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martedì 22 marzo 2016

Ultimo atto ufficiale (?!) di Obama all'Avana, la diplomazia del Baseball


Dopo una lunga e paziente attesa davanti allo stadio Latinoamericano, ho avuto la magra consolazione di poter dire; “quel giorno c’ero anch’io”. Il servizio di sicurezza sempre vigile, era meno opprimente che sulla Plaza e non poteva essere diversamente. Credo che tutto sia andato liscio con la predisposizione della viabilità per l’interminabile corteo che precedeva e seguiva l’auto presidenziale. Prima del suo arrivo si sono succedute altre file di veicoli di tutte le ambasciate accreditate a Cuba e di molti personaggi di spicco invitati all’incontro che non era accessibile ad un pubblico pagante.

L’attesa non è stata completamente vana dal momento che, almeno, sono riuscito a riprendere l’auto presidenziale e in un dettaglio si intravede un’ombra che mi da tutta l’impressione che si tratti proprio di lui.

Dopo la "diplomazia del Ping pong" inaugurata da Nixon è arrivata l'ora della "diplomazia del Baseball"...






Ricevo e pubblico dall'amico Luca Lombroso

ciao Aldo
come va, hai incontrato Obama?

ti giro questo articolo, l’idea è veramente bella, possibilità di realizzarsi, credo prossime allo zero assoluto…. ma chissà…. magari, se vedi Obama, proponilo :-) !
saluti,
Luca Lombroso

R.: per Obama ne parlo in altri post, per il resto, sognare non costa niente, comunque sarebbe bello e possibile.



Trasformiamo Guantanamo in un ponte ecologico di pace
Trasformiamo Guantanamo nella “Woods Hole dei Caraibi”: in un grande centro di ricerca specializzato in biologia ed ecologia del mare, con annesso parco della pace e un’ampia area di conservazione della biodiversità.
Barack H. Obama si accingeva a partire per Cuba, primo presidente degli Stati Uniti a mettere piede sull’isola 88 anni dopo la visita effettuata da Calvin Coolidge nel 1928, quando venerdì 18 marzo Science, la rivista dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), la più grande associazione scientifica del mondo,
pubblicava la proposta – o meglio, l’appello – con cui Joe Roman, del Gund Institute for Ecological Economics, della University of Vermont di Burlington, e di James Kraska, dello Stockton Center for the Study of International Law, dello U.S. Naval War College di Newport, gli ricordava l’impegno, riproposto di recente, di chiudere la controversa prigione aperta dopo l’11 settembre 2001 presso la U.S. Naval Station Guantánamo Bay. Trasformiamo questo impegno e il nuovo clima nei rapporti tra Stati Uniti e Cuba in un’opportunità. Usiamo l’ecologia come ponte di pace.
L’analisi di Roman e Kraska è, insieme, storica, politica e scientifica. I due ricercatori ricordano che gli Stati Uniti sono a Guantanamo da oltre cento anni, che il loro avamposto di 117 km2 è sopravvissuto, anzi, si è consolidato nel corso della guerra fredda ed è stato trasformato in una base della marina militare. All’interno di questa base dopo l’11 settembre è stata allestita una prigione in cui le leggi vigenti negli Stati Uniti sono sospese. Barack Obama vuole chiudere la prigione. Ma Cuba rivendica la piena sovranità sulla baia e gli Stati Uniti sanno che, prima o poi, dovranno lasciarla.
Di qui la proposta: trasformiamola subito in un centro di ricerca ecologica e in un luogo di collaborazione scientifica, che è il modo migliore per sviluppare la diplomazia della pace. Non sarebbe, dicono i due ricercatori americani, una forzatura. Ci sono molti presupposti.
Intanto una certa attitudine dei cubani. Fin dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) di Rio de Janeiro il governo dell’Avana ha iniziato a prestare molta attenzione ai temi ambientali, con un’attenzione particolare non solo ai cambiamenti climatici ma anche alla biodiversità.
Sull’isola sono molte, ormai, le zone protette. E, dunque, non desta meraviglia se il Jardines de la Reina (il Giardino della Regina), creato da Cuba nei mari che la circondano sia il più grande parco marino dei Caraibi.
C’è poi una comune condivisione del ruolo dell’ecologia. Non è neppure un caso, infatti, se tra i primi momenti di collaborazione tra Stati Uniti e Cuba ci sia la creazione, decisa alla fine del 2015, di luoghi di protezione e conservazione ecologiche comuni, che includono lo statunitense Florida Keys National Marine Sanctuary e il cubano Parque Nacional Península de Guanahacabibes.
Infine ci sono dei motivi scientifici diretti. La baia di Guantanamo è un ricco scrigno di biodiversità.
Se la base navale viene rimossa, le ricchezze contenute in questo scrigno possono essere non solo conservate ma anche arricchite.
L’area, ricordano Roman e Kraska, ospita molte specie endemiche, a iniziare dall’iguana cubana (Cyclura nubila); è un rifugio ideale per il manato delle Indie occidentali (Trichechus manatus); è un’area di nidificazione di una tartaruga (Chelonia mydas) in via di estinzione e un ottimo base per la Eretmochelys imbricata, un’altra tartaruga a rischio; sulla terraferma c’è un tipo di foresta, la tropicale secca, piuttosto rara a Cuba, mentre le spiagge sabbiose e le acque marine si trovano foreste di mangrovia, coralli e alghe di vario genere. Di particolare rilievo il granadillo (Brya ebenus, un albero tipico di Cuba e della Giamaica) e l’aragosta Panulirus argus. Tutte specie da difendere. Ma, sostengono i due ricercatori americani, ci sono anche specie aliene da cui difendersi: come il pesce leone (genere Pterois), il pesce gatto africano (Clarius gariepinus) o il marabou (Dichrostachys cinerea). Sono pesci che minacciano gli ecosistemi marini di entrambi i paesi e Stati Uniti e Cuba potrebbero iniziare a contrastarne l’invadenza insieme, partendo da Guantanamo.
La proposta di Roman e Kraska va, probabilmente, meglio formulata. Come ha notato Ferdinando Boero, biologo marino dell’università del Salento e dell’Istituto di scienze marine del Cnr, nonché presidente del consiglio scientifico di quella Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli che ha ispirato la creazione dei laboratori di Woods Hole, si parla di parco marino, di genetica, di sorveglianza via satellite, ma non si parla di ricerca sul campo. Ma, per ora questi sono dettagli.
Il messaggio forte è che la ripresa dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba può essere facilitata dalla scienza e dalla consapevolezza ecologica. E, ancora una volta non a caso, i due ricercatori americani fanno appello a papa Francesco perché sponsorizzi la proposta che è in linea sia con la “riconversione ecologica” auspicata con l’enciclica Laudato si sia con la mediazione politica risultata determinante per il riavvicinamento tra l’Avana e Washington, dopo quasi sessant’anni di incomunicabilità.

luca lombroso


Dizionario del mare per lupi di terra

ANTEMURALE: marciapiedi prospiciente la pittura di un "writer"

Anche oggi settori e orari "blindati"?

È comprensibile, la massima prudenza in un caso come quello della visita di Obama A Cuba, ma personalmente credo che si ecceda un pochino nello zelo. Ieri mattina negli orari più vicini al passaggio del corteo era impossibile transitare, anche a piedi, per vaste aree adiacenti alla zona del previsto transito. Non parliamo di sostare, sempre a piedi. Almeno un paio d'ore prima dell'arrivo alla Plaza della Revolución dell'ospite, sono stato fatto sloggiare da tre o quattro posti e invitato a spostarmi..."verso laggiù..." quando mi sono stancato di bighellonare inutilmente in cerca di un posto...lontano, ma con vista al mausoleo, mi sono diretto verso casa e a questo punto sono stato richiamato,mentre mi stavo allontanando dalla zona, da un agente in uniforme che mi ha richiesto l'identificazione e ne ha preso nota su un libriccino. La prudenza e l'attenzione devono essere massime, ma credo che anche il "massimo" abbia un certo limite. Io abito a due isolati dalla calle 20 de Mayo e circa 5 dallo stadio Latinoamericano. Mi sarà possibile, oggi, sostare per vedere (almeno) il passaggio del corteo? Fra l'altro il previsto incontro di baseball a cui assisterà Obama è previsto "nel pomeriggio", in questo momento hanno annunciato televisione "circa alla 1.30 del pomeriggio", finora l'orario era "segreto".
In questo momento si sta recando al Gran Teatro dell'Avana Alicia Alonso per un incontro con settori produttivi della società cubana. Bisogna riconoscere e non c'era dubbio, che la copertura televisiva è ampia ed eccellente.

lunedì 21 marzo 2016

Prima mattina di lavori di Obama a Cuba

In una interessante conferenza stampa trasmessa in diretta dalla TV Cubana e dal canale TeleSur, i due presidenti hanno ribadito la volontà di continuare il cammino per un riavvicinamento e la comprensione reciproca. Ho trovato interessante la dichiarazione di Obama quando ha detto che “riprenderanno i ferry e le crociere”. Sarebbe bello sapere quando, ma ho l’impressione che Cuba non sia pronta con le infrastrutture anche se nella zona del porto i lavori procedono alacremente.
Si è anche detto che si cercherà di ampliare il servizio di Internet dal momento che nel secolo XXI, non è concepibile uno sviluppo senza questo strumento...

Questa mattina, in una giornata nuvolosa e con un fastidioso vento di tramontana, ho cercato di vedere se potevo “rubare qualche immagine anche se da centinaia di metri. Impossibile, l’imponente servizio di sicurezza teneva sgombra l’area per centinaia di metri attorno al Memorial Martí e alle strade in cui doveva muoversi il corteo. Sono anche stato fermato per controllo dei documenti....

L'ospite atteso è arrivato

Come si sarà visto in tutto il mondo, grazie alle riprese della televisione cubana, alle 16.20, ora locale, l'aereo con la famiglia Obama e alcuni membri della delegazione che lo accompagna è atterrato all'aeroporto José Martí. Appena il velivolo è giunto alla piazzola di sosta ha iniziato a cadere una pioggerella che si è rapidamente trasformata in temporale. Cosa che non ha impedito una breve visita al centro storico della Capitale e della Cattedrale dove, gli ospiti erano attesi dal Cardinale Jaime Ortega y Gassét, Arcivescovo dell'Avana.
Da oggi, inizia la parte ufficiale del viaggio per il Presidente, mentre la famiglia sarà accompagnata a visite sociali a cura della Federazione delle Donne Cubane.
per il resto, credo che mezzi di informazione ben più potenti e importanti del presente saranno in grado di fornire maggiori dettagli dell'importante avvenimento. 

domenica 20 marzo 2016

E oggi arriva Obama...

Forse sarà banale dire che oggi è una giornata storica, ma per Cuba e non solo lo è certamente. Nel pomeriggio, ad ora indeterminata (sera o notte in Europa) atterrerà a Rancho Boyeros l'Air Force One. con una numerosa comitiva al seguito del Presidente. Oltre alla famiglia al completo vi saranno diversi dignitari e personaggi politici di alto rango.
L'Avana e tutta Cuba sono pronte a ricevere col rispetto dovuto colui che viene definito l'uomo più importante del mondo, almeno durante la carica che ricopre...certo ha fatto più lui in circa un anno e mezzo (ufficialmente) che tutti i suoi predecessori in mezzo secolo.
Al sottoscritto rimane il rimpianto, per imperdonabile pigrizia mentale e ignoranza, di non aver presentato domanda entro il 15 scorso per poter essere accreditato all'evento come "freelance". Chi sbaglia paga. Spero di aver la soddisfazione di vedere il corteo quando si recherà allo stadio che è vicino a casa mia.

sabato 19 marzo 2016

Dizionario del mare per lupi di terra

ANIMA: entità incorporea

giovedì 17 marzo 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

ANEMOMETRO: misuratore di anime

Servizio postale diretto

Il più volte ristabilimento del servizio postale, finalmente ha raggiunto la possibilità di effettuarsi con un volo diretto che è arrivato all'Avana ieri, proveniente da Miami e che avrà una frequenza di tre volte la settimana.
Nel frattempo è stato annunciato un arrivo anticipato del Presidente Obama che in forma "privata", domenica visiterà luoghi significativi ed emblematici della capitale, lasciando le cerimonie ufficiali a partire da lunedì.
Le nuove misure annunciate, sono considerate importanti, ma tutte da verificare e comunque insufficienti a una "piena normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi.

mercoledì 16 marzo 2016

Primarie presidenziali e nuovi rapporti Usa-Cuba



Il senatore per la Florida, Marco Rubio, ha perso “in casa” con il plurimilionario Donald Trump le elezioni alle primarie presidenziali per il Partito Repubblicano col 27 contro il 45% dei voti. Una sconfitta che lo ha deciso a ritirarsi dalla competizione per la Casa Bianca.
È segno evidente che i tempi sono cambiati anche nello Stato più anticastrista degli USA, la campagna politica di Rubio, impostata prevalentemente sul voler disfare quanto sta costruendo Obama nei rapporti con Cuba e tornare a un passato che non avvantaggerebbe nessuno, non ha pagato.
Certo la “soddisfazione” è mitigata dalla vittoria dell’energumeno, xenofobo, razzista e conservatore nel senso più dispregiativo del termine, Donald Trump. Intelligentemente non ha mai espresso chiaramente le sue intenzioni nel futuro delle relazioni con Cuba. Di certo non sembrano incoraggianti col resto del mondo e le classi più deboli all’interno degli stessi Stati Uniti.
Da parte sua, Obama, alla vigilia del suo arrivo a Cuba ha decretato nuovi alleggerimenti al “bloqueo”, il più importante dei quali è la possibilità, per Cuba, di utilizzare il dollaro statunitense nelle transazioni commerciali. Una scelta veramente importante dal punto di vista finanziario e che alleggerisce i costi d’importazione per Cuba.  Inoltre ha dato la possibilità dei nordamericani che visitano Cuba stando nelle 12 “categorie” del programma “People to People”, di poterlo fare in forma individuale e non più obbligati a formare gruppi. Tra le righe sembra un preludio alla eliminazione di qualsiasi restrizione di viaggio, verso l’Isola caraibica, per i cittadini statunitensi in vista dell’apertura dei voli commerciali di linea nel prossimo settembre.
Intanto l'Avana "si fa bella" nei luoghi che si suppone percorra Obama durante la sua visita. Squadre di muratori e imbianchini stanno mettendo a nuovo gli edifici, mentre le strade vengono asfaltate e completate con segnaletica orizzontale. In modo particolare la 20 de Mayo che da accesso allo stadio Latinoamericano, dove il 22 si attende il lancio della prima palla da parte del presidente nordamericano nell'incontro di baseball Cuba - Tampa Bay. Lo stesso stadio è sottoposto a cura intensiva per la rimessa a nuovo...o quasi.


Dove si suppone che passi:





Dove si suppone che non passi:




Ultimi ritocchi allo stadio

martedì 15 marzo 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

ANCOROTTO: richiesta di altri otto

lunedì 14 marzo 2016

Revillagigedo, di Ciro Bianchi Ross


Pubblicato su Juventud Rebelde del 10/3/16

Lo scriba non crede che siano molti gli avaneri che sappiano che la calle Revillagigedo, in questa capitale, debba il suo nome a un governatore spagnolo dalla mano dura, le cui eccellenti doti come governante si videro eclissate per un’ambizione e un’altaneria censurabili che fecero si che si guadagnasse l’epiteto di “il tiranno”. Assunse il comando dell’Isola il 18 marzo del 1734 e durante gli 11 anni che si mantenne come governatore generale della Colonia, fu immune alle critiche e denunce del patriziato creolo, alla minaccia degli inglesi nella loro infinita guerra contro la Spagna ed anche alle malattie. Quando i suoi nemici pensarono che non si riprendesse da un attacco apoplettico fulminante che lo paralizzò e lo mise sulla soglia della morte, lo videro tornare alla casa del Governo più grasso e colorito di prima e più disposto che mai a continuare ad arricchirsi con i vantaggi del potere e a far tremare di rabbia quelli che non lo amavano. Quando giunse all’Avana la notizia che lo avevano destituito dall’incarico, ai suoi rivali si congelò l’allegria venendo a sapere che lo avevano nominato viceré del Messico.
Il maresciallo di campo Juan Francisco Güemes de Horcasitas, primo conte di Revillagigedo, titolo che gli conferì la Corona durante il suo comando a Cuba, è il protagonista di questa storia.
La cronaca lo descrive come un uomo dall’aspetto terribile, occhi dominatori, unghie molto lunghe e spesse sopracciglia sugli occhi da imporre paura ai suoi nemici.
“Solamente col presentarsi a cavallo nella piazza soffocò un ammutinamento in Messico, essendo viceré”, ricorda Álvaro de la Iglesia in una delle sue Tradiciones cubanas. Non era solo coraggioso, ma lo dimostrava sempre quando si presentasse l’occasione per farlo. Non si lasciò imporre da nessuno e chi osasse minacciarlo vinceva la lotteria senza aver comprato il biglietto perché compiva la sua minaccia o andava in carcere a pentirsene.
Il conte di Revillagigedo sostituì al Governo il brigadiere Dionisio Martínez de la Vega. Giunse a Cuba in un’epoca in cui il contrabbando che conquistava il diritto di legittimità e le immoralità amministrative mantenevano esausto il tesoro dell’Isola. Per compiacenze e riguardi della prima autorità le rendite della Colonia, si trovavano in estremo collasso e la condotta dei funzionari subalterni non era migliore.
Álvaro de la Iglesia scrive:
“Dentro quella razza di disordine, è chiaro che chi arrivasse con spinte moralizzatrici, se non moriva di un colpo come successe al santo vescovo Montiel, moriva diffamato o gli elevavano un monumento di calunnie tale da fargli perdere i capelli in prigione. Ma Güemes era un asturiano dai mille diavoli per cui gli era indifferente che parlassro bene o male di lui, molto soddisfatto che non fosse nato un uomo che osasse guardare di traverso il conte di Revillagigedo”.
La real compagnia
Si necessitava una mano forte per porre fine ai molti e gravi  mali della Colonia.  E questa fu la mano di Juan Francisco Güemes de Horcasitas. Cominciò con castigare abusi e peculati. Nominò tenenti capaci, per attitudini e severità, di incamminare l’ordine in giurisdizioni dell’importanza di Puerto Príncipe, Sancti Spíritus e San Juan de los Remedios. Sottomise alla sua potestà il Governo di Santiago de Cuba. I 22 bandi che il Governo emise per dettare la disciplina all’amministrazione e l’ordine pubblico della Colonia, sono prove delle sue eccellenti doti di comando.
Revillagigedo regolò la pulizia delle strade e degli spazi pubblici, così come del porto avanero. Trasferì il mattatoio in luogo adeguato, fu implacabile con queli che esageravano coi prezzi e speculavano coi prodotti agricoli. Favorì la riapertura dell’ospedale di San Lázaro, riorganizzò il Municipio e regolarizzò la giustizia. Ristabilì l’impero della legge. Molte furono le sue misure efficaci contro chi si beffava del fisco.
Lo si considera il vero fondatore della Reale Compagnia di Commercio dell’Avana che per oltre 20 anni mantenne il più mostruoso monopolio delle produzioni cubane.
La ricchezza dell’Isola andava aumentando e siccome il settore del tabacco aveva riportato grandi ricchezze in Spagna, diversi commercianti spagnoli e alcuni coltivatori creoli accalorarono l’idea di monopolizzare tutto il commercio della Colonia. Fu così che accordarono di costituire la Reale Compagnia di Commercio dell’Avana, autorizzata dal Re, con la raccomandazione preventiva del conte di Revillagigedo. Al fine di ottenere i maggiori privilegi, l’entità nascente dette al monarca e al governatore la partecipazione ai guadagni. Ottenne prima il monopolio del tabacco e un anno dopo quello di tutto il commercio d’importazione ed esportazione dell’Isola.
Il Governo concesse alla Compagnia il privilegio di introdurre in Spagna, esenti da dazi, i prodotti del Paese - cuoio, legname, zucchero, miele... - e quello di importare articoli di consumo. In cambio si vide obbligata a costruire navi per la marina da guerra e quella mercantile, di rifornire le navi da guerra che ormeggiassero nel porto dell’Avana e di mantenere dieci imbarcazioni armate per combattere il contrabbando e proteggere le navi che realizzavano il traffico tra il porto di Cadice e l’Avana. Ebbe anche a suo carico il commercio degli schiavi.
I risultati della Compagnia furono l’arricchimento smisurato dei commercianti spagnoli e di alcuni pochi possidenti creoli dell’Avana. Nel resto dell’Isola si sopportarono i privilegi della Compagnia, dovendo pagare a prezzi elevatissimi gli articoli d’importazione e vendere a prezzi miserabili i propri prodotti. Le assemblee delle città dell’interno si stancarono di inviare proteste alla metropoli (spagnola, n.d.t.) chiedendo la cessazione della Compagnia. Si dovette attendere che gli inglesi si impadronissero dell’Avana, nel 1762, molti anni dopo che il conte di Revillagigedo fosse uscito dal potere. Allora gli occupanti britannici si impossessarono di tutte le proprietà della Compagnia alla quale, Carlos III darà il colpo di grazia nel decretare le franchige nel 1765.
Ma prima si arricchirono i possidenti dell’Avana e quei possessori di zuccherifici che avevano azioni della Reale Compagnia. Per capire la lucratività dei suoi affari, basti dire che un barile di farina o di grano comprato in Spagna per 5 o 6 pesos era venduto all’Avana per 35 o 36 pesos.
Il governatore Juan Francisco Güemes de Horcasitas, propiziatore ufficiale del monopolio della Reale Compagnia, si arricchì con la sua partecipazione nell’affare. Ricevette il titolo di conte e giunse all’ambito incarico di viceré del Messico.
Da allora, l’incarico di capitano generale e di governatore di Cuba si convertì in una posizione molto ambita.
Il vassallo più ricco
Il conte di Revillagigedo era avaro e rapace, Questo era, dice Álvaro de la Iglesia, il suo difetto maggiore. Quando si presentava un affare nel quale vedeva la possibilità di guadagnare, lo approvava anche sapendo che poteva essere causa di scandalo. L’enorme fortuna che giunse ad accaparrare in questo modo, gli permise di creare in Spagna un azienda per ognuno dei suoi figli ed erano diversi, mentre ne La Gazzetta d’Olanda si qualificava come il “vassallo più ricco che aveva Ferdinando VI”.
Revillagigedo rubava, ma non lasciava rubare. Se avesse fatto finta di niente con i ladri e malversatori che lo circondavano, nessuno avrebbe detto mezza parola contro di lui. Ma lui la vedeva in altro modo, suscitando contro di se e tutti i suoi atti di Governo una tempesta di censure e anche di calunnie. Le denunce contro di lui si ripetevano, ma a Madrid compresero che anche se il conte rubava, i redditi di Cuba non avrebbero mai raggiunto la somma di quello che egli rimetteva dall’Avana. A questo si univa la sua difesa adeguata dell’Isola, ebbene teneva in scacco le armate nemiche. Da quì che Madrid lo mantenesse nel suo incarico contro venti e maree.
I suoi nemici nominarono l’avvocato Lorenzo Hernández Tinoco come una specie di accusatore privato contro Güemes e Güemes, senza perdere tempo lo deportò in Spagna. Non gli restava altro da fare che chiedere al cielo cho lo fulminasse, com’era successo in quei giorni a un vascello nella baia avanera.
Non venne fulminato, ma un attacco apoplettico sembrò che lo mettesse fuori gioco in modo definitivo. I suoi nemici cantarono vittoria, senza contare sulla resistenza dell’asturiano. La famiglia Chacón lo portò nei suoi possedimenti di Santa María del Rosario e le acque medicinali del posto fecero in modo che si ristabilisse in un mese. Tornò all’Avana disposto a continuare ad arricchirsi e a far inferocire sempre di più i suoi nemici.
Álavaro de la Iglesia dice che nei giorni della sua grave malattia circolò un detto popolare che alludendo ala sua meschina avarizia diceva:
“Né conte né marchese; Juan é”. “Più che degli attacchi di cui fu oggetto, a Revillagigedo dovette far male quel detto che correva di bocca in bocca, da quel momento divenne più acido e temibile di prima, mettendo in guardia i suoi persecutori che lo temevano come il colera”.
Lo appresi da mio padre
Suo figlio maggiore, Juan Vicente Güemes Pacheco, secondo conte di Revillagigedo, nato all’Avana nel 1738, fu pure viceré del Messico, il viceré numero 52 che governò quel Paese per cinque anni. A otto giorni scarsi dall’aver assunto il suo incarico condannò a morte gli assassini di un agiato commerciante. Il suo procedere gli dette fama di giusto.
Modificò l’amministrazione pubblica e trasformò intendenze e tribunali, cosa che permise una manovra più efficiente della Colonia. Fondò varie scuole, fra di esse il Reale Collegio di Mineraria. Ai suoi tempi la Città del Messico si rimodernò e si eressero nuovi edifici. Il municipio della città lo citò a giudizio per illecito, ma i suoi accusatori furono obbligati a pagare le spese del processo nel domostrarsi l’innocenza del viceré. Morì a Madrid nel 1799.


Revillagigedo

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
12 de Marzo del 2016 20:42:38 CDT


No cree el escribidor que sean muchos los habaneros que sepan que la calle Revillagigedo, en esta capital, deba su nombre a un gobernador español de mano dura, cuyas excelentes dotes como gobernante se vieron eclipsadas por una codicia y una altivez censurables y que hicieron que ganara el epíteto de «tirano». Asumió el mando de la Isla el 18 de marzo de 1734 y durante los 11 años que se mantuvo como gobernador general de la Colonia fue inmune a las críticas y denuncias del patriciado criollo, a la amenaza de los ingleses en su inacabable guerra contra España e incluso a la enfermedad. Cuando sus enemigos pensaron que no se repondría de un ataque de apoplejía fulminante que lo paralizó y lo puso a las puertas de la muerte, lo vieron regresar a la casa de Gobierno más gordo y colorado que antes y más dispuesto que nunca a seguirse enriqueciendo con los gajes del poder y a hacer temblar de rabia a los que no lo querían. Cuando llegó a La Habana la noticia de que lo habían cesado en el cargo, a sus rivales pronto se les congeló la alegría al enterarse de que lo habían nombrado virrey de México.

El mariscal de campo Juan Francisco Güemes de Horcasitas, primer conde de Revillagigedo, título que le otorgó la Corona durante su mando en Cuba, es el protagonista de esta historia. La crónica lo describe como un hombre de aspecto terrible, ojos dominadores y uñas tan largas y espesas cerdas sobre los ojos que imponía miedo a sus mismos enemigos.
«Solo con presentarse a caballo en la plaza sofocó un motín en México, siendo virrey», recuerda Álvaro de la Iglesia en una de sus Tradiciones cubanas. No solo era valiente, sino que lo demostraba siempre que se le presentara ocasión para ello. No se dejó imponer de nadie y el que osara amenazarle se sacaba la lotería sin haber comprado el billete, porque cumplía su amenaza o iba a arrepentirse de ella en la cárcel.

El conde de Revillagigedo sustituyó en el Gobierno al brigadier Dionisio Martínez de la Vega. Llegó a Cuba en una época en que el contrabando, que conquistaba carta de legitimidad, y las inmoralidades administrativas tenían exhausto el tesoro de la Isla. Por complacencias y miramientos de la primera autoridad las rentas de la Colonia se hallaban en abatimiento extremo y no era mejor la conducta de los funcionarios subalternos.

Escribe Álvaro de la Iglesia:

«Dentro de aquel medio de desorden, claro está que quien llegara con pujos moralizadores, si no moría de un jicarazo, como ocurrió con el santo obispo Montiel, moría difamado o le levantaban un monumento de calumnias capaz de hacerle perder el pelo en presidio. Pero Güemes era un asturiano de mil demonios que tanto le daba que hablaran de él bien como mal, muy satisfecho de que por delante no había nacido hombre que se atreviera a mirar atravesado al conde de Revillagigedo».

La real compañía


Se requería de una mano fuerte para poner coto a los muchos y graves males de la Colonia. Esa fue la mano de Juan Francisco Güemes de Horcasitas. Empezó por hacer castigar abusos y peculados. Nombró tenientes, capaces por sus actitudes y severidad, de encauzar el orden en jurisdicciones de la importancia de Puerto Príncipe, Sancti Spíritus y San Juan de los Remedios. Sometió a su potestad al Gobierno de Santiago de Cuba. Los 22 bandos que en el curso de 11 años de Gobierno dictó para disciplinar a la administración y el orden público de la Colonia son prueba de sus excelentes condiciones de mando.

Revillagigedo reguló la limpieza de las calles y de los espacios públicos, así como del puerto habanero. Trasladó el matadero a un lugar apropiado y fue implacable con los que exageraban los precios y especulaban con los productos del agro. Favoreció la apertura del hospital de San Lázaro, reorganizó el Ayuntamiento y regularizó la justicia. Restableció el imperio de la ley. Fueron muy eficaces sus medidas contra los que burlaban el fisco.

Se le considera el verdadero fundador de la Real Compañía de Comercio de La Habana, que durante más de 20 años llevó a cabo el más monstruoso monopolio con las producciones cubanas.

La riqueza de la Isla iba en aumento y como el estanco del tabaco había reportado a España grandes riquezas, varios comerciantes españoles y algunos hacendados criollos calorizaron la idea de monopolizar todo el comercio de la Colonia. Fue así que acordaron constituir la Real Compañía de Comercio de La Habana, que fue autorizada por el Rey con la recomendación previa del conde de Revillagigedo. Con el fin de obtener los mayores privilegios, la naciente entidad dio al monarca y al gobernador participación en las ganancias. Obtuvo primero el monopolio del tabaco y un año después el de todo el comercio de importación y exportación de la Isla.

El Gobierno concedió a la Compañía el privilegio de introducir en España, libre de derechos, los productos del país —cuero, madera, azúcar, miel…— y el de importar artículos de consumo. A cambio, se vio obligada a construir barcos para la marina de guerra y la mercante, de abastecer los barcos de guerra que fondearan en el puerto de La Habana y de mantener diez embarcaciones armadas para perseguir el contrabando y proteger a los barcos que realizaban el tráfico entre los puertos de Cádiz y La Habana. También tuvo a su cargo el comercio de esclavos.

Los resultados de la Compañía fueron el enriquecimiento desmedido de comerciantes españoles y de algunos pocos hacendados criollos de La Habana. En el resto de la Isla se soportaron los privilegios de la Compañía, teniendo que pagar a precios elevadísimos los artículos de importación y vender sus productos a precios de miseria. Los cabildos de ciudades del interior se cansaron de enviar quejas a la metrópoli demandando el cese de la Compañía. Hubo que esperar a que los ingleses se apoderaran de La Habana, en 1762, muchos años después de que el conde de Revillagigedo saliera del poder. Entonces los ocupantes británicos se apoderaron de todas las propiedades de la Compañía, a la que Carlos III daría el tiro de gracia al decretar las franquicias en 1765.

Pero antes se enriquecieron los hacendados de La Habana y aquellos dueños de ingenios que poseían acciones en la Real Compañía. Para comprender lo lucrativo de su negocio baste decir que un barril de harina de trigo comprado en España por cinco o seis pesos era vendido en La Habana en 35 o 36 pesos.

El gobernador Juan Francisco Güemes de Horcasitas, propiciador oficial del monopolio de la Real Compañía, se enriqueció con su participación en el negocio. Recibió el título de conde y llegó al codiciado cargo de virrey de México.

Desde entonces, el cargo de capitán general y de gobernador de Cuba se convirtió en una posición muy codiciada.

El vasallo más rico

El conde de Revillagigedo era avaro y rapaz. Era ese, dice Álvaro de la Iglesia, su mayor defecto. Cuando se presentaba un negocio en el que veía la posibilidad de ganar, lo acometía aunque supiera que sería causa de escándalo. La enorme fortuna que llegó a acaparar por esa vía le permitió crear en España un mayorazgo para cada uno de sus hijos, y fueron varios, mientras que en La Gaceta de Holanda se le calificaba como «el vasallo más rico que tenía Fernando VI».

Revillagigedo robaba, pero no dejaba robar. Si hubiese hecho la vista gorda con los ladrones y malversadores que lo rodeaban, nadie hubiera dicho media palabra en su contra. Pero él lo entendió de otra forma, suscitando contra su persona y todos sus actos de Gobierno una tempestad de censuras y aun de calumnias. Se repetían las denuncias en su contra, pero en Madrid comprendieron que si el conde robaba, las rentas de Cuba no habían alcanzado nunca antes el monto de lo que él remitía desde La Habana. A eso se unía su adecuada defensa de la Isla, pues tenía a raya a las armadas enemigas. De ahí que Madrid lo mantuviera en su cargo contra viento y marea.

Nombraron sus enemigos al abogado Lorenzo Hernández Tinoco como una especie de acusador privado contra Güemes, y Güemes sin perder tiempo lo deportó a España. No les quedaba ya nada que hacer como pedir al cielo que lo partiera un rayo, al igual que le había sucedido en esos días al navío Invencible en la bahía habanera.

No lo partió el rayo, pero un ataque de apoplejía pareció que lo sacaría del juego de manera definitiva. Cantaron victoria sus enemigos, que no contaron con la resistencia del asturiano. La familia Chacón lo llevó a sus predios de Santa María del Rosario y las aguas medicinales del lugar hicieron que se restableciera en un mes. Volvió a La Habana dispuesto a seguir enriqueciéndose y a hacer rabiar aún más a sus enemigos.

Dice Álvaro de la Iglesia que por los días de su grave dolencia fue que circuló un dicho popular que aludía a su mezquina avaricia. Decía:
«Ni conde ni marqués; Juan es». «Más que los ataques de que había sido objeto, debió dolerle a Revillagigedo aquel dicho que corría de boca en boca, pues desde entonces se hizo aún más avinagrado y terrible que antes, poniendo en cuidado a sus perseguidores, que le temían como al cólera».

Pasó el tiempo. Los que seguían en espera de verlo caer, creyeron volverse locos al saber que Juan Francisco Güemes de Horcasitas era nombrado virrey de México.

De mi padre lo aprendí

Su hijo mayor, Juan Vicente Güemes Pacheco, segundo conde de Revillagigedo, nacido en La Habana en 1738, fue también virrey de México, el virrey número 52 que gobernó ese país durante cinco años. A escasos ocho días de haber asumido su mandato condenó a muerte a los asesinos de un acaudalado mercader. Su proceder le ganó fama de justo.
Modificó la administración pública y transformó intendencias y tribunales, lo que permitió un manejo más eficiente de los recursos de la Colonia. Fundó varias escuelas, entre estas el Real Colegio de Minería. En su tiempo la ciudad de México se remozó y se levantaron nuevos edificios. El Ayuntamiento de la ciudad le formó un juicio de residencia, pero sus acusadores fueron obligados a pagar los gastos del proceso al demostrarse la inocencia del virrey. Murió en Madrid en 1799.

Ciro Bianchi Ross



Dizionario di mare per lupi di terra

ÁNCORA: richiesta di chi vuole dìpiu

sabato 12 marzo 2016

Dizionario di Mare per lupi di terra

AMMIRAGLIO: amante dei sapori forti

venerdì 11 marzo 2016

Ricevo una mail una gentile lettrice interessata a Cuba e al turismo sull'Isola

Una gentile lettrice del blog con interesse verso Cuba anche per motivi di studio, fra le altre mail intercambiate mi ha mandato anche questa a cui ho risposto.

Ovviamente non cito i suoi dati per intero, senza la sua autorizzazione, ma mi sembra opportuno pubblicare i suoi quesiti che probabilmente saranno di tanti e come la vedo io personalmente, credo che anche la mia opinione sia quella di tanti altri.

De: Giulia

Enviado el: venerdì 11 marzo 2016 10.25
Para: aldo abuaf
Asunto: Re: "saggio"

Gentile Aldo facendo riferimento al passato e ho visto che è stato molto dettagliato dato la sua esperienza , secondo lei cosa mi sa dire del turismo di massa che sta per avvenire ad oggi a Cuba , dopo che il presidente degli USA Obama ha dichiarato che presto sarà disposto a togliere quasi del tutto l'embargo ? Cosa ne sarà di Cuba vieja ? Lei che ne pensa ? Diventerà un paese monopolio delle grandi industrie e catene americane ? Cioè immagina un Mc Donald all avana ?!?!?!


Gentile Giulia,

Il quesito che mi propone è veramente impegnativo per chi non ha doti da indovino o la Verità in tasca. Comunque dato che mi chiede il mio parere le dirò come la penso.
In primo luogo la volontà di Obama non dipende solo da lui e bisognerà vedere chi gli succederà come la pensa. Ovviamente nel breve, medio tempo. Indubbiamente l’embargo non credo che esista per l’eternità e con tutta probabilità anche molto prima dl Giudizio Universale. Parafrasi a parte, credo che tutti i politici nordamericani, prima o poi, si rendano conto che è un atteggiamento inutile e controproducente per tutti, in un mondo sempre più globalizzato. Il problema, nell’attualità, è un altro: Obama e molti altri come la stragrande maggioranza dei democratici oltre a una discreta minoranza dei repubblicani stanno pensando a un “cavallo di Troia” perché succeda quello che è capitato agli ex Paesi socialisti europei, Unione Sovietica/Urss in testa, anche se in realtà la spinta iniziale è venuta dalla Polonia che guarda caso era la terra del Papa dell’epoca...
Dal loro punto di vista (nordamericano) mi sembra una manovra almeno intelligente. Oltre 50 anni di embargo più o meno asfissiante secondo i presidenti in carica non hanno raggiunto l’effetto voluto, cioè di rovesciare il regime che oggi anche loro chiamano Governo “dei” Castro. Pertanto, come l’Ornella Vanoni stanno pensando: Proviamo con le buone, non si sa mai”. Per riassumere, il togliere o meno l’embargo nella sua totalità ormai non dipende più da Obama, anche se gli va il merito di aver dato la spallata più poderosa.

Cuba “vieja” come la chiama lei non credo che cambi più di tanto nella sua essenza generale, certo cambierà come sta cambiando, ci sia o no l’embargo. Il tempo passa per tutti e già oggi ci sono differenze impensabili fino a pochi anni fa. Come tutte le medaglie c’è un rovescio e non sta a me giudicare se sia un bene o un male. Secondo le dichiarazioni ufficiali, “Cuba non rinuncerà mai costruire un socialismo prospero ed efficiente...”, ma sono parole. Come diceva Don Lisander: “ai posteri l’ardua sentenza”.

Questo concetto vale anche se diventerà monopolio  delle grandi catene e industrie nordamericane, o meglio, se tornerà ad esserlo. Probabilmente, secondo me, almeno per un po’ di tempo il concetto nazionalista avrà il suo peso anche nel non cedere proprio tutto ai nordamericani o altri. Non trascuriamo che proprio nel campo del turismo, seppure le proprietà “fisiche” delle installazioni, per non parlare delle località, sono giuridicamente cubane la gestione è in mano a partner stranieri, almeno in molti casi sopratutto delle installazioni più importanti.

Non so se si chiamerà Mac Donald, Burger King, Kentucky Chiken o Taco Bell, ma qualcosa del genere credo che sarà inevitabile. Nel corto tempo della loro eventuale installazione, sarà sicuramente  a partecipazione cubana, poi...se fossi credente direi: “solo Dio lo sa!”.

Queste sono le mie opinioni, ma come dicevo all’inizio, non ho né bacchetta magica, né la Verità in tasca.

Cordiali saluti. Aldo.




giovedì 10 marzo 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

AMMAINATO: famosa lettera della Fallaci a un bambino

Dizionario di mare per lupi di terra

AMMANIGLIARE: far diventare complice

martedì 8 marzo 2016

Dizionario di mare per lupi di terra

AMANTIGLIO: appassionati di tisane

Arrivano i Rolling Stone

Fervono i lavori per preparare lo scenario in cui si esibiranno i mitici rockers inglesi il prossimo 25 marzo. Gli ampi spazi aperti della Città Sportiva che consentono un capienza di circa 400.000 persone, sono invasi da materiali e lavoratori provenienti da diversi Paesi che stanno montando lo scenario in cui si muoveranno, è proprio il caso di dirlo nonostante la non più verde età, quelli che furono i "rivali" dei Beatles negli anni della moda del Rock nd' Roll, ma anche dopo, come dimostra questo concerto che chiude una tournée in America Latina, della band.
L'ampiezza del palco sarà di 80 metri per oltre 20 di profondità e altrettanti di altezza della scenografia. 
L'ingresso al pubblico sarà completamente libero e si prevede che assistano anche spettatori che vengono appositamente dall'estero per assistere a questa occasione storica  nella musica internazionale.

lunedì 7 marzo 2016

Il Tempietto, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 6/3/16

La ceiba (sorta di quercia tropicale,n.d.t) del Tempietto è diventata secca. Per motivi che gli specialisti finiranno per spiegare, l’albero al quale si formulava un desiderio mentre gli si facevano tre giri attorno e che fu seminato nel 1959, non c’è più e sarà sostituito da un altro. Sotto una pianta della stessa specie si celebrò il 16 novembre del 1519, secondo la tradizione, la prima messa e la prima assemblea quando, in quella data, L’Avana si stabilì nel luogo che occupa da allora.
La ceiba originale che sul lato nord est di quella che sarebbe stata la Plaza de Armas, vide prostrati sotto la sua ombra quei valorosi colonizzatori e che fu per decenni l’unico testimone di un fatto storico, ma anche religioso e poetico, dovette essere sostituita col passare del tempo. Quando nel 1754, Francisco Cagigal de la Vega, Governatore Generale dell’Isola, fece erigere lì una colonna commemorativa, la ceiba originale già non esisteva. Tra il 1755 e il 1757 si seminarono tre ceibas al posto della primogenita. Di esse, due si rinsecchirono dopo poco tempo e la terza sopravvisse fino al 1827, quando la mano dell’uomo la fece sparire per facilitare la costruzione del Tempietto. Tre ceibas nuove si seminarono l’anno seguente e di esse solo una fece le radici e sembra che durò fino al 1959. Altre due si piantarono nel 1873 e morirono dieci anni dopo.

Detieni il passo viandante

La memoria di quella prima messa e quella prima assemblea celebrati sotto la ceiba sarebbe forse sparita se Cagigal de la Vega, nel 1754, non si fosse occupato di raccogliere e perpetuare in maniera ostensibile la tradizione. “L’iniziativa di quel governante fu rivolta al futuro”, scrive lo storico Emeterio Santovenia. “Grazie a lei passò ai posteri una versione che in altro modo poteva sperimentare trasformazioni o estinguersi per opera del tempo”, aggiunge.
La già citata colonna commemorativa del governatore Cagigal consta di tre facce, le tre province in cui si divideva allora la colonia e portava, alla sommità, un’immagine della Vergine del Pilár. Su di essa si leggevano due iscrizioni allusive. Una scritta in latino e l’altra in castigliano antico. Questa diceva:
“Fondossi la villa (oggi città) dell’Avana nell’anno 1515 e al trasferirsi dalla sua primitiva sede alla riva di questo porto, nel 1519, è tradizione che in questo sito si trovò una frondosa ceiba sotto la quale si celebrò la prima messa e assemblea: rimase fino al 1753 quando si sterilizzò. E per perpetuarne la memoria, governando le Spagne il nostro cattolico Monarca il Signor Don Fernando VI, mandò ad erigere questo padrone il Signor Maresciallo di Campo Don Francisco Cagigal de la Vega, dell’Ordine di Santiago, Governatore e Capitano Generale di quest’Isola, essendo Procuratore Generale Dottor Don Manuel Phelipe de Arango. Anno del 1754”.
La primitiva iscrizione latina fu sostituita nel 1903, nel restaurare la colonna, con un’altra il cui testo latino è una versione dell’antico. La fece il dottor Juan M. Dihigo, all’epoca professore di latino dell’università dell’Avana, l’unica sede di alti studi che esisteva allora a Cuba, detto giusto per saperlo diceva:
“Detieni il passo, viandante; adorna questo sito un albero, una ceiba frondosa, dirò meglio segno memorabile della prudenza e antica religione della giovane città (...) Fu tenuta per la prima volta la riunione dei prudenti consiglieri già da oltre due secoli: era conservata per una tradizione perpetua; indubbiamente cedette al tempo. Ebbene guarda e che non muoia nel futuro la fede avanera. Vedrai un’immagine fatta con la pietra oggi, vale a dire l’ultimo di novembre del 1754”.
Nella prima faccia del triangolo della colonna che guarda al Nascente, c’è un rilievo del tronco di quella che si ritiene sia la prima ceiba. Appare coi rami tagliati, come se fosse carente di fogliame, come se fosse secca.
Col tempo la colonna andò sciupandosi. Si deteriorò, disgraziatamente, questo semplice monumento che quasi rimaneva nascosto dai chioschi e bancarelle dei venditori di tutti i tipi di generi che si installavano nella sua vicinanza.

Le opere

Questo spinse don Francisco Dionisio Vives y Planes, Conte di Cuba, governatore e Capitano Generale dell’Isola a restaurare la colonna e inoltre a erigere un’altro monumento maggiore. Fu un criterio suo e del municipio avanero quello di realizzare un’opera durevole che fosse, non solo degna dei fatti che volevano perpetuarsi, ma anche dell’importanza che andava prendendo la città. Nella sessione del 15 giugno del 1827, il sindaco-presidente del municipio sottolineò la necessità di curare la conservazione della colonna di Cagigal e il corpo municipale, cosciente del dovere in cui si trovava rispetto a quel punto, accordò di restaurarla e sgombrare dai suoi dintorni le bancarelle e i chioschi che deturpavano il luogo.
Prese corpo, quindi, l’idea di un monumento di maggiori dimensioni e nel proprio anno 1827 si mise mano all’opera che da allora ricevette il nome di Tempietto. Vives ordinò ad Antonio María de la Torre y Cárdenas, suo segretario politico che si occupasse di tutto ciò che fosse concernente ai piani e del lavori necessari, cosa in cui ebbe la collaborazione di José Rodríguez Cabrera, reggente del municipio. Dovette metterci molto interesse nel concludere l’opera, nel giro di pochi mesi fu pronto l’edificio, mentre la colonna veniva collocata su quattro basi circolari di pietra e si sostituí l’immagine della vergine del Pilar che la rifiniva con un’altra, dorata a fuoco, di circa ottanta centimetri di altezza.
Con motivo della costruzione del Tempietto, il vescovo Juan José Díaz de Espada fece erigere, a spese sue, molto vicino all’edificio, un busto di marmo con piedestallo, dell’ammiraglio Cristoforo Colombo, un’opera di autore sconosciuto e povera di esecuzione che si conserva ancora. Dentro al recinto chiuso dalle sbarre che circondano il Tempietto rimasero con questo busto, la ceiba e la colonna di Cagigal.

Evidentemente neoclassico

Il Tempietto è il più piccolo e meno vistoso degli edifici che circondano la Plaza de Armas. È, senza dubbio, la prima opera civile di carattere evidentemente neoclassico con cui contò l’Avana. Si alza di fronte al Palazzo dei Capitani Generali –attuale Museo della Città- e alla sinistra del Palazzo dei Conti Santovenia, dove funziona l’hotel Santa Isabel. Misura circa otto metri di fronte e circa sei metri e mezzo nei due lati, mentre la sua altezza è di circa otto metri. È di stile greco ed è composto da un’architrave con sei colonne di capitelli dorici, basamenti attici e altri quattro pilastri sui fianchi con altri ornamenti. Una lapide rende conto della sua inagurazione. Dice:
“Regnando il signor don Fernando VII, essendo presidente e governatore don Francisco Dionisio Vives, la fedelissima Avana, religiosa e pacifica, eresse questo semplice monumento adornando il luogo dove nell’anno 1519 si celebrarono la prima messa e assemblea. Il vescovo don Juan José Díaz de Espada solennizzò il medesimo augusto sacrificio il giorno diciannove di marzo del mille ottocento ventotto”.
Il Tempietto che questo mese compie 188 anni dalla sua edificazione, è uno dei monumenti più visitati da cubani e stranieri. Sembra sia stato sempre così. Lo scrittore galiziano Jacinto Salas y Quiroga diceva nel 1840, nel suo libro di viaggio che si trattava di “uno dei monumenti che il viaggiatore più desidera visitare all’Avana, per poco che ami i ricordi storici”. A partire da lì si estende nella descrizione dell’edificio e dei quadri di carattere storico che tesaurizza. Dice: “Era giusto scendere a tanti dettagli perché questo é l’unico monumento che ricordi fatti antichi, nell’opulenta città dell’Avana. Invasa, fino a un certo punto, dal traffico e commercio, ancora instabile nel modo di essere amministrata, insicura della sua ricchezza e potere, è difficile che si occupi di altre opere che non siano quelle che le promettono un avvenire felice. Così che il viaggiatore quì, più che rovine deve cercare semi”.

Solenne e pomposa

Salas y Quiroga allude alle tele di Juan Butista Vermay, pittore francese stabilitosi all’Avana, dove morì a causa della febbre gialla, dopo aver fondato l’Accademia di Pittura di San Alejandro. Sono opere (un trittico, n.d.t.), sopratutto, di valore storico che si apprezzano ancora nel Tempietto. Due di esse evocano, con immaginazione, la celebrazione della prima messa e la prima assemblea; l’altra ricrea  la cerimonia inaugurale del monumento in quel 19 marzo 1828. Una cerimonia che la cronaca descrive come solenne e pomposa. Consistette nella messa che officiò il vescovo Espada con la presenza del Capitano Generale e le principali autorità civili e militari ed ecclesiastiche, così come gli abitanti più in vista della città, ebbene il municipio si incaricò di invitare tutte le corporazioni e persone in vista. Davanti ai presenti, Espada pronunciò un discorso che lo storico Pezuela qualificò di erudito. Álvaro de la Iglesia, il celebre autore de Las tradiciones cubanas, nel riferirsi a quest’opera, dice nel suo libro Cosas de antaño che all’apertura del Tempietto, Vermay raggiunse tale esattezza nella pittura delle persone e vestiti che “è una vera e validissima testimonianza storica”.
Poveri e ricchi celebrarono allo stesso modo l’inaugurazione del Tempietto. Ci fu un’ascensione aerostatica, la prima che si faceva a Cuba dal 1796 e che apportò all’aeronauta, giunto da New Orleans, la per niente disprezzabile somma di 15.000 pesos. Ci furono, inoltre, funzioni teatrali, ricevimenti e banchetti nei palazzi, balli pubblici e privati nei quali si sperperò una fortuna. Dice Álvaro de la Iglesia che “in fiori, gioielli, banchetti, ostentazione e allegria il denaro scorse come un fiume in piena e l’Avana sembrava preda della follia durante dette feste”. Ci fu, per non lasciar perdere, un ballo in una delle navi della squadra alla fonda nel porto. Una festa per tutti i gusti, dice de la Iglesia, giacché Vives “prestò grande attenzione a tre basi infallibili della politica coloniale: ballo, bisca e bottiglia. Popolo che si diverte, non cospira...”

Il proprio Vives lo dichiara esplicitamente nel suo rapporto a Madrid: le feste avevano avuto un carattere e un orientamento apertamente politico, incamminate a distrarre il popolo dalle lotte emancipatrici che si svolgevano nel continente e per esaltare la pace, la sicurezza e la prosperità di cui godevano “i fedeli cubani sotto l’impero delle leggi e del dolce e paterno governo di Sua Maestà”.


El Templete

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
5 de Marzo del 2016 20:37:56 CDT

Se secó la ceiba del Templete. Por razones que los especialistas terminarán por explicar, el árbol al que se le formulaba un deseo mientras se daban tres vueltas a su alrededor, y que fue sembrado en 1959, ya no está y será sustituido por otro. Bajo una planta de la misma especie se celebró, el 16 de noviembre de 1519, según la tradición, la primera misa y el primer cabildo cuando, en esa fecha, La Habana se asentó en el lugar que ocupa desde entonces.
La ceiba original que en el lado noroeste de lo que sería la Plaza de Armas vio, postrados bajo su sombra, a aquellos valerosos colonizadores y que fue durante décadas testigo único de un hecho histórico y también religioso y poético, debió ser reemplazada oportunamente a lo largo del tiempo. Cuando en 1754 Francisco Cagigal de la Vega, Gobernador General de la Isla, hizo erigir allí una columna conmemorativa, ya la ceiba original no existía. Entre 1755 y 1757 tres ceibas se sembraron en lugar de la primigenia. De ellas, dos se secaron al poco tiempo y la tercera sobrevivió hasta 1827, cuando la mano del hombre la hizo desaparecer para facilitar la construcción del Templete. Tres nuevas ceibas se sembraron al año siguiente y de ellas solo arraigó una, que, al parecer, duró hasta 1959. Dos más se plantaron en 1873 y murieron diez años más tarde.

Detén el paso, caminante

La memoria de aquella primera misa y aquel primer cabildo celebrados debajo de la ceiba hubiese tal vez desaparecido de no haberse ocupado Cagigal de la Vega, en 1754, de recoger y perpetuar de manera ostensible la tradición. «La iniciativa de aquel gobernante estuvo fija en el porvenir», escribe el historiador Emeterio Santovenia. «Gracias a ella pasó a la posteridad una versión que, de otra manera, pudo experimentar transformaciones o extinguirse por obra del tiempo», añade.
La ya aludida columna conmemorativa del gobernador Cagigal consta de tres caras, las tres provincias en las que entonces se dividía la colonia, y lucía, en lo alto, una imagen de la virgen del Pilar. Se leían en ella dos inscripciones alusivas. Una escrita en latín. La otra en castellano antiguo. Decía esta:
«Fundóse la villa (hoy ciudad) de La Habana el año de 1515, y al mudarse de su primitivo asiento a la ribera de este puerto el de 1519, es tradición que en este sitio se halló una frondosa ceiba bajo de la cual se celebró la primera misa y cabildo: permaneció hasta el de 1753 que se esterilizó. Y para perpetuar la memoria, gobernando las Españas nuestro católico Monarca el señor Dn. Fernando VI, mandó erigir este padrón el señor Mariscal de Campo Dn. Francisco Cagigal de la Vega, del orden de Santiago, Gobernador y Capitán General de esta Isla, siendo Procurador General Doctor Dn. Manuel Phelipe de Arango. Año de 1754».
La primitiva inscripción latina fue sustituida en 1903, al restaurarse la columna por otra cuyo texto latino es una versión del antiguo. La hizo el doctor Juan M. Dihigo, a la sazón profesor de latín de la Universidad de La Habana, la única casa de altos estudios que existía entonces en Cuba, dicho sea de paso. Reza:
«Detén el paso, caminante; adorna este sitio un árbol, una ceiba frondosa, más bien diré signo memorable de la prudencia y antigua religión de la joven ciudad (…). Fue tenida por primera vez la reunión de los prudentes concejales hace ya más de dos siglos: era conservado por una tradición perpetua; sin embargo cedió al tiempo. Mira, pues, y no perezca en lo porvenir la fe habanera. Verás una imagen hecha hoy en la piedra, es decir, el último de noviembre de 1754».
En el primer frente del triángulo de la columna, que mira al Naciente, hay un relieve del tronco de la que se supone sea la primera ceiba. Luce con las ramas cortadas, como si careciera de follaje, como si estuviera seca.
Con el tiempo, la columna fue desgastándose. Se deterioró lamentablemente ese sencillo monumento que casi permanecía oculto por las casillas y timbiriches de los vendedores de todo tipo de artículos que en su cercanía se instalaban.

Las obras

Eso impulsó a don Francisco Dionisio Vives y Planes, Conde de Cuba, gobernador y Capitán General de la Isla, a restaurar la columna y a levantar además otro monumento mayor. Fue criterio suyo y del ayuntamiento habanero realizar una obra durable, que fuera no solo digna de los hechos que querían perpetuarse, sino también de la importancia que iba adquiriendo la ciudad. En sesión de 15 de junio de 1827, el alcalde-presidente del ayuntamiento apuntó la necesidad de atender a la conservación de la columna de Cagigal y el cuerpo municipal, consciente del deber en que se hallaba respecto a aquel punto, acordó restaurarla y despejar sus alrededores de casillas y timbiriches que desdoraban el paraje.
Tomó cuerpo entonces la idea de un monumento de mayores dimensiones, y en el propio año de 1827 se puso manos a la obra que desde entonces recibió el nombre de Templete. Vives ordenó a Antonio María de la Torre y Cárdenas, su secretario político, que se ocupase de todo lo concerniente a los planos y trabajos necesarios, en lo que contó con la colaboración de José Rodríguez Cabrera, regidor del ayuntamiento. Debió primar mucho interés en concluir las obras, pues a la vuelta de pocos meses quedó listo el edificio, en tanto que la columna era colocada sobre cuatro gradas circulares de piedra y se sustituía la imagen de la virgen del Pilar que la remataba por otra dorada a fuego, de una vara de alto.
Con motivo de la construcción del Templete, el obispo Juan José Díaz de Espada hizo erigir a sus expensas, muy cerca del edificio, un busto en mármol, con su pedestal, del almirante Cristóbal Colón, una obra de autor desconocido y pobre ejecución que aún se conserva. Dentro del recinto cerrado por las verjas que circundan el Templete quedaron incluidos ese busto, la ceiba y la columna de Cagigal.

Notoriamente neoclásico

El Templete es el más pequeño y menos vistoso de los edificios que rodean la Plaza de Armas. Es, sin embargo, la primera obra civil de carácter notoriamente neoclásico con que contó La Habana. Se alza frente al Palacio de los Capitanes Generales —actual Museo de la Ciudad— y a la izquierda del Palacio de los Condes de Santovenia, donde funciona el hotel Santa Isabel. Mide 12 varas de frente y ocho y media varas por los dos costados, en tanto que su altura es de 11 varas (una vara equivale a 0.84 metros aproximadamente). Es de estilo griego y está compuesto de un arquitrabe de seis columnas de capiteles dóricos y zócalos áticos, y cuatro pilastras más en los costados con otros adornos. Una lápida da cuenta de su inauguración. Dice:
«Reinando el señor don Fernando VII, siendo presidente y gobernador don Francisco Dionisio Vives, la fidelísima Habana, religiosa y pacífica, erigió este sencillo monumento decorando el sitio donde el año de 1519 se celebró la primera misa y cabildo. El obispo don Juan José Díaz de Espada solemnizó el mismo augusto sacrificio el día diez y nueve de marzo de mil ochocientos veinte y ocho».
El Templete, que cumple este mes 188 años de edificado, es uno de los monumentos más visitados por cubanos y extranjeros. Parece que así ha sido siempre. El escritor gallego Jacinto Salas y Quiroga decía en 1840, en su libro de viajes, que se trataba de «uno de los monumentos que más desea el viajero visitar en La Habana por poco que ame los recuerdos históricos». A partir de ahí se explaya en la descripción del edificio y los cuadros de carácter histórico que atesora. Expresa: «Preciso era descender a tantos detalles porque es este el único monumento que recuerde antiguos hechos, en la opulenta ciudad de La Habana. Invadida, hasta cierto punto, por el tráfico y comercio, inestable todavía en la forma de administración, insegura en su riqueza y poderío, es difícil que se ocupe en otra especie de obras que aquellas que le prometen un porvenir feliz. Así que el viajero aquí, más que ruinas, debe buscar gérmenes».

Solemne y pomposa

Salas y Quiroga alude a los lienzos de Juan Bautista Vermay, pintor francés avecindado en La Habana, donde murió a causa de la fiebre amarilla, luego de haber fundado la Academia de pintura de San Alejandro. Son obras, sobre todo, de valor histórico que todavía se aprecian en el Templete. Dos de ellas evocan, con imaginación, la celebración de la primera misa y el primer cabildo; la otra recrea la ceremonia inaugural del monumento aquel, el 19 de marzo de 1828. Una ceremonia que la crónica describe como solemne y pomposa. Consistió en la misa que ofició Espada con la asistencia del Capitán General y las principales autoridades militares, civiles y eclesiásticas, así como los vecinos más notables de la villa, pues el ayuntamiento se encargó de invitar a todas las corporaciones y personas distinguidas. Ante los asistentes, Espada pronunció un discurso que el historiador Pezuela calificó de erudito. Álvaro de la Iglesia, el célebre autor de las Tradiciones cubanas, al referirse a esa obra, dice en su libro Cosas de antaño que en la apertura del Templete, Vermay logró tal exactitud en la pintura de personas y trajes que es «un verdadero y valioso testimonio histórico».
Pobres y ricos celebraron por igual la inauguración del Templete. Hubo una ascensión aerostática, la primera que ocurría en Cuba desde 1796 y que reportó al aeronauta, que había llegado desde New Orleans, la nada despreciable suma de 15 000 pesos. Hubo, además, funciones teatrales, recepciones y saraos en los palacios y bailes públicos y privados en los que se derrochó una fortuna. Dice Álvaro de la Iglesia que «en flores, joyas, banquetes, ostentación y alegría el dinero corrió como un río desbordado y La Habana pareció presa de la locura durante dichas fiestas». Hubo, por no dejar de haber, baile en uno de los navíos de la escuadra surta en puerto. Una fiesta para todos los gustos, dice De la Iglesia, ya que Vives «prestó gran atención a tres bases infalibles de la política colonial: baile, baraja y botella. Pueblo que se divierte, no conspira…».
El propio Vives lo consigna explícitamente en su informe a Madrid; las fiestas habían tenido un carácter y una orientación abiertamente políticos, encaminados a distraer al pueblo de las luchas emancipadoras que se libraban en el continente y a exaltar la paz, la seguridad y la prosperidad que disfrutaban «los fieles cubanos bajo el imperio de las leyes y del suave y paternal gobierno de Su Majestad».