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martedì 4 marzo 2014

I giorni di Juan Gualberto, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 2/3/14

“Il mio cuore siete voi, lo sapete perfettamente, come altrettanto dovrebbe essere il vostro”, scisse José Martí a Juan Gualberto Gómez. Il grande amico, il “fratello mulatto” dell’Apostolo, è uno dei più grandi giornalisti cubani di tutti i tempi. Libri ne ha pubblicati pochi, anche se parte della sua produzione giornalistica è stata compilata in testi come Preparando la Revolución (1937) e Por Cuba Libre edito per la prima volta nel 1954, quasi tutta la sua opera rimane dispersa sui giornali e riviste per i quali lavorò o collaborò. E scrisse molto, tanto che sembra che abbia fatto passare solo un giorno senza riempire un foglio bianco. C’è un aneddoto che ritratta per intero Juan Gualberto. È prigioniero nel Castello del Morro per le sue fregole indipendentiste, soffre di privazioni senza uguali e scrive a un amico perché gli mandi con urgenza dieci centesimi per comprare della carta, si trova senza nemmeno un foglio per scrivere l’articolo del giorno seguente.
G.K. Chesterton, lo scrittore inglese de L’uomo che fu giovedì e i racconti di Padre Brown, disse una volta che il giornalismo è la professione di che è rimasto senza professione. Juan Gualberto potrebbe aver fatto sue queste parole. Figlio di schiavi, nacque libero perché suo padre, per 25 pesos, comprò il ventre gravido della madre. Ricevette un’eccellente educazione elementare nella scuola di Nuestra Señora de los Desamparados, la scuola di Antonio Medina che lo stesso Juan Gualberto chiamò “il Luz Caballero dei negri” ed aveva 15 anni quando i suoi genitori lo inviarono a Parigi. Nel salutarlo al porto dell’Avana, suo padre gli disse: “Figlio, voglio e prego Dio che quando torni tu sia un buon costruttore di carrozze”. Perché l’adolescente dalla mente privilegiata andava in Francia per questo, per formarsi come falegname di carrozze nella fabbrica di Monsieur Binder. Ma Binder vide, come nessun altro, l’intelligenza del suo pupillo e raccomandò ai genitori che cercassero di procurargli studi accademici. Allora lo iscrissero alla scuola preparatoria per ingegneri.
In definitiva non sarebbe stato né costruttore di carrozze, né ingegnere. Nel 1875 i genitori lo invitarono a tornare a Cuba, era per loro impossibile mantenerlo ancora a Parigi. Ma Juan Gualberto non tornò. Si assicurò il sostentamento facendo il giornalista. Sarebbe stato il fiammante corrispondente dalla capitale francese di giornali svizzeri e belgi. Scrisse reportages e commenti di attualità. Il tarlo del giornalismo lo aveva penetrato per sempre. Col tempo, a Cuba, avrà i suoi giornali – La Fraternidad, La Igualdad e La República Cubana...- collaborerà ovunque trovi spazio per farlo.
Come polemista fu semplicemente brillante. Acuto cronista parlamentare, sarebbe stato senza dubbio nell’articolo di fondo dove avrebbe mostrato le sue qualità di grande giornalista. Aveva uno stile sciolto e chiaro e un dono della sintesi straordinario che gli permetteva di dire tutto ciò che voleva senza estendersi troppo. Quelli che lo accompagnarono nelle sue imprese giornalistiche, parlarono di un direttore che sapeva esigere e insegnare ai suoi subordinati. Non era raro che questi, a volte, lo incitassero a parlare di modo che Juan Gualberto convertisse in cattedra il locale della redazione. Che o
Fu anche un superbo oratore, ma siccome improvvisava dalla tribuna, pochi dei suoi discorsi passarono ai posteri. Era, dice chi lo udì, un verbo motore. “Si affidava, come fosse una conversazione, all’ordine mentale dei suoi pensieri e, molte volte, era proprio sull palco che metteva ordine ai suoi pensieri. Senza dubbio, i suoi discorsi davano sempre la sensazione di qualcosa che era maturato”.
Già nei suoi ultimi giorni era collaboratore abituale di Bohemia, che allora aveva sede nella calle Trocadero. E fino a lì, Juan Gualberto già anziano, andava a consegnare e farsi pagare le sue collaborazioni. La rivista, che allora attraversava uno dei suoi periodi peggiori, - accordo alla situazione economica del Paese – a volte non aveva in cassa i soldi per pagare il suo onorario. Allora Miguel Ángel Quevedo, il suo direttore, usciva e chiedeva un prestito al bottegaio dell’angolo perché non poteva permettere che juan Gualberto, che viveva a Mantilla e arrivava alla rivista coi mezzi pubblici, tornasse a casa senza i dieci pesos che gli pagava.
Con la croce e senza la croce
Siccome Juan Gualberto che fu rappresentante alla Camera e al senato, aveva sempre militato nell’opposizione, visse con grande austerità e morì in povertà. La sua casa a mantilla, dove abitano ancora i suoi parenti, non potrebbe essere più modesta.
Hanno cercato molte volte di comprarlo, ma l’insigne patriota non si è mai venduto. Il generale Leonardo Wood, interventore nordamericano nell’Isola, per tacitarlo gli offrì la direzione dell’Archivio Nazionale, incarico pagato profumatamente. Anche il dittatore Gerardo Machado volle silenziarlo, a lui giorno per giorno, Juan Gualberto dedicava le sue fustigazioni per le suoi malefatti dalle pagine del suo giornale Patria, tanto che decise di conferirgli l’Ordine Carlos Manuel de Céspedes nel grado della Gran Croce, la maggior onorificenza che conferiva la Repubblica.
Fu l’apoteosi di juan Gualberto, tutta Cuba accolse l’idea di rendergli l’omaggio concesso con cerimonia nel Teaatro Nacional il 10 di maggio del 1929. Machado in persona era lì per decorarlo.
Il vecchio patrizio claudicava? Lungi dal farlo, aprofittò dell’occasione per riaffermare i suoi princìpi e faccia a faccia al dittatore disse che accettava l’Ordine dalle sue mani perché gli onori non si chiedevano né si respingevano e che nessuno si sbagliasse perché “Juan Gualberto con la Gran Croce è lo stesso Juan Gualberto che senza la Croce”.
L’offerta di Wood, naturalmente, la respinse. Alcuni giorni dopo si recò a Santiago de Cuba. Lì, il generale Castillo Duany e il tenente colonnello Lino Dou, due combattenti per l’indipendenza, si interessarono del fatto.
-Ci racconti, Maestro. Lei sta così bene economicamente che non aveva bisogno del posto nell’Archivio? Perché lo ha rifiutato?
Juan Gualberto, cubanissimo rispose:
Perché io “vate” non mi lascio archiviare.
Agente segreto
Il 17 settembre 1879, Juan Gualberto pranzava con Martí nella sua casa in calle Amistád. Giunse la polizia e arrestò Martí che la settimana successiva partì per l’esilio. Juan Gualberto continuò nel suo lavoro di cospiratore. Cadde prigioniero nel marzo del 1880 e venne condannato alla pena dell’esilio per cui lo inviarono in Spagna. Fino al 1882 rimase rinchiuso nei sotterranei di Ceuta. Quando gli si permise di passare alla Penisola, fece una campagna abolizionista a Madrid e svolse uno straordinario lavoro giornalistico. Non poté tornare all’Avana fino al 1890, quendo la campagna per l’autonomia era sempre più forte. Nell’articolo intitolato “I nostri propositi”, apparso nell’edizione inaugurale del suo giornale La Fraternidad, tracciò la line aeditoriale della pubblicazione. Era un giornale favorevole allo sviluppo della razza negra e difendeva l’emancipazione dell’Isola. Con questo metteva il dito nella piaga. Si poteva discutere pubblicamente il tema del saparatismo all’Avana? Qualcuno pensava che era possibile sempre che il fatto rimanesse nel campo delle idee e non si chiamasse alla ribellione. Nell’articolo seguente Juan Gualberto aumentò il tono. L’ora della separazione fra Cuba e Spagna era giunta, scrisse nella pagina intitolata “Perché siamo separatisti?”.
Era troppo. I colonialisti più recalcitranti sequestrarono l’edizione del giornale e rinchiusero Juan Gualberto nel Morro, dove rimase prigioniero per otto mesi. Alla fine gli fu imposta una sanzione lieve. Questa sentenza confermava il critero che chi propagandava le idee separatiste, sempre che non incitasse alla ribellione, non incorreva in un delitto, sentenza che fu ratificata dal Tribunale Supremo di Madrid.
Nel 1892 costituì, all’Avana, il Direttorio delle Società di Colore che, scrisse Lino Dou, fu la “meglio finita organizzazione sociale fatta dall’uomo, senza mezzi economici e senza nessuna protezione dei potenti” per “interessare il negro alla rivoluzione per l’indipendenza che sapeva si avvicinasse”. Già da allora Martí preparava la guerra necessaria e Juan Gualberto era il suo agente segreto sull’Isola. A lui invierà l’ordine di sollevazione per l’inizio dele ostilità. Juan Gualberto si sollevò nella località matanzera di Ibarra, con altri 400 patrioti il 24 febbraio del 1895. La manovra fallì; il suo capo Antonio López Colorna fu catturato e poi fucilato, Juan Gualberto e altri capi della rivolta si consegnarono al nemico.
Lapidato nella strada
Lo condannarono ancora. Giunse in Spagna e a Santander lo presero a pietrate nella strada mentre marciava in colonna di prigionieri. Dopo un lungo pellegrinaggio nelle carceri spagnole. Lo seppellirono nel castello del Hacho, dove dopo due anni di reclusione, i suoi amici riuscirono a farlo trasferire alla prigione di Valencia. Il 1° gennaio del 1898 all’Avana prese possesso il Governo autonomo e il capitano generale Ramón Blanco y Erenas, governatore dell’Isola, dispose un indulto per tutti i prigionieri politici. Juan Gualberto partì dalla Spagna in settembre, passó dalla Francia e giunse negli U.S.A. A New York, Estrada Palma, delegato del Partito Rivoluzionario Cubano. Gli comunicò che era stato eletto rappresentante dell’Assemblea di Santa Cruz del Sur, più dell’Assemblea del Cerro che funzionò tra l’ottobre 1898 e l’aprile 1899. L’Assemblea doveva risolvere il problema del passaggio dalla guerra alla pace e le relazioni col governo interventista nordamericano. In questo conclave, Juan Gualberto esigette la piena determinazione dei cubani, senza subordinazione al potere straniero. Al governatore Leonardo Wood non piaceva l’attitudine irremovibile e il linguaggio duro del patriota.
Nel 1900 lo elessero delegato all’assemblea che elaborò la Costituzione del 1901. Washington impose l’Emendamento Platt ai delegati. Juan Gualberto si oppose all’Emendamento. Disse che sarebbe equivalso “a consegnare la chiave della nostra casa in modo che potessero entrare in essa a qualunque ora, quando ne avessero voglia, di giorno o di notte, con propositi buoni o cattivi”. La sua attitudine nell’Assemblea fece si che Wood lo definisse come “un negretto di reputazione fetente, tanto nella morale come nella politica”.
Si installò la Repubblica. Si oppose a Estrada Palma: lo considerava rappresentante degli stessi interessi che aveva imposto l’Emendamento Platt. Fu contrario alla rielezione del Presidente, fatto che provocò che il Partito Liberale si sollevasse in armi nella cosiddetta Piccola Guerra di Agosto, in definitiva, il secondo intervento nordamericano. Fu messo in prigione, con altri capi liberali, nel Castillo del Príncipe, si oppose a José Miguel nonostante il suo partito, il Liberale, fosse al potere. Dalle colonne del giornale La Lucha attaccò il suo Governo. Si opporrà anche a Menocal quando dette la scossa del 1917 e originò la cosiddetta rivoluzione del Lecca-lecca. Si oppose pure a Zayas e Machado.
Sempre assieme
Era nato nell’azienda agricola Vellocino , a Sabanilla del Encommendador, provincia di Matanzas il 12 luglio del 1854, fra poco saranno 160 anni. Morì a Mantilla il 5 di marzo del 1933 senza poter assistere alla caduta del regime machadista che tanto combatté. Le sue ultime parole furono: “Martí...Cuba”.
La sua tomba, nell’Avenida Fray Jacinto e calle 8 nella necropoli di Colón, dove riposano anche i resti dei suoi genitori e della moglie, reca un epitaffio semplice: “Sempre assieme” e sopra questa frase si legge: “Chiusa”, ció vuol dire che più nessuno può essere sepolto in quella cripta.


Di questo articolo non c'è l'originale in quanto Ciro Bianchi è fuori Cuba e non mi ha potuto inviare il testo.

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