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martedì 22 aprile 2014

Da credere o non credere, di Ciro Bianchi Ross


Pubblicato su Juventud Rebelde del 20/4/14


Molti dei nostri lettori sicuramente ignoreranno che a Cuba si realizzò un esecuzione alla pena capitale, dove il reo è rimasto vivo e il boia invece è morto.
Fu un caso molto curioso che successe nella città di San Juan de los Remedios, il 29 gennaio del 1863.
Alle sei di mattina di questo giorno e andato alla garrota il nero Nicasio Flores, che avrebbe pagato con la sua vita l’omicidio che aveva commesso alcuni mesi prima. Seduto il reo sulla tragica sedia il boia, Victoriano Infante dette un giro completo alla vite dell’apparecchio e il condannato si contorse, ma non morì, in preda a spaventose convulsioni. Altri due giri dati alla vite della macchina per l’esecuzione, riuscirono solo a riempire d’orrore quanti assistevano all’esecuzione che chiesero a gran voce il perdono per il reo. Vedendo che questi rimaneva vivo e visto che il boia, spaventato da quello che stava succedendo, era caduto svenuto e senza conoscenza, si ordinò di sospendere l’esecuzione e si trasferì il boia, incoscente, all’infermeria del carcere, dove morì alcune ore dopo.
Il reo, protagonista di questo fatto emotivo, fu indultato il giorno seguente.

Archi di trionfo

Si sente parlare di archi di trionfo all’Avana, date l’affermazione per certa. Ci furono dalla colonia fino al 1952 quando, in occasione del cinquantenario della creazione della Repubblica, se ne eresse uno nel Paseo del Prado fra il parco Centrale e l’hotel Telégrafo.
Questo è l’ultimo di cui si ha testimonianza grafica. Dall’altro lato del Parco Centrale, nella piccola aiola sita tra la Manzana de Gómez e quello che poi sarebbe stato il Centro Asturiano (attuale Museo Nazionale) ce ne fu un altro nel 1909, dedicato a José Miguel Gómez, che accedeva alla presidenza del Paese, quando si recuperva la sovranità della nazione.
Per salutare l’arrivo al potere di Estrada Palma, il nostro primo presidente, ci furono diversi archi di trionfo nel Quartiere Cinese e nella calle O’ Reilly, di fronte alla stazione dei treni di Villanueva e in altri luoghi della città che già non sono identificabili dalle foto. Con uno di questi si rese omaggio al dittatore Gerardo Machado a Cienfuegos, quando si recò in quella città e lo si esecrò con un altro, dopo la sua caduta. Altri gli furono dedicati a Santa Clara, la sua città natale. Fra quelli che si ricordano, risultarono essere molto curiosi quelli che si eressero nella Carretera Central. Fra di essi uno al limite tra La Habana e Matanzas, per augurare buon viaggio a chi transitasse per la strada. Ce ne fu anche uno consacrato al sanguinario Valeriano Weyler, in Monte e Aguila...
Gli archi di trionfo sono un invenzione greca che i romani hanno sparso per il mondo. Caddero in disuso nel Medio Evo e napoleone li riprese durante il suo impero. Si erigevano per salutare una persona o celebrare determinati avvenimenti ed avevano carattere effimero. La prima costanza grafica che si ha di uno nell’Isola data dal 1878, a Santiago de Cuba. Si dedicò al capitano generale Arsenio Martínez Campos che aveva conseguito la pace del Zanjón.
Sepolture all’Avana
Le sepolture all’Avana, a metà del XIX secolo, attiravano l’attenzione per l’apparato di ostentazione col quale si tendevano i cadaveri nella casa ove erano morti.
Generalmente era nella sala, le cui finestre venivano spalancate, per esporre nel modo più pubblico possibile. Si preparava un catafalco sontuoso, composto da due parallelepipedi, da più grande a più piccolo sulla cui faccia superiore che in occasioni arrivava quasi al tetto, si collocava il feretro. Sei e fino a 12 moccoloni con candele di cera e altrettanti candelabri con candele più piccole, si collocavano attorno al tumulo, sul pavimento coperto con tappeti di color bianco e nero. Le candele rimanevano accese fino alla sepoltura. Nei più lussuosi si chiudeva il feretro in una teca vetro e si adornavano le pareti con tende nere. Il trasporto del cadavere al cimitero di Espada si faceva con carri funebri trainati da sei e fino a otto coppie di cavalli adornati con vistosi pennacchi gialli e neri. Accompagnavano il carro da sei a 24 inservienti bianchi, vestiti con livrea di color nero, erano quelli che caricavano il feretro per collocarlo nella fossa. Questi accompagnatori, sostituirono gli antichi zacatechi che erano dei negri vestiti con casacche fuori dal comune, con livrea di color rosso, calzoni corti scarpe basse con fibbia e cappelli “al tre”, vale a dire con tre punte.
Il lutto non si fermava solo ai vestiti, Le finestre che davano alla strada rimanevano chiuse per sei mesi successivi i qudri, le fioriere e gli altri oggetti che adornavano i ripiani principali erano foderati con teli di color bianco.
Nell’abito di lutto rigoroso, gli uomini non potevano usare gilet di seta né casacca di panno. Tutti gli indumenti erano di stoffa o altro genere di seta o lana, ma senza luccichio,e questo rendeva necessario il triste lavoro di preparare il lutto, ancora col malato in vita. Le donne non potevano usare spille né ornamenti d’oro o pietre preziose. Alla metà del lutto entrava il colore violetto oltre al bianco.
Il lutto per i genitori durava due anni; quello dei fratelli uno e quello per la vedovanza, tutta la vita.

Il lusso del bagno

Nelle ultime decadi del XIX secolo, l’Avana non poteva vantare di un hotel di prima categoria, allo stile nordamericano.
Il primo di questo tipo fu l’hotel Santa Isabel. Il suo imprenditore fu il colonnello Lay, nordamericano. Lo situò in un edificio sito al lato del Templete, nella Plaza de Armas e poco dopo conseguì quello che fu il palazzo del Conte di Santovenia.
L’hotel Santa Isabel si concepì come il migliore della città. Camere grandi e ariose. Servizio di pasti. Con il vantaggio che le signore che vi alloggiavano, erano servite da persone del loro sesso; questo era servizio di cameriera, qualcosa ancora sconosciuto a Cuba. Si parlava inglese.
Già in quel momento, gli alberghi principali e molte pensioni disponevano di quello che si chiamava “il lusso del bagno”. Negli alberghi e case d’affitto di categoria inferiore si informavano gli ospiti circa i bagni pubblici che potevano frequentare al prezzo di 30 centesimi.
I letti degli alberghi, anche quelli di prima categoria, erano duri e in poche installazioni si disponeva di materassi. Generalmente erano dei teli coperti da uno strato di filo. I cuscini erano di cotone grezzo o altre fibre vegetali. Si diceva che questi giacigli si ispiravano al nostro clima per essere molto più freschi che i materassi a molle che si usavano già negli Stati Uniti.
I migliori alberghi avevano tariffe che oscillavano tra i tre e i cinque pesos al giorno con cena, compreso o no il vino. In alcuni, il vino (catalano o domestico)nera compreso nel prezzo del servizio. Gli alberghi di categoria inferiore costavano due pesos al giorno,
C’erano pensioni confortevoli e con prezzi modici: da 35 a 50 pesos al mese per camere con due pasti al giorno. Inoltre si affittavano camere ammobiliate in case private per un prezzo di 30 pesos mensili, compresa la prima colazione.

Buoi nel Prado

In quello che oggi è il parco América Arias – di fronte al memorial Granma – era installata la stazione della ferrovia urbana, i cui treni trasportavano i passeggeri fino al Vedado. Dove poi si costruì l’hotel Sevilla, c’era un magazzino di legname. Tre di questi opifici si affacciavano al Paseo del prado e per questa stessa strada facevano uscire le loro merci in carrette tirate da buoi.
In questa epoca, l’Obitorio dell’Avana – quello che oggi sarebbe l’Istituto di Medicina Legale – si trovava in Zulueta angolo Carcel e da li si entrava anche ai fossati municipali.
Nell’Obitorio, durante la Guerra d’Indipendenza, si vegliarono i resti del colonnello mambí Nestor Aranguren e, nel 1906, quelli del generale Quintín Banderas, morto durante la cosiddetta “Piccola Guerra” di agosto che i liberali capeggiarono contro il presidente Tomás Estrada Palma.
In quest’epoca i vestiti da uomo, di alpaca nera e azzura, si vendevano a 16.80 pesos spagnoli oro, e quelli di dril bianco a 8,50 pesos oro, mentre un ristorante del Paseo del Prado offriva un menù composto da consommé, uova alla turca, filetto di pargo alla griglia, rognone trifolato, frutta varia, pane e caffé, per 80 centesimi.
In questa data non esisteva ancora la moneta cubana e nel Paese circolavano le monete americana, spagnola e francese. Un “centinaio” spagnolo era equivalente a 5,63 pesos d’argento, mentre il luis francese a 4,51, più o meno, ebbene bisognava aggiornarsi col cambio del giorno che si pubblicava nei giornali.

Numeretti

La Guida dei forestieri del 1821 riporta che durante l’anno precedente entrarono ai mercati avaneri 10132 bestie da soma con frutta, ortaggi e verdure. Anche oltre mille cavalli con carbone di legna e altri 1162 con canna per spremute. Quasi 500 cavalli trasportarono due barili di grappa ciascuno; 285 otto taniche di latte, ognuno dei 120 cavalli trasportò due grosse di uova e 326 due quarti di carne bovina...
Il Quadro statistico del 1829 riporta che due anni prima entrarono al porto avanero 1053 bastimenti. Di questi, solo 57 erano spagnoli. Arrivarono 785 navi statunitensi. Settantuno britannici, 48 francesi, 24 olandesi, 21 danesi e 14 tedeschi, fra altri di bandiera diversa. Entrarono anche due navi russe.
Nel 1827, il Censo contò 1560 carrozze e 352 calessi nel perimetro compreso tra le mura dell’Avana. 624 e 115, rispettivamente di questi veicoli, fuori da queste muraglie. Di questa cifra, dice Pérez de la Riva, si evince che c’era una carrozza ogni 24 avaneri bianchi. Vent’anni dopo, con 2830 carrozze registrate, le proprozioni erano di una ogni 20 abitanti.
Nel 1899, all’Avana, funzionavano 1400 case di tolleranza, delle quali solo 462 erano registrate.



Créalo o no lo crea

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
19 de Abril del 2014 19:01:25 CDT

Muchos de nuestros lectores ignorarán seguramente que en Cuba se
realizó una ejecución de pena capital, donde el reo quedó con vida y
muerto el verdugo.
Fue un caso muy curioso que ocurrió en la ciudad de San Juan de los
Remedios, el 29 de enero del año 1863.
A las seis de la mañana de ese día subió al garrote el moreno Nicasio
Flores, que iba a pagar con su vida el asesinato que meses antes había
cometido. Colocado el reo en la silla trágica, el verdugo Victoriano
Infante dio una vuelta completa al tornillo del aparato y se retorció
el reo, sin morir, en espantosas convulsiones. Dos vueltas más dadas
al tornillo de la máquina patibularia solo lograron llenar de horror a
cuantos presenciaban la ejecución, quienes a grandes voces pidieron el
perdón para el reo. Viéndose que este permanecía con vida, y en vista
de que el verdugo espantado por lo que ocurría, había caído desplomado
y sin conocimiento, se ordenó suspender la ejecución y se trasladó al
verdugo, inconsciente, para la enfermería de la cárcel, donde falleció
horas después.
El reo, protagonista de este emocionante suceso, fue indultado al siguiente día.

Arcos de triunfo

Si oye hablar de arcos de triunfo en La Habana, dé la afirmación por
cierta. Los hubo desde la Colonia hasta 1952, cuando, en ocasión del
cincuentenario de la instauración de la República, se erigió uno en el
Paseo del Prado, entre el Parque Central y el hotel Telégrafo.
Ese es el último del que se tiene testimonio gráfico. Del otro lado
del Parque Central, en la pequeña plazoleta situada entre la Manzana
de Gómez y lo que sería después el Centro Asturiano (actual Museo
Nacional) hubo otro en 1909, dedicado a José Miguel Gómez, quien
accedía a la presidencia del país, con lo que se recuperaba la
soberanía de la nación.
Para saludar la llegada al poder de Estrada Palma, nuestro primer
presidente, hubo sendos arcos de triunfo en el Barrio Chino y en la
calle O'Reilly, frente a la estación de trenes de Villanueva, y en
otros lugares de la ciudad que ya no son posibles de identificar en
las fotos. Con uno de estos se rindió homenaje al dictador Gerardo
Machado en Cienfuegos, cuando acudió a esa ciudad, y se le execró con
otro tras su caída. Otros se le dedicaron en Santa Clara, su ciudad
natal. Entre los que se recuerdan, resultan muy curiosos los que se
emplazaron en la Carretera Central. Entre esos, uno, en el límite
entre La Habana y Matanzas, para desear buen viaje a los que
transitaban la vía. Hubo también otro consagrado al sanguinario
Valeriano Weyler, en Monte y Águila...
Los arcos de triunfo son un invento griego que los romanos expandieron
por el mundo. Cayeron en desuso en la Edad Media y Napoleón los retomó
bajo su reinado. Se erigían para saludar a una persona o celebrar
determinados acontecimientos y tenían un carácter efímero. La primera
constancia gráfica que se tiene de uno en la Isla data de 1878, en
Santiago de Cuba. Se dedicó al capitán general Arsenio Martínez
Campos, que había conseguido la paz del Zanjón.

Entierros en La Habana

Los entierros en La Habana, a mediados del siglo XIX, llamaban la
atención por el aparato ostentoso con que se tendían los cadáveres en
la casa mortuoria.
Era generalmente en la sala, cuyas ventanas se abrían de par en par,
para dar a la exposición toda la publicidad posible. Se levantaba un
catafalco suntuoso, compuesto de dos paralelepípedos, de mayor a
menor, en cuya cara superior, que en ocasiones llegaba casi al techo,
se colocaba el féretro. Seis y hasta 12 grandes blandones, con velas
de cera y otros tantos candeleros con velas menores, se colocaban
alrededor del túmulo, sobre el pavimento cubierto con alfombras de
color blanco y negro. Las velas estaban encendidas hasta que salía el
entierro. En los más lujosos se encerraba el féretro en una urna de
cristal y se tapizaban las paredes con cortinas negras. La conducción
del cadáver al cementerio de Espada, se hacía en coches mortuorios,
tirados por seis y hasta ocho parejas de caballos, enmantados y con
vistosos penachos amarillos y negros. Acompañaban al carro de seis a
24 sirvientes blancos, vestidos con libreas de color negro, los que
cargaban el féretro para colocarlo y bajarlo a la fosa. Estos
acompañantes, reemplazaron a los antiguos zacatecas, que eran unos
negros vestidos con descomunales casacas de librea de color rojo,
calzón corto, zapatos bajos con hebillas y sombreros <>, es
decir, de tres picos.
El luto no se ceñía solo a los vestidos. Las ventanas que daban a la
calle permanecían cerradas durante seis meses consecutivos y los
cuadros, los floreros y demás objetos de adorno del estrado principal
eran forrados con lienzos de color blanco.
En el vestido de luto riguroso no podían los hombres usar chaleco de
seda ni casaca de paño. Toda la ropa era de alepín u otro género de
seda o lana, pero sin brillo, lo que hacía necesario el triste recurso
de preparar el luto cuando el enfermo aún vivía. Las mujeres no podían
usar encajes, ni ningún adorno de oro o piedras. En los medios lutos,
entraba el color morado, a más del blanco.
El luto de padre duraba dos años; el de hermano uno y el de viudez toda la vida.

El lujo del baño

En las últimas décadas del siglo XIX, La Habana no podía
enorgullecerse de un hotel de primera clase, al estilo norteamericano.
El primero de ese tipo fue el hotel Santa Isabel. Su empresario fue el
coronel Lay, norteamericano. Lo estableció en un edificio situado al
lado de El Templete, en la Plaza de Armas, y poco después conseguía lo
que fue el palacio del Conde de Santovenia.
El hotel Santa Isabel se conceptuó como el mejor de la ciudad.
Habitaciones grandes y aireadas. Servicio de comidas. Con la ventaja
de que allí las señoras que se alojaban eran atendidas por personas de
su sexo; esto es, servicio de camareras, algo desconocido todavía en
Cuba. Se hablaba inglés.
Ya en aquel momento los hoteles principales y muchas casas de
huéspedes disponían de lo que se llamaba <>. En los
hoteles y casas de alquiler de inferior categoría se daba información
a los huéspedes sobre los establecimientos públicos donde podrían
bañarse al precio de unos 30 centavos.
Las camas de los hoteles, incluso los de primera clase, eran duras y
en pocas instalaciones se disponía de colchones. Eran por lo general
un simple bastidor de tela cubierto por una sábana de hilo. Las
almohadas eran de algodón en rama o fibras de miraguano. Se decía que
esos bastidores se inspiraban en nuestro clima por ser mucho más
frescos que los colchones de muelles que se usaban ya en Estados
Unidos.
Los mejores hoteles tenían tarifas que oscilaban entre los tres y los
cinco pesos al día, con comida, con vino o sin este. En algunos el
vino (catalán y del país) estaba incluido en el precio del servicio.
Los hoteles de inferior categoría cobraban dos pesos/día.
Había casas de huéspedes, confortables y con precios moderados: De 35
a 50 pesos al mes por habitación con dos comidas al día. Se alquilaban
además habitaciones amuebladas en casas de familia por un precio de 30
pesos mensuales, que incluía el desayuno.

Bueyes en el Prado

En lo que hoy es el parque América Arias --frente al Memorial Granma--
estuvo instalada la estación del ferrocarril urbano, cuyos trenes
transportaban pasajeros hasta el Vedado. Donde después se construyó el
hotel Sevilla, hubo un almacén de madera. Tres de esos
establecimientos se asentaban sobre el Paseo del Prado y por esa misma
calle sacaban su mercancía en carretas tiradas por bueyes.
En esa época el Necrocomio de La Habana --lo que hoy sería el Instituto
de Medicina Legal-- se hallaba en la esquina de Zulueta y Cárcel y por
ahí se entraba también a los fosos municipales.
En el Necrocomio, durante la Guerra de Independencia, se velaron los
restos del coronel mambí Néstor Aranguren, y en 1906 los del general
Quintín Banderas, muerto durante la llamada Guerrita de agosto que
encabezaron los liberales contra el presidente Tomás Estrada Palma.
En esa época los trajes para caballeros, de alpaca negra y azul, se
vendían en 16,80 pesos oro español, y los de dril blanco en 8,50 pesos
oro, mientras que un restaurante del Paseo del Prado ofrecía un menú
compuesto por consomé, huevos a la turca, filete de pargo gratinado,
riñones furbilete, frutas varias, pan y café, por 80 centavos.
En esa fecha no existía aún la moneda cubana y circulaban en el país
las monedas norteamericana, española y francesa. Un centén español
equivalía a 5,63 pesos plata, en tanto que el luis francés a 4,51, más
o menos, pues había que estar al tanto del cambio del día, que se
publicaba en los periódicos.

Numeritos

Reporta la Guía de forasteros de 1821 que durante el año anterior
entraron a los mercados habaneros 10 132 bestias de carga con frutas,
viandas y verduras. También más de mil caballos con carbón de madera y
otros 1 162 con cañas para las pulperías. Casi 500 caballos movieron
dos barriles de aguardiente cada uno; 285, ocho botijas de leche, cada
uno de 120 caballos transportó dos jabucos de huevos y 326 dos bandas
de carne de res...
Reporta el Cuadro estadístico de 1829 que dos años antes entraron al
puerto habanero 1 053 buques. De estos, solo 57 eran españoles.
Arribaron 785 barcos estadounidenses. Setenta y uno británicos, 48
franceses, 24 holandeses, 21 daneses y 14 alemanes, entre otros de
banderas diversas. Entraron asimismo dos barcos rusos.
También en 1827, el Censo enumeró 1 560 volantas y 352 quitrines en el
perímetro amurallado de La Habana, y 624 y 115 de esos vehículos
respectivamente fuera de las murallas. De esa cifra, dice Pérez de la
Riva, se desprende que había un carruaje por cada 24 habaneros
blancos. Veinte años después, con 2 830 coches registrados, la
proporción era de un vehículo por 20 habitantes.
En 1899 funcionaban en La Habana 1 400 casas de tolerancia, de las
cuales solo 462 se encontraban registradas.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/



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