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martedì 22 marzo 2016
Dizionario del mare per lupi di terra
ANTEMURALE: marciapiedi prospiciente la pittura di un "writer"
Anche oggi settori e orari "blindati"?
È comprensibile, la massima prudenza in un caso come quello della visita di Obama A Cuba, ma personalmente credo che si ecceda un pochino nello zelo. Ieri mattina negli orari più vicini al passaggio del corteo era impossibile transitare, anche a piedi, per vaste aree adiacenti alla zona del previsto transito. Non parliamo di sostare, sempre a piedi. Almeno un paio d'ore prima dell'arrivo alla Plaza della Revolución dell'ospite, sono stato fatto sloggiare da tre o quattro posti e invitato a spostarmi..."verso laggiù..." quando mi sono stancato di bighellonare inutilmente in cerca di un posto...lontano, ma con vista al mausoleo, mi sono diretto verso casa e a questo punto sono stato richiamato,mentre mi stavo allontanando dalla zona, da un agente in uniforme che mi ha richiesto l'identificazione e ne ha preso nota su un libriccino. La prudenza e l'attenzione devono essere massime, ma credo che anche il "massimo" abbia un certo limite. Io abito a due isolati dalla calle 20 de Mayo e circa 5 dallo stadio Latinoamericano. Mi sarà possibile, oggi, sostare per vedere (almeno) il passaggio del corteo? Fra l'altro il previsto incontro di baseball a cui assisterà Obama è previsto "nel pomeriggio", in questo momento hanno annunciato televisione "circa alla 1.30 del pomeriggio", finora l'orario era "segreto".
In questo momento si sta recando al Gran Teatro dell'Avana Alicia Alonso per un incontro con settori produttivi della società cubana. Bisogna riconoscere e non c'era dubbio, che la copertura televisiva è ampia ed eccellente.
In questo momento si sta recando al Gran Teatro dell'Avana Alicia Alonso per un incontro con settori produttivi della società cubana. Bisogna riconoscere e non c'era dubbio, che la copertura televisiva è ampia ed eccellente.
lunedì 21 marzo 2016
Prima mattina di lavori di Obama a Cuba
In una interessante
conferenza stampa trasmessa in diretta dalla TV Cubana e dal canale TeleSur, i
due presidenti hanno ribadito la volontà di continuare il cammino per un
riavvicinamento e la comprensione reciproca. Ho trovato interessante la
dichiarazione di Obama quando ha detto che “riprenderanno i ferry e le
crociere”. Sarebbe bello sapere quando, ma ho l’impressione che Cuba non sia
pronta con le infrastrutture anche se nella zona del porto i lavori procedono
alacremente.
Si è anche detto che si
cercherà di ampliare il servizio di Internet dal momento che nel secolo XXI,
non è concepibile uno sviluppo senza questo strumento...
Questa mattina, in una
giornata nuvolosa e con un fastidioso vento di tramontana, ho cercato di vedere
se potevo “rubare qualche immagine anche se da centinaia di metri. Impossibile,
l’imponente servizio di sicurezza teneva sgombra l’area per centinaia di metri
attorno al Memorial Martí e alle strade in cui doveva muoversi il corteo.
Sono anche stato fermato per controllo dei documenti....
L'ospite atteso è arrivato
Come si sarà visto in tutto il mondo, grazie alle riprese della televisione cubana, alle 16.20, ora locale, l'aereo con la famiglia Obama e alcuni membri della delegazione che lo accompagna è atterrato all'aeroporto José Martí. Appena il velivolo è giunto alla piazzola di sosta ha iniziato a cadere una pioggerella che si è rapidamente trasformata in temporale. Cosa che non ha impedito una breve visita al centro storico della Capitale e della Cattedrale dove, gli ospiti erano attesi dal Cardinale Jaime Ortega y Gassét, Arcivescovo dell'Avana.
Da oggi, inizia la parte ufficiale del viaggio per il Presidente, mentre la famiglia sarà accompagnata a visite sociali a cura della Federazione delle Donne Cubane.
per il resto, credo che mezzi di informazione ben più potenti e importanti del presente saranno in grado di fornire maggiori dettagli dell'importante avvenimento.
Da oggi, inizia la parte ufficiale del viaggio per il Presidente, mentre la famiglia sarà accompagnata a visite sociali a cura della Federazione delle Donne Cubane.
per il resto, credo che mezzi di informazione ben più potenti e importanti del presente saranno in grado di fornire maggiori dettagli dell'importante avvenimento.
domenica 20 marzo 2016
E oggi arriva Obama...
Forse sarà banale dire che oggi è una giornata storica, ma per Cuba e non solo lo è certamente. Nel pomeriggio, ad ora indeterminata (sera o notte in Europa) atterrerà a Rancho Boyeros l'Air Force One. con una numerosa comitiva al seguito del Presidente. Oltre alla famiglia al completo vi saranno diversi dignitari e personaggi politici di alto rango.
L'Avana e tutta Cuba sono pronte a ricevere col rispetto dovuto colui che viene definito l'uomo più importante del mondo, almeno durante la carica che ricopre...certo ha fatto più lui in circa un anno e mezzo (ufficialmente) che tutti i suoi predecessori in mezzo secolo.
Al sottoscritto rimane il rimpianto, per imperdonabile pigrizia mentale e ignoranza, di non aver presentato domanda entro il 15 scorso per poter essere accreditato all'evento come "freelance". Chi sbaglia paga. Spero di aver la soddisfazione di vedere il corteo quando si recherà allo stadio che è vicino a casa mia.
L'Avana e tutta Cuba sono pronte a ricevere col rispetto dovuto colui che viene definito l'uomo più importante del mondo, almeno durante la carica che ricopre...certo ha fatto più lui in circa un anno e mezzo (ufficialmente) che tutti i suoi predecessori in mezzo secolo.
Al sottoscritto rimane il rimpianto, per imperdonabile pigrizia mentale e ignoranza, di non aver presentato domanda entro il 15 scorso per poter essere accreditato all'evento come "freelance". Chi sbaglia paga. Spero di aver la soddisfazione di vedere il corteo quando si recherà allo stadio che è vicino a casa mia.
sabato 19 marzo 2016
giovedì 17 marzo 2016
Servizio postale diretto
Il più volte ristabilimento del servizio postale, finalmente ha raggiunto la possibilità di effettuarsi con un volo diretto che è arrivato all'Avana ieri, proveniente da Miami e che avrà una frequenza di tre volte la settimana.
Nel frattempo è stato annunciato un arrivo anticipato del Presidente Obama che in forma "privata", domenica visiterà luoghi significativi ed emblematici della capitale, lasciando le cerimonie ufficiali a partire da lunedì.
Le nuove misure annunciate, sono considerate importanti, ma tutte da verificare e comunque insufficienti a una "piena normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi.
mercoledì 16 marzo 2016
Primarie presidenziali e nuovi rapporti Usa-Cuba
Il senatore per la Florida, Marco Rubio, ha perso “in casa” con il plurimilionario Donald Trump le elezioni alle primarie presidenziali per il Partito Repubblicano col 27 contro il 45% dei voti. Una sconfitta che lo ha deciso a ritirarsi dalla competizione per la Casa Bianca.
È segno evidente che i tempi sono cambiati anche nello Stato più anticastrista degli USA, la campagna politica di Rubio, impostata prevalentemente sul voler disfare quanto sta costruendo Obama nei rapporti con Cuba e tornare a un passato che non avvantaggerebbe nessuno, non ha pagato.
Certo la “soddisfazione” è mitigata dalla vittoria dell’energumeno, xenofobo, razzista e conservatore nel senso più dispregiativo del termine, Donald Trump. Intelligentemente non ha mai espresso chiaramente le sue intenzioni nel futuro delle relazioni con Cuba. Di certo non sembrano incoraggianti col resto del mondo e le classi più deboli all’interno degli stessi Stati Uniti.
Da parte sua, Obama, alla vigilia del suo arrivo a Cuba ha decretato nuovi alleggerimenti al “bloqueo”, il più importante dei quali è la possibilità, per Cuba, di utilizzare il dollaro statunitense nelle transazioni commerciali. Una scelta veramente importante dal punto di vista finanziario e che alleggerisce i costi d’importazione per Cuba. Inoltre ha dato la possibilità dei nordamericani che visitano Cuba stando nelle 12 “categorie” del programma “People to People”, di poterlo fare in forma individuale e non più obbligati a formare gruppi. Tra le righe sembra un preludio alla eliminazione di qualsiasi restrizione di viaggio, verso l’Isola caraibica, per i cittadini statunitensi in vista dell’apertura dei voli commerciali di linea nel prossimo settembre.
Intanto l'Avana "si fa bella" nei luoghi che si suppone percorra Obama durante la sua visita. Squadre di muratori e imbianchini stanno mettendo a nuovo gli edifici, mentre le strade vengono asfaltate e completate con segnaletica orizzontale. In modo particolare la 20 de Mayo che da accesso allo stadio Latinoamericano, dove il 22 si attende il lancio della prima palla da parte del presidente nordamericano nell'incontro di baseball Cuba - Tampa Bay. Lo stesso stadio è sottoposto a cura intensiva per la rimessa a nuovo...o quasi.
Dove si suppone che passi:
Dove si suppone che passi:
Dove si suppone che non passi:
Ultimi ritocchi allo stadio
martedì 15 marzo 2016
lunedì 14 marzo 2016
Revillagigedo, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato
su Juventud Rebelde del 10/3/16
Lo scriba non crede che
siano molti gli avaneri che sappiano che la calle Revillagigedo, in questa
capitale, debba il suo nome a un governatore spagnolo dalla mano dura, le cui
eccellenti doti come governante si videro eclissate per un’ambizione e
un’altaneria censurabili che fecero si che si guadagnasse l’epiteto di “il
tiranno”. Assunse il comando dell’Isola il 18 marzo del 1734 e durante gli 11
anni che si mantenne come governatore generale della Colonia, fu immune alle
critiche e denunce del patriziato creolo, alla minaccia degli inglesi nella
loro infinita guerra contro la Spagna ed anche alle malattie. Quando i suoi
nemici pensarono che non si riprendesse da un attacco apoplettico fulminante
che lo paralizzò e lo mise sulla soglia della morte, lo videro tornare alla
casa del Governo più grasso e colorito di prima e più disposto che mai a
continuare ad arricchirsi con i vantaggi del potere e a far tremare di rabbia
quelli che non lo amavano. Quando giunse all’Avana la notizia che lo avevano
destituito dall’incarico, ai suoi rivali si congelò l’allegria venendo a sapere
che lo avevano nominato viceré del Messico.
Il maresciallo di campo Juan
Francisco Güemes de Horcasitas, primo conte di Revillagigedo, titolo che gli
conferì la Corona durante il suo comando a Cuba, è il protagonista di questa
storia.
La cronaca lo descrive come
un uomo dall’aspetto terribile, occhi dominatori, unghie molto lunghe e spesse
sopracciglia sugli occhi da imporre paura ai suoi nemici.
“Solamente col presentarsi a
cavallo nella piazza soffocò un ammutinamento in Messico, essendo viceré”,
ricorda Álvaro de la Iglesia in una delle sue Tradiciones cubanas. Non era solo coraggioso, ma lo dimostrava
sempre quando si presentasse l’occasione per farlo. Non si lasciò imporre da
nessuno e chi osasse minacciarlo vinceva la lotteria senza aver comprato il
biglietto perché compiva la sua minaccia o andava in carcere a pentirsene.
Il conte di Revillagigedo sostituì
al Governo il brigadiere Dionisio Martínez de la Vega. Giunse a Cuba in
un’epoca in cui il contrabbando che conquistava il diritto di legittimità e le
immoralità amministrative mantenevano esausto il tesoro dell’Isola. Per
compiacenze e riguardi della prima autorità le rendite della Colonia, si
trovavano in estremo collasso e la condotta dei funzionari subalterni non era
migliore.
Álvaro de la Iglesia scrive:
“Dentro quella razza di
disordine, è chiaro che chi arrivasse con spinte moralizzatrici, se non moriva
di un colpo come successe al santo vescovo Montiel, moriva diffamato o gli
elevavano un monumento di calunnie tale da fargli perdere i capelli in
prigione. Ma Güemes era un asturiano dai mille diavoli per cui gli era
indifferente che parlassro bene o male di lui, molto soddisfatto che non fosse
nato un uomo che osasse guardare di traverso il conte di Revillagigedo”.
La
real compagnia
Si necessitava una mano
forte per porre fine ai molti e gravi
mali della Colonia. E questa fu la mano di Juan Francisco Güemes de
Horcasitas. Cominciò con castigare abusi e peculati. Nominò tenenti
capaci, per attitudini e severità, di incamminare l’ordine in giurisdizioni
dell’importanza di Puerto Príncipe, Sancti Spíritus e San Juan de los Remedios.
Sottomise alla sua potestà il Governo di Santiago de Cuba. I 22 bandi che il
Governo emise per dettare la disciplina all’amministrazione e l’ordine pubblico
della Colonia, sono prove delle sue eccellenti doti di comando.
Revillagigedo regolò la pulizia
delle strade e degli spazi pubblici, così come del porto avanero. Trasferì il
mattatoio in luogo adeguato, fu implacabile con queli che esageravano coi
prezzi e speculavano coi prodotti agricoli. Favorì la riapertura dell’ospedale
di San Lázaro, riorganizzò il Municipio e regolarizzò la giustizia. Ristabilì
l’impero della legge. Molte furono le sue misure efficaci contro chi si beffava
del fisco.
Lo si considera il vero
fondatore della Reale Compagnia di Commercio dell’Avana che per oltre 20 anni
mantenne il più mostruoso monopolio delle produzioni cubane.
La ricchezza dell’Isola
andava aumentando e siccome il settore del tabacco aveva riportato grandi
ricchezze in Spagna, diversi commercianti spagnoli e alcuni coltivatori creoli
accalorarono l’idea di monopolizzare tutto il commercio della Colonia. Fu così
che accordarono di costituire la Reale Compagnia di Commercio dell’Avana,
autorizzata dal Re, con la raccomandazione preventiva del conte di
Revillagigedo. Al fine di ottenere i maggiori privilegi, l’entità nascente
dette al monarca e al governatore la partecipazione ai guadagni. Ottenne prima
il monopolio del tabacco e un anno dopo quello di tutto il commercio
d’importazione ed esportazione dell’Isola.
Il Governo concesse alla
Compagnia il privilegio di introdurre in Spagna, esenti da dazi, i prodotti del
Paese - cuoio, legname, zucchero, miele... - e quello di importare articoli di
consumo. In cambio si vide obbligata a costruire navi per la marina da guerra e
quella mercantile, di rifornire le navi da guerra che ormeggiassero nel porto
dell’Avana e di mantenere dieci imbarcazioni armate per combattere il
contrabbando e proteggere le navi che realizzavano il traffico tra il porto di
Cadice e l’Avana. Ebbe anche a suo carico il commercio degli schiavi.
I risultati della Compagnia
furono l’arricchimento smisurato dei commercianti spagnoli e di alcuni pochi
possidenti creoli dell’Avana. Nel resto dell’Isola si sopportarono i privilegi
della Compagnia, dovendo pagare a prezzi elevatissimi gli articoli d’importazione
e vendere a prezzi miserabili i propri prodotti. Le assemblee delle città
dell’interno si stancarono di inviare proteste alla metropoli (spagnola,
n.d.t.) chiedendo la cessazione della Compagnia. Si dovette attendere che gli
inglesi si impadronissero dell’Avana, nel 1762, molti anni dopo che il conte di
Revillagigedo fosse uscito dal potere. Allora gli occupanti britannici si
impossessarono di tutte le proprietà della Compagnia alla quale, Carlos III
darà il colpo di grazia nel decretare le franchige nel 1765.
Ma prima si arricchirono i
possidenti dell’Avana e quei possessori di zuccherifici che avevano azioni
della Reale Compagnia. Per capire la lucratività dei suoi affari, basti dire
che un barile di farina o di grano comprato in Spagna per 5 o 6 pesos era
venduto all’Avana per 35 o 36 pesos.
Il governatore Juan
Francisco Güemes de Horcasitas, propiziatore ufficiale del monopolio della
Reale Compagnia, si arricchì con la sua partecipazione nell’affare. Ricevette
il titolo di conte e giunse all’ambito incarico di viceré del Messico.
Da allora, l’incarico di
capitano generale e di governatore di Cuba si convertì in una posizione molto
ambita.
Il
vassallo più ricco
Il conte di Revillagigedo
era avaro e rapace, Questo era, dice Álvaro de la Iglesia, il suo difetto
maggiore. Quando si presentava un affare nel quale vedeva la possibilità di
guadagnare, lo approvava anche sapendo che poteva essere causa di scandalo.
L’enorme fortuna che giunse ad accaparrare in questo modo, gli permise di
creare in Spagna un azienda per ognuno dei suoi figli ed erano diversi, mentre
ne La Gazzetta d’Olanda si qualificava come il “vassallo più ricco che aveva
Ferdinando VI”.
Revillagigedo rubava, ma non
lasciava rubare. Se avesse fatto finta di niente con i ladri e malversatori che
lo circondavano, nessuno avrebbe detto mezza parola contro di lui. Ma lui la
vedeva in altro modo, suscitando contro di se e tutti i suoi atti di Governo
una tempesta di censure e anche di calunnie. Le denunce contro di lui si
ripetevano, ma a Madrid compresero che anche se il conte rubava, i redditi di
Cuba non avrebbero mai raggiunto la somma di quello che egli rimetteva
dall’Avana. A questo si univa la sua difesa adeguata dell’Isola, ebbene teneva
in scacco le armate nemiche. Da quì che Madrid lo mantenesse nel suo incarico
contro venti e maree.
I suoi nemici nominarono
l’avvocato Lorenzo Hernández Tinoco come una specie di accusatore privato
contro Güemes e Güemes, senza perdere tempo lo deportò in Spagna. Non gli
restava altro da fare che chiedere al cielo cho lo fulminasse, com’era successo
in quei giorni a un vascello nella baia avanera.
Non venne fulminato, ma un
attacco apoplettico sembrò che lo mettesse fuori gioco in modo definitivo. I
suoi nemici cantarono vittoria, senza contare sulla resistenza dell’asturiano.
La famiglia Chacón lo portò nei suoi possedimenti di Santa María del Rosario e
le acque medicinali del posto fecero in modo che si ristabilisse in un mese.
Tornò all’Avana disposto a continuare ad arricchirsi e a far inferocire sempre
di più i suoi nemici.
Álavaro de la Iglesia dice
che nei giorni della sua grave malattia circolò un detto popolare che alludendo
ala sua meschina avarizia diceva:
“Né conte né marchese; Juan
é”. “Più che degli attacchi di cui fu oggetto, a Revillagigedo dovette far male
quel detto che correva di bocca in bocca, da quel momento divenne più acido e
temibile di prima, mettendo in guardia i suoi persecutori che lo temevano come
il colera”.
Lo
appresi da mio padre
Suo figlio maggiore, Juan
Vicente Güemes Pacheco, secondo conte di Revillagigedo, nato all’Avana nel
1738, fu pure viceré del Messico, il viceré numero 52 che governò quel Paese
per cinque anni. A otto giorni scarsi dall’aver assunto il suo incarico
condannò a morte gli assassini di un agiato commerciante. Il suo procedere gli
dette fama di giusto.
Modificò l’amministrazione
pubblica e trasformò intendenze e tribunali, cosa che permise una manovra più
efficiente della Colonia. Fondò varie scuole, fra di esse il Reale Collegio di
Mineraria. Ai suoi tempi la Città del Messico si rimodernò e si eressero nuovi
edifici. Il municipio della città lo citò a giudizio per illecito, ma i suoi
accusatori furono obbligati a pagare le spese del processo nel domostrarsi
l’innocenza del viceré. Morì a Madrid nel 1799.
Revillagigedo
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
12 de
Marzo del 2016 20:42:38 CDT
No cree el
escribidor que sean muchos los habaneros que sepan que la calle Revillagigedo,
en esta capital, deba su nombre a un gobernador español de mano dura, cuyas
excelentes dotes como gobernante se vieron eclipsadas por una codicia y una
altivez censurables y que hicieron que ganara el epíteto de «tirano». Asumió el
mando de la Isla el 18 de marzo de 1734 y durante los 11 años que se mantuvo
como gobernador general de la Colonia fue inmune a las críticas y denuncias del
patriciado criollo, a la amenaza de los ingleses en su inacabable guerra contra
España e incluso a la enfermedad. Cuando sus enemigos pensaron que no se
repondría de un ataque de apoplejía fulminante que lo paralizó y lo puso a las
puertas de la muerte, lo vieron regresar a la casa de Gobierno más gordo y
colorado que antes y más dispuesto que nunca a seguirse enriqueciendo con los
gajes del poder y a hacer temblar de rabia a los que no lo querían. Cuando
llegó a La Habana la noticia de que lo habían cesado en el cargo, a sus rivales
pronto se les congeló la alegría al enterarse de que lo habían nombrado virrey
de México.
El
mariscal de campo Juan Francisco Güemes de Horcasitas, primer conde de
Revillagigedo, título que le otorgó la Corona durante su mando en Cuba, es el
protagonista de esta historia. La crónica lo describe como un hombre de aspecto
terrible, ojos dominadores y uñas tan largas y espesas cerdas sobre los ojos
que imponía miedo a sus mismos enemigos.
«Solo con
presentarse a caballo en la plaza sofocó un motín en México, siendo virrey»,
recuerda Álvaro de la Iglesia en una de sus Tradiciones cubanas. No solo era
valiente, sino que lo demostraba siempre que se le presentara ocasión para
ello. No se dejó imponer de nadie y el que osara amenazarle se sacaba la
lotería sin haber comprado el billete, porque cumplía su amenaza o iba a
arrepentirse de ella en la cárcel.
El conde
de Revillagigedo sustituyó en el Gobierno al brigadier Dionisio Martínez de la
Vega. Llegó a Cuba en una época en que el contrabando, que conquistaba carta de
legitimidad, y las inmoralidades administrativas tenían exhausto el tesoro de
la Isla. Por complacencias y miramientos de la primera autoridad las rentas de
la Colonia se hallaban en abatimiento extremo y no era mejor la conducta de los
funcionarios subalternos.
Escribe
Álvaro de la Iglesia:
«Dentro de
aquel medio de desorden, claro está que quien llegara con pujos moralizadores,
si no moría de un jicarazo, como ocurrió con el santo obispo Montiel, moría
difamado o le levantaban un monumento de calumnias capaz de hacerle perder el
pelo en presidio. Pero Güemes era un asturiano de mil demonios que tanto le daba
que hablaran de él bien como mal, muy satisfecho de que por delante no había
nacido hombre que se atreviera a mirar atravesado al conde de Revillagigedo».
La real compañía
Se
requería de una mano fuerte para poner coto a los muchos y graves males de la
Colonia. Esa fue la mano de Juan Francisco Güemes de Horcasitas. Empezó por
hacer castigar abusos y peculados. Nombró tenientes, capaces por sus actitudes
y severidad, de encauzar el orden en jurisdicciones de la importancia de Puerto
Príncipe, Sancti Spíritus y San Juan de los Remedios. Sometió a su potestad al
Gobierno de Santiago de Cuba. Los 22 bandos que en el curso de 11 años de
Gobierno dictó para disciplinar a la administración y el orden público de la
Colonia son prueba de sus excelentes condiciones de mando.
Revillagigedo
reguló la limpieza de las calles y de los espacios públicos, así como del
puerto habanero. Trasladó el matadero a un lugar apropiado y fue implacable con
los que exageraban los precios y especulaban con los productos del agro.
Favoreció la apertura del hospital de San Lázaro, reorganizó el Ayuntamiento y
regularizó la justicia. Restableció el imperio de la ley. Fueron muy eficaces
sus medidas contra los que burlaban el fisco.
Se le
considera el verdadero fundador de la Real Compañía de Comercio de La Habana,
que durante más de 20 años llevó a cabo el más monstruoso monopolio con las
producciones cubanas.
La riqueza
de la Isla iba en aumento y como el estanco del tabaco había reportado a España
grandes riquezas, varios comerciantes españoles y algunos hacendados criollos
calorizaron la idea de monopolizar todo el comercio de la Colonia. Fue así que
acordaron constituir la Real Compañía de Comercio de La Habana, que fue
autorizada por el Rey con la recomendación previa del conde de Revillagigedo.
Con el fin de obtener los mayores privilegios, la naciente entidad dio al
monarca y al gobernador participación en las ganancias. Obtuvo primero el
monopolio del tabaco y un año después el de todo el comercio de importación y
exportación de la Isla.
El
Gobierno concedió a la Compañía el privilegio de introducir en España, libre de
derechos, los productos del país —cuero, madera, azúcar, miel…— y el de
importar artículos de consumo. A cambio, se vio obligada a construir barcos
para la marina de guerra y la mercante, de abastecer los barcos de guerra que
fondearan en el puerto de La Habana y de mantener diez embarcaciones armadas
para perseguir el contrabando y proteger a los barcos que realizaban el tráfico
entre los puertos de Cádiz y La Habana. También tuvo a su cargo el comercio de
esclavos.
Los
resultados de la Compañía fueron el enriquecimiento desmedido de comerciantes
españoles y de algunos pocos hacendados criollos de La Habana. En el resto de
la Isla se soportaron los privilegios de la Compañía, teniendo que pagar a
precios elevadísimos los artículos de importación y vender sus productos a
precios de miseria. Los cabildos de ciudades del interior se cansaron de enviar
quejas a la metrópoli demandando el cese de la Compañía. Hubo que esperar a que
los ingleses se apoderaran de La Habana, en 1762, muchos años después de que el
conde de Revillagigedo saliera del poder. Entonces los ocupantes británicos se
apoderaron de todas las propiedades de la Compañía, a la que Carlos III daría
el tiro de gracia al decretar las franquicias en 1765.
Pero antes
se enriquecieron los hacendados de La Habana y aquellos dueños de ingenios que
poseían acciones en la Real Compañía. Para comprender lo lucrativo de su
negocio baste decir que un barril de harina de trigo comprado en España por
cinco o seis pesos era vendido en La Habana en 35 o 36 pesos.
El
gobernador Juan Francisco Güemes de Horcasitas, propiciador oficial del monopolio
de la Real Compañía, se enriqueció con su participación en el negocio. Recibió
el título de conde y llegó al codiciado cargo de virrey de México.
Desde
entonces, el cargo de capitán general y de gobernador de Cuba se convirtió en
una posición muy codiciada.
El vasallo más rico
El conde
de Revillagigedo era avaro y rapaz. Era ese, dice Álvaro de la Iglesia, su
mayor defecto. Cuando se presentaba un negocio en el que veía la posibilidad de
ganar, lo acometía aunque supiera que sería causa de escándalo. La enorme
fortuna que llegó a acaparar por esa vía le permitió crear en España un
mayorazgo para cada uno de sus hijos, y fueron varios, mientras que en La
Gaceta de Holanda se le calificaba como «el vasallo más rico que tenía Fernando
VI».
Revillagigedo
robaba, pero no dejaba robar. Si hubiese hecho la vista gorda con los ladrones
y malversadores que lo rodeaban, nadie hubiera dicho media palabra en su
contra. Pero él lo entendió de otra forma, suscitando contra su persona y todos
sus actos de Gobierno una tempestad de censuras y aun de calumnias. Se repetían
las denuncias en su contra, pero en Madrid comprendieron que si el conde
robaba, las rentas de Cuba no habían alcanzado nunca antes el monto de lo que
él remitía desde La Habana. A eso se unía su adecuada defensa de la Isla, pues
tenía a raya a las armadas enemigas. De ahí que Madrid lo mantuviera en su
cargo contra viento y marea.
Nombraron
sus enemigos al abogado Lorenzo Hernández Tinoco como una especie de acusador
privado contra Güemes, y Güemes sin perder tiempo lo deportó a España. No les
quedaba ya nada que hacer como pedir al cielo que lo partiera un rayo, al igual
que le había sucedido en esos días al navío Invencible en la bahía habanera.
No lo
partió el rayo, pero un ataque de apoplejía pareció que lo sacaría del juego de
manera definitiva. Cantaron victoria sus enemigos, que no contaron con la
resistencia del asturiano. La familia Chacón lo llevó a sus predios de Santa
María del Rosario y las aguas medicinales del lugar hicieron que se restableciera
en un mes. Volvió a La Habana dispuesto a seguir enriqueciéndose y a hacer
rabiar aún más a sus enemigos.
Dice
Álvaro de la Iglesia que por los días de su grave dolencia fue que circuló un
dicho popular que aludía a su mezquina avaricia. Decía:
«Ni conde
ni marqués; Juan es». «Más que los ataques de que había sido objeto, debió
dolerle a Revillagigedo aquel dicho que corría de boca en boca, pues desde
entonces se hizo aún más avinagrado y terrible que antes, poniendo en cuidado a
sus perseguidores, que le temían como al cólera».
Pasó el
tiempo. Los que seguían en espera de verlo caer, creyeron volverse locos al
saber que Juan Francisco Güemes de Horcasitas era nombrado virrey de México.
De mi padre lo aprendí
Su hijo
mayor, Juan Vicente Güemes Pacheco, segundo conde de Revillagigedo, nacido en
La Habana en 1738, fue también virrey de México, el virrey número 52 que
gobernó ese país durante cinco años. A escasos ocho días de haber asumido su
mandato condenó a muerte a los asesinos de un acaudalado mercader. Su proceder
le ganó fama de justo.
Modificó
la administración pública y transformó intendencias y tribunales, lo que
permitió un manejo más eficiente de los recursos de la Colonia. Fundó varias
escuelas, entre estas el Real Colegio de Minería. En su tiempo la ciudad de
México se remozó y se levantaron nuevos edificios. El Ayuntamiento de la ciudad
le formó un juicio de residencia, pero sus acusadores fueron obligados a pagar
los gastos del proceso al demostrarse la inocencia del virrey. Murió en Madrid
en 1799.
Ciro
Bianchi Ross
sabato 12 marzo 2016
venerdì 11 marzo 2016
Ricevo una mail una gentile lettrice interessata a Cuba e al turismo sull'Isola
Una gentile lettrice del blog con interesse verso Cuba anche per motivi di studio, fra le altre mail intercambiate mi ha mandato anche questa a cui ho risposto.
Ovviamente non cito i suoi dati per intero, senza la sua autorizzazione, ma mi sembra opportuno pubblicare i suoi quesiti che probabilmente saranno di tanti e come la vedo io personalmente, credo che anche la mia opinione sia quella di tanti altri.
De: Giulia
Enviado el: venerdì 11 marzo 2016 10.25
Para: aldo abuaf
Asunto: Re: "saggio"
Para: aldo abuaf
Asunto: Re: "saggio"
Gentile Aldo facendo riferimento al passato e ho visto che è stato molto dettagliato dato la sua esperienza , secondo lei cosa mi sa dire del turismo di massa che sta per avvenire ad oggi a Cuba , dopo che il presidente degli USA Obama ha dichiarato che presto sarà disposto a togliere quasi del tutto l'embargo ? Cosa ne sarà di Cuba vieja ? Lei che ne pensa ? Diventerà un paese monopolio delle grandi industrie e catene americane ? Cioè immagina un Mc Donald all avana ?!?!?!
Gentile Giulia,
Il quesito che mi propone è veramente impegnativo per chi non ha doti da indovino o la Verità in tasca. Comunque dato che mi chiede il mio parere le dirò come la penso.
In primo luogo la volontà di Obama non dipende solo da lui e bisognerà vedere chi gli succederà come la pensa. Ovviamente nel breve, medio tempo. Indubbiamente l’embargo non credo che esista per l’eternità e con tutta probabilità anche molto prima dl Giudizio Universale. Parafrasi a parte, credo che tutti i politici nordamericani, prima o poi, si rendano conto che è un atteggiamento inutile e controproducente per tutti, in un mondo sempre più globalizzato. Il problema, nell’attualità, è un altro: Obama e molti altri come la stragrande maggioranza dei democratici oltre a una discreta minoranza dei repubblicani stanno pensando a un “cavallo di Troia” perché succeda quello che è capitato agli ex Paesi socialisti europei, Unione Sovietica/Urss in testa, anche se in realtà la spinta iniziale è venuta dalla Polonia che guarda caso era la terra del Papa dell’epoca...
Dal loro punto di vista (nordamericano) mi sembra una manovra almeno intelligente. Oltre 50 anni di embargo più o meno asfissiante secondo i presidenti in carica non hanno raggiunto l’effetto voluto, cioè di rovesciare il regime che oggi anche loro chiamano Governo “dei” Castro. Pertanto, come l’Ornella Vanoni stanno pensando: Proviamo con le buone, non si sa mai”. Per riassumere, il togliere o meno l’embargo nella sua totalità ormai non dipende più da Obama, anche se gli va il merito di aver dato la spallata più poderosa.
Cuba “vieja” come la chiama lei non credo che cambi più di tanto nella sua essenza generale, certo cambierà come sta cambiando, ci sia o no l’embargo. Il tempo passa per tutti e già oggi ci sono differenze impensabili fino a pochi anni fa. Come tutte le medaglie c’è un rovescio e non sta a me giudicare se sia un bene o un male. Secondo le dichiarazioni ufficiali, “Cuba non rinuncerà mai costruire un socialismo prospero ed efficiente...”, ma sono parole. Come diceva Don Lisander: “ai posteri l’ardua sentenza”.
Questo concetto vale anche se diventerà monopolio delle grandi catene e industrie nordamericane, o meglio, se tornerà ad esserlo. Probabilmente, secondo me, almeno per un po’ di tempo il concetto nazionalista avrà il suo peso anche nel non cedere proprio tutto ai nordamericani o altri. Non trascuriamo che proprio nel campo del turismo, seppure le proprietà “fisiche” delle installazioni, per non parlare delle località, sono giuridicamente cubane la gestione è in mano a partner stranieri, almeno in molti casi sopratutto delle installazioni più importanti.
Non so se si chiamerà Mac Donald, Burger King, Kentucky Chiken o Taco Bell, ma qualcosa del genere credo che sarà inevitabile. Nel corto tempo della loro eventuale installazione, sarà sicuramente a partecipazione cubana, poi...se fossi credente direi: “solo Dio lo sa!”.
Queste sono le mie opinioni, ma come dicevo all’inizio, non ho né bacchetta magica, né la Verità in tasca.
Cordiali saluti. Aldo.
giovedì 10 marzo 2016
martedì 8 marzo 2016
Arrivano i Rolling Stone
Fervono i lavori per preparare lo scenario in cui si esibiranno i mitici rockers inglesi il prossimo 25 marzo. Gli ampi spazi aperti della Città Sportiva che consentono un capienza di circa 400.000 persone, sono invasi da materiali e lavoratori provenienti da diversi Paesi che stanno montando lo scenario in cui si muoveranno, è proprio il caso di dirlo nonostante la non più verde età, quelli che furono i "rivali" dei Beatles negli anni della moda del Rock nd' Roll, ma anche dopo, come dimostra questo concerto che chiude una tournée in America Latina, della band.
L'ampiezza del palco sarà di 80 metri per oltre 20 di profondità e altrettanti di altezza della scenografia.
L'ingresso al pubblico sarà completamente libero e si prevede che assistano anche spettatori che vengono appositamente dall'estero per assistere a questa occasione storica nella musica internazionale.
lunedì 7 marzo 2016
Il Tempietto, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 6/3/16
La ceiba (sorta di quercia tropicale,n.d.t) del Tempietto è diventata
secca. Per motivi che gli specialisti finiranno per spiegare, l’albero al quale
si formulava un desiderio mentre gli si facevano tre giri attorno e che fu
seminato nel 1959, non c’è più e sarà sostituito da un altro. Sotto una pianta
della stessa specie si celebrò il 16 novembre del 1519, secondo la tradizione,
la prima messa e la prima assemblea quando, in quella data, L’Avana si stabilì
nel luogo che occupa da allora.
La ceiba originale che sul lato nord est di quella che sarebbe stata
la Plaza de Armas, vide prostrati sotto la sua ombra quei valorosi
colonizzatori e che fu per decenni l’unico testimone di un fatto storico, ma
anche religioso e poetico, dovette essere sostituita col passare del tempo.
Quando nel 1754, Francisco Cagigal de la Vega, Governatore Generale dell’Isola,
fece erigere lì una colonna commemorativa, la ceiba originale già non esisteva. Tra il 1755 e il 1757 si
seminarono tre ceibas al posto della
primogenita. Di esse, due si rinsecchirono dopo poco tempo e la terza
sopravvisse fino al 1827, quando la mano dell’uomo la fece sparire per
facilitare la costruzione del Tempietto. Tre ceibas nuove si seminarono l’anno seguente e di esse solo una fece
le radici e sembra che durò fino al 1959. Altre due si piantarono nel 1873 e
morirono dieci anni dopo.
Detieni
il passo viandante
La memoria di quella prima
messa e quella prima assemblea celebrati sotto la ceiba sarebbe forse sparita se Cagigal de la Vega, nel 1754, non si
fosse occupato di raccogliere e perpetuare in maniera ostensibile la
tradizione. “L’iniziativa di quel governante fu rivolta al futuro”, scrive lo
storico Emeterio Santovenia. “Grazie a lei passò ai posteri una versione che in
altro modo poteva sperimentare trasformazioni o estinguersi per opera del tempo”,
aggiunge.
La già citata colonna
commemorativa del governatore Cagigal consta di tre facce, le tre province in
cui si divideva allora la colonia e portava, alla sommità, un’immagine della
Vergine del Pilár. Su di essa si leggevano due iscrizioni allusive. Una scritta
in latino e l’altra in castigliano antico. Questa diceva:
“Fondossi la villa (oggi
città) dell’Avana nell’anno 1515 e al trasferirsi dalla sua primitiva sede alla
riva di questo porto, nel 1519, è tradizione che in questo sito si trovò una
frondosa ceiba sotto la quale si
celebrò la prima messa e assemblea: rimase fino al 1753 quando si sterilizzò. E
per perpetuarne la memoria, governando le Spagne il nostro cattolico Monarca il
Signor Don Fernando VI, mandò ad erigere questo padrone il Signor Maresciallo
di Campo Don Francisco Cagigal de la Vega, dell’Ordine di Santiago, Governatore
e Capitano Generale di quest’Isola, essendo Procuratore Generale Dottor Don
Manuel Phelipe de Arango. Anno del 1754”.
La primitiva iscrizione
latina fu sostituita nel 1903, nel restaurare la colonna, con un’altra il cui
testo latino è una versione dell’antico. La fece il dottor Juan M. Dihigo,
all’epoca professore di latino dell’università dell’Avana, l’unica sede di alti
studi che esisteva allora a Cuba, detto giusto per saperlo diceva:
“Detieni il passo,
viandante; adorna questo sito un albero, una ceiba frondosa, dirò meglio segno memorabile della prudenza e
antica religione della giovane città (...) Fu tenuta per la prima volta la
riunione dei prudenti consiglieri già da oltre due secoli: era conservata per
una tradizione perpetua; indubbiamente cedette al tempo. Ebbene guarda e che
non muoia nel futuro la fede avanera. Vedrai un’immagine fatta con la pietra
oggi, vale a dire l’ultimo di novembre del 1754”.
Nella prima faccia del
triangolo della colonna che guarda al Nascente, c’è un rilievo del tronco di
quella che si ritiene sia la prima ceiba.
Appare coi rami tagliati, come se fosse carente di fogliame, come se fosse
secca.
Col tempo la colonna andò
sciupandosi. Si deteriorò, disgraziatamente, questo semplice monumento che
quasi rimaneva nascosto dai chioschi e bancarelle dei venditori di tutti i tipi
di generi che si installavano nella sua vicinanza.
Le
opere
Questo spinse don Francisco
Dionisio Vives y Planes, Conte di Cuba, governatore e Capitano Generale
dell’Isola a restaurare la colonna e inoltre a erigere un’altro monumento
maggiore. Fu un criterio suo e del municipio avanero quello di realizzare
un’opera durevole che fosse, non solo degna dei fatti che volevano perpetuarsi,
ma anche dell’importanza che andava prendendo la città. Nella sessione del 15
giugno del 1827, il sindaco-presidente del municipio sottolineò la necessità di
curare la conservazione della colonna di Cagigal e il corpo municipale,
cosciente del dovere in cui si trovava rispetto a quel punto, accordò di
restaurarla e sgombrare dai suoi dintorni le bancarelle e i chioschi che
deturpavano il luogo.
Prese corpo, quindi, l’idea
di un monumento di maggiori dimensioni e nel proprio anno 1827 si mise mano
all’opera che da allora ricevette il nome di Tempietto. Vives ordinò ad Antonio
María de la Torre y Cárdenas, suo segretario politico che si occupasse di tutto
ciò che fosse concernente ai piani e del lavori necessari, cosa in cui ebbe la
collaborazione di José Rodríguez Cabrera, reggente del municipio. Dovette
metterci molto interesse nel concludere l’opera, nel giro di pochi mesi fu
pronto l’edificio, mentre la colonna veniva collocata su quattro basi circolari
di pietra e si sostituí l’immagine della vergine del Pilar che la rifiniva con
un’altra, dorata a fuoco, di circa ottanta centimetri di altezza.
Con motivo della costruzione
del Tempietto, il vescovo Juan José Díaz de Espada fece erigere, a spese sue,
molto vicino all’edificio, un busto di marmo con piedestallo, dell’ammiraglio
Cristoforo Colombo, un’opera di autore sconosciuto e povera di esecuzione che
si conserva ancora. Dentro al recinto chiuso dalle sbarre che circondano il
Tempietto rimasero con questo busto, la ceiba
e la colonna di Cagigal.
Evidentemente
neoclassico
Il Tempietto è il più
piccolo e meno vistoso degli edifici che circondano la Plaza de Armas. È, senza
dubbio, la prima opera civile di carattere evidentemente neoclassico con cui
contò l’Avana. Si alza di fronte al Palazzo dei Capitani Generali –attuale
Museo della Città- e alla sinistra del Palazzo dei Conti Santovenia, dove
funziona l’hotel Santa Isabel. Misura circa otto metri di fronte e circa sei
metri e mezzo nei due lati, mentre la sua altezza è di circa otto metri. È di
stile greco ed è composto da un’architrave con sei colonne di capitelli dorici,
basamenti attici e altri quattro pilastri sui fianchi con altri ornamenti. Una
lapide rende conto della sua inagurazione. Dice:
“Regnando il signor don
Fernando VII, essendo presidente e governatore don Francisco Dionisio Vives, la
fedelissima Avana, religiosa e pacifica, eresse questo semplice monumento
adornando il luogo dove nell’anno 1519 si celebrarono la prima messa e
assemblea. Il vescovo don Juan José Díaz de Espada solennizzò il medesimo
augusto sacrificio il giorno diciannove di marzo del mille ottocento ventotto”.
Il Tempietto che questo mese
compie 188 anni dalla sua edificazione, è uno dei monumenti più visitati da
cubani e stranieri. Sembra sia stato sempre così. Lo scrittore galiziano
Jacinto Salas y Quiroga diceva nel 1840, nel suo libro di viaggio che si
trattava di “uno dei monumenti che il viaggiatore più desidera visitare
all’Avana, per poco che ami i ricordi storici”. A partire da lì si estende
nella descrizione dell’edificio e dei quadri di carattere storico che
tesaurizza. Dice: “Era giusto scendere a tanti dettagli perché questo é l’unico
monumento che ricordi fatti antichi, nell’opulenta città dell’Avana. Invasa, fino
a un certo punto, dal traffico e commercio, ancora instabile nel modo di essere
amministrata, insicura della sua ricchezza e potere, è difficile che si occupi
di altre opere che non siano quelle che le promettono un avvenire felice. Così
che il viaggiatore quì, più che rovine deve cercare semi”.
Solenne
e pomposa
Salas y Quiroga allude alle
tele di Juan Butista Vermay, pittore francese stabilitosi all’Avana, dove morì
a causa della febbre gialla, dopo aver fondato l’Accademia di Pittura di San
Alejandro. Sono opere (un trittico, n.d.t.), sopratutto, di valore storico che
si apprezzano ancora nel Tempietto. Due di esse evocano, con immaginazione, la
celebrazione della prima messa e la prima assemblea; l’altra ricrea la cerimonia inaugurale del monumento in quel
19 marzo 1828. Una cerimonia che la cronaca descrive come solenne e pomposa.
Consistette nella messa che officiò il vescovo Espada con la presenza del
Capitano Generale e le principali autorità civili e militari ed ecclesiastiche,
così come gli abitanti più in vista della città, ebbene il municipio si
incaricò di invitare tutte le corporazioni e persone in vista. Davanti ai
presenti, Espada pronunciò un discorso che lo storico Pezuela qualificò di
erudito. Álvaro de la Iglesia, il celebre autore de Las tradiciones cubanas, nel riferirsi a quest’opera, dice nel suo
libro Cosas de antaño che
all’apertura del Tempietto, Vermay raggiunse tale esattezza nella pittura delle
persone e vestiti che “è una vera e validissima testimonianza storica”.
Poveri e ricchi celebrarono
allo stesso modo l’inaugurazione del Tempietto. Ci fu un’ascensione
aerostatica, la prima che si faceva a Cuba dal 1796 e che apportò
all’aeronauta, giunto da New Orleans, la per niente disprezzabile somma di
15.000 pesos. Ci furono, inoltre, funzioni teatrali, ricevimenti e banchetti
nei palazzi, balli pubblici e privati nei quali si sperperò una fortuna. Dice
Álvaro de la Iglesia che “in fiori, gioielli, banchetti, ostentazione e
allegria il denaro scorse come un fiume in piena e l’Avana sembrava preda della
follia durante dette feste”. Ci fu, per non lasciar perdere, un ballo in una
delle navi della squadra alla fonda nel porto. Una festa per tutti i gusti,
dice de la Iglesia, giacché Vives “prestò grande attenzione a tre basi infallibili
della politica coloniale: ballo, bisca e bottiglia. Popolo che si diverte, non
cospira...”
Il proprio Vives lo dichiara
esplicitamente nel suo rapporto a Madrid: le feste avevano avuto un carattere e
un orientamento apertamente politico, incamminate a distrarre il popolo dalle
lotte emancipatrici che si svolgevano nel continente e per esaltare la pace, la
sicurezza e la prosperità di cui godevano “i fedeli cubani sotto l’impero delle
leggi e del dolce e paterno governo di Sua Maestà”.
El Templete
5 de Marzo del 2016 20:37:56 CDT
Se secó la
ceiba del Templete. Por razones que los especialistas terminarán por explicar,
el árbol al que se le formulaba un deseo mientras se daban tres vueltas a su
alrededor, y que fue sembrado en 1959, ya no está y será sustituido por otro.
Bajo una planta de la misma especie se celebró, el 16 de noviembre de 1519,
según la tradición, la primera misa y el primer cabildo cuando, en esa fecha,
La Habana se asentó en el lugar que ocupa desde entonces.
La ceiba
original que en el lado noroeste de lo que sería la Plaza de Armas vio,
postrados bajo su sombra, a aquellos valerosos colonizadores y que fue durante
décadas testigo único de un hecho histórico y también religioso y poético,
debió ser reemplazada oportunamente a lo largo del tiempo. Cuando en 1754
Francisco Cagigal de la Vega, Gobernador General de la Isla, hizo erigir allí
una columna conmemorativa, ya la ceiba original no existía. Entre 1755 y 1757
tres ceibas se sembraron en lugar de la primigenia. De ellas, dos se secaron al
poco tiempo y la tercera sobrevivió hasta 1827, cuando la mano del hombre la
hizo desaparecer para facilitar la construcción del Templete. Tres nuevas
ceibas se sembraron al año siguiente y de ellas solo arraigó una, que, al
parecer, duró hasta 1959. Dos más se plantaron en 1873 y murieron diez años más
tarde.
Detén el paso, caminante
La memoria de
aquella primera misa y aquel primer cabildo celebrados debajo de la ceiba
hubiese tal vez desaparecido de no haberse ocupado Cagigal de la Vega, en 1754,
de recoger y perpetuar de manera ostensible la tradición. «La iniciativa de
aquel gobernante estuvo fija en el porvenir», escribe el historiador Emeterio
Santovenia. «Gracias a ella pasó a la posteridad una versión que, de otra
manera, pudo experimentar transformaciones o extinguirse por obra del tiempo»,
añade.
La ya aludida
columna conmemorativa del gobernador Cagigal consta de tres caras, las tres
provincias en las que entonces se dividía la colonia, y lucía, en lo alto, una
imagen de la virgen del Pilar. Se leían en ella dos inscripciones alusivas. Una
escrita en latín. La otra en castellano antiguo. Decía esta:
«Fundóse la
villa (hoy ciudad) de La Habana el año de 1515, y al mudarse de su primitivo
asiento a la ribera de este puerto el de 1519, es tradición que en este sitio
se halló una frondosa ceiba bajo de la cual se celebró la primera misa y
cabildo: permaneció hasta el de 1753 que se esterilizó. Y para perpetuar la
memoria, gobernando las Españas nuestro católico Monarca el señor Dn. Fernando
VI, mandó erigir este padrón el señor Mariscal de Campo Dn. Francisco Cagigal
de la Vega, del orden de Santiago, Gobernador y Capitán General de esta Isla,
siendo Procurador General Doctor Dn. Manuel Phelipe de Arango. Año de 1754».
La primitiva
inscripción latina fue sustituida en 1903, al restaurarse la columna por otra
cuyo texto latino es una versión del antiguo. La hizo el doctor Juan M. Dihigo,
a la sazón profesor de latín de la Universidad de La Habana, la única casa de
altos estudios que existía entonces en Cuba, dicho sea de paso. Reza:
«Detén el
paso, caminante; adorna este sitio un árbol, una ceiba frondosa, más bien diré
signo memorable de la prudencia y antigua religión de la joven ciudad (…). Fue
tenida por primera vez la reunión de los prudentes concejales hace ya más de
dos siglos: era conservado por una tradición perpetua; sin embargo cedió al
tiempo. Mira, pues, y no perezca en lo porvenir la fe habanera. Verás una
imagen hecha hoy en la piedra, es decir, el último de noviembre de 1754».
En el primer
frente del triángulo de la columna, que mira al Naciente, hay un relieve del
tronco de la que se supone sea la primera ceiba. Luce con las ramas cortadas,
como si careciera de follaje, como si estuviera seca.
Con el tiempo,
la columna fue desgastándose. Se deterioró lamentablemente ese sencillo
monumento que casi permanecía oculto por las casillas y timbiriches de los
vendedores de todo tipo de artículos que en su cercanía se instalaban.
Las obras
Eso impulsó a
don Francisco Dionisio Vives y Planes, Conde de Cuba, gobernador y Capitán
General de la Isla, a restaurar la columna y a levantar además otro monumento
mayor. Fue criterio suyo y del ayuntamiento habanero realizar una obra durable,
que fuera no solo digna de los hechos que querían perpetuarse, sino también de
la importancia que iba adquiriendo la ciudad. En sesión de 15 de junio de 1827,
el alcalde-presidente del ayuntamiento apuntó la necesidad de atender a la
conservación de la columna de Cagigal y el cuerpo municipal, consciente del
deber en que se hallaba respecto a aquel punto, acordó restaurarla y despejar
sus alrededores de casillas y timbiriches que desdoraban el paraje.
Tomó cuerpo
entonces la idea de un monumento de mayores dimensiones, y en el propio año de
1827 se puso manos a la obra que desde entonces recibió el nombre de Templete.
Vives ordenó a Antonio María de la Torre y Cárdenas, su secretario político,
que se ocupase de todo lo concerniente a los planos y trabajos necesarios, en
lo que contó con la colaboración de José Rodríguez Cabrera, regidor del
ayuntamiento. Debió primar mucho interés en concluir las obras, pues a la
vuelta de pocos meses quedó listo el edificio, en tanto que la columna era
colocada sobre cuatro gradas circulares de piedra y se sustituía la imagen de
la virgen del Pilar que la remataba por otra dorada a fuego, de una vara de
alto.
Con motivo de
la construcción del Templete, el obispo Juan José Díaz de Espada hizo erigir a
sus expensas, muy cerca del edificio, un busto en mármol, con su pedestal, del
almirante Cristóbal Colón, una obra de autor desconocido y pobre ejecución que
aún se conserva. Dentro del recinto cerrado por las verjas que circundan el
Templete quedaron incluidos ese busto, la ceiba y la columna de Cagigal.
Notoriamente neoclásico
El Templete es
el más pequeño y menos vistoso de los edificios que rodean la Plaza de Armas.
Es, sin embargo, la primera obra civil de carácter notoriamente neoclásico con
que contó La Habana. Se alza frente al Palacio de los Capitanes Generales
—actual Museo de la Ciudad— y a la izquierda del Palacio de los Condes de
Santovenia, donde funciona el hotel Santa Isabel. Mide 12 varas de frente y
ocho y media varas por los dos costados, en tanto que su altura es de 11 varas
(una vara equivale a 0.84 metros aproximadamente). Es de estilo griego y está
compuesto de un arquitrabe de seis columnas de capiteles dóricos y zócalos
áticos, y cuatro pilastras más en los costados con otros adornos. Una lápida da
cuenta de su inauguración. Dice:
«Reinando el
señor don Fernando VII, siendo presidente y gobernador don Francisco Dionisio
Vives, la fidelísima Habana, religiosa y pacífica, erigió este sencillo
monumento decorando el sitio donde el año de 1519 se celebró la primera misa y
cabildo. El obispo don Juan José Díaz de Espada solemnizó el mismo augusto
sacrificio el día diez y nueve de marzo de mil ochocientos veinte y ocho».
El Templete,
que cumple este mes 188 años de edificado, es uno de los monumentos más
visitados por cubanos y extranjeros. Parece que así ha sido siempre. El
escritor gallego Jacinto Salas y Quiroga decía en 1840, en su libro de viajes,
que se trataba de «uno de los monumentos que más desea el viajero visitar en La
Habana por poco que ame los recuerdos históricos». A partir de ahí se explaya
en la descripción del edificio y los cuadros de carácter histórico que atesora.
Expresa: «Preciso era descender a tantos detalles porque es este el único
monumento que recuerde antiguos hechos, en la opulenta ciudad de La Habana.
Invadida, hasta cierto punto, por el tráfico y comercio, inestable todavía en
la forma de administración, insegura en su riqueza y poderío, es difícil que se
ocupe en otra especie de obras que aquellas que le prometen un porvenir feliz.
Así que el viajero aquí, más que ruinas, debe buscar gérmenes».
Solemne y pomposa
Salas y
Quiroga alude a los lienzos de Juan Bautista Vermay, pintor francés avecindado
en La Habana, donde murió a causa de la fiebre amarilla, luego de haber fundado
la Academia de pintura de San Alejandro. Son obras, sobre todo, de valor
histórico que todavía se aprecian en el Templete. Dos de ellas evocan, con
imaginación, la celebración de la primera misa y el primer cabildo; la otra
recrea la ceremonia inaugural del monumento aquel, el 19 de marzo de 1828. Una
ceremonia que la crónica describe como solemne y pomposa. Consistió en la misa
que ofició Espada con la asistencia del Capitán General y las principales
autoridades militares, civiles y eclesiásticas, así como los vecinos más
notables de la villa, pues el ayuntamiento se encargó de invitar a todas las
corporaciones y personas distinguidas. Ante los asistentes, Espada pronunció un
discurso que el historiador Pezuela calificó de erudito. Álvaro de la Iglesia,
el célebre autor de las Tradiciones cubanas, al referirse a esa obra, dice en
su libro Cosas de antaño que en la apertura del Templete, Vermay logró tal
exactitud en la pintura de personas y trajes que es «un verdadero y valioso
testimonio histórico».
Pobres y ricos
celebraron por igual la inauguración del Templete. Hubo una ascensión
aerostática, la primera que ocurría en Cuba desde 1796 y que reportó al
aeronauta, que había llegado desde New Orleans, la nada despreciable suma de 15
000 pesos. Hubo, además, funciones teatrales, recepciones y saraos en los
palacios y bailes públicos y privados en los que se derrochó una fortuna. Dice
Álvaro de la Iglesia que «en flores, joyas, banquetes, ostentación y alegría el
dinero corrió como un río desbordado y La Habana pareció presa de la locura
durante dichas fiestas». Hubo, por no dejar de haber, baile en uno de los
navíos de la escuadra surta en puerto. Una fiesta para todos los gustos, dice
De la Iglesia, ya que Vives «prestó gran atención a tres bases infalibles de la
política colonial: baile, baraja y botella. Pueblo que se divierte, no
conspira…».
El propio
Vives lo consigna explícitamente en su informe a Madrid; las fiestas habían
tenido un carácter y una orientación abiertamente políticos, encaminados a
distraer al pueblo de las luchas emancipadoras que se libraban en el continente
y a exaltar la paz, la seguridad y la prosperidad que disfrutaban «los fieles
cubanos bajo el imperio de las leyes y del suave y paternal gobierno de Su
Majestad».
domenica 6 marzo 2016
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