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venerdì 4 marzo 2016
giovedì 3 marzo 2016
mercoledì 2 marzo 2016
Un presidente nordamericano all'Avana, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventude Rebelde del 28/2/16
Solo un presidente nordamericano è stato all’Avana durante l’esercizio del suo mandato. Nel gennaio 1928, in risposta a un invito del generale Gerardo Machado, presidente della Repubblica di Cuba, giungeva all’Isola Calvin Coolidge, al fine di essere presente all’inaugurazione della Sesta Conferenza Panamericana che quì si sarebbe tenuta.
Il “più ermetico” dei presidenti nordamericani, scrisse nelle sue memorie Orestes Ferrara, ambasciatore cubano a Washington tra il 1926 e il 1932 e lo descrive come “serio, silenzioso e intelligente”.
“Io considero che il successo di questo presidente – scrisse Ferrara – che fu molto grande, nonostante non fosse un politico di livello, ebbe come base il suo equilibrio, la sua mancanza di vanità e il suo poco, o nessun, interesse che lo considerassero un gran personaggio. Era convinto che quanto meno facesse, al potere, fosse meglio e che come contrasto, i famosi redentori di popoli rincorrono la propria gloria. A Coolidge non lo illudeva l’applauso, non si affliggeva per la critica, non lo offendeva il polemista in mala fede. Chiuso in se stesso, sincero nelle sue meditazioni, sperava di servire il Paese come un funzionario che deve evitargli i mali che si presentano e solo quando si presentano”.
In ricevimenti e banchetti vari, si incontrarono diverse volte il Presidente nordamericano e l’Ambasciatore cubano. In un’occasione che lo ricevette nel suo studio alla Casa Bianca, Ferrara fu sorpreso nel vedere la scrivania completamente libera di scartoffie e gli chiese come faceva per ottenerlo. La risposta giunse rapida. Con la sua voce nasale e monotona Coolidge rispose:
- Perché lavoro poco.
Il diplomatico replicò che il presidente Taft che aveva visitato 15 anni prima, nello stesso ufficio, gli confidò che la vita di un presidente nordamericano era un tormento, perché adempiere agli obblighi dell’incarico era sovrumano. Coolidge non rispose. Mantenne un lungo silenzio che non fu sgradevole per l’Ambasciatore, perché il presidente lo guardava sorridendo.
-Chi distribuisce il lavoro del potere esecutivo? – chiese alla fine.
-Il Presidente – rispose Ferrara.
-È quello che faccio io. Divido il lavoro e prendo parte al problema se il gabinetto non si mette d’accordo – disse Coolidge abbassando lo sguardo, gesto che in modo inequivocabile metteva fine a una discussione.
Fuori dal Protocollo
Un giorno, quasi all’alba, squillò il telefono dell’Ambasciatore di Cuba a Washington.
Machado che si alzava sempre alle cinque, voleva comunicare a Ferrara che due giorni dopo sarebbe partito per quella città, con un seguito di otto o dieci persone e chiedeva se poteva alloggiare all’Ambasciata. In caso contrario non ci sarebbero stati problemi; sarebbe andato in un albergo. Ad ogni modo sarebbe rimasto solo due giorni nella capitale nordamericana e avrebbe proseguito verso New York. Machado spiegò che Enoch Crowder, ambasciatore nordamericano all’Avana, lo aveva invitato alla riunione annuale del Gridiron Club. A Ferrara sembrò un’idea poco felice. Era contrario a che un mandatario straniero partecipasse a una riunione come quella e inoltre era fuori dal protocollo che Machado si incontrasse con Coolidge che avrebbe assistito al banchetto, senza averlo visto prima.
Urgeva trovare una via d’uscita. Il Segretario di Stato era malato e Ferrara non volle rivolgersi a la capo del protocollo per timore che la sua decisione sminuisse o annullasse il Capo di Stato cubano. Preferì conversare con il direttore della Sezione Latinoamericana del Dipartimento di Stato. Criticò l’idea che Machado assistesse al banchetto del Gridiron Club, ma caldeggiò il proposito che visitasse Coolidge e lo invitasse alla Conferenza Panamericana dell’Avana.
Il funzionario si mostrò d’accordo con l’ambasciatore e corse a rendere conto del fatto al Segretario di Stato. Solamente un’ora dopo, giunse con l’approvazione del capo del Dipartimento: Machado sarebbe giunto a Washington e avrebbe invitato il Presidente alla riunione. Quello che non si sapeva era se Coolidge avrebbe accettato o no. Questo, al momento, era il meno, mancava ancora quasi un anno per la conferenza dell’Avana. In quanto al banchetto del Gridiron Club, il cui invito aveva accettato, Machado si sarebbe dichiarato ammalato e avrebbe delegato Ferrara a rappresentarlo.
La visita del Presidente cubano a Washington tardò più del previsto, circostanza che Ferrara aprofittò per ultimare con calma e giudiziosamente i preparativi del suo soggiorno. Rimase tre o quattro giorni nella capiatle nordamericana ed alloggiò nell’Ambasciata di Cuba. Ci furono cene e ricevimenti, si distinse fra questi atti il banchetto col quale Coolidge si congratulò col visitatore, alla Casa Bianca. Siccome Machado era arrivato senza sua moglie, corrispose alla signora María Luisa, moglie di Ferrara, sedersi alla destra del Presidente nordamericano. E fu a lei che comunicò che accettava l’invito di visitare l’Avana. Siccome quell’uomo silenzioso e riflessivo si espresse con l’Ambasciatrice nel momento quasi finale della cena, Alice Longworth, figlia dell’ex presidente Teodoro Roosvelt e moglie del Presidente della Camera dei Rappresentanti che occupava la sedia alla sinistra del mandatario, domandò a María Luisa, al di sopra di Coolidge, cosa avesse fatto perché l’uomo parlasse tanto, quando a lei non aveva rivolto una sola parola. Coolidge assistette all’Ambasciata di Cuba alla cena con cui Machado contraccambiava la sua. L’ultimo giorno di soggiorno del cubano a Washington, entrambi i presidenti affrontarono il tema della Conferenza Panamericana. A richiesta di Machado si toccò il tema zuccheriero e della crisi economica che si avvicinava. Anche, si dice, Machado chiese la deroga dell’Emendamento Platt. La stampa riferì, attribuendolo a Machado che la sua conversazione con Coolidge fu quasi completamente sui mutui vantaggi di rettificare l’Emendamento, ma Coolidge disse che non fu quello il tema affrontato nella conversazione.
Ferrara su questo punto si dimostrava ottimista. Dice che gli assicurarono che Coolidge avrebbe derogato l’Emendamento se Cuba riduceva il suo debito pubblico e realizzava le elezioni presidenziali del 1928 senza agitazioni faziose, frodi né violenza. Questa notizia non quadrava con quello che Coolidge disse alla moglie di Ferrara durante la cena alla Casa Bianca: “Se fino adesso vi è andato bene con l’Emendamento Platt, perché sopprimerlo?”.
Si dice che Machado fu a Washington in cerca di appoggio alla sua politica di rielezione e proroga dei poteri, offrendo come garanzia di non pronunciarsi contro l’Emendamento Platt e dare, durante la conferenza, il più servile appoggio alla delegazione nordamericana quando le delegazioni latino americane presenti inalberassero la tesi del non intervento. Nella sua docilità, il Governo Cubano, giunse a negare l’invito al presidente della Lega delle Nazioni e ai rappresentanti del governo spagnolo che chiedevano di partecipare.
Corona di frutta
L’Avana si preparò per la celebrazione della Sesta Conferenza Panamericana. Mesi prima, l’esperto diplomatico Manuel Márquez Sterling, divenuto ambasciatore speciale, visitò tutti i Paesi dell’America Latina ottenendo la presenza dei loro Governi al conclave.
La risposta fu unanime: inviarono tutti la loro rappresentanza all’Isola: mai prima, una riunione di quel tipo aveva avuto tanti paesi partecipanti. Si eresse la Scalinata dell’Università, si terminò il tracciato dell’Avenida de las Misiones e il vecchio Campo di Marte fu trasformato nella Piazza della Fraternità Americana. Nelle radici della ceiba che vi fu trapiantata per l’occasione, si sparse la terra di tutte le repubbliche americane, portata specialmente per i capi di ogni delegazione. Ai capi delegazione fu consegnata una chiave d’oro con cui si apriva il cancello che proteggeva la ceiba. Per certo, la chiave della delegazione del Messico si conserva nel museo della cancelleria di quel Paese.
Uno spettacolo brillante dette inizio alla conferenza al Teatro Nacional e nella sessione di appertura si ascoltarono i discorsi di Machado e Coolidge. La conferenza avrebbe avuto le sessioni all’Università. In quei giorni non si permise l’entrata degli alunni alla casa degli alti studi e oltre 200 lavoratori e studenti che il Governo considerava come indesiderabili o sovversivi vennero messi dietro le sbarre. Il giorno di apertura della riunione – 28 gennaio 1928 – fu dichiarato Festa Nazionale. Nelle giornate finali, il 17 febbraio, Machado invitò i delegati a che lo accompagnassero all’Isola dei Pini al fine di inaugurare la prima galera della cosiddetta Prigione Modello. La riunione si concluse il giorno 20.
Durante i suoi giorni a Cuba, Calvin Coolidge si alloggiò nel Palazzo Presidenziale. Lo si vide molto compiaciuto nel pranzo che Machado offrì in suo onore nella sua tenuta Nenita, sulla strada che va da Santiago de las Vegas a Managua. Il visitatore alterò tutta la disposizione del menù e mangiò abbondantemente frutta cubana che lo deliziò. La moglie di Ferrara, seduta alla sua sinistra e servendogli da interprete, si rese conto della sua curiosità e lo invitò a cominciare dalla frutta, col permesso di Elvira, la moglie di Machado. L’immenso portafrutta andò svuotandosi poco a poco, giacché Machado e gli altri invitati imitarono Coolidge. Il capo della sala da pranzo e i camerieri, portando ogni tipo di piatto squisito, non sapevano cosa fare; il banchetto si poté organizzare solo quando cominciarono a essere servite le estremità della tavola per arrivare poi, lentamente, fino al personaggio del centro. Machado lo omaggiò con una colonna confezionata con metalli che furono parte del monumento al Maine, distrutto dal ciclone del 20 ottobre del 1926.
“Durante la sua permanenza a Cuba, Coolidge non commise un solo errore e compì con buona volontà quanto gli fu indicato da coloro che prepararono il programma per i festeggiamenti che risultavano sempre eccessivi, senza manifestare nessuna contrarietà”. Scrisse Orestes Ferrara nelle sue memorie e aggiunse che quando lasciò l’Avana, cosa che successe molto prima che si concludesse la riunione, il conclave funzionò regolarmente.
Quando, alla viglia della Sesta Conferenza Panamericana, Márquez Sterling si preparava a compiere il suo periplo latino americano, il presidente Machado gli disse: “Márquez, ho bisogno che visiti quei paesi che sono renitenti a prendere parte alla riunione e che ci aiutino a fare dell’Emendamento Platt uno strumento obsoleto”.
Parole vane. Risultò tutto il contrario. Anche se l’agenda della riunione era carica di affari intrascendenti, si apriva il passo al tema del non intervento. Gli Stati Uniti erano intervenuti militarmente in Messico, Santo Domingo, Haiti, Nicaragua...In Brasile nel 1927, la riunione dei Giureconsulti aveva proclamato: “Nessuno Stato può intervenire negli affari interni di un altro”. All’Avana, la maggioranza delle delegazioni non volle opporsi a quello precettato dai Giureconsulti in Brasile. Machado, comunque esagerava con segnali e Ferrara, come
capo della delegazione cubana, dava il “la” nel proclamare cinicamente che Cuba non poteva unirsi al coro generale del non intervento, perché l’intervento aveva significato l’indipendenza per il Paese. Quindi espresse: “la parola intervento, nel mio Paese, è stata parola di gloria, è stata parola d’onore, è stata parola di vittoria; è stata parola di libertà; è stata l’indipendenza”.
capo della delegazione cubana, dava il “la” nel proclamare cinicamente che Cuba non poteva unirsi al coro generale del non intervento, perché l’intervento aveva significato l’indipendenza per il Paese. Quindi espresse: “la parola intervento, nel mio Paese, è stata parola di gloria, è stata parola d’onore, è stata parola di vittoria; è stata parola di libertà; è stata l’indipendenza”.
Il tema sarebbe stato definitivamente rinviato alla Settima Conferenza Panamericana da celebrarsi a Montevideo, nel 1934.
Un presidente norteamericano en La Habana
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
27 de Febrero del 2016 21:04:31 CDT
Solo un presidente norteamericano estuvo en La Habana durante el ejercicio de su cargo. En enero de 1928, en respuesta a una invitación del general Gerardo Machado, presidente de la República de Cuba, arribaba a la Isla Calvin Coolidge, a fin de estar presente en la inauguración de la Sexta Conferencia Panamericana que aquí tendría lugar.
Era «el más hermético» de los mandatarios norteamericanos, escribió en sus memorias Orestes Ferrara, embajador cubano en Washington entre 1926 y 1932, y lo describe como «serio, silencioso e inteligente».
«Yo considero que el éxito de ese Presidente —apuntó Ferrara—, que fue muy grande a pesar de no ser él un político de envergadura, tuvo como base su equilibrio, su falta de vanidad y su poco o ningún deseo de que lo considerasen un gran personaje. Estaba convencido de que cuanto menos hacía en el poder era mejor, y que por contraste los famosos redentores de pueblos corren detrás de su propia gloria. A Coolidge no le halagaba el aplauso, no le afligía la crítica, no le mortificaba el polemista de mala fe. Encerrado en sí mismo, sincero en sus meditaciones, esperaba servir al país como un funcionario que debe evitarle los males que se presenten y solo cuando se presenten».
En recepciones y banquetes alternaron varias veces el Presidente norteamericano y el Embajador cubano. En una ocasión en que lo recibió en su despacho de la Casa Blanca, Ferrara se sorprendió al ver el escritorio totalmente limpio de papeles y preguntó cómo se las arreglaba para conseguirlo. La respuesta llegó rápida. Con su voz nasal y monótona, Coolidge respondió:
—Porque trabajo poco.
Replicó el diplomático que el presidente Taft, a quien había visitado 15 años antes en el mismo despacho, le confió que la vida de un mandatario norteamericano era un tormento, porque cumplir con las obligaciones del cargo resultaba superior a lo humano. Coolidge no respondió. Guardó un largo silencio que no fue desagradable para el Embajador, porque el mandatario lo miraba sonriendo.
—¿Quién distribuye el trabajo del poder ejecutivo? —inquirió al fin.
—El Presidente —respondió Ferrara.
—Eso es lo que yo hago. Reparto el trabajo y solo tomo cartas en el asunto si el gabinete no se pone de acuerdo —dijo Coolidge y bajó los ojos, gesto con que de manera invariable daba por terminada una discusión.
Fuera de protocolo
Un día, casi de madrugada, sonó el teléfono del Embajador de Cuba en Washington. Machado, que se levantaba siempre a las cinco, quería comunicar a Ferrara que dos días después saldría para esa ciudad, con un séquito de ocho o diez personas, y preguntaba si podía alojarse en la Embajada. En caso negativo, no habría problema; se iría a un hotel.
De cualquier manera, permanecería solo dos días en la capital norteamericana y seguiría rumbo a Nueva York. Machado explicó que Enoch Crowder, exembajador norteamericano en La Habana, lo había invitado a la reunión anual del Gridiron Club. A Ferrara le pareció una idea poco feliz. Era contrario a la norma que un mandatario extranjero participara en una reunión como aquella y, además, estaba fuera del protocolo que Machado se encontrase con Coolidge, que asistiría al banquete, sin haberlo visto antes.
Urgía buscar una salida. El Secretario de Estado estaba enfermo, y Ferrara no quiso acudir al jefe del protocolo por temor a que su decisión disminuyera o ninguneara al Jefe del Estado cubano. Prefirió conversar con el director de la Sección Latinoamericana del Departamento de Estado. Criticó la idea de que Machado asistiera al banquete del Gridiron Club, pero calorizó el propósito de que visitara a Coolidge y lo invitara a la Conferencia Panamericana de La Habana.
El funcionario se mostró de acuerdo con el embajador y corrió a dar cuenta del asunto al Secretario de Estado. Apenas una hora después, regresó con la aprobación del jefe del Departamento: Machado viajaría a Washington e invitaría al Presidente a la reunión. Lo que no se sabía era si Coolidge aceptaría o no. Eso era lo de menos en ese momento, pues aún faltaba casi un año para la conferencia de La Habana. En cuanto al banquete del Gridiron Club, cuya invitación ya había aceptado, Machado se declararía enfermo y delegaría en Ferrara su representación.
La visita del Presidente cubano a Washington se retardó más de lo previsto, circunstancia que Ferrara aprovechó para ultimar tranquila y juiciosamente los preparativos de su estancia. Permaneció tres o cuatro días en la capital norteamericana y se alojó en la Embajada de Cuba. Hubo cenas y recepciones, y sobresalió entre esos actos el banquete con el que Coolidge congratuló en la Casa Blanca al visitante. Como Machado había viajado sin su esposa, correspondió a María Luisa, la señora de Ferrara, sentarse a la derecha del Presidente norteamericano. Y fue a ella a la que comunicó que aceptaba la invitación de viajar a La Habana. Porque aquel hombre callado y reflexivo se explayó con la Embajadora al punto de que, casi al final de la comida, Alice Longworth, hija del expresidente Teodoro Roosevelt y esposa del Presidente de la Cámara de Representantes, que ocupaba la silla de la izquierda del mandatario, preguntó a María Luisa, por encima de Coolidge, qué había hecho para que el hombre hablara tanto cuando a ella no le había dirigido una sola palabra.
Coolidge asistió, en la Embajada de Cuba, a la cena con que Machado reciprocó la suya. El último día de la estancia del cubano en Washington, ambos mandatarios abordaron el tema de la Conferencia Panamericana. A instancias de Machado se tocó el tema azucarero y el de la crisis económica que se avecinaba. También, se dice, Machado pidió la derogación de la Enmienda Platt. La prensa refirió, atribuyéndolo al general Machado, que su conversación con Coolidge versó casi en su totalidad sobre las mutuas ventajas de rectificar la Enmienda, pero Coolidge diría que ese tema no fue aludido en la entrevista.
Ferrara se mostraba optimista en ese punto. Dice que le aseguraron que Coolidge derogaría la Enmienda si Cuba rebajaba la deuda pública y realizaba las elecciones presidenciales de 1928 sin agitaciones facciosas y sin fraude ni violencia. Esa noticia no compaginaba con lo que Coolidge dijo a la esposa de Ferrara durante la cena en la Casa Blanca: «Si hasta ahora les ha ido bien con la Enmienda Platt, ¿por qué suprimirla?».
Se plantea que Machado fue a Washington en procura de apoyo a su política de reelección y prórroga de poderes, y ofreció como garantía no pronunciarse contra la Enmienda Platt y dar, durante la conferencia, el más servil apoyo a la delegación norteamericana cuando las delegaciones latinoamericanas presentes enarbolaran la tesis de la no intervención. En su docilidad, el Gobierno cubano llegó a negar la invitación al presidente de la Liga de las Naciones y a representantes del Gobierno español que pidieron participar.
Corona de las frutas
La Habana se alistó para la celebración de la Sexta Conferencia Panamericana. Meses antes, el experimentado diplomático Manuel Márquez Sterling, devenido embajador especial, visitó todos los países de la América Latina recabando la presencia de sus gobiernos en el cónclave.
La respuesta fue unánime: todos enviaron su representación a la Isla; nunca antes una reunión de ese tipo había tenido tantos países participantes. Se erigió la Escalinata de la Universidad, se terminó el trazado de la Avenida de las Misiones y el viejo Campo de Marte quedó transformado en la Plaza de la Fraternidad Americana. En las raíces de la ceiba que allí fue trasplantada para la ocasión, se regó tierra de todas las repúblicas americanas, traída especialmente por los jefes de cada una de las delegaciones. A los jefes de delegación se les entregó una llave de oro con la que se abría la reja que protegía la ceiba. Por cierto, la llave de la delegación de México se conserva en el museo de la Cancillería de ese país.
Un brillante espectáculo dio inicio a la conferencia en el Teatro Nacional, y la sesión de apertura escuchó los discursos de Machado y Coolidge. La conferencia sesionaría en la Universidad. Pero no se permitió en esos días la entrada del alumnado a la casa de altos estudios, y más de 200 trabajadores y estudiantes que el Gobierno consideró como indeseables o subversivos fueron puestos tras las rejas. El día de la apertura de la reunión —26 de enero de 1928— fue declarado por el Gobierno como de Fiesta Nacional. En las jornadas finales, el 17 de febrero, Machado invitó a los delegados a que lo acompañaran a Isla de Pinos a fin de dejar inaugurada la primera galera del llamado Presidio Modelo. La reunión concluyó el día 20.
Durante sus días en Cuba, Calvin Coolidge se alojó en el Palacio Presidencial. Se le vio muy complacido en el almuerzo que en su honor Machado ofreció en su finca Nenita, en la carretera que corre entre Santiago de las Vegas y Managua. El visitante alteró toda la disposición del menú y comió en abundancia frutas cubanas, que lo deleitaron. La esposa de Ferrara, sentada a su izquierda y sirviéndole de traductora, se dio cuenta de su curiosidad y lo invitó a empezar por la fruta, con el permiso de Elvira, la esposa de Machado. El inmenso frutero fue vaciándose poco a poco, ya que Machado y los demás invitados imitaron a Coolidge. El jefe de comedor y los camareros, portando toda la clase de platos exquisitos, no sabían qué hacer; solo pudo organizarse la comida cuando empezaron a ser servidos los extremos de la mesa, para llegar luego, lentamente, hasta el personaje del centro. Machado le obsequió una columna confeccionada con metales que fueron parte del monumento al Maine, destruido por el ciclón del 20 de octubre de 1926.
«Durante su estancia en Cuba, Coolidge no cometió un solo error y cumplió con buena voluntad cuanto le fue indicado por los que prepararon el programa de los festejos, que siempre resultan excesivos, y sin manifestar un solo desagrado», escribió Orestes Ferrara en sus memorias, y añadió que cuando abandonó La Habana, lo que ocurrió mucho antes de que concluyera la reunión, el cónclave funcionó regularmente.
Cuando, en vísperas de la Sexta Conferencia Panamericana, Márquez Sterling se disponía a iniciar su periplo latinoamericano, el presidente Machado le dijo: «Márquez, necesito que usted visite aquellos países que están renuentes a tomar parte en la reunión y que nos ayuden hacer de la Enmienda Platt una pragmática obsoleta».
Vanas palabras. Resultó todo lo contrario. Aunque la agenda de la reunión estaba cargada de asuntos intrascendentes, se abría paso el tema de la no intervención. Estados Unidos había intervenido militarmente en México, Santo Domingo, Haití, Nicaragua… En Brasil, en 1927, la reunión de Jurisconsultos había proclamado: «Ningún Estado puede intervenir en los asuntos internos de otro». En La Habana la mayoría de las delegaciones no quiso oponerse a lo preceptuado por los Jurisconsultos en Brasil. Machado, sin embargo, se pasaba con fichas, y Ferrara, como jefe de la delegación cubana, daba la nota al proclamar cínicamente que Cuba no podía unirse al coro general de la no intervención, porque la intervención había significado para el país la independencia. Expresó entonces: «la palabra intervención, en mi país, ha sido palabra de gloria, ha sido palabra de honor, ha sido palabra de triunfo; ha sido palabra de libertad: ha sido la independencia».
El tema quedaría definitivamente aplazado para la Séptima Conferencia Panamericana, a celebrarse en Montevideo, en 1934.
Ciro Bianchi Ross
martedì 1 marzo 2016
Dizionario di mare per lupi di terra
ALBERO DI TRINCHETTO: cresce nei giardini degli ubriaconi (dal lombardo "trincare")
domenica 28 febbraio 2016
Diritti Umani e Diritti Civili, una sfumatura linguistica?
Fonte: El Nuevo
herald
CUBA
FEBRERO 28, 2016 9:10 AM
Kerry prepara un viaje a Cuba para elevar el diálogo
sobre derechos humanos
Legisladores republicanos presionaron a Kerry para que
citara avances en derechos humanos en Cuba
Según CCDHRN, en enero hubo al menos 1,414 detenciones
por motivos políticos en la isla
Esta sería la primera ronda formal del diálogo de derechos humanos
WASHINGTON
El secretario de Estado,
John Kerry, viajará pronto a Cuba para potenciar el diálogo sobre derechos
humanos, el tema más espinoso en la nueva relación, y allanar el camino para la
visita de Barack Obama en un momento de fuertes críticas republicanas sobre la
represión en la isla.
Kerry, que en agosto pasado
se convirtió en el primer secretario de Estado en visitar Cuba en 70 años, dijo
esta semana que podría regresar a la isla “en una semana o dos, para tener un
diálogo de derechos humanos”.
El anuncio llega poco
después de que la Casa Blanca anunciara que Obama viajará a Cuba los días 21 y
22 de marzo, y es sorprendente por el hecho de que Kerry decida asumir el
liderazgo de un diálogo que hasta ahora había encabezado uno de sus
subordinados, el subsecretario de Estado Tom Malinowski.
“Enviar a Kerry para liderar
la delegación estadounidense en el diálogo sobre derechos humanos en La Habana
demuestra la importancia que el presidente Obama da a ese tema”, dijo un
experto en Cuba en la American University, William LeoGrande.
Para Michael Shifter,
presidente del centro de estudios Diálogo Interamericano, la visita de Kerry
refleja un deseo de “apaciguar a aquellos que exigen una posición más fuerte en
este asunto”.
En cuatro audiencias ante el
Congreso esta semana, varios legisladores republicanos presionaron a Kerry para
que citara avances en derechos humanos en Cuba, denunciaron que la situación ha
empeorado desde el establecimiento de relaciones diplomáticas y criticaron que
Obama planee viajar a la isla a pesar de ello.
Según la disidente Comisión
Cubana de Derechos Humanos y Reconciliación Nacional (CCDHRN), en enero hubo al
menos 1,414 detenciones por motivos políticos en la isla, una de las cifras
mensuales más altas de la última década.
“Me gustaría ir al mismo
oculista que usted, porque las gafas de color de rosa (con las que mira a Cuba)
son increíbles”, espetó a Kerry el jueves la congresista republicana de origen
cubano Ileana Ros-Lehtinen, que denunció los “masivos arrestos” en la
isla.
Su compañero de partido
Mario Díaz-Balart recordó el miércoles que, en una entrevista con el portal
Yahoo el pasado diciembre, Obama dijo que no tendría sentido visitar Cuba si
ese país va “hacia atrás” en cuanto a las libertades para el pueblo cubano.
“Y bajo cualquier medida
objetiva, el régimen de los Castro no ha mejorado su historial de derechos
humanos”, subrayó el congresista.
Según LeoGrande, sin embargo, “la atención de alto
nivel que se le está dando al diálogo sobre derechos humanos” que encabezará
Kerry “es la forma que tiene la Administración de refutar las críticas” de que
ha “ignorado” ese área en el proceso de deshielo.
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È evidente che l’inglese che si parla negli Stati Uniti è una lingua
diversa da quelle che si parlano in altre parti del mondo, italiano compreso.
Strano però che molti media riportino le traduzioni letterali e non quelle del
proprio idioma nazionale. Nel caso specifico è comprensibile trattandosi di un
giornale nordamericano, seppure in lingua spagnola. Ma molti altri organi
internazionali di stampa non sono diversi.
Secondo l’inglese parlato, e scritto in USA, i bombardamenti indiscriminati
anche su obbiettivi civili e ospedali servono a “portare la democrazia, la pace
e la libertà” nei paesi sottoposti a dittature che non sono di loro gradimento.
Così come i “Diritti Umani” vengono scambiati o mescolati, secondo convenienza,
con i “Diritti Civili”. Si equipara la libertà di espressione, per esempio, col
diritto alla vita, la salute, il lavoro, la casa e l’istruzione.
Non c'è dubbio che anche i Diritti Civili devono essere rispettati, specialmente quando son accompagnati dai "doveri" civili dei cittadini, ma chiamiamo le cose per il loro nome!
Quali sono i Diritti Civili e quelli Umani? Quelli di cui godono i prigionieri di Guantanamo? Non per la detenzione, in molti casi comunque arbitraria e ingiustificata, ma per il trattamento inferto, siano colpevoli di atroci misfatti o meno.
Non c'è dubbio che anche i Diritti Civili devono essere rispettati, specialmente quando son accompagnati dai "doveri" civili dei cittadini, ma chiamiamo le cose per il loro nome!
Quali sono i Diritti Civili e quelli Umani? Quelli di cui godono i prigionieri di Guantanamo? Non per la detenzione, in molti casi comunque arbitraria e ingiustificata, ma per il trattamento inferto, siano colpevoli di atroci misfatti o meno.
E questi come li chiamiamo?
CUBA
FEBRERO 27, 2016 8:56 PM
Familia cubana lleva detenida un año en Base de
Guantánamo
El disidente Adalberto Pérez Reina, su esposa y dos
hijos pequeños se encuentran en la Base Naval desde febrero o marzo del año
pasado
Esperan ser procesados para recibir asilo en un tercer
país
Agencias gubernamentales no han explicado por qué ha tardado tanto el
proceso
NORA GÁMEZ TORRES
ngameztorres@elnuevoherald.com
La Base Naval de Guantánamo
no solo alberga a presuntos terroristas. Un opositor cubano lleva casi un año
junto a su esposa y sus dos hijos en un centro para inmigrantes en esa
instalación, en espera de obtener refugio en un tercer país.
Adalberto Pérez Reina,
miembro del opositor Partido por la Democracia “Pedro Luis Boitel”, su esposa y
dos niños pequeños se encuentran en la Base Naval de Guantánamo presuntamente
desde finales de febrero o inicios de marzo del 2015, tras ser interceptados
cuando intentaban llegar por vía marítima a los Estados Unidos, confirmó desde
Matanzas, Cuba, el disidente Félix Navarro.
Navarro coordina las
actividades de esa organización en Matanzas y dijo que Pérez Reina asistió a
una reunión el 21 de febrero “y ya no estuvo más”. Navarro, quien mantiene
comunicación telefónica con Pérez Reina, dijo que este había intentado salir
del país en otra ocasión.
“Era uno de nuestros
ejecutivos en Perico [un pueblo de Matanzas] y era uno de los hombres en la
primera línea de acción”, señaló, al referirse a la participación del opositor
en múltiples protestas en la ciudad de Colón, como respuesta a la represión de
la policía contra las Damas de Blanco. “Cuando no llegaba, era porque lo
arrestaban a la salida de su casa. Es un hombre joven pero con mucha decisión
para colaborar con los que luchamos dentro de Cuba”, agregó.
Su última comunicación
telefónica fue este lunes.
La estancia de Pérez Reina y
su familia en Guantánamo tiene que ver con eventos que ocurrieron hace una
década.
Como resultado de la crisis
de los “balseros” en 1994, un éxodo masivo en el que miles de cubanos fueron a
parar a Guantánamo, EEUU implementó la política de “pies secos-pies mojados”,
por la cual las personas que son interceptadas en el Estrecho de la Florida por
la Guardia Costera estadounidense son deportados a Cuba. Sin embargo, cuando
algún cubano declara temer ser perseguido a su regreso, un oficial del Servicio
de Ciudadanía e Inmigración de Estados Unidos (USCIS) lo entrevista para
determinar si en ese caso existe un “temor creíble” que justifique una petición
de asilo.
Pero según esa política migratoria,
incluso aquellos que pueden demostrar tener motivos para solicitar asilo, no
pueden ser trasladados a Estados Unidos. La solución es la búsqueda de un
tercer país que los acoja. En este caso, la búsqueda ya ha demorado un año.
Según Navarro, Pérez Reina
le comunicó que estaba “a punto de salir de la Base para un tercer país. Creo
que es Australia”, dijo.
En el pasado, otros cubanos
con petición de asilo en Guantánamo han sido trasladados a países como
Honduras, Costa Rica y Hungría, según comentó el activista Ramón Saúl Sánchez.
Sánchez dijo que Pérez Reina formaba parte de un grupo de 9 personas que
estaban detenidas en Guantánamo, pero el Nuevo Herald no pudo confirmar esta
información con las autoridades estadounidenses.
Interrogado sobre el caso,
un vocero de la Base Naval de Guantánamo refirió las preguntas sobre este caso
hacia el Distrito séptimo de la Guardia Costera en Miami y el Departamento de
Seguridad Interna (DHS). Por su parte, la vocera de la Guardia Costera también
declinó comentar y redirigió las preguntas hacia USCIS. Finalmente, una vocera
de USCIS dijo que esa agencia no puede comentar sobre casos de asilo.
La oficina de la congresista
por la Florida Ileana Ros-Lehtinen no comentó sobre este caso particular pero
explicó que las oficinas de varios congresistas cubanoamericanos pueden proveer
información a familiares de los cubanos retenidos en Guantánamo, si estos lo
solicitan. No está claro si Pérez Reina tiene familiares en los Estados Unidos.
De acuerdo con una
publicación del Join Task Force de Guantánamo, los migrantes cubanos
interceptados en el mar u otros que arribaron solicitando asilo, viven “en
instalaciones para migrantes en la Base. Usualmente trabajan en la Base
mientras están esperando el procesamiento”.
Navarro dijo que los hijos
de Pérez Reina recibían clases allí y el opositor se habría quejado bromeando
que los niños hablaban ya “casi todo el tiempo en inglés”.
Obama presentó un plan para
cerrar Guantánamo esta semana e inmediatamente miembros del Congreso presentaron
una ley para bloquear la inicitiva. Algunos, como el congresista Mario Díaz-Balart, temen que la medida sea el preludio a una posible devolución
del territorio a Cuba.
La Base cuenta actualmente con una población de 6,000 personas, un tercio de la cual es personal militar.
Nora Gámez Torres: @ngameztorres
Dizionario di mare per lupi di terra
ALBERO DI GABBIA: cresce coi diritti umani e animali (Base americana di Guantanamo, giardini zoologici)
sabato 27 febbraio 2016
Dizionario del mare per lupi di terra
ALBERO DI BOMPRESSO: cresceva con quello di Sofro e Pietrostefano
venerdì 26 febbraio 2016
giovedì 25 febbraio 2016
Gennaio turistico a Cuba
In continua crescita il
trend turistico a Cuba. Nel mese di gennaio di quest’anno sono state registrate
400.000 presenze. Come sempre in testa il Canada seguito...dall’Italia in crisi
e poi dagli Stati Uniti. Niente male per un Paese in cui è vietato il turismo
tradizionale a Cuba.
Kerry torna a Cuba
Il Segretario di Stato
nordamericano, John Kerry, ha annunciato un suo ritorno a Cuba in vista
dell’annunciato viaggio di Barack Obama. Ha dichiarato che durante il suo
soggiorno, fra l’altro, si parlerà di “dirirtti umani”. Saranno quelli dei
nativi negli Stati Uniti? o dei cosiddetti, ipocritamente, afroamericani?
Oppure quelli di chi non ha mezzi per curarsi piuttosto quelli dei ragazzi che
frequentano le scuole medie e medie superiori i cui genitori sanno quando escono, ma non sanno se
torneranno?
mercoledì 24 febbraio 2016
Addio a Ramón Castro Ruz
Ieri è deceduto, all'età di 91 anni, Ramón Castro Ruz, il primogenito della nidiata del "gallego" Ángel Castro e della creola Lina Ruz. "Mongo", come veniva affettuosamente chiamato si lamentava sempre, scherzosamente, perché la gente gli diceva che assomigliava moltissimo a Fidel e lui di rimando diceva che essendo il maggiore, se mai, era il fratello a somigliare a lui.
Dopo la vittoria della Rivoluzione, non si è più occupato di politica attiva. Durante la dittatura di Fulgencio Batista fu detenuto per la sua attività a favore dei movimenti clandestini, particolarmente il 26 di Luglio. La sua vita, da allora, è stata dedicata all'allevamento del bestiame da carne e da latte di cui era un vero Maestro. La tenuta di Valle Picadura, da lui diretta è sempre stata oggetto di visite di persone qualificate o anche da semplici turisti che potevano vedere i metodi di allevamento dei bovini, ma non solo.
Le sue ceneri verranno depositate nella casa di famiglia a Birán.
Le sue ceneri verranno depositate nella casa di famiglia a Birán.
martedì 23 febbraio 2016
lunedì 22 febbraio 2016
Salute e cin cin, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 21/2/16
Lo scriba ha ricevuto
diversi messaggi in relazione alla pagina del 7 febbraio (Bar avaneri). Bruno
Emilio Rea e Gabriel M. Valdés si riferiscono al mojito, uno dei dieci classici
tra i cocktail cubani, mentre Aníbal García e Modesto Reyes Canto ricordano
dettagli interessanti circa alcuni dei bar citati nella cronaca citata,
specialmente Dos hermanos e Sloppy Joe’s. Su quest’ultimo esercizio si estende
un’altro lettore: Carlos Villanueva. Roberto Garaycoa e César O. Gómez López
scrivono per dare la ricetta del cocktail Pepín Rivero che io non sono riuscito
a trovare e che, mi dicono, appare nel libro Cocteles cubanos; 1.100 recetas en el tiempo, di José Alfonso
castro, pubblicato con il marchio della Editorial Oriente. Un altro lettore,
Manuel Rodríguez González, offre dettagli interessantissimi sul ferry tra Key
West e l’Avana. Andiamo per parti.
Fernando G. Campoamor,
storico del rum e autore di quel libro delizioso che è El hijo alegre de la caña de azúcar, diceva che il mojito era una
derivazione del draque o drake, un “composto” che fino ben addentro al XIX
secolo, fu molto richiesto nelle Antille. Campoamor aggiungeva che lo inventò
un corsaro con questo nome, Francis Drake, e si elaborava con grappa. Aveva
proprietà curative. Almeno, Ramón de Palma, scrisse nel suo romanzo El cólera en La Habana (1838): “io mi bevo tutti i giorni alle undici un ‘draquecito’ e mi va perfettamente”. Per
preparare il mojito si versa in un bicchiere succo di limone e un cucchiaino di
zucchero. Si aggiunge mentuccia, si macera il gambo, non le foglie, in modo che
il suo succo si mescoli bene col limone e lo zucchero. Si aggiungono due dita
di rum bianco, si mescola il tutto e si mettono nel bicchiere due o tre cubetti
di ghiaccio, si completa con acqua minerale e si adorna con un rametto di
mentuccia. Verso il 1910 all’Avana, si comincia a parlare del mojito frullato.
Più tardi, quando si inaugurano i bagni La Concha, sulla spiaggia di Marianao,
il mojito si converte nel cocktail insegna dell’installazione. Hanno detto a
chi scrive questo che nel bar c’erano due banconi. Uno di essi era esclusivo
per il mojito, l’altro per tutto il resto. Da La Concha, il mojito salta
all’hotel Florida, in Obispo e Cuba, dove se ne occupa un barman conosciuto
come Maragato. Da lì, passa alla Bodeguita del Medio.
Precisamente al mojito de La
Concha, si riferisce il lettore Bruno Emilio nel suo messaggio. Segnala che lì
c’era un barman chiamato Rogelio che li elaborava in “modo esemplare” e
aggiunge che i soci di altri club si recavano a La Concha per assaporarli.
Arrivavano da club così esclusivi come
l’Havana, il Miramar Yacht Club eEl Casino Español, a passare un buon
momento dvanti a un mojito in uno stabilimento balneare prevalentemente
popolare, al quale si accedeva solo con pagare il biglietto d’ingresso. Anche
nel Club Náutico, racconta Gabriel M. Valdés, si preparavano ugualmente
eccellenti mojitos e non era raro che un gruppo di amici si giocasse ai dadi il
pagamento di un giro. Salute e cin cin!
Carlos Villanueva dichiara
che tanto il Dos Hermanos, nell’Avenida del Puerto come lo Sloppy, disponevano
di camere perché le prostitute che “facevano la vita” in questi esercizi si
incontrassero coi loro clienti. Aggiunge che quando si restaurò il bar, dopo
essere rimasto chiuso per quasi cinque decadi, si commentò che nel suo
sotterraneo funzionava una sala da gioco alla quale, per le ingenti somme delle
scommesse, avevano accesso solo gli eletti. Ricorda di aver visto non pochi
segni di proiettili incrostati nelle pareti. Non c’era chi testimoniasse se ci
fossero stati, in quella sala, uno e vari scontri a fuoco. Poi si seppe,
continua dicendo Villanueva che agli inizi della Rivoluzione, il luogo fu sede
del comando di un battaglione delle Milizie e c’è da pensare che alcuni dei
suoi componenti aggiustasse la sua mira con obbiettivi posti in quelle pareti.
Il mio corrispondente che ha
in suo avere uno studio sui parcheggi dimenticati dell’Avana, dice che lo
Sloppy aveva il suo, sotterraneo, nel luogo dove nella decade del 1990 si
trovava la falegnameria e l’officina di manutenzione dell’hotel Plaza e oggi
sono i sotterraneidell’ampliamento dell’hotel Parque Central.
Arriva
la ricetta
Constantino Ribalaigua, il
re dei barman cubani nonostante fosse catalano, aveva il cocktail Pepín Rivero
come una delle sue creazioni migliori, assieme al Daiquirí e il Presidente,
come si è già commentato da un paio di settimane. Rivero diresse El Diario de
la Marina dalla morte di suo padre, nel 1919, fino alla suo prematuro decesso,
il 1° aprile del 1944. Fu molto letta la colonna che pubblicò per anni col titolo
di Impresiones.
La ricetta del cocktail che
porta il suo nome è questa: Si metta del ghiaccio in una coppa di vetro e vi si
versi 1,5 once di London Dry Gin, un’oncia di crema di cacao bianco Kuyper e un’oncia di latte. Agitare
gli ingredienti e versarli in un bicchiere freddo. Decorarlo con cerchio di
cioccolato in polvere.
Traghetti
Il lettore Manuel Rodríguez
González chiarisce nel suo messaggio che ha pubblicato diversi articoli sui
traghetti ferroviari e di passeggeri e vuole, col suo messaggio allo scriba,,
offrire alcune precisazioni sul tema. Segnala:
“Henry Flagler costruì la
linea ferroviaria Florida-Key West (1905-1912), come parte del suo progetto di
fare di quest’ultimo punto una gran base per la sua vicinanza con Cuba e col
Canale di Panama, allora in costruzione. Key West era il porto di acque
profonde più meridionale degli Stati Uniti. Il proposito iniziale era di
trasportare, a bordo di traghetti, treni carichi di merci con destinazione
l’Avana.
Il servizio cominciò nel
gennaio del 1915 e si costruirono tre traghetti; l’SS Henry M. Flagler, l’SS
Estrada Palma e l’SS Joseph R. Parrot. Ognuno di essi poteva trasportare 26
vagoni. La traversata tra Key West e l’Avana sarebbe durata sei ore.”
Rodríguez González ricorda
che quella fu tutta una novità; qualcosa di inedito nel trasporto
internazionale. Lo classifica come il precedente più immediato dell’attuale
trasporto con container. I vagoni facevano la funzione di contenitori, solo che
avevano le ruote e abbattevano i costi di trasporto e maniploazione dei
carichi. Così se un treno merci partiva, diciamo da Chicago, mnontava sul
traghetto a Key West, arrivava all’Avana e poteva continuare il viaggio fino a
Santiago de Cuba o qualsiasi altro punto della geografia cubana, senza che il
suo carico subisse alcuna manipolazione. Rodríguez González puntualizza nella
sua e-mail: “Il trfaghetto si caricava in mezz’ora, mentre una nave normale ci
impiegava da da tre a sei giorni a caricare lo stesso volume di merci. Da lì il
vantaggio commerciale del sistema che ebbe totale accettazione degli
imprenditori, comercianti e consegnatari”.
Aggiunge:
“Il treno Havana Special fu
un’idea di Flagler, parallela ai treghetti ferroviari, ma cominciò prima, nel
1912. Il treno ci metteva 38 ore sulla rotta New York-Key West e lì, i
passeggeri erano trasferiti a trasbordatori che attraversavano lo stretto della
Florida, com l’SS Governor Cobb, l’SS Cuba e l’SS Miami. Secondo quello che ho
investigato per anni, fin ora, non ci sono evidenze che i passeggeri attraversassero
il mare a bordo dei vagoni, i traghetti erano disegnati solo per i vagoni
merci”.
Il terminal di quei
traghetti trasbordadori, dice il mio
corrispondente, era l’imboccatura dell’Arsenale, adiacente ai moli che erano allora della Pan
American – attuale La Coubre – e Ward Line – attuale Aracelio iglesias-. Da un
lato del molo c’era l’imboccatura del traghetto. Si possono vedere ancora i
resti della strada ferrata che attraversavano il corso verso la Stazione dei
Treni, dove in uno spiazzo, si concentravano i vagoni che arrivavano dagli
Stati Uniti e quelli che partivano. Dall’altra parte c’erano i citati
trasbordadori dell’Havana Special. Questo molo fu l’attracco dell’SS Florida,
l’unico che rimase in servizio fino alla messa in atto dell’embargo.
“Il viadotto ferroviario, in
effetti, fu seriamente danneggiato dal ciclone del 1935. La base dei traghetti
ferroviari si trasladò a Palm Beach e la durata del viaggio verso l’Avana era
allora di 18 ore. Si costruirono due nuovi traghetti: il New Grand Haven, nel
1951 e il City of New Orleans, nel 1959. Trasportavano 56 vagoni ciascuno.
Vale la pena di menzionare
che il traghetto City of Havana che da Key West trasportava passeggeri nelle
loro automobili, continuò a usare il viadotto di Flagler ricostruito come
autostrada nel 1938, l’attuale Overseas Highway. Questo traghetto di
passeggeri, in servizio tra il 1956 e il 1960, era il più grande dell’area;
gtrasportava 500 passeggeri e 125 automobili. Atraccava all’imbocco di
Hacendados, nella rada di Atarés e risultò essere un successo commerciale come
i traghetti ferroviari”, termina il suo messaggio Manuel Rodríguez González e
lo scriba passa ad altro tema.
Cosa
è successo di mio nonno?
Il lettore Ramón de Armas
riferisce, nel suo messaggio che suo nonno, spagnolo giunto a Cuba attorno al
1881 con circa 18 anni d’età, non appare in nessun registro “anche se lavorò,
creò una famiglia, si pensionò e ricevette la pensione che alla sua morte,
godette mia nonna fino alla sua morte”.
Immagino che il registro a
cui si riferisce il lettore sia quello degli stranieri. Chiede: “Cosa è
successo con gli spagnoli residenti a Cuba dopo l’intervento nordamericano e
successivamente alla costituzione della Repubblica? Furono obbligati a
registrarsi come stranieri o gli venne concessa automaticamente la cittadinanza
cubana? Se non si sono registrati quale fu, allora, il loro status?”.
La risposta che chi scrive
può offrire adesso all’interessato, chissà non sia la più completa. Sul tema,
lo scriba ha più dati di quelli che espone qua, ma si rifiutano di apparire in
un archivio che diventa più caotico ogni giorno.
Secondo il censimento che il
Governo di occupazione nordamericano fece sull’Isola nel 1899, risiedevano a
Cuba 129.236 spagnoli di nascita. Una quantità significativa, se si tiene conto
che il Paese aveva una popolazione totale di 1.527.797 abitanti.
Nel 1902, una legge
della recente proclamata Repubblica,
dispose che tutti gli stranieri che lo sollecitassero si sarebbero considerati
come cubani di nascita.Immagino che il nonno di de Armas si sia avvalso dei
benefici di questa legge.
¡Salud
y chinchín!
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
20 de
Febrero del 2016 21:35:22 CDT
Varios
mensajes recibió el escribidor con relación a la página del 7 de febrero (Bares
habaneros). Bruno Emilio Rea y Gabriel M. Valdés aluden al mojito, uno de los
diez clásicos de la coctelería cubana, mientras que Aníbal García y Modesto
Reyes Canto recuerdan detalles de interés acerca de algunos de los bares
citados en la crónica mencionada, en especial Dos Hermanos y Sloppy Joe’s.
Sobre este último establecimiento se extiende otro lector: Carlos Villanueva.
Roberto Garaycoa y César O. Gómez López escriben para dar la receta del coctel
Pepín Rivero, que yo no pude localizar y que, me dicen, aparece en el libro Cocteles cubanos; 1 100 recetas en el
tiempo, de José Alfonso Castro, publicado con el sello de la Editorial
Oriente. Otro lector, Manuel Rodríguez González, ofrece detalles
interesantísimos sobre los ferry entre Cayo Hueso y La Habana. Vayamos por
parte.
Decía
Fernando G. Campoamor, historiador del ron y autor de ese libro delicioso que
es El hijo alegre de la caña de azúcar,
que el mojito era una derivación del draque o drake, un «compuesto» que hasta
bien entrado el siglo XIX fue muy demandado en Las Antillas. Añadía Campoamor
que lo inventó el corsario de ese nombre, Francis Drake, y se elaboraba con
aguardiente. Tenía propiedades curativas. Al menos Ramón de Palma escribió en
su novela El cólera en La Habana (1838):
«Yo me
tomo todos los días a las once un draquecito y me va perfectamente». Para
preparar el mojito se vierte en un vaso zumo de limón y una cucharadita de
azúcar. Se añade yerba buena y se macera el tallo, no las hojas, a fin de que
su jugo se mezcle bien con el limón y el azúcar. Se adiciona línea y media de
ron blanco, se revuelve la mezcla y se ponen dos o tres cubitos de hielo en el
vaso, que se completa con agua mineral y se adorna con una ramita de
yerbabuena.
Sobre 1910
empieza a hablarse en La Habana del mojito batido. Más tarde, cuando se
inaugura el balneario de La Concha, en la playa de Marianao, el mojito se
convierte en el coctel insignia de la instalación. Han dicho a quien esto
escribe que en el bar había dos mostradores. Uno de ellos, en exclusiva, para
el mojito, y el otro para todo lo demás. De La Concha, el mojito salta al bar
del hotel Florida, en Obispo y Cuba, donde lo asume un barman conocido como
Maragato. De allí pasa a La Bodeguita del Medio.
Precisamente
al mojito de La Concha se refiere el lector Bruno Emilio en su mensaje. Apunta
que había allí un barman llamado Rogelio, que los elaboraba «de manera
ejemplar», y precisa que socios de otros clubes acudían a La Concha a
deleitarse con ellos. Llegaban desde clubes tan exclusivos como el Havana y el
Miramar Yacht Club y el Casino Español, a pasar un buen rato en torno a un
mojito en un balneario eminentemente popular, al que se accedía solo con abonar
el importe del tique de entrada. En el Club Náutico, cuenta Gabriel M.
Valdés, se
preparaban asimismo excelentes mojitos y no era raro que un grupo de amigos se
jugara al cubilete el pago de la ronda. ¡Salud y chinchín!
Carlos
Villanueva expresa que tanto Dos Hermanos, en la Avenida del Puerto, como el
Sloppy disponían de habitaciones para que las prostitutas que «hacían la vida»
en esas instalaciones se encontraran con los clientes. Añade que cuando se
restauró el bar, luego de permanecer cerrado durante casi cinco décadas, se
comentó que en su sótano funcionaba una sala de juegos a la que por el alto
monto de las apuestas solo los escogidos tenían acceso. Recuerda haber visto
allí no pocos plomos de balas incrustados en las paredes. No había quien
atestiguara si ocurrieron en esa sala uno o varios encuentros a tiros.
Después se
supo, sigue diciendo Villanueva, que en los inicios de la Revolución el lugar
fue sede de la jefatura de un batallón de Milicias y es de pensar que algunos
de sus componentes afinaran la puntería con objetivos colocados en aquellas
paredes.
Mi
corresponsal, que tiene en su haber un estudio sobre los parqueos olvidados de
La Habana, dice que el Sloppy tenía el suyo, subterráneo, en el sitio donde en
la década de 1990 se encontraba la carpintería y el departamento de
mantenimiento del hotel Plaza, y hoy son los sótanos de la ampliación del hotel
Parque Central.
Va la receta
Constantino
Ribalaigua, el rey de los cantineros cubanos, aunque era catalán, tenía el
coctel Pepín Rivero como una de sus mejores creaciones, junto al Daiquirí y el
Presidente, como ya se comentó hace un par de semanas. Rivero dirigió el Diario
de la Marina desde la muerte de su padre, en 1919, hasta su prematuro
fallecimiento, el 1ro.
de abril
de 1944. Muy leída fue la columna que durante años publicó bajo el título de
Impresiones.
La receta
del coctel que lleva su nombre es esta: Póngase hielo en una copa de vidrio y
viértase en ella 1,5 onzas de London Dry Gin, una onza de Kuyper Crema de cacao
blanco y una onza de leche. Agite los ingredientes y cuélelos en un vaso frío.
Decórelo con una llanta de chocolate espolvoreado.
Ferrys
El lector
Manuel Rodríguez González aclara en su mensaje que ha publicado varios
artículos sobre los ferry ferroviario y de pasajeros, y quiere, con su mensaje
al escribidor, ofrecer algunas precisiones sobre el tema. Señala:
«Henry
Flagler construyó la línea ferroviaria Florida-Cayo Hueso
(1905-1912)
como parte de su proyecto de hacer de ese último punto una gran base comercial
por su cercanía con Cuba y el Canal de Panamá, en construcción entonces. Cayo
Hueso era el puerto de aguas profundas más meridional de Estados Unidos. El
propósito inicial era el de transportar, a bordo del ferry, trenes cargados de
mercancías con destino a La Habana.
«El
servicio comenzó en enero de 1915 y se construyeron tres ferry: el SS Henry M.
Flagler, el SS Estrada Palma y el SS Joseph R. Parrot.
Cada uno
de ellos podía transportar 26 vagones. La travesía entre Cayo Hueso y La Habana
demoraría seis horas».
Recuerda
Rodríguez González que aquello fue toda una novedad; algo inédito en la
transportación internacional. Lo cataloga como el precedente más inmediato de
la actual transportación containerizada.
Los
vagones hacían la función de los contenedores, solo que poseían ruedas, y
abarataban los costos de transporte y manipulación de los cargamentos. Así, un
tren de mercancías salía, digamos, de Chicago, abordaba el ferry en Cayo Hueso,
llegaba a La Habana y podía continuar viaje a Santiago de Cuba o a cualquier
otro punto de la geografía cubana sin que su carga sufriera manipulación de
ningún tipo.
Puntualiza
Rodríguez González en su email: «El ferry se cargaba en media hora, mientras
que un barco corriente demoraba entre tres y seis días en cargar el mismo volumen
de mercancías. De ahí la ventaja comercial del sistema, que tuvo total
aceptación por parte de empresarios, comerciantes y consignatarios».
Añade:
«El tren
Havana Special fue una idea de Flagler paralela a los ferry ferroviarios, pero
comenzó antes, en 1912. El tren demoraba 38 horas en la ruta Nueva York-Cayo
Hueso y allí los pasajeros eran transferidos a trasbordadores que cruzaban el
estrecho de la Florida, como el SS Governor Cobb, el SS Cuba y el SS Miami.
Según lo que he investigado durante años hasta ahora, no hay evidencias de que
los viajeros cruzaran el mar a bordo de los vagones, pues los ferry estaban
diseñados solo para vagones de mercancías».
La
terminal de aquellos ferry trasbordadores, dice mi corresponsal, era el emboque
del Arsenal, adyacente a los muelles que eran entonces de la Pan American
—actual La Coubre— y Ward Line —actual Aracelio Iglesias—. A un lado del
espigón estaba el emboque del ferry. Aún pueden verse los restos de las líneas
férreas que atravesaban la calzada hacia la Terminal de Trenes donde, en un
patio, se concentraban los vagones que llegaban de Estados Unidos y los que
partían. Del otro lado estaban los referidos trasbordadores del Havana Special.
Ese muelle fue el atracadero del SS Florida, el único que quedó en servicio
hasta la implantación del bloqueo.
«El
viaducto ferroviario, en efecto, fue seriamente dañado por el ciclón de 1935.
La base de los ferry ferroviarios se trasladó a Palm Beach y la duración del
viaje hasta La Habana era entonces de 18 horas. Se construyeron dos nuevos
ferry: el New Grand Haven, en 1951, y el City of New Orleáns, en 1959.
Transportaban 56 vagones cada uno.
«Cabe
mencionar que el ferry City of Havana, que desde Cayo Hueso transportaba
viajeros en sus automóviles, siguió usando el antiguo viaducto de Flagler
reconstruido como autopista en 1938, la actual Overseas Highway. Ese ferry de
pasajeros, en servicio entre 1956 y 1960, era el mayor de toda el área pues
transportaba 500 pasajeros y
125
automóviles. Atracaba en el emboque de Hacendados en la ensenada de Atarés y
resultó un éxito comercial al igual que los ferry ferroviarios», finaliza su
mensaje Manuel Rodríguez González, y el escribidor pasa a otro tema.
¿Qué pasó con mi abuelo?
El lector
Ramón de Armas refiere en su mensaje que su abuelo, español llegado a Cuba
alrededor de 1881 con unos 18 años de edad, no aparece en ningún registro «aun
cuando trabajó, creó una familia, se jubiló y recibió pensión que, a su muerte,
disfrutó mi abuela hasta su fallecimiento».
Imagino
que el registro al que se refiere el lector sea el de extranjeros. Inquiere:
«¿Qué sucedió con los españoles residentes en Cuba luego de la intervención
norteamericana y posteriormente al constituirse la República? ¿Les fue
obligatorio registrarse como extranjeros o les fue otorgada automáticamente la
ciudadanía cubana?
¿Si no se
registraron, cuál fue entonces su estatus?».
La
respuesta que el que esto escribe puede ofrecer ahora al interesado, quizá no
sea la más completa. Sobre el tema, el escribidor tiene más datos de los que
ofrece aquí, pero se niegan a aparecer en un archivo que se caotiza por día.
Según el
censo que el Gobierno de ocupación norteamericano acometió en la Isla en 1899,
residían en Cuba 129 236 españoles de nacimiento. Una cantidad significativa si
se toma en cuenta que el país tenía una población total de 1 572 797
habitantes.
En 1902,
una ley de la recién proclamada República dispuso que todos los extranjeros que
lo solicitaran se considerarían como cubanos de nacimiento. Imagino que el
abuelo de De Armas se habrá acogido a los beneficios de esa ley.
Ciro Bianchi Ross
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