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lunedì 25 gennaio 2016

Un eroe dimenticato, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 24/1/16

Mariano Barberán e Joaquín Collar, due eroici aviatori spagnoli, il 10 giugno del 1933, furono protagonisti del volo Siviglia – Camagüey che li portò ad attraversare, senza scalo, l’Atlantico nella sua parte più larga. Impresa mai tentata fino ad allora. In 39 ore e 50 minuti coprirono la distanza che separa queste città a bordo di un velivolo dal nome di Cuatro Vientos.
Da Camagüey il Cuatro Vientos volò all’Avana. Barberán e Collar passarono diversi giorni nella nostra capitale. Si ospitarono nell’hotel Plaza e furono assediati da corporazioni cubane e spagnole. Erano gli eroi del momento. Da qui partirono verso il Messico, dove erano attesi. Diversi specialisti cubani raccomandarono a loro di ritardare la partenza. Barberán e Collar che erano arrivati malati, non riposarono abbastanza all’Avana, dove si videro sottoposti a un regime di vita sociale inusitato per loro. Inoltre imperava il brutto tempo quella mattina in cui il Cuatro Vientos partì da Cuba e non si sapeva bene se gli inconvenienti tecnici rilevati all’apparecchio erano stati riparati convenientemente. M Barberán e Collar dovevano arrivare in Messico a una’ora convenuta ed era imprescindibile, per loro, partire. Non giunsero mai a destinazione. E non si conosce ancora oggi, con esattezza, quale fu la loro sorte.
Tutto ciò è storia conosciuta. Quello che si conosce meno è che 80 anni or sono, nei primi giorni del 1936, un aviatore cubano si dispose ad attraversare l’Atlantico da ovest a est e senza nessuna pretesa di battere qualche record, restituire alla Spagna la visita che Barberán e Collar avevano fatto a Cuba.

Senza radio e con maltempo

L’aviatore cubano, tenente della Marina di Guerra, si chiamava Antonio Menéndez Peláez e fece il viaggio a bordo di un aereo battezzato come 4 Settembre: un monoplano Lockheed Sirius 88 trasformato in monoposto e al quale si fecero adattamenti importanti per la traversata.
Menéndez Peláez decollò da Camagüey alle sette di mattina del 13 gennaio per prendere terra a Campo Alegre, in Venezuela, da lì si trasferì all’aerodromo della Pan American a Maiquetía. Il giorno seguente si alzò per Port of Spain nell’isola di Trinidad, passò ad Amsterdam nell’antica Guyana Britannica e a Leguiar per concludere a Pará in Brasile, nel delta del Río delle Amazzoni, il 3 febbraio.
Due giorni dopo si spostò fino a San Luis de Maranhao e Fortaleza per culminare, il giorno seguente, atterrando a Natal al fine di attraversare, da quel punto, l’oceano per arrivare in Africa.
Sull’Atlantico, Menéndez Peláez trovò venti forti e maltempo cosa che lo costrinse a volare, in molte occasioni, a scarsa altitudine dall’acqua. Siccome a bordo non aveva radio, dovette confidare nella sua perizia di navigante e prese come riferimento le navi in rotta che avvistava dal suo apparecchio. Riuscì ad atterrare a Bathhurst, Senegal, dopo aver percorso 3.160 km. sull’oceano.
Il cubano volò da Bathhurst al capo Yuby, nell’antico Sahara Spagnolo, il 12 febbraio e due giorni dopo arrivò finalmente a Siviglia per prendere terra nell’aeroporto militare di Tablada da dove, tre anni prima, parti il Cuatro Vientos nel suo storico viaggio a Camagüey. A Tablada si tributò un caloroso ricevimento al militare cubano, lo stesso che avrebbe ricevuto una settimana dopo, arrivando all’aerodromo che portava il famoso nome dell’apparecchio utilizzato da Barberán e Collar.
Riassumendo, il tenente Antonio Menéndez Peláez, a bordo del 4 Settembre, percorse 14.454 km. in 72 ore e 27 minuti per restituire l’abbraccio che nel 1933 due valorosi aviatori portarono dalla Spagna. A Madrid, come prima a Siviglia, fu salutato coi più alti onori. Lo ricevettero il Ministro di Stato e altre importanti autorità civili e militari. Il Ministro della Guerra e il Direttore Generale dell’Aeronautica assistettero alla corrida che gli fece omaggio l’Aero Club spagnolo e ci fu un tintinnare di coppe all’ambasciata di Cuba. Le Forze Armate spagnole lo decorarono con la Croce al Merito Militare e la Croce al Merito Navale e l’Esercito cubano annunciò dall’Avana la sua promozione a primo tenente.
Fra gli altri giornalisti lo intervistò il corrispondente, nella capitale spagnola, della rivista Caras y Caretas di Buenos Aires. Lo vide nella sede diplomatica cubana e “rispondeva ai saluti con un sorriso e rispondeva con monosillabi. Dava l’impressione dell’uomo che si sorprende per un fatto che non riesce ancora a spiegarsi. L’uomo che rimane stordito nel sapere che ha realizzato una prodezza straordinaria che per lui continua ad essere una cosa completamente semplice”.
- Vengo a restituire il volo degli eroici aviatori spagnoli Barberán e Collar. Porto in Spagna il saluto di Cuba. I miei genitori vivono in un paesino delle Asturie e gli farò la sorpresa della mia visita – dichiara alla rivista argentina e il corrispondente annota; “Questo è quanto sa dire Menéndez, quasi con sobrietà di uomo valoroso e deciso. I giornalisti si sforzano per strappargli rivelazioni sensazionali e non ottengono che frasi corte, di una desolante semplicità”. La stampa chiede sui momenti di maggior pericolo durante il volo, se ha sentito paura in qualche momento; le sue emozioni. L’aviatore cubano dichiara: - La mia maggior emozione l’ho provata nel vedermi calpestare la terra di Spagna.
Lo storico spagnolo Juan A. Guerrero Misa commenta nel suo libro “El vuelo Sevilla-Cuba-México del avión Cuatro Vientos”: “Il gesto di menéndez ha messo il punto finale a un’epoca di eroismo e professionalità che oggi possiamo solo prendere come esempio e che affratellò, per sempre, le aviazioni di entrambi i lati dell’oceano. Dall’impresa di Barberán e Collar, il mare non ci separa più”.
Non sarà l’unica impresa di Antonio Menéndez Peláez. Solo un anno dopo, fu uno dei protagonisti del Volo Panamericano Pro Faro di Colombo, uno degli episodi più tragici e tristi dell’aviazione in America Latina. Il 29 dicembre del 1937, i tre aerei cubani che formavano la squadriglia, di cui il pilota cubano era tecnico capo e navigatore, soffrirono un terribile incidente nella tratta Cali-Panama, quando avevano già lasciato dietro le tappe più difficili del percorso. Nel disastro morirono il giornalista Ruy de Lugo Viña, cronista ufficiale del volo, i meccanici Naranjo, Castillo e Medina e i piloti Risech Amat, Jiménez Alum e Menendez Peláez. Solo quando arrivò a Panama il maggiore dominicano Frank F. Miranda, capo del corpo di aviazione del suo Paese che per il suo grado viaggiava sul più potente dei quattro aerei ed era il capo della spedizione, seppe della sorte dei suoi compagni.

Versione delle versioni

Erigere un monumento a Colombo era un vecchio desiderio dei Governi latino americani. L’idea, comunque, non cominciò a concretizzarsi fino al 1923 quando, a Santiago del Cile la Conferenza Internazionale Americana, chiamò le nazioni dell’area a unire gli sforzi con tale proposito. Si sarebbe perpetuata la memoria dell’Ammiraglio con un faro monumentale che avrebbe portato il suo nome e si sarebbe situato nella Repubblica Dominicana. Si bandì un concorso e quasi 450 architetti di 48 nazioni presentarono i loro progetti. I risultati della gara vennero resi pubblici a Rio de Janeiro nel 1931. Risultò vincitore e si compensò con una borsa di diecimila dollari, l’architetto inglese J. L.Gleave.
Nel maggio 1937, la Società Colombista Panamericana, con sede all’Avana, incita i Governi di Cuba e della Repubblica Dominicana a formare una squadriglia che percorra il continente in un viaggio di buona volontà con vista alla realizzazione del monumento. Cuba apporta tre aerei Stinson Reliant da 285 hp e Dominicana un Curtis Wright da 420 hp. Questi porterà il nome di Colombo; gli altri quelli delle navi dell’Ammiraglio. Ogni apparecchio volerà col suo meccanico a bordo. Nel Santa Maria, pilotato da Menéndez Peláez andrà il cronista Lugo Viña, pure rappresentante della Colombista. Il progetto si chiamò Volo Pro Faro di Colombo si pensò che salisse da Santo Domingo il 12 ottobre del 1937, ma un imprevisto lo ritardò per tutto un mese.
Finalmente partì il 12 novembre da un aeroporto affollato dal pubblico. Il generale Trujillo, presidente dominicano, capeggiò il saluto.
Avrebbero visitato 26 Paesi, qualcosa senza precedenti in questi voli di buona volontà. Portorico, Caracas, Trinidad, Guyana Olandese e Belem, Fortaleza, Natal, Recife, Bahia e Rio de Janeiro, in Brasile. Il 29 novembre volarono a Montevideo. Era intenzione della squadriglia di trasferirsi ad Asunción, ma i casi di febbre gialla riportati nella capitale del Paraguay li dissuasero da questo impegno. Volarono a Buenos Aires, Santiago del Cile, Bolivia, Perù, Ecuador e Colombia.
A Cali il gerente della Società Colombo Alemana de Transporte Aereo (Scadta) mise a disposizione dei viaggiatori uno dei suoi Junkers perché potessero trasferirsi a Bogotá, a 2.250 metri di altitudine, perché gli aerei cubani mancavano di potenza per un volo come quello. Il 28 il gruppo era di nuovo a Cali. Il 29 avrebbe messo la prua verso Panama. Non si sa bene perché Menéndez Peláez che era il navigatore della squadriglia, persistette nel suo proposito di attraversare il Pacifico da Cali a Buenaventura. Era una rotta già scartata dai piloti della Scadta, una rotta molto pericolosa che si renbdeva meno raccomandabile data la mancanza di potenza degli aerei cubani. Era più sicuro seguire il corso del fiume Cauca fino a Medellín e uscire da Turbo per Panama; gli Stinson dei cubani non potevano rimontare la cordigliera da Cali a Buenaventura. Gli specialisti assicurano che le cattive condizioni atmosferiche e la mancanza di visibilità fecero il resto. I cubani si misero in un imbuto di montagne che si andò chiudendo fino a prtarli a un punto di non ritorno. Nel cercare di virare si schiantarono uno dopo l’altro. Il Curtis della Dominicana, più potente, poté sorvolare le montagne o prese la via del letto del fiume.

Finale

I resti delle vittime furono portati all’Avana a bordo dell’incrociatore Patria, della Marina di Guerra e vegliati con gli onori nel salone dei Passi Perduti del Capitolio. Il 18 gennaio 1938 li inumarono nel Pantheon dell Forze Armate. Nel febbraio dello stesso anno il maggiore Frank F. Miranda e il suo meccanico tornarono al loro Paese in nave.

Portavano il Colombo disarmato. In occasione del primo anniversario della tragedia. Il Governo della Repubblica in coordinazione con le autorità colombiane, dispose l’erezione di un obelisco nel luogo dell’incidente. Successivamente l’alfiere Rivery, a bordo di un aereo che portava il nome di Tenente Menéndez Paláez, realizzò un viaggio di buona volontà in città dell’America Latina. L’Associazione dei Reporters istituì, nel suo momento, il Premio Ruy de Lugo Viñas (mille pesos) per reportages. Il maggiore Frank F. Miranda proseguì la sua carriera nell’aviazione militare dominicana e raggiunse il grado di brigadiere generale. Morì il 20 giugno del 1954. L’aereo Colombo si conserva in un piccolo parco all’ingresso della base aerea di San Isidro, in Dominicana. Il faro di Colombo alla fine fu costruito. Sotto il Governo del Dottor Joaquín Balaguer si iniziarono le opere che si conclusero nel 1992, in occasione del V centenario dell’arrivo degli europei in America. Serve da tomba all’Ammiraglio, i cui resti non uscirono mai da Santo Domingo.


Un héroe olvidado
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
23 de Enero del 2016 19:43:11 CDT

Mariano Barberán y Joaquín Collar, dos heroicos aviadores españoles, fueron protagonistas, el 10 de junio de 1933, del vuelo Sevilla-Camagüey, que los llevó a atravesar, sin escalas, el Atlántico por su parte más ancha. Hazaña no intentada hasta entonces. En 39 horas con 50 minutos cubrieron la distancia que separa a esas ciudades a bordo del avión conocido con el nombre de Cuatro Vientos.
De Camagüey el Cuatro Vientos voló a La Habana. Pasaron Barberán y Collar varias jornadas en nuestra capital. Se alojaron en el hotel Plaza y fueron agasajados por corporaciones cubanas y españolas. Eran los héroes del momento. De aquí partieron rumbo a México, donde se les esperaba. Varios especialistas cubanos les recomendaron entonces que retrasaran la partida. Barberán y Collar, que habían llegado enfermos, no descansaron lo suficiente en La Habana, donde se vieron sometidos a un régimen de vida social inusitado para ellos. Además, imperaba el mal tiempo en aquella mañana en que el Cuatro Vientos salió de Cuba y no se sabía bien si los desperfectos técnicos advertidos en el aparato habían sido convenientemente reparados. Pero Barberán y Collar debían arribar a México en una hora ya convenida y les era imprescindible partir. Jamás llegaron a su destino. Y se desconoce todavía con exactitud cuál fue su suerte.
Todo eso es historia conocida. Lo que se conoce menos es que, hace 80 años, en los primeros días de 1936 un aviador cubano se dispuso a cruzar el Atlántico de oeste a este y, sin pretensión de batir marca alguna, devolver a España la visita que Barberán y Collar habían hecho a Cuba.

Sin radio y con mal tiempo

El aviador cubano, teniente de la Marina de Guerra, se llamaba Antonio Menéndez Peláez e hizo el viaje a bordo del avión bautizado como 4 de Septiembre; un monoplano Lockheed Sirius 88 transformado en monoplaza y al que se le hicieron adaptaciones importantes para la travesía.
Despegó Menéndez Peláez en Camagüey, a las siete de la mañana del 13 de enero para tomar tierra en Campo Alegre, Venezuela, y de allí se trasladó al aeródromo de la Pan American, en Maiquetía. Al día siguiente se elevó hacia Puerto España, en la isla de Trinidad, y pasó a Ámsterdam, en la antigua Guayana Británica, y a Leguiar, para concluir en Pará, Brasil, en el delta del Amazonas, el 3 de febrero.
Dos días más tarde se desplazó hasta San Luis de Maranho y Fortaleza y culminó en la jornada siguiente la primera fase de su vuelo al aterrizar en Natal a fin de cruzar desde ese punto el océano para arribar a África.
Sobre el Atlántico, el teniente Menéndez Peláez encontró vientos fuertes y mal tiempo, lo que lo obligó a volar, en muchas ocasiones, a escasa altura sobre el agua. Como no llevaba radio a bordo, debió confiar en su pericia como navegante y tomó de referencia los barcos en ruta que avistaba desde su aparato. Consiguió aterrizar en Bathhurst, Senegal, después de haber recorrido 3 160 kilómetros sobre el océano.
Desde Bathhurst voló el cubano al cabo Yuby, en el antiguo Sahara español, el 12 de febrero, y dos días después llegó por fin a Sevilla para tomar tierra en el aeropuerto militar de Tablada, desde donde, tres años antes, partió el Cuatro Vientos en su histórico viaje a Camagüey. En Tablada se tributó al militar cubano un caluroso recibimiento, el mismo que recibiría una semana después al arribar al aeródromo que llevaba el nombre famoso del aparato utilizado por Barberán y Collar.
En resumen, el teniente Antonio Menéndez Peláez, a bordo del 4 de Septiembre, recorrió 14 454 kilómetros en 72 horas y 27 minutos para devolver el abrazo que en 1933 dos valerosos aviadores trajeron desde España. En Madrid, como antes en Sevilla, fue saludado con los mayores honores. Lo recibió el Ministro de Estado y otras importantes autoridades civiles y militares. El Ministro de Guerra y el Director General de Aeronáutica asistieron a la comida con que lo congratuló el Aero Club español y hubo chinchín de copas en la embajada de Cuba. Las fuerzas armadas españolas lo condecoraron con la Cruz del Mérito Militar y la Cruz del Mérito Naval y el Ejército cubano le anunció desde La Habana su ascenso a primer teniente.
Lo entrevistó, entre otros periodistas, el corresponsal en la capital española de la revista Caras y Caretas, de Buenos Aires. Lo vio en la sede diplomática cubana y «respondía a los saludos con una sonrisa y contestaba con monosílabos. Daba la impresión del hombre que se sorprende por un acontecimiento que no acaba de explicarse. El hombre que está aturdido de saber que ha realizado una proeza extraordinaria que para él sigue siendo una cosa completamente sencilla».
—Vengo a retribuir el vuelo de los heroicos aviadores españoles Barberán y Collar. Traigo a España el saludo de Cuba. Mis padres viven en un pueblecito de Asturias y les daré la sorpresa de mi visita —declara a la revista argentina y el corresponsal apunta: «Esto es lo único que sabe decir Menéndez,  casi con una sobriedad de hombre valeroso y ejecutivo. Los periodistas hacen esfuerzos por arrancarle revelaciones sensacionales y no logran más que frases cortadas de una desesperante simplicidad». Inquiere la prensa sobre los momentos de mayor peligro durante el vuelo, si sintió miedo en algún momento; sus emociones. Expresa el aviador cubano: —Mi mayor emoción la he experimentado al verme pisando la tierra de España.
Comenta el historiador español Juan A. Guerrero Misa en su libro El vuelo Sevilla-Cuba-México del avión Cuatro Vientos: «El gesto de Menéndez puso punto final a una época de heroísmo y profesionalidad que hoy solo podemos tomar como ejemplo y que hermanó, ya para siempre, a las aviaciones de ambos lados del océano. Desde la hazaña de Barberán y Collar, el mar ya no nos separa».
No sería esa la única hazaña de Antonio Menéndez Peláez. Apenas un año después, fue uno de los protagonistas del Vuelo Panamericano Pro Faro de Colón, uno de los episodios más tristes y trágicos de la aviación en América Latina. El 29 de diciembre de 1937, los tres aviones cubanos que conformaban la escuadrilla, de la que el piloto cubano era jefe técnico y navegante, sufrieron un horrible accidente en el tramo Cali-Panamá, cuando ya habían quedado atrás las etapas más difíciles del trayecto. Perecieron en el desastre el periodista Ruy de Lugo Viña, cronista oficial del vuelo, los mecánicos Naranjo, Castillo y Medina y los pilotos Risech Amat, Jiménez Alum y Menéndez Peláez. Solo cuando arribó a Panamá, el mayor dominicano Frank F. Miranda, jefe del cuerpo de aviación de su país, y que por su grado y por viajar en el más potente de los cuatro aviones era el jefe de la expedición, se enteró de la suerte de sus compañeros.

Versión de versiones

Erigir un monumento a Colón era un viejo deseo de los Gobiernos latinoamericanos. La idea, sin embargo, no empezaría a concretarse hasta 1923 cuando en Santiago de Chile la Conferencia Internacional Americana llamó a las naciones del área a aunar esfuerzos con tal propósito. Se perpetuaría la memoria del Almirante con un faro monumental que llevaría su nombre y se emplazaría en República Dominicana. Se convocó a un concurso y casi 450 arquitectos de 48 naciones presentaron sus proyectos. Los resultados del certamen se hicieron públicos en Río de Janeiro, en 1931. Resultó triunfador, y se le recompensó con una bolsa de diez mil dólares, el arquitecto inglés J. L. Gleave.
En mayo de 1937, la Sociedad Colombista Panamericana, con sede en La Habana, insta a los Gobiernos de Cuba y República Dominicana a formar una escuadrilla que recorra el continente en un viaje de buena voluntad con vistas a la realización del monumento. Cuba aporta tres aviones Stinson Reliant de 285 Hp, y Dominicana un Curtis Wright de
420 Hp. Este llevaría el nombre de Colón; los otros, los de las naves del Almirante. Cada aparato volaría con su mecánico a bordo. En el Santa María, piloteado por Menéndez Peláez, iría el cronista Lugo Viña, representante asimismo de la Colombista. El proyecto se llamó Vuelo Pro Faro de Colón y se pensó que saliera de Santo Domingo el 12 de octubre de 1937, pero un imprevisto lo retrasó durante todo un mes.
Partió finalmente el 12 de noviembre de un aeropuerto abarrotado de público. El general Trujillo, presidente dominicano, encabezó la despedida.
Visitarían 26 países, algo sin precedentes en esos vuelos de buena voluntad. Puerto Rico, Caracas, Trinidad, Guayana Holandesa; y Belem, Fortaleza, Natal, Recife, Bahía y Río de Janeiro, en Brasil. El 29 de noviembre volaron a Montevideo. Era intención de la escuadrilla trasladarse a Asunción, pero los casos de fiebre amarilla reportados en la capital paraguaya los disuadieron de ese empeño. Volaron a Buenos Aires y Santiago de Chile, Bolivia, Perú, Ecuador y Colombia.
En Cali, el gerente de la Sociedad Colombo Alemana de Transporte Aéreo
(Scadta) puso a disposición de los viajeros uno de sus Junkers para que pudieran trasladarse a Bogotá, a 2 250 metros de altitud, porque los aviones cubanos carecían de potencia para un vuelo como ese. El 28, el grupo estaba de nuevo en Cali. Pondría el 29 proa a Panamá.
No se sabe bien porqué Menéndez Peláez, que era el navegante de la escuadrilla, persistió en su propósito de cruzar al Pacífico desde Cali a Buenaventura. Era una ruta desechada ya por los pilotos de la Scadta, una ruta muy peligrosa que se hacía menos recomendable dada la falta de potencia de los aviones cubanos. Más seguro resultaba seguir el curso del río Cauca hasta Medellín y salir por Turbo a Panamá; los Stinson de los cubanos no podían remontar la cordillera desde Cali a Buenaventura. Aseguran especialistas que las malas condiciones atmosféricas y la falta de visibilidad hicieron el resto. Los cubanos se metieron en un embudo de montañas que se les fue cerrando hasta llevarlos a un punto de no retorno. Al tratar de girar se estrellaron uno tras otro. El Curtis de Dominicana, más potente, pudo sobrevolar las montañas o tomó el camino del cauce del río.

Final

Los restos de las víctimas fueron traídos a La Habana a bordo del crucero Patria, de la Marina de Guerra, y velados con honores en el Salón de los Pasos Perdidos del Capitolio. El 18 de enero de 1938 los inhumaron en el Panteón de las Fuerzas Armadas. En febrero del mismo año el mayor Frank F. Miranda y su mecánico regresaron por barco a su país. Llevaban el Colón desarmado. En ocasión del primer aniversario de la tragedia, el Gobierno de la República, en coordinación con autoridades colombianas, dispuso la erección de un obelisco en el lugar del accidente. Posteriormente, el alférez Rivery, a bordo de un avión que llevaba el nombre de Teniente Menéndez Peláez realizó un viaje de buena voluntad por ciudades de América Latina. La Asociación de Reportes instituyó en su momento el Premio Ruy de Lugo Viñas (mil pesos) para reportajes. El mayor Frank F. Miranda continuó su carrera en la aviación militar dominicana y alcanzó el grado de brigadier general. Murió el 20 de junio de 1954. El avión Colón se conserva en un pequeño parque a la entrada de la base aérea de San Isidro, en Dominicana. El Faro de Colón fue finalmente construido. Bajo el Gobierno del Doctor Joaquín Balaguer se iniciaron las obras en 1986 y concluyeron en 1992, en ocasión del V centenario de la llegada de los europeos a América. Sirve de tumba al Almirante, cuyos restos jamás salieron de Santo Domingo.

Ciro Bianchi Ross



domenica 24 gennaio 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

ABBOZZAMENTO: tacita intesa

sabato 23 gennaio 2016

Il disgelo corre sul mare, anzi sullo stretto

Fonte: El nuevo herald


CUBA

ENERO 22, 2016 10:52 PM
Delegación cubana asistirá por primera vez a evento náutico en Miami
Así lo anunció el Club Internacional Hemingway de la isla
El evento se desarrollará desde el 11 al 15 de febrero
Será ocasión para la primera regata de Miami a Cuba

LA HABANA 
Una delegación cubana asistirá por primera vez al evento náutico Miami International Boat Show, que se desarrollará del 11 al 15 de febrero próximo en Estados Unidos, anunció este viernes en La Habana el Club Internacional Hemingway de la isla.
También será ocasión para que se desarrolle la primera regata desde esa ciudad estadounidense de Miami hacia Cuba, otra novedad que se suma tras el deshielo diplomático concretado por los Gobiernos de Cuba y EEUU en julio del año pasado.
El Comodoro del Club Hemingway, José Miguel Díaz Escrich, informó que se han inscrito 58 embarcaciones para participar en la regata Miami-La Habana, organizada en la Florida por el Coral Reef Yacht Club y la Sothern Ocean Racing Conference, según cita la agencia estatal Prensa Latina.
Los primeros barcos arribarán el 11 de febrero a la Marina Hemingway, situada al oeste de La Habana, y donde tiene su sede el Club Náutico cubano, según detalló Díaz Escrich, quien lo fundó el 21 de mayo de 1992.
El comodoro cubano recordó que tras el restablecimiento de las relaciones diplomáticas entre Cuba y EEUU, el Gobierno estadounidense ha dado facilidades a embarcaciones de ese país para que participen en regatas, rallies, talleres y eventos que tienen como anfitrión al Club Hemingway.


Dizionario di mare per lupi di terra

ABBRIVIO: a Roberto, ex "Gufi"

venerdì 22 gennaio 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

ABBORDARE: tattica usata dai "pappagalli" di strada

giovedì 21 gennaio 2016

Preparato il piano di sfollamento dei cubani da Costarica

Intanto quelli partiti col primo gruppo sono già arrivati a Miami


Fonte El Nuevo Herald:


ENERO 20, 2016 5:56 PM
Anuncian nuevas fechas de traslado de cubanos desde Centroamérica
Cerca de 8,000 cubanos se encuentran varados desde hace meses en Costa Rica
El segundo viaje de migrantes cubanos tendrá lugar el 4 de febrero
Nicaragua mantiene cerrada su frontera a los cubanos


GUATEMALA 
El Gobierno de Costa Rica anunció este miércoles que en febrero próximo se realizarán en total siete vuelos para trasladar a parte de los miles de cubanos en tránsito hacia EEUU varados en el país centroamericano desde noviembre pasado.
Según la cancillería costarricense los vuelos quedaron programados para los días 4, 9, 11, 16, 18, 23 y 25 de febrero, en una reunión celebrada este miércoles en Guatemala y en la que participaron representantes de países centroamericanos y México.
En esos vuelos se dará prioridad a las familias con niños, mujeres embarazadas y también a los que tienen más tiempo de estar varados en Costa Rica y cuenten con los 555 dólares por persona que cuesta el traslado.
“Se seguirá dando un monitoreo estricto a cada uno de los viajes. El llamado a los migrantes sigue siendo el mismo: a mucha calma y compresión, que mantengan buen comportamiento, que sean solidarios con los que se van y con los que se quedan”, declaró este miércoles en su país el canciller de Costa Rica, Manuel González.
El ministro de Exteriores recordó a los periodistas que en la reunión celebrada en Guatemala se valoró el plan piloto efectuado el pasado 12 de enero, en el que un primer grupo de 180 cubanos salió de Costa Rica en un avión hacia El Salvador y desde allí por tierra hacia la frontera entre Guatemala y México.
Luego los cubanos siguieron su viaje a Estados Unidos, donde esperan beneficiarse de las ventajas migratorias que otorga la Ley de Ajuste Cubano.
En Guatemala, la cancillería de ese país informó este miércoles tras la reunión que “se acordó continuar la movilización a partir del 4 de febrero, utilizando la misma ruta, tiempos y procedimientos empleados en el plan piloto”.
El Gobierno de Costa Rica expresó su satisfacción por el acuerdo alcanzado en el encuentro en Guatemala.
“Dichosamente se confirmó la satisfacción de los países involucrados en cuanto al resultado exitoso de ese plan piloto, lo que ahora nos permite pasar a una segunda etapa, en un inicio con dos vuelos semanales, utilizando la misma ruta del plan piloto”, afirmó el canciller.
Además de las fechas de los 7 vuelos, la cancillería costarricense informó que el 15 de ese mes se llevará a cabo otra reunión regional para definir más fechas de salida.
El Gobierno de Costa Rica también hizo un llamado a los cubanos a no hacer caso a supuestas ofertas de empresas para su traslado a Estados Unidos, pues el único mecanismo oficial para hacerlo es el que están aplicando los Gobiernos, que fue ideado por el Organización Internacional para las Migraciones (OIM).
El canciller costarricense agradeció a los países que participan en este mecanismo y aseguró que “el Gobierno no descansará hasta que la totalidad de los migrantes haya salido del país para continuar su ruta hacia Estados Unidos”.
La crisis migratoria comenzó el 15 de noviembre pasado cuando Nicaragua cerró su frontera a los cubanos aduciendo riesgos para la seguridad y soberanía del país.
Desde entonces Costa Rica otorgó 7.802 visas temporales a los isleños, pero el 18 de diciembre suspendió la entrega de más de esos documentos, ya que consideró que se había agotado su capacidad para brindarles ayuda humanitaria en albergues.


I politici di Miami e i rapporti con Cuba

Fonte El Nuevo Herald



ENERO 20, 2016 7:10 PM
Comisión del Miami-Dade vota en contra de la apertura de un consulado cubano
La resolución “urge” a Obama a no autorizar consulado en Miami
Comisionados temen “riesgos de seguridad”
Llamaron a seguir debatiendo el tema porque esperan cambios en la relación con Cuba en el futuro
NORA GÁMEZ TORRES
La Comisión del condado Miami-Dade aprobó el miércoles una resolución que “urge” a la administración del presidente Barack Obama a que no autorice la apertura de un consulado cubano en el área metropolitana.
El comisionado Esteban Bovo, promotor de la resolución, hizo una apasionada defensa del texto y señaló que quería enviar un mensaje claro a Obama: “que Miami-Dade no es un lugar que daría acogida a un consulado hasta que no haya libertad en Cuba” y que los opositores cubanos como Guillermo Fariñas “pudieran decirle al presidente de su país que no están de acuerdo con él sin miedo a ser golpeados”.
Los comisionados Rebeca Sosa, José “Pepe” Díaz y Audrey M. Edmonson defendieron la iniciativa invocando la necesidad de ser “sensible” con la comunidad que representan y evitar “puntos de fricción”. Sosa recordó, por ejemplo, que las regulaciones aún vigentes en Cuba prohíben a los cubanoamericanos, como varios de los comisionados presentes, viajar a la isla por vía marítima.
Aunque la resolución reconoce que el condado tiene la mayor comunidad cubanoamericana en Estados Unidos, señala que menos de la mitad de los cubanoamericanos que viven en la Florida apoyan el establecimiento de un consulado en la ciudad, según una encuesta de Bendixen&Amandi reportada por el Miami Herald.
Asimismo, el texto señala que el establecimiento del consulado “podría inflamar las pasiones y crear riesgos de seguridad” por posibles protestas y agrega que existen opciones más viables como las ciudades de Tampa y New Orleans.
Sin embargo, incluso algunos comisionados que votaron a favor, llamaron la atención sobre la necesidad de continuar debatiendo sobre el tema pues eventualmente, con la normalización, los lazos comerciales con Cuba podrían beneficiar a Miami. En ese sentido el comisionado Juan Carlos Zapata introdujo una enmienda para acotar el rechazo al consulado con la frase “hasta que exista democracia en Cuba”, propuesta que fue secundada por los que votaron a favor.
Pese a apoyar la iniciativa de Bovo, Zapata manifestó su preocupación por la posibilidad de que el grueso de los vuelos a Cuba podrían trasladarse hacia otro aeropuerto más cercano al nuevo consulado, lo que acarrearía pérdidas económicas al condado, un argumento que retomó luego el presidente de la Comisión, Jean Monestime.
“Voy a ser cándido con ustedes, voy apoyar la resolución en primer lugar porque realmente no tenemos control” sobre la eventual apertura de un consulado, dijo y agregó que en el futuro “tendremos que tomar decisiones duras que nos van a herir a algunos”.
Solo tres comisionados votaron en contra: Xavier Suárez, Danielle Levine Cava y Barbara Jordan. La resolución había sido retirada en la mañana de la lista de los asuntos que se aprueban sin discusión, por Levine Cava y Sally A Heyman. Esta última dijo que creía que un consulado en la ciudad sería “conveniente” para las familias cubanoamericanas, quienes no tendrían que viajar fuera.
Por su parte Jordan votó en contra porque el texto “cerraba puertas” en una intervención en la que citó a Nelson Mandela. Ningún ciudadano se presentó para hablar sobre el tema durante la sesión.
The most telling aspect of Miami-Dade Commission's vote against a Cuban consulate may be that no citizen showed up to speak about it.
— Doug Hanks (@doug_hanks) enero 20, 2016
Anteriormente, el alcalde de Miami, Tomás Regalado tambiénhabía amenazado con una demanda judicial para bloquear cualquier intento de abrir un consulado cubano en la ciudad.
En un intercambio en la mañana, los comisionados mostraron su preocupación por el impacto que el posible arribo de miles de cubanos varados en Costa Rica podría tener en los servicios locales. El alcalde Giménez comentó que el pasado año fiscal habían llegado a Estados Unidos más de 40,000 cubanos, algunos a otros estados, y que el sur de la Florida había podido manejar este volumen de inmigración.
“Estamos preparados”, aseguró Giménez, y agregó que continuaba monitoreando la situación de los cubanos, en caso de que fuera necesario solicitar más recursos, en contraste con la posición de Regalado, quien ha insistido en que el gobierno federal asigne más recursos para ayudar a los inmigrantes, pues considera que las autoridades locales no tienen la capacidad suficiente para hacerlo.
La comisionada Sosa aprovechó el intercambio para traer a colación el debate sobre los beneficios que recibían los inmigrantes cubanos. Mencionó que recibía muchas llamadas de los residentes de su distrito, quienes llamaban la atención sobre el hecho de que algunos trabajadores recibían cheques de la Seguridad Social al retirarse, de menor cuantía que la ayuda recibida por cubanos recién llegados.
Sosa ha apoyado públicamente al senador y candidato presidencial Marco Rubio, quien presentó un proyecto de ley junto al representante Carlos Curbelo para cortar los beneficios a los inmigrantes cubanos.
El reportero del Miami Herald Doug Hanks contribuyó con esta historia.
Nora Gámez Torres: @ngameztorres

 

Sur de la Florida

enero 18, 2016 6:09 PM

Alcalde de Miami rechaza la instalación de un consulado cubano en Miami

El alcalde de Miami promete presentar una demanda federal si Washington lo autoriza
Comisionado Bovo quiere que Miami-Dade exhorte a Washington a no abrir consulado en Miami
Un destacado magnate cubano de servicios médicos dice que ‘es hora de perdonar’


Douglas Hanks
dhanks@miamiherald.com

En momentos que La Habana y Washington profundizan su acercamiento diplomático, algunos líderes de Miami tienen un mensaje serio para las dos partes: Nosotros no tenemos nada que ver con eso.
El alcalde de Miami dijo el lunes que presentaría una demanda judicial para bloquear cualquier intento de Cuba si La Habana trata de abrir un consulado en el territorio municipal. Una resolución que debe someterse a voto más adelante esta semana en la Comisión del Condado exhorta al presidente Barack Obama a no permitir un consulado cubano en Miami-Dade, alegando que ello “pudiera inflamar pasiones y crear riesgos de seguridad”.
Esteban “Steve”Bovo, comisionado de Miami-Dade, hijo de un veterano de Bahía de Cochinos que patrocinó la resolución condal, calificó la posibilidad de abrir un consulado cubano en Miami “una burla” a la comunidad exiliada dado que en Cuba todavía hay una dictadura.
“En el momento que haya una Cuba libre, en el momento que se celebren elecciones en Cuba, en el momento que cesen las golpizas en Cuba, entonces creo que tenemos una brillante oportunidad [para que Miami-Dade] ocupe su papel debido de liderazgo en lo relacionado con Cuba”, dijo Bovo. “Todo lo que hace falta es un poco de paciencia”.
El asunto en cuestión es lo que muchos ven como el próximo paso natural después que Cuba reabrió su embajada en Washington en julio como parte de la reanudación de relaciones diplomáticas normales. Los países tienden escoger ciudades con gran cantidad de personas de esa nacionalidad para abrir consulados fuera de Washington, porque son las que más necesitan para obtener certificados de nacimiento y otros documentos. De otra manera tendrían que ir a la embajada misma.
“Miami es lógicamente el lugar para un consulado, pero probablemente no será sede de un consulado”, dijo Mike Fernández, magnate de los servicios médicos nacido en Cuba e importante donante republicano. Fernández apoya los lazos con Cuba y viajó a La Habana el otoño pasado como parte de un programa de la Cámara de Comercio de Estados Unidos. “Si yo fuera alcalde de Miami, diría que represento a todos en Miami y el futuro de Miami. Y esto es un asunto de negocios”.
“No cabe duda de que es el momento de perdonar”, agregó Fernández, presidente del directorio de MBF Healthcare Partners. “Hace tiempo que se debía haber hecho”.
Tampa, que tiene una de las mayores poblaciones de cubanos en Estados Unidos, ya está haciendo campaña para tener el primer consulado cubano, y varios líderes de la región han aprobado resoluciones en que dan la bienvenida a la sede diplomática. Pero en Miami, con la mayor población de cubanos fuera de la isla misma, los líderes rechazan la idea de que el gobierno de La Habana ocupe un edificio.
“Presentaré una demanda federal si el Departamento de Estado autoriza a Cuba a establecer un consulado aquí”, dijo el alcalde Tomás Regalado, quien nació en Cuba y cuyo padre fue preso político durante dos decenios en la isla.
Regalado dijo que el potencial consulado cubano es un “mandato sin respaldo financiero” porque la Policía de Miami tendría que estar constantemente lista para reaccionar a las protestas y los riesgos de seguridad. Agregó que Miami enfrentó un situación similar durante el gobierno del presidente venezolano Hugo Chávez, cuando el consulado de ese país en Miami era una fuente de frecuentes tensiones en la ciudad. Venezuela cerró su consulado en Miami en el 2012, porque lo que la numerosa comunidad venezolana de la ciudad tenía que viajar al consulado de Nueva Orleans.
“Cada vez que el gobierno cubano haga algo” controvertido, dijo Regalado, “vamos a tener protestas.... Eso afecta nuestra paz y estabilidad”.
Los roces sobre un hipotético consulado cubano en Miami se ven en lo fundamental como un enfrentamiento simbólico, porque es Washington el que decide dónde un país puede tener consulados en Estados Unidos. Es el ejemplo más reciente de la resistencia del liderazgo político de Miami a una rápida ampliación de los lazos gubernamentales y de negocios entre Estados Unidos y Cuba después que el presidente Barack Obama anunció en diciembre del 2014 que restablecería relaciones diplomáticas plenas con el régimen de Castro.
“El presidente Obama tiene más en común con los hermanos Castro que con el pueblo estadounidense”, dijo Bovo. “El presidente probablemente tenía un afiche del Che Guevara en su dormitorio cuando estaba en la universidad. Tiene mucho más en común con los Castro en temas generales”.
Bovo citó una encuesta de la firma Bendixen & Amandi en el 2014 que identificó apoyo nacional entre los cubanoamericanos a un consulado en Miami (50 por ciento a favor, 39 por ciento en contra), pero la cifra era mucho menor en la Florida. La encuesta concluyó que 41 por ciento de los cubanoamericanos en la Florida querían un consulado cubano en Miami, en comparación con 46 que se oponían).
Los lazos comerciales entre Miami y Cuba se expanden a un ritmo acelerado y Washington ha eliminado obstáculos normativos a pesar de que la ley de embargo sigue vigente.
American Airlines espera liderar los cambios con nuevos vuelos regulares entre Miami y La Habana, lo que pondría fin a la necesidad de vuelos fletados que en estos momentos transportan a la mayoría de los pasajeros en esta ruta. Por su parte, Carnival, la mayor línea de cruceros del mundo, planea usar el Puerto de Miami como base para viajes a Cuba más adelante este año.
Pero cuando a principios de este mes se filtró la noticia de que el Puerto de Miami estaba en negociaciones con operadores de ferry sobre rutas potenciales a Cuba, Carlos Giménez, alcalde de Miami-Dade, convocó a una conferencia de prensa para subrayar que el gobierno condal “hace negocios con empresas de transporte, no con países”.
Un portavoz de Giménez dijo que el alcalde “trabajaría”con Washington si decide permitir que Cuba abra un consulado en Miami.
“El alcalde Giménez opina que es prematuro discutir la apertura de un consulado cubano en el Condado Miami-Dade en momentos que quedan por solucionar otros asuntos entre Estados Unidos y Cuba”, expresó el portavoz Michael Hernández en un comunicado. “Sin embargo, es una decisión federal la que autorizaría abrir un consulado en nuestra comunidad, y la administración del alcalde Giménez trabajaría con el gobierno federal si esa decisión se toma”.



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lunedì 18 gennaio 2016

Un incontro "combinato", di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud rebelde del 12/1/16


Lo raccontò Elio Menéndez, premio nazionale di Giornalismo, nelle pagine di questo giornale. Con l’affrettata inaugurazione della Città Sportiva, ancora inconclusa, il 26 febbraio del 1958, il Govenro batistiano pretese lanciare una cortina di fumo davanti all’opinione pubblica internazionale sui fatti che scuotevano il Paese. Pochi giorni prima, un commando del Movimento 26 Luglio aveva sequestrato Juan Manuel Fangio, asso argentino del volante, impedendogli la partecipazione alla corsa per il Gran Premio di Cuba che ebbe l’Avana come scenario e nella quale, Fangio, era l’attrazione principale.
Si montò un grande spettacolo pubblicitario per l’inaugurazione dell’anfiteatro di Via Blanca e Boyeros. Il piatto forte della serata era l’incontro tra il cubano Orlando Echevarría e il nordamericano Joe Brown, campione mondiale dei pesi leggeri. Il pugile di casa, fuori dal ring già da un anno, aveva tutte le caratteristiche per perdere l’incontro. Le possibilità di vittoria di Echevarría erano cosí scarse che Elio Menéndez riferisce nella sua cronaca, i dirigenti della Direzione Generale dello Sport - che presiedeva allora il generale Roberto Fernández Miranda, capo inoltre del Reggimeno 7 Máximo Gómez, con sede alla Cabaña, ma sopratutto cognato di Batista – chiesero a Brown che desse via libera al suo rivale e andasse al tappeto dopo sette o otto round, perché il combattimento veniva trasmesso da costa a costa negli Stati Uniti e così volevano gli sponsor. Il motivo era un’altro.
Con quella trasmissione, la dittatura pretendeva esportare un’immagine falsa della realtà cubana.
Tre giorni prima, il 23 febbraio verso le nove di sera, Fangio fu sequestrato nel vestibolo dell’hotel Lincoln, in Galiano angolo Virtudes, dove occupava la stanza 810. Fu un’operazione lampo. Il campione era appena sceso nell’atrio, protetto da agenti dei corpi repressivi della dittatura, vestiti in borghese. Lì lo aspettavano giornalisti e ammiratori. L’argentino conversava con alcuni di loro quando un membro del 26 di Luglio, dopo aver identificato il campione, gli si avvicinò e gli disse che era del 26 ed era lì per sequestrarlo. Fangio sorrise. Evidentemente pensò che si trattava di uno scherzo; ma non tardò a sentire la canna di una pistola appoggiata alle sue costole e così minacciato, uscì dalla porta di Virtudes. Nessuno, né polizia né ammiratori osò reagire.
I suoi rapitori mantennero detenuto Fangio fino alla sera del 24, qualche ora dopo che era terminata la corsa, quando lo restituirono sano e salvo. Durante questo tempo, oltre mille agenti di tutti i corpi di polizia cubani lo cercarono invano. Col suo sequestro, il Movimento 26 di Luglio pretese, ed ottenne, richiamare l’attenzione sulla guerra di guerriglia che si combatteva sulla Sierra Maestra e la lotta clandestina nella città. Fu un’azione che ebbe ripercussioni in quasi tutto il mondo. La cronaca riferisce che in Gran Bretagna lasciò in secondo piano la notizia che riferiva della malattia di Winston Churchill e in Argentina fu superata solo per la copertura smisurata che si dette alla vittoria nelle elezioni del candidato presidenziale Arturo Frondizzi. Si può affermare che mai prima, parole come L’Avana, Cuba, Fidel, Movimento 26 di Luglio, si erano ripetute tanto né avevano occupato tanto spazio nelle agenzie stampa, giornali e riviste. Fangio, da parte sua, anni dopo riconoscerà che quel sequestro lo aveva reso ancora più famoso e che non c’era intervista che gli si facesse dove non si domandasse del fatto.
Scherzò; “Ma se ci fosse stata mia moglie a Cuba, mi avrebbe trovato”.
Il batistato temeva che con Brown ed Echevarría succedesse lo stesso che con Fangio, per questo li mantenne nascosti sotto stretta vigilanza, fino all’istante di salire al quadrato. Il cubano confessò a Elio Menéndez che lo isolarono in una residenza della spiaggia di Tarará e che non lo lasciavano solo nemmeno per fare pipì.
Batista, che era fanatico della boxe, annunciò la sua presenza quella sera alla Città Sportiva. Per questo, le sedie più vicine al ring furono occupate da membri delle forze armate, batistiani, senza nessun dubbio,  galoppini del Governo ed elementi incondizionali. Mentre le parti superiori e la gradinata si destinarono a impiegati pubblici obbligati ad assistere. In definitiva, il dittatore decise di tenersi ben protetto. Non sarebbe stata la prima volta che l’Ufficio Stampa della Presidenza del Palazzo Presidenziale dava come certa la sua presenza a una gara sportiva e all’ultimo momento, Batista, decideva di non andare e seguire l’evento in televisione. Nel caso si sapesse che la TV non l’avrebbe trasmesso, la Prima Dama chiedeva pubblicamente che si facesse, richiesta che era sempre, naturalmente, accettata.
Elio Menéndez che poté conversare con Echevarría, dice che il cubano era estraneo all’accordo al quale giunsero i dirigenti sportivi col pugile nordamericano, sul fatto di aggiustare l’incontro. Sì, sapeva che la sua vittoria dipendeva da un colpo di fortuna. Per questo, appena iniziato il combattimento, sorprese Brown con un sinistro poderoso che gli annebbiò la vista.
Il cronista ricorda:
“Dopo aver provato il colpo del sottovalutato rivale, il visitatore dimentica il patto e organizza la sua offensiva. Il temporale si addensa sul mancino creolo che visita subito il tappeto. Alla seconda caduta, l’arbitro Johnny Cruz ferma l’incontro e accompagna Echevarría verso il suo angolo.
Sono passati solo due minuti e quarantacinque secondi di combattimento! La farsa non ha raggiunto il suo scopo”.

Mariné, tu chi sei?

Costruito a un costo di dieci milioni di pesos, Il Palazzo dello Sport e campi Sportivi dell’Avana, successivamente chiamato ufficialmente Città Sportiva, sostituì il Palazzo delle Convenzioni e Sport di Paseo e Mar come quasto, a sua volta, aveva sostituito il Palazzo dello Sport di San Carlos e Peñalver.
Quando cuba accetto di essere sede dei II Giochi Centroamericani vennero a galla due tristi realtà: la prima che il Paese mancava di un luogo dove effettuare gare di importanza continentale come quelle che si proponevano; la seconda che non c’era tempo ne denaro per assumere in modo repentino il titanico compito di erigere stadi per offrire queste competizioni. Fu allora quando sorse l’offerta di un’azienda produttrice di birra che costruì in tutta fretta e senza vista al futuro, lo stadio Tropical dove si svolsero, in quei Giochi, le gare di atletica leggera, baseball, calcio e altre. Ma il nuoto, il tennis, la ginnastica, il basket eccetera si dovettero effettuare in campi, piscine e palestre di scarse dimensioni e per di più appartenenti a società private con tutti i pregiudizi razziali propri di quell’epoca.
Se togliamo lo stadio dell’Avana o Gran Stadio del Cerro, costruito già negli anni ’40 e dedicato esclusivamente al baseball, anche se in esso si sono effettuati altri eventi sportivi, non c’era niente nella nostra terra che imitasse, almeno, i grandi stadi comuni nelle altre capitali.
Il 9 luglio del 1938 si crea la Direzione Generale Nazionale dello Sport (DGND). Il suo direttore fu il comandante Jaime Mariné.
Mariné, un catalano che servì da galoppino a Batista, giunse a Cuba nei giorni precedenti le elezioni del 1924, nelle quali si disputavano la presidenza il liberale Gerardo Machado e il conservatore Mario García Menocal. Alfonso XIII, re di Spagna mandò un cavallo purosangue, di regalo, a García Menocal e Mariné fu il cavallerizzo.
Prima del regalo del cavallo, i liberali si lanciaron per le strade col motto di “A piedi!”
Cantavano in coro: “A piedi, a piedi, a piedi!/sono finiti i cavalli/a piedi, a piedi, a piedi/non mi fanno male i calli”. E una volta che Machado divenne vittorioso nelle elezioni cantarono: “Il re di Spagna/mandò un messaggio/dicendo a Menocal:/restituiscimi il cavallo/che tu non sai montare”.
Una volta qui, Mariné trovò posto come soldato. Ascese da sergente a comandante dopo il colpo di Stato del 4 settembre 1933 e all’ombra del colonnello Batista, di cui era aiutante, occupò differenti incarichi fino alla sua partenza da Cuba nel 1944, quando si stabilì a Caracas per fare grandi investimenti a nome del suo capo e a suo nome.
Nel 1938, Mariné affittò il Nuevo Fronton, il cosiddetto Palazzo delle Luci, in San Carlos e Peñalver – il Fronton di Concordia e Lucena era il Palazzo delle Grida- Per errori di costruzione, la premura con cui si costruì e per i danni che occasionò a questo immobile il ciclone del 20 ottobre del 1926, lo stesso si trovava in uno stato pietoso.
Vi ebbero sede la Direzione degli Sport e gli uffici corrispondenti ad ogni specialità. Disponeva di aree per la pratica di diverse discipline. Contava con un gabinetto medico e una clinica dentistica, così come un’area di veterinaria e una cosiddetta cucina sportiva. Sotto la giurisdizione di questo Palazzo degli Sport, rimasero gli stadi Tropical, di Camagüey e l’arena Cristal.
L’entità auspicò le accademie di nuoto, pelota basca, atletica e pallacanestro. In quella di boxe si iscrissero 1.100 alunni dai 12 anni in su. Per lasciarlo inaugurato e dar inizio alle sue gestioni la Direzione degli Sport, portò all’Avana e presentò nella sua sede i due migliori giocatori professionisti del mondo nello sport della racchetta: i tennisti Fred Perry e Ellsworth Vines. Si calcola che più di 4.000 persone li videro giocare. I fondi raccolti in questa e altre competizioni, si destinarono allo sviluppo dello sport, in quel momento il Governo non aveva fondi destinati a quel fine.
La Direzione degli Sport vendette il suo edificio al movimento sindacale. Si pensò di restaurarlo e adattarlo a sede della Confederazione dei Lavoratori di Cuba – quello di Central è posteriore al 1959 -, Cominciarono i lavori costruttivi, ma si dovettero fermare perché l’immobile non ammetteva riparazioni. Ovviamente, si impose ricostruire da zero il Palazzo dei Lavoratori.
Il nuovo Palazzo degli Sport si inaugurò nel 1944 nel luogo che occupa, dal 1978, la Fonte della Gioventù. Il suo primo cartellone pugilistico ebbe luogo il 1° settembre di quell’anno e comprese l’incontro clou di Juan Villalba contro Kid Gavilán. Fa gli altri eventi, questo immobile fu scenario abituale del circo nordamericano Ringling che visitava l’Avana tutti gli anni in occasione delle festività natalizie. Funzionò fino a che si demolì perchè proseguisse il tracciato del Malecón fino al suo limite naturale del río Almendares.
La Città Sportiva si adagia su due cavallerie di terreno. Per la sua costruzione, capienza e bellezza, il Coliseo o Palazzo degli Sport propriamente detto è l’opera più notevole dello spazio. Lo copre una cupola di cemento armato di 88 metri di diametro, senza nessun appoggio interno che permette una visibilità perfetta agli spettatori e che si sostiene con una trave circolare di calcestruzzo che si appoggia su 24 colonne con giunture a forma di “bilancino” che gli permettono di realizzare i piccoli movimenti di dilatazione e contrazione che i cambi di temperatura producono nel calcestruzzo. Ha una capienza tra 12.000 e 15.000 spettatori che possono essere evacuati in dieci minuti senza interruzioni né agglomerazioni alle uscite.




Una pelea arreglada

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
16 de Enero del 2016 20:31:25 CDT

Lo contó Elio Menéndez, premio nacional de Periodismo, en las páginas de este periódico. Con la apresurada inauguración de la Ciudad Deportiva, aún sin concluir, el 26 de febrero de 1958, el Gobierno batistiano pretendió lanzar una cortina de humo ante la opinión pública internacional sobre los hechos que estremecían al país. Pocos días antes un comando del Movimiento 26 de Julio había secuestrado a Juan Manuel Fangio, as argentino del volante, con lo que impidió su participación en la carrera por el II Gran Premio de Cuba, que tuvo a La Habana como escenario y en el que Fangio era la atracción principal.
Todo un show publicitario se montó para el estreno del coliseo de Vía Blanca y Boyeros. El plato fuerte del programa de la noche sería la pelea entre el cubano Orlando Echevarría y el norteamericano Joe Brown, campeón mundial de los pesos ligeros. El púgil del patio, alejado del ring desde un año antes, llevaba todas las de perder en el enfrentamiento. Tan escasas posibilidades de triunfo tenía Echevarría que, refiere Elio Menéndez en su crónica, los ejecutivos de la Dirección General de Deportes —que presidía entonces el general Roberto Fernández Miranda, jefe además del Regimiento 7 Máximo Gómez, con sede en la Cabaña, y, sobre todo, cuñado de Batista— pidieron a Brown que diera largo a su rival y estirara la pela a siete u ocho rounds, porque el combate sería transmitido de costa a costa en Estados Unidos y así lo exigían los patrocinadores. La razón era otra.
Con aquella transmisión pretendía la dictadura vender al exterior una imagen falsa de la realidad cubana.
Tres días antes, el 23 de febrero, cerca de las nueve de la noche, Fangio fue secuestrado en el vestíbulo del hotel Lincoln, en Galiano esquina a Virtudes, donde ocupaba la habitación 810. Fue una operación relámpago. El campeón acababa de bajar al lobby, copado por agentes de los cuerpos represivos de la dictadura vestidos de paisano. Allí lo esperaban periodistas y admiradores. El argentino conversaba con algunos de ellos cuando un miembro del Movimiento 26 de Julio, luego de identificar al campeón, se le acercó y le dijo que era del 26 y estaba allí para secuestrarlo. Fangio sonrió. Pensó, evidentemente, que se trataba de una broma; pero no demoró en sentir el cañón de una pistola apoyada en sus costillas y así, encañonado, salió  por la puerta de Virtudes. Nadie, ni policías ni admiradores, atinó a reaccionar.
Sus captores mantuvieron retenido a Fangio hasta la noche del 24, horas después de terminada la carrera, cuando lo devolvieron sano y salvo. Durante ese tiempo más de mil agentes de todos los cuerpos policiales cubanos lo buscaron en vano. Con su secuestro, el Movimiento 26 de Julio pretendió, y logró, llamar la atención sobre la guerra de guerrillas que se libraba en la Sierra Maestra y la lucha clandestina en las ciudades. Fue una acción que repercutió en casi todo el mundo. Refiere la crónica que en Gran Bretaña dejó en segundo plano la noticia referida a la enfermedad de Winston Churchill, y en la Argentina solo fue superada por la cobertura desmedida que se dio al triunfo en las elecciones del candidato presidencial Arturo Frondizzi. Puede afirmarse que nunca antes palabras como La Habana, Cuba, Fidel, Movimiento 26 de Julio, se habían repetido tanto ni ocupado tanto espacio en las agencias de prensa, y periódicos y revistas. Fangio, por su parte, reconocería años después que aquel secuestro lo había hecho todavía más famoso y que no había entrevista que se le hiciera en la que no se le preguntara sobre el hecho.
Bromeó: «Pero de estar mi esposa en Cuba, ella me hubiera encontrado».
El batistato temía que con Brown y Echevarría sucediera lo mismo que con Fangio, por eso los mantuvo escondidos, bajo estrecha vigilancia, hasta el mismo momento de subir al cuadrilátero. El cubano confesaría a Elio Menéndez que lo aislaron en una residencia de la playa de Tarará y que no lo dejaban solo ni para orinar.
Batista, que era fanático del boxeo, anunció su presencia esa noche en la Ciudad Deportiva. Por eso, las sillas más cercanas al ring fueron ocupadas por miembros de las fuerzas armadas, batistianos fuera de toda duda, testaferros del Gobierno y elementos incondicionales. En tanto, las preferencias altas y la gradería se destinaron a empleados públicos obligados a asistir. En definitiva, el dictador decidió mantenerse a buen resguardo. No sería esa la primera vez que el Negociado de Prensa del Palacio Presidencial daba como segura su asistencia a una competencia deportiva, y a última hora Batista decidía no ir y seguía el cartel por televisión. En caso de que se supiera que la TV no lo transmitiría, la Primera Dama pedía de manera pública que se hiciera, solicitud que, por supuesto, siempre era aceptada.
Elio Menéndez, que pudo conversar con Echevarría, dice que el cubano estaba ajeno al acuerdo al que llegaron los directivos del deporte con el púgil norteamericano, en cuanto a estirar la pelea. Sí sabía que su victoria dependía de un golpe de suerte. Por eso, apenas iniciado el combate, sorprendió a Brown con un izquierdazo que le nubló la vista.
Recuerda el cronista:
«Tras probar la pegada del subestimado rival, el forastero olvida el pacto y organiza su ofensiva. El temporal se cierne sobre el zurdo criollo, que enseguida visita la lona. A la segunda caída, el árbitro Johnny Cruz detiene las acciones y lleva a Echevarría hacia su esquina.
«¡Tan solo han transcurrido dos minutos y cuarenta y cinco segundos de pelea! La farsa no ha cumplido su objetivo».

Mariné, ¿quién eres tú?

Construido a un costo de diez millones de pesos, el Palacio de los Deportes y Campos Deportivos de La Habana, llamado después oficialmente Ciudad Deportiva, sustituyó al Palacio de Convenciones y Deportes de Paseo y Mar, como este a su vez había sustituido el Palacio de los Deportes, de San Carlos y  Peñalver.
Cuando Cuba aceptó la sede de los II Juegos Centroamericanos salieron a flote dos tristes realidades: la primera, que el país carecía de lugar donde efectuar competencias de trascendencia continental como las que se proponía; la segunda, que no tenía tiempo ni dinero para asumir de manera repentina la titánica tarea de levantar estadios para ofrecer esas competiciones. Fue entonces cuando surgió el ofrecimiento de una empresa cervecera, que construyó a toda prisa y sin visión de futuro el estadio Tropical, donde se escenificaron, en aquellos Juegos, los eventos de campo y pista, béisbol, fútbol y otros. Pero la natación, el tenis, la gimnástica, el básquet, etc., hubo que irlos a efectuar en canchas, piscinas y tabloncillos de escasas dimensiones y, por ende, radicadas en sociedades privadas, con todos los prejuicios raciales propios de la época.
Si descontamos el estadio de La Habana, o Gran Stadium del Cerro, construido ya en los 40 y dedicado exclusivamente al béisbol, aunque en él se hayan efectuado otros eventos deportivos, nada había en nuestra tierra que remedara, siquiera, a los grandes estadios comunes de otras capitales.
El 9 de julio de 1938 se crea la Dirección General Nacional de Deportes (DGND). Su director fue el comandante Jaime Mariné.
Mariné, un catalán que sirvió de testaferro a Batista, llegó a Cuba en los días previos a las elecciones de 1924, en las que se disputaban la presidencia el liberal Gerardo Machado y el conservador Mario García Menocal. Alfonso XIII, rey de España, mandó un caballo de pura sangre de regalo a Menocal, y Mariné fue el caballerizo.
Ante el regalo del caballo, los liberales se lanzaron a la calle con el lema de «¡A pie!». Coreaban: «¡A pie, a pie, a pie!/ Se acabaron los caballos./¡A pie, a pie, a pie!/ No me duelen ni los callos».Y cantaron una vez que Machado quedó triunfador en los comicios: «El Rey de España/ mandó un mensaje./ El Rey de España/ mandó un mensaje/ diciéndole a Menocal:/ devuélveme mi caballo,/ que tú no sabes montar».
Una vez aquí Mariné sentó plaza de soldado. Ascendió de sargento a comandante tras el golpe de Estado del 4 de septiembre de 1933 y, a la sombra del coronel Batista, de quien era ayudante, ocupó diferentes cargos hasta su salida de Cuba en 1944, cuando se estableció en Caracas para hacer grandes inversiones a nombre de su jefe y en su propio nombre.
En 1938 Mariné arrendó el Nuevo Frontón, el llamado Palacio de las Luces, en San Carlos y Peñalver —el frontón de Concordia y Lucena era el Palacio de los Gritos. Por fallas constructivas, el apresuramiento con que se acometió y por los daños que ocasionó en ese inmueble el ciclón del 20 de octubre de 1926, esa edificación se hallaba en un estado lamentable.
Allí radicaron la Dirección de Deportes y los departamentos correspondientes a cada especialidad. Disponía de áreas para la práctica de diversas disciplinas. Contaba con un gabinete médico y una clínica dental, así como un área de veterinaria y una llamada cocina deportiva. Bajo la jurisdicción de ese Palacio de los Deportes, quedaron los estadios Tropical y de Camagüey y la arena Cristal.
Auspició  la entidad academias de natación, jai alai, atletismo y baloncesto. En la de boxeo matricularon 1 100 alumnos de 12 años en adelante. Para dejarlo inaugurado y dar inicio a sus gestiones, la Dirección de Deportes trajo a La Habana y presentó en su sede a los dos mejores jugadores profesionales del mundo en el deporte de la
raqueta: los tenistas Fred Perry y Ellsworth Vines. Se calcula que más de 4 000 personas los vieron jugar. El dinero recaudado en esa y otras competiciones posteriores se destinó al fomento del deporte, pues entonces el Gobierno no tenía crédito alguno destinado a ese fin.
La Dirección de Deportes vendió su edificio al movimiento sindical. Se pensó en restaurarlo y adaptarlo para sede de la Confederación de Trabajadores de Cuba —lo de Central es posterior a 1959. Empezaron los quehaceres constructivos, pero hubo que paralizarlos porque el inmueble no admitía reparación. Por supuesto, se impuso construir desde cero el Palacio de los Trabajadores.
El nuevo Palacio de los Deportes se inauguró en 1944, en el sitio que ocupa desde 1978 la Fuente de la Juventud. Su primer cartel boxístico tuvo lugar el 1ro. de octubre de ese año e incluyó la pelea estelar de Juan Villalba contra Kid Gavilán. Entre otros eventos, ese inmueble fue escenario habitual del circo norteamericano Ringling, que visitaba La Habana todos los años en ocasión de las fiestas navideñas. Funcionó hasta cuando se demolió para que prosiguiera el trazado del Malecón hasta su límite natural del río Almendares.
La Ciudad Deportiva se asienta sobre dos caballerías de terreno. Por su construcción, capacidad y belleza, el Coliseo o Palacio de los Deportes propiamente dicho es la obra más notable del espacio. Lo cubre una cúpula de hormigón armado de 88 metros de diámetro, sin apoyo interior alguno, que permite una perfecta visibilidad de los espectadores y la cual se sostiene por una viga circular, de hormigón, que se apoya en 24 columnas con asiento en forma de «balancín», que le permite realizar los pequeños movimientos de dilatación y contracción que, en el hormigón, producen los cambios de temperatura. Tiene capacidad para entre 12 000 y 15 000 personas, quienes pueden ser evacuadas en diez minutos sin interrupción ni aglomeraciones en las salidas.

Ciro Bianchi Ross











Dizionario di mare per lupi di terra

ABBEVERARE: operazione svolta da pastori e mandriani dopo il pascolo

domenica 17 gennaio 2016

Quando la natura ha voglia di scherzare

Questa palma reale "trina", si trovava sulla strada che va da Jovellanos a Jagüey Grande, in provincia di Matanzas fino alla seconda metà degli anni '80 del secolo scorso, poi è scomparsa. Che fine avrà fatto? Vittima di un uragano? Morta di vecchiaia? Tagliata da qualche contadino irresponsabile, invidioso dei numerosi pulmann di turisti che si fermavano a fotografarla? Mistero. Certo che quel tratto di strada ha perso parte del suo fascino.