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martedì 29 marzo 2016

Cal, il silenzioso, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 27/3/16

Con motivo dell’apparizione in questo giornale, della mia pagina sulla visita all’Avana del presidente nordamericano Calvin Coolidge, in un giornale del sud della Florida si è pubblicato, con la firma di Glenn Garvin, un articolo che affronta altri aspetti del soggiorno avanero del citato presidente che soprannominavano, ricorda la nota “Cal il silenzioso” e di cui si giunse a dire che mostrava l’espressione di qualcuno “allattato con un cetriolino sottaceto”.
Garvin mette alla sua nota il titolo di Sconfitta della democrazia e vittoria della baldoria, così, d’acchito, da l’idea al lettore di dove andranno gli spari. Afferma subito che quella visita fu “un festival di ubriacature e libertinaggio, contrabbando salace e perfino atti innaturali con torte di limone”. La stampe, al suo momento, non rivelò niente di questo. Questo sfondo venne a lla luce 30 anni dopo, quando il giornalista Beverly Smith fece suonare un’allarme in un articolo pubblicato nel Saturday Evening Post. “Un racconto di fate – scrive Garvin -, con elementi di pompa, dramma, commedia e farsa; di dignità rigida e comportamento indecoroso; di diplomazia del cappello di bicchieri con un tocco di alcolismo”
Garvin precisa che Coolidge non partecipò alla depravazione generale. Se alcuni avaneri credettero di vedere il presidente scivolando per le vie delle zone di tolleranza della città, elegante, con un cappello a bombetta completamente fuori luogo, si sbagliarono completamente. È che tra i giornalisti che lo accompagnavano, uno che somigliava molto al Presidente, si faceva passare per lui. Lo stesso che sostituendo il presidente frequentava i bar dell’Avana suscitando l’ammirazione e la simpatia della clientela, splendida al momento del convivio e che non risparmiava di pagargli tutte le bevute che fosse capace di ingerire. Smith scriveva sul suo articolo del 1959: “Sospetto che ci siano ancora alcuni avaneri vecchi che credono che Cal, fuori dal suo orario di lavoro, era un allegro bevitore”.
In ogni modo l’aneddoto segnò il soggiorno avanero del Presidente nordamericano. Si dice che il presidente Gerardo Machado invitò Coolidge e la sua signora e che visitassero la tenuta avicola sperimentale che alimentava il Governo cubano. Quando la prima dama si avvicinò a uno dei pollai, osservò stupita come un gallo “calpestava” freneticamente una gallina.
- “Con che frequenza lo fa?” – chiese a uno dei lavoratori.
-“Decine di volte al giorno – rispose l’interpellato.
-Bene lo dica al presidente, quando passa.
Così fece il lavoratore. Coolidge allora domandò se il gallo “calpestasse” sempre la stessa gallina.
-“No, è una diversa ogni volta – rispose il lavoratore e il presidente non tardo con la sua risposta:
-“Dica questo a mia moglie.
L’aneddoto, naturalmente è apocrifo. La storica Amity Shales, nella sua biografia di Coolidge, pubblicata nel 2013, afferma che fece l’impossibile per trovare elementi che lo confermassero. “Non ho trovato prove che fosse certo”, conclude.

Un presidente uscente

In quel già lontano mese di gennaio del 1928, quando venne a Cuba, Coolidge era un presidente uscente che cercava di chiudere il suo soggiorno alla casa Bianca con un successo nella politica estera”, scrive Glenn Garvin nel suo articolo. Aggiunge che cercava di calmare la crescente avversità dei cubani con le alte tariffe zuccheriere degli U.S.A. che danneggiavano l’economia dell’Isola e di placare le critiche generalizzate in America Latina per gli interventi militari statunitensi in Nicaragua, Haiti e nella Repubblica Dominicana. Questi furono i suoi propositi nel rispondere in modo affermativo all’invito di Machado per assistere alla Sesta Conferenza Panamericana dell’Avana.
Si dice che si proponeva di usare la riunione per dare impulso alla sua campagna a favore di un trattato, a livello mondiale, di rinuncia alla guerra come strumento di politica nazionale. Il Senato degli U.S.A. si era negato ad approvare la partecipazione del Paese alla Lega delle Nazioni otto anni prima, ma Coolidge pensò che poteva riuscire a che fosse approvata se ci si concentrava semplicemente nel proibire la guerra, senza creare una burocrazia internazionale come parte dell’accordo.
In ultima istanza perse in tutto ciò che si propose, affermano gli specialisti. Nonostante Coolidge promise al governante cubano di abbassare le tariffe, questo non avvenne mai – di fatto, un paio d’anni dopo si alzarono le imposte sullo zucchero che gli U.S.A. compravano da Cuba. D’altra parte, gli sforzi per placare l’America Latina rispetto agli interventi statunitensi non vennero mai messi in pratica, perché Coolidge ordinò ai suoi marines che tornassero in Nicaragua, giusto poco prima di partire per l’Avana.
Il trattato di pace a livello mondiale di Coolidge che finì per essere conosciuto come il Patto Briand-Kellogg, fu approvato da oltre cinque dozzine di Paesi. Ma questo non impedì a nessuno di tuffarsi di testa nella Seconda Guerra Mondiale, una decade più tardi, ciò che fece dell’accordo citato, l’atto diplomatico più inutile della storia universale.
“Non sono sicura di quanto fosse convinto di ciò”, afferma Amity Shales nella biografia. “Egli fece tutto con certa malinconia, il tipo di cose che uno fa quando qualcosa è d’accordo coi suoi principi, ma non prova molta gioia nel farlo. Coolidge non si sentiva bene; pensava che la presidenza lo stesse sfinendo, ma in realtà era malato di cuore. E stava sentendo la solitudine che circonda un presidente quando tutti quanti si rendono conto che non contuerà ad essere presidente per molto tempo e cominciano ad adulare il nuovo”.

Ricevimento da apoteosi

Otto navi della Marina Militare nordamericana si resero necessari per trasportare, da Key West, il Presidente e la sua comitiva, della quale faceva parte il famoso aviatore Charles Lindbergh il primo ad attraversare, in solitario, l’oceano Atlantico a bordo del suo aereo Spirit of St. Luis. Già di fronte all’Avana, una piccola imbarcazione lo portò sulla sponda. Si riunirono duecentomila persone, lungo le strade, per acclamarlo nel suo breve percorso dal porto al Palazzo Presidenziale, dove si sarebbe alloggiato con sua moglie e i suoi principali collaboratori, mentre il resto della comitiva alloggiava all’hotel Sevilla e altre installazioni. Ci fu una nota simpatica al ricevimento; otto o dieci ragazze vestite in modo vistoso e molto truccate, lanciarono rose al passaggio dell’automobile che trasportava il presidente. Erano le pupille di un vicino postribolo, portavano la bandiera nordamericana e assistettero all’atto di benvenuto in compagnia della loro maitresse che pure non volle restare nella casa.
Quando Coolidge, alla fine, si ritirò a riposare al terzo piano della magione della calle Refugio, numero 1, giornalisti ed editorialisti rimasero liberi per iniziare il giornalismo investigativo...nei bar della città. Venivano da un Paese nel quale vigeva il Proibizionismo dal 1920 che proibiva le bevande alcoliche e obbligava ad arrischiarsi in cantine clandestine, dove l’accesso dipendeva da parole d’ordine o frasi in codice. Per i giornalisti e funzionari del Governo che si aggiunsero all’avventura, si apriva la città che a detta di Alejo Carpentier, poteva offrire la maggior quantità di bevute al palato del viaggiatore curioso, dove una coppia non doveva esibire il certificato di matrimonio per trovare ospitalità in un hotel e nella quale si poteva scommettere –vincere o perdere-  qualsiasi somma di denaro nelle roulettes del Casinò Nazionale senza richiamare l’attenzione delle autorità. I visitatori cercarono bar come il Floridita o lo Sloppy Joe’s, o quelli degli alberghi Florida, Sevilla, Plaza e Inglaterra, i più intraprendenti si spostavano fino ai bar o ai piccoli cabaret che nella Playa di Marianao si conoscevano col nome generico de “las fritas”. Ci furono visite ai teatri pornografici e non furono pochi quelli che si recarono al quartiere di Colón al fine di cercare emozioni indimenticabili tra le gambe di una ragazza cubana.
Alcuni degli articoli che apparvero su Coolidge e la sua visita a Cuba nella stampa nordamericana, furono scritti sotto l’influenza dell’alcol, dice Glenn Garvin e offre questa perla che pubblicò The New York Times nella quale si inizia riferendosi all’abbigliamento protocollare dei funzionari cubani e termina facendosi incoerente. Dice: “Siccome non si poteva trovare un paio di calzini corti grigi in tutta l’Avana, uno stato di perturbazione prevalse fino a che gli investigatori si accertarono che fu un falso allarme”.
In realtà la festa e il divertimento erano cominciati a Key West, quando i passeggeri si resero conto di aver lasciato indietro un Paese col Proibizionismo per trovare che a West con i suoi bar a porte spalancate, era semplicemente Key West. Ci furono scherzi crudeli come quelle dei letti spalmati di torta di limone, con i quali gli ubriachi si trovavano all’ora di andare a dormire.
Il presidente Calvin Coolidge assistette, all’Avana, a una partita di pelota basca. L’ora del ritorno intristì i membri della sua comitiva: tornavano al Paese della proibizione. Presto un’altra notizia li rianimò: nessuno, nemmeno i reporters avrebbe fatto dogana a Key West all’ingresso negli Stati Uniti, cosa che significava che chi lo volesse, poteva portarsi tutto il rum che voleva. I venditori di liquore cubani fecero festa. Furono molte le valigie che si comprarono in fretta e furia per trasportare il miglior rum cubano contenuto in recipienti di circa due litri e che più tardi i marines, con sogghigni complici, avrebbero messo a bordo delle navi.

Chi approvò questa gigantesca operazione di contrabbando? Si domandava, nel 1959, il giornalista Beverly Smith nel suo articolo pubblicato nel Saturday Evening Post. “Sarebbe stato, incredibilmente lo stesso Calvin, in un attacco di umore capriccioso che qualcuno supponeva si nascondesse dietro la sua faccia acida del Vermont?”

Cal, el Callado

Ciro Bianchi Ross

26 de Marzo del 2016 22:51:24 CDT

A raíz de la aparición en este diario de mi página sobre la visita a La Habana del presidente norteamericano Calvin Coolidge, se publicó en un periódico del sur de Florida, y con la firma de Glenn Garvin, un artículo que aborda otras aristas de la estancia habanera de dicho mandatario, a quien apodaban, recuerda la nota, «Cal, el Callado» y de quien se llegó a decir que lucía la expresión de «alguien a quien destetaron con un pepinillo encurtido».
Garvin da a su nota el título de Fracaso de la diplomacia y triunfo de la juerga, y así, de entrada, da al lector la idea de por dónde irán los tiros. Afirma enseguida que aquella visita fue «un festival de borrachera y libertinaje, contrabando salaz y hasta actos antinaturales con tartas de Key Lime». Nada de eso reveló la prensa en su momento. Ese trasfondo salió a relucir 30 años después, cuando el reportero Beverly Smith hizo sonar la alarma en un artículo publicado en el Saturday Evening Post. «Un cuento de hadas —escribe Garvin—, con elementos de pompa, drama, comedia y farsa; de dignidad rígida y juerga indecorosa; de diplomacia de sombrero de copa con un toque de alcoholismo».
Precisa Garvin que Coolidge no participó de la depravación general. Si algunos habaneros creyeron ver al mandatario escurriéndose por las calles de las zonas de tolerancia de la ciudad, tocado con un sombrero de copa totalmente fuera de lugar, se equivocaron por completo. Y es que venía entre los periodistas que lo acompañaron uno que se parecía mucho al Presidente y se hacía pasar por él. El mismo que, suplantando al mandatario, recorría los bares de La Habana despertando la admiración y la simpatía de la clientela, espléndida a la hora de la convidada y que no escatimaba en pagarle todos los tragos que fuera capaz de beber. Escribía Smith en su reportaje de 1959: «Sospecho que todavía hay algunos habaneros viejos que creen que Cal, fuera de su horario de oficina, era un alegre bebedor».
De cualquier manera la anécdota matizó la estancia habanera del Presidente norteamericano. Se dice que el presidente Gerardo Machado invitó a Coolidge y a su esposa a que visitaran una granja avícola experimental que fomentaba el Gobierno cubano. Cuando la Primera Dama se acercó a uno de los gallineros, observó asombrada cómo un gallo «pisaba» frenéticamente a una gallina.
—¿Con qué frecuencia hace eso? —preguntó a uno de los peones.
—Decenas de veces al día —respondió el aludido.
—Pues dígaselo al Presidente cuando pase.
Así lo hizo el peón. Coolidge inquirió entonces si el gallo «pisaba» siempre a la misma gallina.
—No, es una diferente cada vez —contestó el peón, y el mandatario no demoró su respuesta:
—Dígale eso a mi esposa.
La anécdota desde luego es apócrifa. La historiadora Amity Shlaes, en su biografía de Coolidge publicada en 2013, afirma que hizo lo imposible por hallar elementos que la sustentaran. «No encontré pruebas de que fuera cierta», concluye.

Un presidente saliente
En aquel lejano ya mes de enero de 1928, cuando vino a Cuba, Coolidge era «un presidente saliente que intentaba cerrar su estancia en la Casa Blanca con un logro de política exterior», escribe Glenn Garvin en su artículo. Añade que trataba de calmar la creciente inconformidad de los cubanos con las altas tarifas azucareras de EE. UU. que acababan con la economía de la Isla, y de aplacar las críticas generalizadas en Latinoamérica a las intervenciones militares estadounidenses en Nicaragua, Haití y República Dominicana. Fueron esos sus propósitos al responder de manera afirmativa a la invitación de Machado para asistir a la Sexta Conferencia Panamericana de La Habana.
Se dice que se proponía usar la reunión para impulsar su campaña a favor de un tratado a nivel mundial de renuncia de la guerra como instrumento de política nacional. El Senado de EE. UU. se había negado a aprobar la participación del país en la Liga de las Naciones ocho años antes, pero Coolidge pensó que podría conseguir que fuese aprobado si se concentraba simplemente en prohibir la guerra sin crear una burocracia internacional como parte del acuerdo.
En última instancia, fracasó en todo lo que se propuso, afirman especialistas. Aunque Coolidge prometió al gobernante cubano bajar las tarifas, eso nunca sucedió —de hecho, un par de años más tarde subieron los impuestos al azúcar que EE. UU. adquiría en Cuba. Por otra parte, los esfuerzos por aplacar al resto de América Latina con respecto a las intervenciones estadounidenses nunca se pusieron en práctica, porque Coolidge ordenó a sus marines que regresaran a Nicaragua justo antes de partir rumbo a La Habana.
El tratado de paz a nivel mundial de Coolidge, que acabó siendo conocido como el Pacto Briand-Kellogg, fue aprobado por más de cinco docenas de países. Pero eso no impidió a nadie lanzarse de cabeza a la Segunda Guerra Mundial una década más tarde, lo cual hizo del mencionado acuerdo el acto de diplomacia más inútil de la historia universal.
«No estoy segura de cuán convencido estaba él de nada de esto», afirma Amity Shlaes en la biografía. «Él lo hizo todo con cierta melancolía, el tipo de cosas que uno hace cuando algo está de acuerdo con sus principios, pero no encuentra mucho placer en hacerlo. Coolidge no se sentía bien; pensaba que la presidencia estaba agotándolo, pero en realidad estaba enfermo del corazón. Y estaba sintiendo la soledad que rodea a un presidente cuando todo el mundo se da cuenta de que él no va a seguir siendo presidente por mucho tiempo y empieza a adular al nuevo».

Recibimiento apoteósico

Ocho buques de la Marina de Guerra norteamericana se hicieron necesarios para transportar desde Cayo Hueso al Presidente y su comitiva, de la que formaba parte el famoso aviador Charles Lindbergh, el primero en atravesar en solitario el océano Atlántico a bordo de su avión Espíritu de San Luis. Ya frente a La Habana, una pequeña embarcación lo trajo a la orilla. Doscientas mil personas se congregaron a lo largo de las calles para aclamarlo en su breve recorrido desde el puerto hasta el Palacio Presidencial, donde se alojaría con su esposa y sus principales colaboradores, mientras que el resto de la comitiva se alojaba en el hotel Sevilla y otros establecimientos. Hubo una nota simpática en el recibimiento: ocho o diez muchachas llamativamente vestidas y muy maquilladas lanzaron rosas al paso del automóvil que conducía al mandatario. Eran las pupilas de un prostíbulo cercano, portaban una bandera norteamericana y acudieron al acto de bienvenida en compañía de su matrona, que tampoco quiso quedarse en casa.
Cuando Coolidge se retiró al fin a descansar en el tercer piso de la mansión de la calle Refugio número 1, reporteros y editorialistas quedaron libres para acometer el periodismo de investigación… en los bares de la ciudad. Venían de un país donde, desde 1920, primaba la llamada Ley Seca, que prohibía las bebidas alcohólicas y obligaba a arriesgarse en cantinas clandestinas, donde la entrada dependía de contraseñas y toques en clave. Para los periodistas y funcionarios del Gobierno, que se sumaron también a la aventura, se abría la ciudad que, al decir de Alejo Carpentier, mayor cantidad de bebidas podía mostrar al paladar curioso del viajero, donde una pareja no tenía que mostrar el certificado de matrimonio para encontrar albergue en un hotel y en la que se podía apostar —y ganar o perder— cualquier cantidad de dinero en las ruletas del Casino Nacional sin llamar la atención de las autoridades. Buscaron los visitantes bares como el Floridita y el Sloppy Joe’s o los de los hoteles Florida, Sevilla, Plaza e Inglaterra, y los más osados se desplazaron hasta los bares y cabaretuchos que en la playa de Marianao se conocían con el nombre genérico de «las fritas». Hubo visitas a teatros pornográficos y no fueron pocos los que acudieron al barrio de Colón a fin de buscar emociones inolvidables entre las piernas de una muchacha cubana.
Algunos de los artículos que sobre Coolidge y su visita a Cuba aparecieron en la prensa norteamericana fueron escritos bajo la influencia del alcohol, dice Glenn Garvin, y ofrece esta perla que publicó The New York Times en la que se comenzó aludiendo al vestuario protocolar de los funcionarios cubanos y termina haciéndose incoherente. Dice: «Como no se podía encontrar un par de polainas cortas grises en toda La Habana, un estado de perturbación prevaleció hasta que los investigadores se cercioraron de que se trataba de una falsa alarma».
En realidad, la fiesta y la diversión habían comenzado en Cayo Hueso, cuando los viajeros descubrieron que dejaban atrás un país sometido a la Ley Seca para encontrar que Cayo Hueso, con sus bares abiertos de par en par, era sencillamente Cayo Hueso. Hubo bromas crueles como las de las camas embarradas con tartas de Key Lime, con las que se encontraban los borrachos a la hora de acostarse.
El presidente Calvin Coolidge asistió en La Habana a un partido de jai alai. La hora del regreso entristeció a los miembros de su comitiva:
volverían al país de la prohibición. Pronto otra noticia les devolvió el alma al cuerpo: nadie, ni siquiera los reporteros, haría aduana en Cayo Hueso a su entrada en Estados Unidos, lo que quería decir que el que lo deseara podría llevar todo el ron que quisiera. Los licoreros cubanos hicieron su agosto. Fueron muchas las maletas que se adquirieron de prisa para transportar el mejor ron cubano envasado en recipientes de medio galón, que más tarde los marines, entre guiños cómplices, subirían a los barcos.
¿Quién aprobó esa gigantesca operación de contrabando?, se preguntaba en 1959 el periodista Beverly Smith en su artículo publicado en el Saturday Evening Post. «¿Habría sido, increíblemente, el mismo Calvin, en un arranque del humor caprichoso que algunos suponían se ocultaba tras su cara de avinagrado de Vermont?».

Ciro Bianchi Ross


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