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lunedì 31 marzo 2014

Scritto a memoria di Ciro Bianchi Ross


Pubblicato su Juventud rebelde del 30/3/14

Una lettrice che firma il suo messaggio elettronico semplicemente con “Jennys” è interessata all'hotel Miramar. Non esiste più. Era ubicato all'angolo di Prado e Malecón e tanto l'esercizio alberghiero quanto il suo ristorante furono famosi durante i primi anni delle Repubblica. La sua proprietaria lo era anche dell'hotel Telégrafo, in Prado e San Miguel, era colei che regalò, allora, al generale José Miguel Gómez la sedia che avrebbe usato durante il suo mandato presidenziale; per questo e per tanto tempo, si disse che i presidenti cubani si sedevano sulla sedia di doña Pílar.
Lo scriba, durante le sue passeggiate avanere degli anni '60, ricorda il palazzone scuro e vuoto di questo hotel che sfidava il tempo in uno degli angoli più pregiati della città. Si dismise in una data che il cronista non può precisare, come altrettanto si dismise El Telégrafo, per sfortuna della sua proprietaria. I dati che l'autore possiede sull'hotel Miramar sono ben scarsi. Il poeta nicaraguense Rubén Darío, nel 1910, durante il suo ultimo soggiorno all'Avana uscì dal suo ristorante, dopo aver mangiato con amici trai quali il poeta Mondello, ambasciatore italiano a Cuba, per perdersi nella notte per finire nell'unico posto che, già all'alba, trovò illuminato, un “circolo di uomini di colore”, disse il poeta, dove si dichiarò “negro onorario”.
Il cronista sa anche che in uno dei suoi locali ebbe sede l'ufficio di Sergio Carbó, direttore della rivista La Semana, uno dei giornalisti più popolari allora, a Cuba, sempre con maggiori esiti personali che professionali. Carbó fu, dopo il colpo di stato del settembre 1933, uno dei cinque membri della Commissione Esecutiva o Pentarchia che si fece carico del potere. All'epoca circolava su un'auto blindata che fu del dittatore Machado, mentre che il già colonnello Batista si spostava su quello del generale Alberto Herrera, capo dello Stato Maggiore fino al 12 di agosto dello stesso anno. L'autore aggiunge un'altra informazione sull'hotel Miramar: fu scenario, dopo essere cessato come albergo, di non pochi incontri di boxe.
Di fronte all'albergo si trovava il celebre chioschetto del Malecón.
Il chioschetto sparí nel 1926, quando si iniziò la costruzione dell'Avenida del Puerto. Esisteva l'idea di installare un nuovo albergo all'angolo di Prado e Malecón. Il progetto dell'opera si affidò allo studio di architettura del famoso José Antonio Choy, autore fra altri lavori, dell'hotel Santiago.

Brenda

Di Brenda, chiede il lettore Yusvier Abreu. È una ballerina uruguayana che si stabiliì a Cuba negli anni '40 del secolo scorso e che la riapertura del Teatro Martí ha fatto tornare di attualità. Brenda ballava nuda o quasi, cosa che aggiungeva attrattiva alla sua ben guadagnata fama come artista. In quegli anni fu protagonista di un grande spettacolo nel Teatro Nacional. Era intitolato “Cocaina”, sostanza che pullulava abbastanza in certi settori della classe abbiente di allora, mentre la marijuana, la cosiddetta “erba del diavolo”, circolava nei settori popolari. Ci furono proteste. Protestò la Lega della Decenza, che aveva sede al numero 30 della calle Obispo; protestarono le istituzioni religiose e le classi attive; protestò la stampa, allora qualificata come quarto potere. Per lo spettacolo interpretato dall'uruguayana? No. Quello che motivava la discordia era il titolo dell'opera. I suoi produttori decisero di cambiarlo. Nella locandina del Teatro Nacional apparve il nuovo titolo: Sensazione. E sotto questa parola, tra parentesi, “Già cocaina”, ciò non eliminò, anzi aumentò il motivo di discordia.
Brenda lavorò anche nel Teatro Martí. Diciamo, come cosa curiosa, che non poche bambine nate allora e non solo a Cuba, portarono il suo nome. Del suo lungo periodo di reporter, lo scriba ricorda un giro sulle montagne dell'Escambray, nel centro del Paese, negli anni '80. Allora conobbe una giovane studentessa di Agronomia che frequentava la carriera nell'Università della zona. La ragazza si chiamava Brenda e non solo sapeva della ballerina, il ricordo dell'artista si era trasmesso nella sua famiglia da padri a figli, ma che doveva il suo nome proprio all'uruguayana.

Sei presidenti

Circa i politici che occuparono la presidenza della nazione tra la defenestrazione di Ramón Grau de San Martín, nel gennaio del 1934 e l'inizio del mandato costituzionale di Fulgencio Batista, il 10 ottobre del 1940, ho scritto abbastanza in questa stessa pagina. Nonostante ciò per compiacere il lettore R. M. Martínez che sollecita questa informazione, dirò che furono sei: Carlos Hevía, Manuel Márquez Sterling, Carlos Mendieta Montefur, José Agripino Barnet Vínageras, Miguel Maríano Gómez Arias e Federico Laredo Bru.
Era l'epoca in cui il colonnello Batista, dall'accampamento militare di Columbia, metteva e toglieva presidenti a suo piacimento. Hevía e Márquez Sterling non gli convennero e rimasero solo qualche ora. Collocò e destituì Mendieta, che occupò la prima magistratura nei giorni dello sciopero di marzo del 1935. Si valse di Barnet perché capeggiasse le elezioni che dettero la vittoria a Miguel Maríano a sette mesi scarsi dal suo arrivo al potere. Il vicepresidente Laredo Bru si investì allora della presidenza ad interim.
Si dice molto che Laredo fu un tipo incolore e insipido. Alcune decime ironiche che lo scriba ricorda della sua infanzia lo concepivano come un profittatore che, diceva il poema in oggetto: “non sparò un colpo—-fino a consegnare (il potere) a Batista”. Bisogna dire, senza dubbio, che l'intervento di Laredo, di Las Villas, avvocato, colonnello della Guerra d'Indipendenza, fu decisiva nel processo politico che precedette l'assemblea costituente del 1940. Capeggiò le conversazioni che si celebrarono fra rappresentanti del Governo e dell'opposizione che si tennero nella tenuta di Parraga, all'Avana. Lunghe e ardue negoziazioni nelle quali ognuna delle parti cercava di imporre i suoi punti di vista. Mentre Batista esigeva “prima elezioni e poi costituente”, l'opposizione reclamava esattamente l'opposto: “prima costituente; elezioni dopo” che alla fine fu la formula vincitrice.

La culla del santo

Su Guanabacoa, terra di tradizioni e leggende, chiede un lettore che firma il suo messaggio elettronico Javierdp. Sorse come un luogo dove i colonizzatori spagnoli installarono gli indios dispersi. Per breve tempo fu la capitale di Cuba, successivamente luogo di riposo della nobiltà avanera che godeva delle sue colline verdi e della purezza delle sue sorgenti. Guanabacoa vuol dire questo: terra alta, con molta acqua.
Per alcuni è una voce che si traduce come: “località situata fra colline dove sgorga una fonte”. Altri assicurano che il termine proviene dagli aborigeni dell'Isola e lo interpretano “luogo alto dove abbonda il guano (tipo di folgliame, n.d.t.)” o “luogo di palme alte” o “luogo di molta acqua”. Questa è l'accezione più diffusa ed è basata sulla prodigalità delle fonti della zona. Ma Guanabacoa, si dice, è anche terra di santeros, la terra del santo.
Il suo centro storico ha l'aspetto delle vecchie città di Cuba, la sua architettura ricorda quelle che fondò il Messaggero Diego Velázquez, primo Governatore dell'Isola. Si dice che fu fondata il 12 giugno del 1550.
Prima del 1600, la città era compresa in quattro isolati totalmente irregolari che si trovano tra le calles Barreto, Potosí, San Antonio, Máximo Gómez e Cruz Verde che sono attraversate da quella di Corral Falso e anche le aree definite tra le calles Pepe Antonio, Santo Domingo, Amargura e Soledad, Quasta prima città crebbe molto durante il XVII secolo e molto di più durante il XIX.
Fu capitale di Cuba per un giorno, nel 1555, quando il Governatore Gonzalo Pérez de Angulo trovà rifugio a Guanabacoa non potendo detenere l'assalto del corsaro francese Jacques de Sores che terminò impadronendosi dell'Avana. Nel 1743, Felipe V di Spagna, le concesse di esibire il Gonfalone Reale e le concesse, inoltre, avallato dallo scudo relativo, il titolo di città: Città dell'Assunzione di Guanabacoa.
Nel 1762, José Antonio Gómez y Bullones, sindaco maggiore della città affrontò, al comando di 70 uomini male armati, gli invasori britannici e diresse con successo la prima carica al machete che registra la storia di Cuba. In circa 50 azioni combattive e sempre col machete sguainato, Pepe Antonio occasionò più di 300 perdite al nemico.
Alejandro de Humboldt, il saggio naturalista tedesco, stette a Guanabacoa, il cui clima salubre e le sue acque pure attrassero la nobiltà cubana che scelse la città per viverci o come luogo di vacanza. Di questo tempo lontano arrivano fino ad oggi, la Casa de las Cadenas e la Ermita de Potosí, una delle chiese più antiche del Paese, oltre ai conventi di Santo Domingo e San Francisco, dove funzionò, a partire dal 1857, la prima Scuola Normale per Maestri che esistette a Cuba. Anche il Liceo di Guanabacoa, costruito nel 1861, che conserva una ricca storia: lì, il 22 gennaio del 1879, José Martí parlò in pubblico per la prima volta, a Cuba. A Guanabacoa nacquero tre grandi della musica cubana: Ernesto Lecuona, Rita Montaner e Bola de Nieve (Ignacio Villa, n.d.t.).
C'è molto da vedere a Guanabacoa. Chiese, conventi antichi, il vecchio cimitero, i cimiteri ebraici, case coloniali ancora in piedi o che mostrano partre dei loro ruderi.

Informazioni rimandate

Lo scriba rimane in debito con un gruppo di colombiani che sollecita informazioni su quelle innovazioni – il telefono automatico, la ferrovia, la navigazione a vapore, ecc. -- che si conobbero a Cuba, prima che in altri Paesi. Anche con Karelia che chiede dati sul Parco Zayas, dove si trova adesso il Memorial Granma; con Alberto che chiede informazioni sul Teatro Tacón; con Felípe Domínguez che vuol sapere di Evangelina Cossío...
Tutte richieste le cui risposte verranno più avanti. Sono in vacanza o quasi, lontano da libri archivi e ogni fonte documentale, scrivendo a memoria.


Escrito de memoria

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
29 de Marzo del 2014 21:12:11 CDT

Una lectora que firma su correo electrónico simplemente como Jennys,
se interesa por el hotel Miramar. Ya no existe. Estaba situado en la
esquina de Prado y Malecón y tanto el establecimiento hotelero como su
restaurante fueron muy famosos durante los años iniciales de la
República. Su propietaria lo era también del hotel Telégrafo, en Prado
y San Miguel, aquella que, en su momento, regaló al general José
Miguel Gómez la silla que usaría durante su mandato presidencial; por
lo que durante mucho tiempo se dijo que los mandatarios cubanos se
sentaban en la silla de doña Pilar.
El escribidor, de sus caminatas habaneras de los años 60, recuerda el
caserón oscuro y vacío de este hotel que desafiaba al tiempo en una de
las esquinas más codiciadas de la ciudad. Se descomercializó en una
fecha que el cronista no puede precisar, como también se
descomercializó El Telégrafo, para desdicha de su propietaria. Los
datos que sobre el hotel Miramar posee el autor de esta página son
bien escasos. El poeta nicaragüense Rubén Darío, en 1910, durante su
última estancia en La Habana, salió de su restaurante, luego de haber
comido con amigos, entre ellos el poeta Mondelo, embajador italiano en
Cuba, para perderse en la noche hasta recalar en el único sitio que,
ya de madrugada, encontró iluminado, un <>,
dijo el poeta, donde se le declaró <>.
Conoce también este cronista que en uno de sus locales radicó la
oficina de Sergio Carbó, director de la revista La Semana y uno de los
periodistas más populares de la Cuba de entonces, siempre con más
éxitos empresariales que profesionales. Carbó fue, tras el golpe de
Estado del 4 de septiembre de 1933, uno de los cinco miembros de la
Comisión Ejecutiva o Pentarquía que se hizo cargo del poder. Para
entonces andaba en el automóvil blindado que fuera del dictador
Machado, mientras que el ya coronel Batista se movía en el del general
Alberto Herrera, jefe del Estado Mayor del Ejército hasta el 12 de
agosto del año mencionado. Otra información sobre el Miramar acumula
el autor: fue escenario, al dejar de funcionar como hotel, de no pocos
topes de boxeo.
Frente al hotel se ubicaba la célebre glorieta del Malecón.
Desapareció la glorieta en 1926, cuando se inició la construcción de
la Avenida del Puerto. Existe la idea de asentar un nuevo hotel en la
esquina de Prado y Malecón. El proyecto de la obra se encomendó a la
oficina de arquitectos del afamado José Antonio Choy, autor, entre
otros trabajos, del hotel Santiago

Brenda

Sobre Brenda inquiere el lector Yusvier Abreu. Es una bailarina
uruguaya que se estableció en Cuba en los años 40 del siglo pasado y
que la reapertura del Teatro Martí hizo volver a la actualidad.
Brenda bailaba desnuda o casi, lo que constituía un atractivo
adicional a su bien ganada fama como artista. Protagonizó, en esos
años, un espectáculo sonado en el Teatro Nacional. Se titulaba
Cocaína, sustancia que pululaba bastante en ciertos sectores de las
clases adineradas de entonces, mientras que la mariguana, la llamada
<>, corría entre los sectores populares. Hubo
protestas. Protestó la Liga de la Decencia, que radicaba en el número
30 de la calle Obispo; protestaron instituciones religiosas y las
clases vivas; protestó la prensa, calificada entonces como el cuarto
poder. ¿Por el espectáculo que protagonizaba la uruguaya? No. Motivaba
el desacuerdo el título de la obra. Decidieron cambiárselo sus
productores. Y en la cartelera del Teatro Nacional apareció el nuevo
título: Sensación. Y bajo esa palabra, entre paréntesis, Antes
cocaína, lo que no eliminó, sino que dio realce al motivo de la
discordia.
Brenda trabajó asimismo en el Teatro Martí. Digamos, como cosa
curiosa, que no pocas niñas nacidas entonces, y no solo en Cuba,
llevaron su nombre. De su larga etapa de reportero, recuerda el
escribidor un recorrido por las montañas del Escambray, en el centro
del país, en los años 80. Conoció entonces a una joven estudiante de
Agronomía que cursaba la carrera en la Universidad enclavada en la
zona. La muchacha se llamaba Brenda, y no solo sabía de la bailarina,
pues el recuerdo de la artista se había transmitido en su casa de
padres a hijos, sino que debía su nombre a la uruguaya.

Seis presidentes

Acerca de los políticos que ocuparon la presidencia de la nación entre
la defenestración de Ramón Grau San Martín, en enero de 1934, y el
inicio del mandato constitucional de Fulgencio Batista, el 10 de
octubre de 1940, he escrito bastante en esta misma página. Aun así,
para complacer al lector R. M. Martínez, que solicita esa información,
diré que fueron seis: Carlos Hevia, Manuel Márquez Sterling, Carlos
Mendieta Montefur, José Agripino Barnet Vinageras, Miguel Mariano
Gómez Arias y Federico Laredo Bru.
Era la época en la que el coronel Batista, desde el campamento militar
de Columbia, ponía y quitaba presidentes a su antojo. Hevia y Márquez
Sterling no le convinieron y estuvieron apenas horas. Colocó y
descolocó a Mendieta, que ocupaba la primera magistratura en los días
de la huelga de marzo de 1935. Se valió de Barnet para que encabezara
los comicios que dieron el triunfo a Miguel Mariano, y presionó al
Senado a fin de que juzgara y destituyera a Miguel Mariano a siete
meses escasos de su arribo al poder. El vicepresidente Laredo Bru se
calzó entonces la presidencia en propiedad.
Se insiste mucho en que Laredo fue un tipo incoloro e insípido. Unas
décimas burlescas que recuerda el escribidor desde su infancia, lo
conceptuaba como un aprovechado que, decía el poema en cuestión, <>. Hay que decir,
sin embargo, que la intervención de Laredo, villareño, abogado,
coronel de la Guerra de Independencia, fue decisiva en el proceso
político que antecedió a la asamblea constituyente de 1940. Encabezó
las conversaciones que celebraron representaciones del Gobierno y de
la oposición y que tuvieron lugar en la finca de los Párraga, en La
Habana. Arduas y largas negociaciones en la que cada parte trató de
imponer sus puntos de vista. Mientras que Batista exigía <>, la oposición clamaba precisamente
por lo contrario: <>, que
fue, al cabo, la fórmula triunfadora.

La cuna del santo

Sobre Guanabacoa, tierra de tradiciones y leyendas, pregunta un lector
que firma su mensaje electrónico como Javierdp. Surgió como un sitio
donde los colonizadores españoles asentaron indios dispersos. Por
breve tiempo fue la capital de Cuba y muy pronto lugar de descanso de
la nobleza habanera, que gustaba de sus verdes colinas y la pureza de
sus manantiales. Guanabacoa quiere decir eso: tierra alta, con mucha
agua.
Para algunos es una voz que se traduce como <>. Otros aseveran que el término
proviene de los aborígenes de la Isla y lo interpretan como <> o <> o <>. Esta es la acepción más divulgada y se basa en la
prodigalidad de los manantiales de la zona. Pero Guanabacoa es
también, se asevera, tierra de santeros, la tierra del santo.
Su centro histórico tiene el aire de las viejas ciudades de Cuba, y su
arquitectura remeda la de las villas que fundó el Adelantado Diego
Velázquez, primer gobernador de la Isla. Se dice que fue fundada el 12
de junio de 1550.
Antes de 1600 la villa era el espacio comprendido por cuatro manzanas
totalmente irregulares que se ubican entre las calles Barreto, Potosí,
San Antonio, Máximo Gómez y Cruz Verde, que son atravesadas por la de
Corral Falso, y también el área que ocupan las manzanas enmarcadas por
las calles Pepe Antonio, Santo Domingo, Amargura y Soledad. Esa villa
primitiva creció mucho durante el siglo XVIII, y mucho más a lo largo
del siglo XIX.
Fue la capital de Cuba por un día, en 1555, cuando el gobernador
Gonzalo Pérez de Angulo halló refugio en Guanabacoa al no poder
contener el empuje del corsario francés Jacques de Sores, quien
terminó apoderándose de La Habana. En 1743, Felipe V, de España, le
concedió el derecho de lucir el Pendón Real y le otorgó además,
avalado con el escudo correspondiente, el título de villa: Villa de la
Asunción de Guanabacoa.
En 1762, José Antonio Gómez y Bullones, alcalde mayor de la ciudad,
enfrentó, al mando de 70 hombres mal armados, a los invasores
británicos y dirigió exitosamente la primera carga al machete que se
registra en la historia de Cuba. En unas 50 acciones combativas, y
siempre machete en ristre, Pepe Antonio ocasionó más de 300 bajas al
enemigo.
Alejandro de Humboldt, el sabio naturalista alemán, estuvo en
Guanabacoa, cuyo clima lleno de bondades y sus aguas puras atrajeron a
la nobleza cubana, que escogió la villa para vivir o como lugar de
veraneo. De ese lejano ayer llegan hasta hoy la Casa de las Cadenas y
la Ermita del Potosí, una de las iglesias más antiguas del país, y los
conventos de Santo Domingo y de San Francisco, donde funcionó, a
partir de 1857, la primera Escuela Normal para Maestros que existió en
Cuba. También el Liceo de Guanabacoa, construido en 1861, el cual
guarda una rica historia: allí José Martí, el 22 de enero de 1879,
habló en público por primera vez en Cuba. En Guanabacoa nacieron tres
grandes de la música cubana: Ernesto Lecuona, Rita Montaner y Bola de
Nieve.
Mucho hay que ver en Guanabacoa. Iglesias, antiguos conventos, el
cementerio viejo, los cementerios judíos, casas coloniales aún en pie
o que muestran la poesía de sus ruinas.

Sugerencias aplazadas

El escribidor queda en deuda con un grupo de colombianos que solicita
información sobre aquellas innovaciones --el teléfono automático, el
ferrocarril, la navegación a vapor, etc.-- que se conocieron en Cuba
antes que en otros países. También con Karelia, que pide datos sobre
el Parque Zayas, donde se halla ahora el Memorial Granma; con Alberto,
que recaba información sobre el Teatro Tacón; con Felipe Domínguez,
que quiere saber acerca de Evangelina Cossío...
Solicitudes cuyas respuestas quedan para más adelante. Estoy de
vacaciones o casi, lejos de libros, archivos y de toda fuente
documental, escribiendo de memoria.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/



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