Pubblicato su Juventud Rebelde del 27/9/15
La
costruzione del Palazzo Presidenziale nei terreni della stazione ferroviaria di
Villanueva, proseguì il suo corso normale sotto il Governo del maggior generale
José Miguel Gómez. Il 28 gennaio del 1913 intervenne il cambio dei poteri e il
maggior generale Mario García Menocal, il nuovo presidente, ordinò la
sospensione dell’opera, animato com’era, di costruire la residenza
dell’Esecutivo nella Quinta de los Molinos e di destinare a sede del Potere
Legislativol’edificio che avrebbe costruito nell’isolato compreso fra le calles
Prado, Industria, San José e Dragones. Un anno dopo si votava un credito di un
milione di pesos per convertire in Capitolio quello che si doveva costruire
come Palazzo Presidenziale. Due architetti con molto talento e prestigio
assumerebbero l’esecuzione del progetto: Félix Cabarrocas e Mario Romañach.
Cabarrocas
trasformò completamente il progetto che gli architetti Eugenio Rayneri
Sorrentino ed Eugenio Rayneri Piedra realizzarono per il Palazzo Presidenziale.
Disegnò un magnifico edificio in stile Rinascimento francese e fra gli altri
miglioramenti aggiunse ai vecchi progetti, ai due estremi del disegno, gli
emicicli; uno per il Senato e uno per la Camera dei Deputati. D’altra parte
cambiò il tipo di cupola del primitivo progetto che si era già cominciato a
costruire, per un’altra di sezione quadrata e volta differente. Come se questo
fosse poco, trasformò completamente il vestibolo dell’edificio e progettò
nuovamente le scale, molto simili a quelle che si realizzarono per il progetto
definitivo del Capitolio, ma più strette. Se il rigettato Palazzo Presidenziale
si concepì con cento metri di fronte e 70 di profondità, il nuovo edificio ne
avrebbe avuti 140 x 75. L’architetto Francisco Centurión Maceo fu designato
come ingegnere principale e per esito dell’asta di appalto, l’opera si affidó
alla compagnia costruttrice La Nacional.
Tre secondi per quattro petardi
Come
succede in questi casi e nonostante l’impegno che si rispettasse tutto quello
che potesse rispettarsi, adattare il già fatto al nuovo progetto di Cabarrocas
e Romañach, portò con se la demolizione di quasi la metà del costruito per il
Palazzo Presidenziale. Si dovette scavare e costruire nuove fondamenta, pareti
e facciate.
I
terreni dove si costruì, prima la stazione dei treni di Villanueva e dopo il
Capitolio, erano pantanosi. C’è un ripieno di quasi quattro metri sotto il
livello stradale; poi viene uno strato di roccia molto porosa di circa un metro
e venti di spessore, seguita da un banco di argilla, di quella conosciuta come
“saponetta”, con una profondità che va dai 6 ai 9 metri circa, per dar passo a
uno strato roccia solida. Nel sottosuolo
sud dell’edificio che è quello che guarda la Plaza de la Fraternidad, non
esiste roccia ferma, ma un conglomerato di sabbia al quale segue uno strato
diroccia solida. Roccia ferma esiste anche dalla parte di San José. Per questo si dovette
procedere alla cementazione della cupola: si
piantarono 532 pilastri
di legno duro – jucaro, jiquí e pino tea di Pinar del Río.
Ma questa cupola doveva
sparire. L’architetto Luis Bay Sevilla, affermava che quando si iniziarono le
demolizioni per adattare il costruito al nuovo progetto, risvegliò molto
interesse tra i professionisti del procedimento che si proponevano seguire i
direttori della compagnia costruttrice per distruggere la cupola che risultava
molto bassa per l’idea che avevano del Capitolio Romañach e Cabarrocas.
Bay Sevilla puntualizza
che prevalse l’idea di isolare l’installazione della cupola dal resto
dell’edificio. Per ottenerlo si tagliarono tutte le connessioni da ambo i lati
e gli architravi e i sostegni dei tetti delle parti laterali coi quali era
allacciata la cupola, rimasero appesi. La demolizione sarebbe stata prodotta da
un’esplosione controllata.
Bay Sevilla dice:
“Noi che eravamo presenti pieni di curiosità, al momento dell’esplosione dei
quattro petardi di dinamite, vedemmo con gioia che tutto successe nel modo
previsto per i tecnici de La Nacional. In tre secondi e mezzo cadde al suolo
quella mole enorme di cemento armato”
La cupola occupava
un’area di circa 400 metri quadrati. Misurava oltre 550 metri cubi, ciò che
rappresentava il peso di circa 1.200 tonnellate. La sua costruzione aveva
richiesto un investimento di oltre 30.000 pesos.
Deviazione
di risorse
I lavori trascorsero
normalmente da dicembre del 1917 fino ad aprile del 1919, quando il generale
Menocal ordinò il blocco dei medesimi. I prezzi erano aumentati e con loro non
solo quelli dei materiali da costruzione, ma anche le giornate di lavoro di
operai e tecnici e le esigenze dei contrattisti.
Trascorso qualche
tempo si riannodarono i compiti e l’opera era già abbastanza avanzata quando il
presidente Zayas con decreto del 21 ottobre 1921, rescindeva il contratto
sottoscritto con La Nacional e disponeva la paralizzazione dei lavori, la grave
crisi economica che attraversava la nazione non permetteva proseguire con
l’opera. In realtà il presidente era del criterio che Cuba non aveva bisogno un
plazzo con tanto lusso dove trovassero posto i due corpi legislativi che
potevano tenere le loro sessioni come fino ad allora: il Senato nel Palazzo del
Secondo Capo e la Camera dei Rappresentanti nell’edificio che José Miguel Gómez
aveva costruito per lei nel 1910 in Oficios angolo Churruca. Durante il Governo
di Zayas (1921-1925) non solo si paralizzarono le opere del Capitolio, ma i
terreni si affittarono al fine che si installasse su di essi lo spettacolo
conosciuto come Havana Park. Fu il disastro. Sparirono, quasi per arte della
magia, quasi tutti i materiali da costruzione e strumenti di lavoro che i
contrattisti avevano laasciato in dposito sul luogo e l’edificio incompleto,
soffrì gravi detereriorazioni per l’abbandono, senza contare il danno che
causarono il vento e la pioggia. Col tempo altri affari privati trovarono buona
sistemazione nell’area, convertita inoltre in un magazzino di sgombri e
immondizia.
Mentre il Capitolio
rimaneva fatto a metà e con l’aspetto di una rovina, cos’era successo col
Palazzo Presidenziale? Menocal, in definitiva, non giunse a costruirlo. In quei
giorni, il generale Ernesto Asbert, governatore dell’Avana costruiva quello che
sarebbe stato la sede del governo provinciale. Era uno dei “papabili” alla
presidenza, ma nel 1913 venne arrestato per essersi trovato coinvolto nella
sparatoria che in pieno Paseo del Prado, costò la vita la generale Armando de
la Riva, capo della Polizia Nazionale. Forse Asbert non era colpevole diretto
della morte del capo del corpo poliziesco, ma amici e nemici si vendicarono;
era un politico di troppo successo. Mariana Seba, la moglie del Presidente, si
innamorò di questo edificio. Menocal lo confiscò e lo Stato pagò mezzo milione
di pesos per l’immobile che con gli adattamenti pertinenti, si destinò a
Palazzo Presidenziale.
Menocal lo abitò per
poco tempo, fu pronto nel 1920 ed egli abbandonò il potere nel 1921. A partire
da questo momento fu studio ufficiale e residenza di tutti i presidenti cubani
fino a Manuel Urrutia Lleó, il primo presidente della Rivoluzione. Il suo
successore, il dottor Osvaldo Dorticós che fu l’ultima figura che occupò
l’incarico di Presidente della Repubblica, lo utilizzò solo come uffici e luogo
per ricevimenti. È l’attuale Museo della Rivoluzione.
Dittatura
di cemento armato
A Cuba, le dittature
sono state anche del cemento armato. Gerardo Machado che prenderà la
presidenza della repubblica il 20 maggio
del 1925. Il 15 luglio seguente il Congresso votava la Legge delle Opere
Pubbliche. Machado che non tardò a rivelarsi un dittatore, si propose di
modernizzare la capitale cubana e in buona misura il Paese e propiziò un vasto
e ambizioso piano costruttivo. Sotto il suo mandato si rimodellò il Paseo del
Prado, il vecchio Campo di Marte si trasformò in Piazza della Fraternità
Americana e si tracciò la avenida de las Misiones. Si costruì, all’Isola dei
Pini la cosiddetta Prigione Modello. Il Malecón si estese verso ovest fino alla
calle G, nel Vedado e da qua prosguì con la Avenida del Puerto. Venne
inaugurata la Carretera Central e si elevò la scalinata universitaria. Si
urbanizzò il reparto Lutgardita. Si costruirono l’Hotel Nacional e l’aeroporto
di Rancho Boyeros che all’epoca aveva il nome di Generale Machado.
L’edificazione del
palazzo dei tribunali nei terreni di Villanueva si assegnava al bilancio di Costruzioni Civili della Legge delle Opere
Pubbliche. Carlos Miguel de Céspedes, lasciò fuori dal suo mirino le opere
inconcluse del Capitolio. Si sarebbe aprofittato del già edificato, anche se il
progetto dovette avere innumerevoli modifiche. I migliori architetti cubani di
allora – Cbarrocas, Govantes, Otero, Rayneri, Bens...- e alcuni stranieri come
Forestier, sopratutto per i giardini, si gettarono sui progetti, mentre la
parte materiale era assegnata alla Purdy and Henderson, contrattisti nordamericani che
fecero affari molto buoni con la costruzione della Lonja del Comercio,
l’edificio de La Metropolitana, all’angolo di O’Reilly e Aguiar e l’edificio
Gómez Mena in Obispo e Aguiar (oggi Istituto Cubano del Libro) entrambi
all’Avana Vecchia l’Hotel Nacional e i centri Galiziano e Asturiano, fra altre
opere importanti.
Questa nuova tappa
del progetto fu realizzata dallo studio di Govantes e Cabarrocas. Gli
architetti Eugenio Ranyeri Piedra e Raúl Otero furono rispettivamente direttore
tecnico e direttore artistico dell’opera. La costruzione ricominciò nell’aprile
del 1926, senza che i progetti fossero debitamente terminati, cosa che provocò
difficoltà serie, giacché l’opera doveva avanzare e i progetti non si
terminavano né potevano terminarsi con la velocità necessaria, né si era
arrivati a un accordo in quanto alle
necessità e la distribuzione del nuovo edificio.
Otero rinunciò
all’incarico e il suo sostituto, l’architetto José M. Bens Arrate, introdusse
modifiche nei progetti, fra queste cambiare la cupola già progettata per
un’altra più snella e monumentale che successivamente fu profilata e
migliorata, fino a darle la forma che ha attualmente, dagli architetti Rayneri
e Luis Betancourt. Le fondamenta risultava insufficiente per la nuova cupola e
si issarono circa mille piloni di legno duro sui quali si fuse una soletta di
cemento armato, al fine che appoggiassero le otto colonne d’acciaio che
sostengono la cupola. Introdusse anche gli adorni che rialzano la bellezza
della facciata dell’edificio.
Quando si ripassano
le vicende delle opere del Capitolio, solgono risaltare i nomi dell’architetto
Eugenio Rayneri Piedra che assieme a suo padre, lavorò nei progetti del Palazzo
Presidenziale che non giunse ad essere costruito ed ebbe molto a che vedere con
i progetti successivi, sia per il Palazzo che per il Capitolio. Si evidenzia
anche l’ingegnere Luis Betancourt, capo del salone di disegno. Ma il Capitolio
è anche opera di molti altri architetti, progettisti, disegnatori e delle
migliaia di operai e tecnici che hanno lavorato nella costruzione di uno degli
edifici più grandiosi d’America.
(Con documentazione
dell’ingegner Luis Díaz).
Los terrenos del Capitolio (III y final)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
26 de Septiembre del 2015 21:35:35 CDT
La construcción del Palacio Presidencial en los
terrenos de la
estación de ferrocarril de Villanueva prosiguió
su curso normal bajo
el Gobierno del mayor general José Miguel Gómez.
Sobrevino el cambio
de poderes, el 28 de enero de 1913, y el mayor
general Mario García
Menocal, el nuevo mandatario, ordenó la
suspensión de la obra, animado
como estaba del propósito de construir la
mansión del Ejecutivo en la
Quinta de los Molinos y de destinar a sede del
Poder Legislativo el
edificio que se construía en la manzana
comprendida entre las calles
Prado, Industria, San José y Dragones. Un año
después se votaba un
crédito de un millón de pesos para convertir en
Capitolio lo que se
había construido para Palacio Presidencial. Dos
arquitectos de mucho
talento y prestigio asumirían la ejecución del
proyecto: Félix
Cabarrocas y Mario Romañach.
Cabarrocas transformó por completo el proyecto
que los arquitectos
Eugenio Rayneri Sorrentino y Eugenio Rayneri
Piedra realizaron para el
Palacio Presidencial. Diseñó un hermoso edificio
de estilo
Renacimiento francés y entre otras mejoras
adicionó a los viejos
planos, en ambos extremos de la planta, los
hemiciclos; uno para el
Senado y otro para la Cámara de Representantes.
Por otra parte, cambió
el tipo de cúpula del proyecto primitivo, que ya
se había comenzado a
construir, por otra de sección cuadrada y bóveda
diferente. Como si
eso fuese poco transformó totalmente el
vestíbulo del edificio y
proyectó otra vez las escaleras, muy parecidas a
las que a la postre
se realizaron para el proyecto definitivo del
Capitolio, pero más
estrechas. Si el desechado Palacio
Presidencial se concibió con cien
metros de frente y 70 de fondo, la nueva
edificación tendría 140 por
75. El arquitecto Francisco Centurión Maceo fue
designado ingeniero
principal, y, por subasta, la obra se confió a
la compañía
constructora La Nacional.
Tres
segundos para cuatro petardos
Como sucede por lo general en estos casos
y pese al empeño de que se
respetara todo lo que podía respetarse, adaptar
lo ya hecho al nuevo
proyecto de Cabarrocas y Romañach trajo consigo
la demolición de casi
la mitad de lo construido para Palacio
Presidencial. Se impuso excavar
y construir nuevos cimientos, paredes y
fachadas.
Eran cenagosos los terrenos donde se construyó,
primero, la estación
de Villanueva y, luego, el Capitolio. Hay
relleno a cuatro metros
debajo del nivel de la calle; viene después una
capa de roca muy
porosa de unos cuatro pies de espesor, seguido
por un banco de
arcilla, de la conocida como jaboncillo, con una
profundidad que va
desde los 20 a los 30 pies, para dar paso a un
banco de roca sólida.
En el subsuelo del lado sur del edificio, que es
el que mira a la
Plaza de la Fraternidad, no existe esa roca
firme, sino un
conglomerado de arena al que sigue un banco de
roca sólida. Roca firme
existe también en la parte de San José. Por eso
hubo que proceder a la
cimentación de la cúpula: se clavaron 532
pilotes de madera dura
—júcaro, jiquí y pino tea de Pinar del Río.
Pero esa cúpula debía desaparecer. Afirmaba el arquitecto
Luis Bay
Sevilla que cuando se iniciaron las demoliciones
para adaptar lo
edificado al nuevo proyecto, despertó gran
interés entre los
profesionales el procedimiento que se proponían
seguir los directores
de la compañía constructora para destruir la
cúpula, que resultaba muy
baja para la idea que del Capitolio tenían
Romañach y Cabarrocas.
Puntualiza Bay Sevilla que prevaleció la idea de
aislar el
emplazamiento de la cúpula del resto del
edificio. Para conseguirlo se
cortó toda conexión entre ambas partes y
quedaron colgando de sus
arquitrabes y apoyos los techos de las crujías
laterales, con los que
estaba enlazada la cúpula. La demolición sería
producto de una
explosión controlada.
Dice Bay Sevilla: «Nosotros, que presenciamos
llenos de curiosidad el
momento de la explosión de los cuatro petardos
de dinamita, vimos
regocijados que todo ocurrió de la forma
prevista por los facultativos
de La Nacional. En tres segundos y medio vino al
suelo aquella enorme
mole de hormigón armado».
La cúpula ocupaba un área de unos 400 metros
cuadrados. Medía más de
550 metros cúbicos, lo que representaba un peso
de unas 1 200
toneladas métricas. Su construcción había
requerido una inversión de
más de 30 000 pesos.
Desvío de
recursos
Los trabajos transcurrieron normalmente
desde diciembre de 1917 hasta
abril de 1919, cuando el general Menocal ordenó
la paralización de los
mismos. Los precios habían subido y con ellos no
solo los de los
materiales de construcción, sino también los
jornales de obreros y
técnicos, y las exigencias de los contratistas.
Pasado algún tiempo se reanudaron las tareas, y
la obra estaba ya
bastante adelantada cuando el presidente Alfredo
Zayas, mediante
decreto de 21 de octubre de 1921, rescindía el
contrato suscrito con
La Nacional y disponía la paralización de los
trabajos, pues la grave
crisis económica por la que atravesaba la nación
no permitía seguir
adelante la obra. En verdad, el mandatario era
del criterio de que
Cuba no necesitaba un palacio de tanta riqueza
donde encontraran
alojamiento los dos cuerpos colegisladores, que
podían seguir
sesionando como hasta entonces: el Senado en el
Palacio del Segundo
Cabo, y la Cámara de Representantes en el
edificio que José Miguel
Gómez construyó para ella en 1910, en Oficios
esquina a Churruca.
Durante el Gobierno de Zayas (1921-1925) no solo
se paralizaron las
obras del Capitolio, sino que los terrenos se
arrendaron a fin de que
se instalara en ellos el espectáculo conocido
como Havana Park. Fue el
desastre. Desaparecieron como por arte de magia
casi todos los
materiales constructivos e instrumentos de
trabajo que los
contratistas dejaron en depósito en el lugar, y
el edificio sin
terminar sufrió deterioros graves por el
abandono, sin contar el daño
que le ocasionaron el viento y la lluvia. Con el
tiempo otros negocios
particulares buscaron asiento en el área,
convertida además en un
almacén de trastos e inmundicias.
Mientras el Capitolio permanecía a medio hacer y
con aspecto de ruina,
¿qué había pasado con el Palacio
Presidencial? Menocal, en
definitiva, no llegó a construirlo. En aquellos
días, el general
Ernesto Asbert, gobernador de La Habana,
construía el palacio que
sería la sede del gobierno provincial. Era uno
de los
«presidenciables», pero cayó preso en 1913 por
haberse visto
involucrado en el tiroteo que, en pleno Paseo
del Prado, costó la
vida al general Armando de la Riva, jefe de la
Policía Nacional. Quizá
Asbert no fuera culpable directo de la muerte
del jefe del cuerpo
policial, pero amigos y enemigos le pasaron la
cuenta; era un político
demasiado exitoso. Mariana Seba, la esposa del
Presidente, se enamoró
de ese edificio. Menocal lo confiscó y el Estado
pagó medio millón de
pesos por el inmueble que, con las adaptaciones
pertinentes, se
destinó a Palacio Presidencial.
Menocal lo habitó por poco tiempo, pues quedó
listo en 1920 y él
abandonó el poder en 1921. A partir de ese
momento fue despacho
oficial y residencia de todos los mandatarios
cubanos hasta Manuel
Urrutia Lleó, el primer presidente de la
Revolución. Su sucesor, el
doctor Osvaldo Dorticós, que fue la última
figura que ocupó el cargo
de Presidente de la República, lo utilizó solo
como oficinas y lugar
de recibo. Es el actual Museo de la Revolución.
Dictadura
de hormigón armado
En Cuba las dictaduras lo han sido también de
hormigón armado. Gerardo
Machado asumió la presidencia de la República el
20 de mayo de 1925.
El 15 de julio siguiente el Congreso votaba la
Ley de Obras Públicas.
Machado, que no demoró en revelarse como un
dictador, se propuso
modernizar la capital cubana, y en buena medida
el país, y propició un
vasto y ambicioso plan constructivo. Bajo su
mandato se remodeló el
Paseo del Prado, el viejo Campo de Marte se
transformó en Plaza de la
Fraternidad Americana y se trazó la Avenida de
las Misiones. Se
construyó, en Isla de Pinos, el llamado Presidio
Modelo. El Malecón se
extendió por el oeste hasta la calle G, en
el Vedado, y por el este
prosiguió con la Avenida del Puerto. Quedó
inaugurada la Carretera
Central y se levantó la escalinata universitaria.
Se urbanizó el
reparto Lutgardita. Se construyeron el Hotel
Nacional y el aeropuerto
de Rancho Boyeros, que en su momento llevó el
nombre de General
Machado.
La edificación del palacio de las leyes en los
terrenos de Villanueva
se consignaba asimismo en el acápite de
Construcciones Civiles de la
Ley de Obras Públicas. Resultaba impensable que
Machado y su
megalómano ministro de Obras Públicas, Carlos
Miguel de Céspedes,
dejaran fuera de su punto de mira las obras
inconclusas del Capitolio.
Se aprovecharía lo ya construido, aunque el
proyecto debió sufrir
modificaciones innumerables. Los mejores
arquitectos cubanos de
entonces —Cabarrocas, Govantes, Otero, Rayneri,
Bens...— y algunos
extranjeros, como Forestier, sobre todo para los
jardines, se volcaron
sobre los planos, en tanto la parte material era
encomendada a la
empresa Purdy and Henderson, contratistas
norteamericanos que hicieron
muy buenos negocios en el país con la
construcción de la Lonja del
Comercio, el edificio de La Metropolitana, en la
esquina de O’Reilly y
Aguiar, y el edificio Gómez Mena, en Obispo y
Aguiar (hoy Instituto
Cubano del Libro) ambos en La Habana
Vieja, el Hotel Nacional y los
centros Gallego y Asturiano, entre otras
importantes obras.
En esta nueva etapa el proyecto fue realizado
por el estudio de
Govantes y Cabarrocas. Los arquitectos Eugenio
Rayneri Piedra y Raúl
Otero fueron director técnico y director
artístico de la obra,
respectivamente. La construcción recomenzó en
abril de 1926, sin que
los planos estuviesen debidamente terminados, lo
que provocó serias
dificultades, ya que la obra tenía que avanzar y
los planos no se
terminaban ni podìan terminarse con la rapidez
necesaria, ni se había
llegado a un acuerdo en cuanto a las necesidades
y distribución del
nuevo edificio.
Otero renunció a su cargo, y su sustituto, el
arquitecto José M. Bens
Arrate, introdujo modificaciones en los planos,
entre ellas cambiar la
cúpula ya proyectada por otra más esbelta y
monumental, que
posteriormente fue perfilada y mejorada, hasta
darle la forma que
tiene en la actualidad, por los arquitectos
Rayneri y Luis
Betancourt. La cimentación resultaba
insuficiente para la nueva cúpula
y se hincaron cerca de mil pilotes de madera
dura sobre los que se
fundió una placa de hormigón armado, a fin de
que descansaran las ocho
columnas de acero que sostienen la cúpula.
También introdujo en el
proyecto las metopas, que tanto realce y belleza
dan a la fachada del
edificio.
Cuando se pasa balance a las obras del
Capitolio, suelen resaltarse
los nombres del arquitecto Eugenio Rayneri y
Piedra que, junto a su
padre, trabajó en los planos del Palacio
Presidencial que no llegó a
concluirse y mucho tuvo que ver en los proyectos
posteriores, tanto
para el Palacio como para el Capitolio.
Sobresale además el ingeniero
Luis Betancourt, jefe del salón de dibujo. Pero
el Capitolio es
también obra de otros muchos arquitectos,
proyectistas, dibujantes y
de los miles de obreros y técnicos que
trabajaron en la construcción
de uno de los edificios más grandiosos de
América.
(Con documentación del ingeniero Luis Díaz).
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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