza altre formalità che dichiarare di appartenere a una di esse con realtivo programma, di massima, del viaggio e soggiorno a Cuba. Aggiungendo per chiarezza che i “normali” viaggi turistici sono ancora vietati ai cittadini statunitensi.
Forse sono un po’ tardo e duro di comprendonio, ma...cchevordì? Si tratta di un potenziamento dei charter, quindi...altri charter o voli commerciali veri e propri? Se il “cittadino comune” nordamericano non ne può usufruire, chi lo può fare? Cittadini di altri Paesi, anche non residenti che vogliono spostarsi nelle due direzioni? Le aerolinee statunitensi apriranno agenzie a Cuba per la biglietteria? Sarebbe bello saperlo chiaramente.
venerdì 12 febbraio 2016
giovedì 11 febbraio 2016
Parte oggi la XXV Fiera del Libro
Come da tradizione, oggi si è aperta la XXV Fiera Internazionale del Libro dell'Avana nella suggestiva cornice del Parco Militare Morro Cabaña.
Il Paese invitato d'Onore è la Repubblica Orientale dell'Uruguay.
L'esposizione all'Avana conta di diverse sub sedi nei vari municipi della capitale di cui il più significativo, sempre come da tradizione, è nel Pavellon Habana della Rampa.
Dopo la chiusura, il prossimo giorno 21 la mostra verrà, come sempre, spostata nelle diverse province, a turno, fino alla prossima estate.
mercoledì 10 febbraio 2016
Nuovo corso (speriamo non sia un vialetto) della stampa cubana
Per la prima volta (che io sappia) una notizia del genere è stata riportata dalla televisione e stampa cubana. In passato queste informazioni venivano trattate col massimo riserbo...
Magari non si è ancora al pluralismo e massima libertà d'informazione, ma c'è un inizio per tutto e dopo oltre 50 anni di censura o autocensura, qualcosa si muove.
Abandonaron Yuliesky y Lourdes Gurriel la
selección cubana de béisbol
Autor: Periódico
Granma | internet@granma.cu
8 de febrero de 2016 10:02:07
En horas de la madrugada de hoy se produjo el abandono
del hotel donde se encontraba el equipo cubano de béisbol que asistió a la
edición 58 de la Serie del Caribe de Béisbol, en la República Dominicana, de
los peloteros Yuliesky y Lourdes Gurriel Castillo, en franca actitud de entrega
a los mercaderes del béisbol rentado y profesional.
Este hecho fue inmediatamente rechazado por los
integrantes de la selección cubana, quienes emitieron una declaración.
martedì 9 febbraio 2016
lunedì 8 febbraio 2016
Bar Avaneri, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 7/2/16
In questi giorni è toccato allo scriba di condividere con un gruppo di ambasciatori del rum Havana Club. Si chiamano così i rapresentanti della prestigiosa marca nei Paesi dove risiedono; gente giovane, affabile, comunicativa e naturalmente molto ricettiva alla storia e alle novità dell’industria e del prodotto che rappresentano. Questo scriba doveva guidarli in un percorso che è cominciato il mezzogiorno al Floridita ed è terminato, nel tardo pomeriggio, al bar Vista al Golfo dell’Hotel Nacional de Cuba, dopo essere passati dallo Sloppy Joe’s, Bodeguita del Medio e Dos Hermanos.
In questi giorni è toccato allo scriba di condividere con un gruppo di ambasciatori del rum Havana Club. Si chiamano così i rapresentanti della prestigiosa marca nei Paesi dove risiedono; gente giovane, affabile, comunicativa e naturalmente molto ricettiva alla storia e alle novità dell’industria e del prodotto che rappresentano. Questo scriba doveva guidarli in un percorso che è cominciato il mezzogiorno al Floridita ed è terminato, nel tardo pomeriggio, al bar Vista al Golfo dell’Hotel Nacional de Cuba, dopo essere passati dallo Sloppy Joe’s, Bodeguita del Medio e Dos Hermanos.
Ognuno di questi esercizi ha
ricevuto i visitatori con un cocktail. Vista al Golfo con il cocktail Nacional
e Sloppy con Cuba Libre, mentre Bodeguita del Medio e Floridita con il mojito e
il daiquirí che sono solo da immaginare. Dos Hermanos offrí l’Havana Special.
Curiosamente nella cena con
cui si è chiuso l’incontro e che ebbe luogo nel Museo del Ron, l’Havana Special
fu proprio il cocktail di benvenuto.
Un
treno sulle onde
Per chi scrive queste note,
fu una sorpresa constatare la vigenza di questa bevanda che alcuni chiamano il
Manhattan cubano e che il cronista pensava dimenticato, anche se è reiterato
nei menù di molti bar non statali. Un miscuglio la cui invenzione è attribuita
a Constantino Ribalaigua, barman catalano residente nella capitale cubana che
ispirò una linea di trasporto di passeggeri e merci che faceva il percorso New
York – Key West – l’Avana – New York.
Da questa città, il treno
impiegava due giorni a raggiungere Key West dove, un servizio di ferry boats,
con una traversata di dieci ore, trasportava i vagoni fino all’Avana. Questa
rotta si conobbe col nome di The Havana Special e permise che Cuba ne
approfittasse per riaffermarsi come importante fornitore del mercato
nordamericano.
Traversare il mare seduti
comodamente in un vagone ferroviario che prima era passato sulla cima angusta
di una montagna di corallo, sembra un racconto di fate. Siccome le fate non
esistono, solo un uomo come il multimilionario Henry Flagler fu capace di
un’impresa come questa che estese la strada ferrata fino a Miami e da lì,
isoletta per isoletta, la portò a Key West per collegare così Cuba, il resto
dei Caraibi e il Canale di Panama.
La strada ferrata si costruì
con acciaio e cemento tedeschi e legname cubano.
Richiese di sette anni di
lavoro alacre. Per periodi lunghi vi lavorarono simultaneamente fino a 4.000
uomini.
Tre cicloni - uno lasciò 200
lavoratori morti – intorbidirono la costruzione.
Non sarebbero stati gli
eventi meteorologici gli unici inconvenienti. Il primo degli ingegneri che
assunse il progetto, impazzì sugli scogli e quello che proseguì nel compito e
la portò a termine, non poté mai più tornare al suo lavoro. In ogni modo, il 22
gennaio del 1912, con l’arrivo a Key West del primo treno proveniente da Miami,
Flagler faceva realtà del suo sogno e quello stesso giorno si imbarcava verso
l’Avana al fine di promuovere la sua rotta sulle isolette. Ventitré anni dopo,
il 2 settembre 1935, un uragano di categoria cinque distrusse parzialmente
l’infrastruttura ferroviaria. I proprietari di The Havana Special vendettero
quello che restava allo stato della Florida.
Parte di queste rovine sono
ancora visibili. Su tratti di esse si costruì la rete di strade che dal 1938,
unisce fra loro le isolette della Florida e le allaccia alla penisola. Da
allora i ferry non trasportarono più vagoni ferroviari. Proseguirono con la
linea di passaggi e carichi generici, dando ai viaggiatori di entrambi i lati
l’opportunità di visitare la sponda opposta con la propria automobile.
Il ferry di Key West si
interruppe dopo il 1959. Oggi, per conseguenza dell’embargo imposto a Cuba dal
Governo di Washington, l’Havana Special è solo un cocktail creato da
Constantino Ribalaigua, mentre nel Key, un busto di Flagler ricorda la storia
della sua famosa ferrovia.
Anche
nei romanzi
Tutto questo lo spiegai, nel
bar Dos Hermanos, agli ambasciatori dell’Havana Club. Questo esercizio si trova
di fronte al molo di The Havana Special e aprì le sue porte nel 1892, cosa che
lo rende uno dei bar più antichi della capitale cubana. Si caratterizzò per il
suo lungo banco di legno duro, incompleto da quando gli hanno segato un pezzo
al fine di installarlo in uno dei bar dell’hotel Moka, a Las Terrazas.
Anche così continua ad
essere lungo. Il poeta spagnolo Federico García Lorca, frequentò il Dos
Hermanos durante il suo soggiorno cubano del 1930 e lì andarono anche, fra gli
altri, Alejo Carpentier ed Enrique Serpa, autore di romanzi come Contrabando e La trampa così come un racconto antologico, Aletas de tiburón. E naturalmente, l’inevitabile Hemingway che
nella radicata opinione di alcuni, deambulò per tutti i bar e cantine avanere,
anche se scelse come preferito il Floridita. In Dos Hermanos “con passi incerti
che lo portavano a una piccola, ma soddisfacente libertà”, entrò un pomeriggio
Andrés il protagonista di Fiebre de
caballos, (1988) il romanzo iniziale di Leonardo Padura. All’inizio bevette
lentamente la sua bevanda amara e si dedicò a studiare la gente fino a che la
quarta o quinta birra lo lasciò senza movimenti e cominciò a vedere nebulosi e
deformi quelli che lo circondavano, come se stesse guardando un film girato con
un grottesco grandangolo.
Il Floridita fu, fino al
1959, il bar più famoso della città, ma lo Sloppy Joe’s fu sempre quello dalle
maggiori vendite. Pensai che lo Sloppy Joe’s di Key West fosse precedente a
questo dell’angolo di Zulueta e Ánimas, all’Avana. Errore. Lo Sloppy avanero
anticipò di 16 anni quello dell’altra parte che si inaugurò nel 1934 e tre anni
dopo si installava nella calle Duval, ubicazione che mantiene ancora mentre un
altro bar, chiamato Capitan Tony, occupava lo spazio che lo Sloppy originale
lasciava libero. Capitan Tony non ha l’animazione dello Sloppy ne il suo
incanto, ma lì si da una situazione insolita: molte delle donne che lo visitano
si tolgono il reggiseno e lo appendono ai fili che si intersecano nel salone.
Se Padura fissò il bar Dos
Hermanos nella letteratura e Hemingway il Floridita in Isole del Golfo,
l’inglese Graham Greene, amante del rum invecchiato e inventore di diabolici
cocktails, immortalò lo Sloppy – e anche l’hotel Sevilla – nel suo romanzo Il nostro uomo all’Avana, portato anche
al cine. Una guida del 1954, pubblicata negli Stati Uniti, apporta un dettaglio
importante che facilitava ai turisti nordamericani la loro visita all’Isola:
Sloppy Joe’s era frequentato da visitatori statunitensi, ma non dai
nordamericani residenti. La colonia nordamericana all’Avana preferiva il bar
Mis Amigos, in settima e 42 a Miramar. Il Floridita ebbe fluttuazioni con
relazione ai suoi parrocchiani. La maggioranza di loro era di origine
nordamericana, fino all’inizio della II Guerra Mondiale. Durante il conflitto
si riempì di cubani. I nordamericani non potevano venire a causa della guerra e
i cubani non potevano uscire. Terminata la guerra, nazionali e visitatori
godettero assieme il suo daiquirí che figura nella lista dei dieci grandi
cocktails del mondo.
Nel 1937 il corrispondente
all’Avana dell’agenzia americana UP, dedicò una cronaca a Constantino Ribalaigua.
Riferì che un gruppo di amici conversava sul baseball in uno dei bar dell’Hotel
Nacional quando uno di loro domandò chi si poteva considerare il miglior barman
cubano. Constantino Ribalaigua, rispose il barman che li serviva, anche se la
domanda non era diretta personalmente a lui. Immediatamente, riferisce il
giornalista, uno del gruppo telefonò allo Sloppy, a Prado 86 e anche ai bar
degli alberghi Plaza e Sevilla, molto famosi all’epoca. Ottenne la stessa
risposta, Il reporter visitò Constantino al Floridita e rimase meravigliato. Il
barman confessò che i suoi cocktails migliori erano il daiquirí, presidente e
Pepín Rivero, ispirato al direttore e proprietario del Diario della Marina. Lo
scriba che ha nel suo archivio le formule di oltre 300 cocktails raccolte in
bar e cantine di tutta l’Isola, non ha potuto vedere la ricetta di quest’ultimo
cocktail. Non appare nel ricettario del Floridita che Constantino pubblicò nel
1939, quando il signor Rivero era ancora vivo. per certo che in quella lista di
cocktails si indica la formula di un daiquirí elaborato espressamente con
Havana Club.
Un’incognita
Se è possibile precisare
l’origine di molti cocktails e menzionare i loro creatori per nome, il Cuba
Libre resta nel mistero. Ancora alla fine del XIX° secolo a Cuba non si
conosceva la parola cocktail. La ginevra superava il rum nel gusto dei bevitori
e si parlava di composti spumosi e
sbattuti. L’intervento militare nordamericano mise una nota di modernità nei
bar cubani, rum, bibita di cola e ghiaccio fecero un miscuglio da campionato.
Terminò la sovranità spagnola, l’Isola rimase sotto la protezione degli Stati
Uniti e nacque una repubblica incompleta. Ma la gente, con buona dose
d’ingenuità, alzava il bicchiere e diceva: Cuba libera. Nel 1902 nasceva il bar
La Florida che col tempo diventò il Floridita, esistevano già allora l’American
Club che fallì e riaprì di nuovo e la cantina che dava servizio alle truppe
nordamericane del campo di Columbia. Esisteva, come si è detto, il Dos
Hermanos. Si parla anche di un bar Americano che lo scriba non ha potuto
identificare, se pure è esistito. In qualsiasi di loro può essere nato il Cuba
libre.
La Bodeguita del Medio ha
entusiasmato i visitatori. Il suo fondatore, Ángel Martínez, ripeteva che a 12
anni di età suo padre lo codannó all’ergastolo dietro un banco. Nel 1942 comprò
l’esercizio che allora si chiamava La Complaciente e che non era altro che una
bottega di quartiere. Lì, sua moglie Armenia cominciò a cucinare per pochi
clienti fra i quali Felito Ayón, un animale della notte avanera che si vincola,
come stampatore a pietre miliari imprescindibili della poesia cubana, come la Elegía a Jesús Menéndez, di Nicolás
Guillén con disegni di Carlos Enriquez. Felito che aveva la sua azienda nello
stesso isolato di quella che si chiamava La Casa Martínez, diceva ai suoi
clienti; “Se non sono in tipografia, cercatemi nella bottega, la botteguccia
che sta nel mezzo della strada”. Da lì nacque La Bodeguita del Medio, qualcosa tanto
ovvia che non ci pensò nessuno, prima. Così si chiama, dal 26 aprile del 1950,
questo esercizio. Martínez finì di sbarazzarsi dei viveri e liquori comuni
nelle botteghe e mise pochi tavoli nello spazio ridotto di cui disponeva, la
fama della cucina di Armenia crebbe, rinforzata dalle mani prodigiose de “La
China” Silvia Torres e i mojitos che lì acquisirono il documento di
cittadinanza internazionale, fecero il resto.
Di lì sono passati tutti, si
fa per dire. Come dal bar Vista al Golfo dell’Hotel Nacional, dove gli
ambasciatori del rum Havana Club, col cocktail che porta il nome dell’esercizio
alberghiero in mano, poterono apprezzare la estesa galleria con le foto delle
celebrità che adornano le pareti del locale; tutti clienti dell’esercizio.
Gli invitati percorsero
l’Avana su carrozze trainate da cavalli, bici taxi e grandi automobili
scoperte. La sera finale, dopo cena, gli si regalò un’esperienza memorabile:
poterono partecipare al matrimonio tra un Cohiba VI secolo e il rum Unión di Havana
Club.
Una combinazione perfetta.
Bares habaneros
Ciro
Bianchi Ross
En estos
días tocó a este escribidor compartir con un grupo de embajadores del ron
Havana Club. Se llama así a los representantes de la prestigiosa marca en los
países donde residen; gente joven, afable, comunicativa y, desde luego, muy
receptiva a la historia y las novedades de la industria y el producto que representan. Este escribidor debía
guiarlos en un recorrido que comenzó a medio día en el Floridita y terminó,
tarde en la tarde, en el bar Vista al Golfo del Hotel Nacional de Cuba, luego de haber pasado por
Sloppy Joe’s, Bodeguita del Medio y Dos Hermanos.
Cada uno
de esos establecimientos recibió a los visitantes con un coctel. Vista al Golfo
con el coctel Nacional y Sloppy con
Cuba Libre, mientras que Bodeguita del Medio y Floridita con el mojito y el
daiquirí, que son de imaginar. Dos Hermanos ofreció el Havana Special.
Curiosamente, en la cena con la que se clausuró el encuentro y que tuvo lugar
en el Museo del Ron, el Havana Special fue también el coctel de bienvenida.
UN TREN SOBRE LAS OLAS
Para quien
esto escribe fue una sorpresa constatar la vigencia de ese
trago que algunos llaman el Manhattan cubano, y
que el cronista
suponía
olvidado ya en la preferencia y el
paladar de los bebedores, aunque se reitera en la carta-menú de muchos bares no
estatales. Una mezcla cuya invención se
atribuye a Constantino Ribalaigua, barman catalán radicado en la capital
cubana, que se inspiró en una línea de transporte de pasajeros y mercancías que
hacía el recorrido Nueva York—Cayo Hueso—La Habana—Nueva York.
Desde esa
ciudad, el tren demoraba dos días en
llegar a Cayo Hueso, donde un servicio de ferry-boats, en una travesía de diez
horas, transportaba los vagones hasta La Habana. Esa ruta se conoció con el
nombre de The Havana Special y posibilitó que Cuba la aprovechara para
reafirmarse como importante suministrador del mercado norteamericano.
Cruzar el
mar sentado cómodamente en un vagón de ferrocarril
que
antes
avanzó sobre la cumbre angosta de una montaña de coral, parece
cosa de hadas. Como las hadas no existen, solo un
hombre como el multimillonario Henry Flagler fue capaz de una empresa como esa
que extendió la vía férrea hasta Miami y desde allí, de isleta en isleta, la
llevó hasta Cayo Hueso para conectar así con Cuba, el resto del Caribe y el
Canal de Panamá.
El camino
de hierro se acometió con acero y
cemento de Alemania y maderas cubanas. Requirió de siete años de ingente labor.
Por largos periodos hasta 4 000 hombres
laboraron allí de manera simultánea.
Tres
ciclones —uno, con 200 trabajadores muertos— entorpecieron la construcción.
No serían
los meteoros el único inconveniente. El primero de los ingenieros que asumió el
proyecto, enloqueció sobre los arrecifes, y el que prosiguió la tarea y la
llevó a término, nunca más pudo volver a trabajar en lo suyo. De cualquier
manera, el 22 de enero de 1912, con la llegada a Cayo Hueso del primer tren
procedente de Miami, Flagler hacía realidad su sueño, y ese mismo día embarcaba
hacia La Habana a fin de promover su ruta sobre los cayos. Veintitrés años
después, el 2 de septiembre de 1935, un huracán de categoría cinco destruyó
parcialmente la infraestructura ferroviaria. Los propietarios de The Havana
Special vendieron lo que quedó al estado
de Florida.
Parte de
esas ruinas son todavía visibles. Sobre partes de ellas se erigió la red de
carreteras que, desde 1938, une entre sí los cayos floridanos y los enlaza con
la península. Desde entonces los ferry
no transportaron vagones de ferrocarril. Prosiguieron su línea de pasajes y
carga general y dieron a los viajeros de ambos lados la oportunidad de visitar
la orilla contraria con su propio automóvil.
El ferry
de Cayo Hueso se interrumpió después de 1959. Hoy, a consecuencia del bloqueo
impuesto a Cuba por el gobierno de Washington, el Havana Special es solo el
coctel creado por Constantino Ribalaigua, mientras que en el Cayo un busto de
Flagler recuerda la historia de su famoso ferrocarril.
TAMBIÉN EN LAS NOVELAS
Todo eso
expliqué, en el bar Dos Hermanos, a los
embajadores de Havana Club. Ese establecimiento se ubica frente al muelle de
The Havana Special y abrió sus puertas en 1892, lo que lo hace uno de los
bares más
antiguos de la capital cubana. Se
caracterizó por su larga barra de madera dura, incompleta desde que le
cercenaron un pedazo a fin de emplazarlo en uno de los bares del hotel Moka, en
Las Terrazas.
Aun así,
sigue siendo larga. El poeta español
Federico García Lorca frecuentó el Dos Hermanos durante su estancia cubana de
1930, y por allí estuvieron asimismo,
entre otros, Alejo Carpentier y Enrique
Serpa, autor de novelas como Contrabando y La trampa y de un cuento antológico,
Aletas de tiburón. Y, por supuesto, el inevitable Hemingway, que en la festinada opinión de algunos
deambuló por todos los bares y cantinas habaneros, aunque centró su preferencia
en Floridita. En Dos Hermanos, «con
pasos torpes que lo conducían a una pequeña pero satisfactoria libertad», entró
una tarde Andrés, el protagonista de Fiebre de caballos, (1988) la novela
inicial de Leonardo Padura. Al comienzo bebió lentamente su trago amargo y se
dedicó a estudiar a la gente hasta que la cuarta o quinta cerveza lo dejó sin
movimientos y empezó a ver neblinosos y deformes a los que lo rodeaban, como si
estuviera viendo una película filmada con un grotesco ángulo ancho.
Floridita fue hasta 1959 el bar
más famoso de la ciudad, pero Sloppy Joe’s fue siempre el de más ventas.
Supuse que el Sloppy Joe´s de Cayo Hueso antecedió a este de la esquina de
Zulueta y Ánimas, en La Habana. Error. El Sloppy habanero se anticipó en 16 años al del lado de allá, que se
inauguró en 1934 y tres años después se instalaba en la calle Duval, ubicación
que todavía mantiene, mientras que otro bar llamado Capitán Tony ocupaba el espacio que el Sloppy original dejaba
libre. Capitán Tony no tiene la animación del Sloppy ni su hechizo, pero allí
se da una situación insólita: muchas de las mujeres que lo visitan se despojan
del ajustador y lo cuelgan en las tendederas que cruzan el salón.
Si Padura fijó el bar Dos Hermanos
en la literatura, y Hemingway el Floridita en Islas en el golfo, el inglés Graham Greene, aficionado al ron
añejo e inventor de cocteles diabólicos, inmortalizó el Sloppy —y también al
hotel Sevilla— en su novela Nuestro hombre en La Habana, llevada además al cine. Un detalle
interesante aporta una guía de
1954
publicada en Estados Unidos que
facilitaba a turistas norteamericanos su visita a la Isla: Sloppy Joe’s era
frecuentado por visitantes estadounidenses, no por los norteamericanos
residentes. La colonia norteamericana en
La Habana prefería el bar Mis amigos, en Séptima y 42, Miramar. Floridita tuvo
fluctuaciones con relación a sus parroquianos. La mayoría de ellos era de
origen norteamericano hasta el inicio de la II Guerra Mundial. Durante la
conflagración bélica se llenó de cubanos. Los norteamericanos no podían venir a
causa de la guerra y los cubanos no podían salir. Finalizada la guerra,
nacionales y visitantes disfrutaron juntos su daiquirí, que figura en la lista
de diez grandes cocteles del mundo.
En 1937, el corresponsal en La
Habana de la agencia norteamericana UP dedica una crónica a Constantino
Ribalaigua. Refiere que un grupo de amigos conversaba sobre beisbol en uno de los bares del Hotel Nacional cuando
uno de ellos preguntó sobre quién podría considerarse el mejor cantinero cubano.
Constantino Ribalaigua, respondió el barman que los atendía, aunque la pregunta
no le estaba dirigida expresamente. De inmediato, refiere el periodista, uno de
los del grupo telefoneó al Sloppy y a Prado 86 y también a los bares de los
hoteles Plaza y Sevilla, muy famosos en la época. Obtuvo la misma respuesta. El
reportero visitó a Constantino en Floridita y quedó maravillado. Confesó el
barman que sus mejores cocteles eran daiquirí, presidente y Pepín Rivero,
inspirado en el director-propietario del Diario de la Marina. El escribidor, que tiene en su archivo las fórmulas de más
de 300 cocteles recogidas en bares y cantinas de toda la Isla, no ha podido ver la receta de ese último
coctel. No aparece en el recetario del Floridita que Constantino publicó en
1939, cuando el señor Rivero todavía vivía. Por cierto, en ese coctelario se
consigna la fórmula de un daiquirí elaborado expresamente con Havana Club.
Che aveva
UNA INCÓGNITA
Si es
posible precisar el origen de muchos cocteles y mencionar a sus creadores por
su nombre, el Cuba libre queda en el misterio. Todavía a fines del siglo XIX no
se conocía en Cuba la palabra coctel. La ginebra superaba al ron en el gusto de
los bebedores y se hablaba de compuestos, achampanados y meneados. La intervención militar
norteamericana puso una nota de modernidad en los bares cubanos, y ron,
refresco de cola y hielo hicieron una mezcla de campeonato. Cesó la soberanía
española, la Isla quedó bajo la égida de
Estados Unidos y nació una república mediatizada. Pero la gente, con una buena
dosis de ingenuidad, levantaba su vaso y decía: Cuba libre. En 1902 surgía el
bar La Florida que, con el tiempo, pasó a ser el Floridita, y existían ya
entonces el American Club, que quebró y reabrió después y la cantina que daba servicio a las tropas
norteamericanas destacadas en el campamento de Columbia. Existía, como ya se
dijo, el Dos Hermanos. Se habla asimismo de un bar Americano, que el escribidor
no ha podido localizar, si es que existió. En cualquiera de ellos pudo surgir
el Cuba libre. .
La Bodeguita del Medio entusiasmó a
los visitantes. Su fundador, Ángel Martínez, repetía que a los 12 años de edad
su padre lo condenó a cadena perpetua detrás de un mostrador. En 1942 compró el
establecimiento que entonces se llamaba
La Complaciente y que no era más que una bodega de barrio. Allí su esposa
Armenia comenzó a cocinar para unos pocos clientes, entre ellos Felito Ayón, un
animal de la noche habanera que se vincula, como impresor, a hitos
imprescindibles de la poesía cubana, como la Elegía a Jesús Menéndez, de Nicolás
Guillén con dibujos de Carlos Enríquez.
Felito que tenía su negocio en la misma cuadra de lo que se llamaba ya
La Casa Martínez, decía a sus clientes: Si no estoy en la imprenta, búscame en
la bodega, una bodeguita que está en el medio de la calle. De ahí surgió La
Bodeguita del Medio, algo tan obvio que a nadie se le ocurrió antes. Así se
llama este establecimiento desde el 26 de abril de 1950. Martínez terminó
desembarazándose de los víveres y licores habituales en las bodegas y puso unas pocas mesas en el reducido espacio
de que disponía, creció la fama de la cocina de Armenia, reforzada luego por
las manos prodigiosas de «La China» Silvia Torres, y los mojitos, que
adquirieron allí carta de ciudadanía internacional, hicieron el resto.
Por allí ha pasado todo el mundo, es
un decir. Al igual que por el bar Vista al Golfo del Hotel Nacional, donde los
embajadores del ron Havana Club, con el coctel que lleva el nombre del
establecimiento hotelero en la mano, pudieron apreciar la extensa galería de fotos
de famosos que adornan las paredes; clientes todos de la instalación.
Los invitados recorrieron La Habana
en coches tirados por caballos, bici taxis y grandes carrones convertibles. La
noche final, después de la cena, les regaló una experiencia memorable: pudieron
participar en un maridaje entre un Cohíba siglo VI y el ron Unión de Havana
Club.
Una combinación perfecta.
Ciro Bianchi Ross
sabato 6 febbraio 2016
Profughi cubani e incontro storico fra i Capi di due Chiese Cristiane
Dal prossimo martedì 9, gli
oltre settemila cubani ancora in attesa di uscire dal Costarica, potranno
finalmente recarsi (in transito) nel Messico, direttamente in aereo, per
proseguire il cammino verso gli Stati Uniti passando la frontiera sprovvisti di
visto d’ingresso. All'uopo verrà istituito un imponente ponte aereo con circa 10 voli quotidiani. Resta sempre un mistero quello per cui i cittadini cubani che
entrano illegalmente negli States vengano poi accolti e assistiti come nessun
altro al mondo, ma il rilascio di visti regolari per cui possano entrare senza
tante peripezie è estremamente ristretto e controllato. Al di la di gente che
ormai è uscita dal suo territorio nazionale, ci sono decine di migliaia di
cubani a cui è stato e viene negato il visto, prima dall’Ufficio d’Interessi e
adesso dall’Ambasciata.
Cambiando tema, credo sia
ormai risaputo ovunque dell’incontro previsto all’aeroporto José Martí
dell’Avana tra il Papa Francesco e il Patriarca della Chiesa Russa Ortodossa,
approfittando di uno scalo tecnico del Santo Padre in vista del suo viaggio in
Messico.
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