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domenica 10 gennaio 2016

Profughi cubani: per informare l'amico Olio....

Fonte: cartasdecuba.com

El martes empiezan a salir de Costa Rica los cubanos

El gobierno de Costa Rica programó para el martes la salida del primer grupo de cubanos que están varados desde mediados de noviembre en su frontera con intención de llegar a Estados Unidos.
Según una nota oficial, 180 personas irán ese día en un vuelo chárter a El Salvador, donde luego abordarán un autobús hasta Guatemala para continuar hasta la frontera con México y por último cruzar por tierra hacia la nación norteña.
Las autoridades basaron su selección en la fecha de llegada a Costa Rica y la capacidad para pagar el viaje, que en total les costará 535 dólares porque incluye la transportación, alimentos, impuestos de entrada y salida de cada país, más un seguro médico.
El comunicado precisó que todo el proceso se regirá por la legislación migratoria de cada uno de los estados en ruta, o sea, Costa Rica, El Salvador, Guatemala y México.
La Organización Internacional para las Migraciones (OIM) fue la encargada de gestionar a una empresa para efectuar el traslado de forma ordenada, segura y legal, tal y como se acordó el pasado 28 de diciembre.
Ese día los países centroamericanos y la OIM decidieron otorgar un paso excepcional a los caribeños para que sigan su camino hacia Estados Unidos.
Según las autoridades costarricenses, unos siete mil 802 cubanos están albergados en su frontera con dicho propósito.
Esas personas emprendieron el recorrido alentados por políticas de Washington como la de pies secos, pies mojados, el Programa Parole para estimular la deserción de médicos y la Ley de Ajuste Cubano, entre otras, que incitan a la emigración irregular.
Tales disposiciones desentonan con los acuerdos adoptados entre La Habana y Washington sobre la materia, e ilustran el uso de ese tema como método de desestabilización contra la isla, además de los riesgos que suponen este tipo de desplazamientos, a expensas de mafias y contrabandistas.
Cuba aboga por el cese de esas políticas precisamente porque incentivan la emigración ilegal, insegura y desordenada.


P.S.: N.D.A.: Nel frattempo il senatore Marco Rubio sta tentando di fermare l'accesso degli emigranti negli USA...
Il sindaco di Miami, Tomás Regalado, ha dichiarato che tutti i centri di accoglienza e assistenza della città sono pieni...
Intanto circa 1200 cubani si sono accampati alla frontiera di Panama con Costarica.


Voli commerciali regolari....avanti

Fonte:

ItaliaOggi

Numero 005  pag. 15 del 07/01/2016 

Voli regolari fra Cuba e gli Usa
Nel 2015 i passeggeri sono già cresciuti del 50 per cento

 di Simonetta Scarane 


Stati Uniti e Cuba hanno raggiunto un accordo per riprendere i voli diretti di linea fra i due paesi. È uno sviluppo significativo nel lungo processo di normalizzazione delle relazioni tra Washington e L'Avana cominciato un anno fa. Da quando il presidente Usa, Barack Obama e il cubano Raul Castro hanno annunciato la normalizzazione delle relazioni fra i due paesi, i progressi sono stati lenti e irregolari, con una raffica di azioni su questioni diplomatiche, ma gli accordi di business sono stati ancora pochi, finora.
Uno dei segni più visibili del cambiamento riguarda i viaggi, e a dicembre scorso è stato raggiunto un accordo in materia di aviazione che renderà più facili i collegamenti fra i due paesi.
L'accordo consentirà 110 voli regolari al giorno, dei quali 20 per L'Avana e 10 per ciascuno degli altri nove aeroporti internazionali di Cuba. I due paesi stanno lavorando per mettere a punto i dettagli in maniera che i voli di linea possano cominciare nel 2016. «Un bene per il viaggiatore, per la scelta dei consumatori; un bene per le imprese e per i vettori degli Stati Uniti» secondo quanto ha affermato in un'intervista al The Wall Street Journal il capo negoziatore americano, Thomas Engle. «Ognuno dei paesi sta spingendo nella stessa direzione per partire il prima possibile».
L'accordo non permetterà di riprendere subito il servizio, ma pone le basi per il completamento dei colloqui tecnici in maniera che i voli di linea delle compagnie aeree possano iniziare nei primi sei mesi di quest'anno.
Nonostante l'accordo, tuttora continua ad essere ancora illegale per gli americani andare a Cuba anche soltanto per turismo. Tuttavia, i viaggiatori che si spostano per uno dei motivi che rientrano in uno dei 12 grandi settori (affari, scambi culturali, giornalismo, ricerche, competizioni atletiche, motivi di studio accademico, esponenti delle organizzazioni umanitarie e religiose) possono viaggiare dagli Stati Uniti a Cuba purché provvisti di un'autocertificazione attestante la motivazione del viaggio che deve rientrare in uno dei 12 settori autorizzati.
Appena il processo di normalizzazione è cominciato, i viaggi dei cittadini statunitensi a Cuba sono cresciuti di oltre il 50% nel 2015. Gran parte della crescita deriva dall'allentamento delle restrizioni relativo agli scambi culturali o educativi tra le persone, in contrapposizione al turismo standard. Tuttavia, secondo la vigente normativa, quei viaggi devono essere prenotati sui voli charter ed è difficile per i viaggiatori organizzare il volo online. Con il nuovo accordo relativo all'aviazione commerciale, sarà permesso viaggiare tra gli Stati Uniti e Cuba con voli di linea, che saranno più convenienti, frequenti e facilmente accessibili.
I vettori statunitensi hanno accolto con favore l'annuncio dell'accordo, e si sono dichiarati ansiosi di riprendere il servizio regolare. «È una grande notizia per i nostri clienti», ha fatto sapere il patron di American Airlines, Doug Parker, presidente e ceo, «in quanto ci fa fare un passo in avanti verso il collegamento fra gli Usa e Cuba con i voli di linea».



sabato 9 gennaio 2016

Zebra

ZEBRA: Udinese Calcio

venerdì 8 gennaio 2016

Obama, dove sei?

Alla luce della vicenda dei cubani bloccati in Costarica e che pare abbiano avuto una soluzione abbastanza avventurosa e precaria (non era più logico farli arrivare direttamente in Messico, Paese che si è detto disponibile a facilitargli il transito verso gli USA?) mi sembra che la buona volontà espressa dal presidente Obama sia un po' impallidita. Al di la della (possibile) soluzione Messico, non sarebbe stato ancora più semplice riceverli negli stessi Stati Uniti?
Guarda caso, il Governo...non il Congresso, si è espresso in modo chiaro sulla legge "de ajuste cubano" che prevede il caso "piedi asciutti, piedi bagnati). Ha detto che rimangono in vigore e non ha nessuna intenzione di abrogarle.
Oltre a questa grave mancanza di buona volontà, mi domando dove sono finite le promesse di aiuto per il miglioramento delle telecomunicazioni? La Società Telefonica cubana, ETECSA, ha dichiarato di star lavorando per il miglioramento del servizio vocale e internet, dicendo di prevedere un aumento del servizio ADSL che per il momento è fornito solo alle aziende immobiliari che affittano in CUC. Nel frattempo il server di posta "enet.cu" è fuori uso da due giorni e quello del web è in situazioni da far piangere. La posta su altri server: "outlook.com" (già hotmail) o "gmail" non si riesce ad aprire, nonostante si arrivi alle hot pages dove si legge la presenza di messaggi in arrivo. Per impostare queste note ci ho impiegato circa 15 minuti.
Allora mi chiedo: ma Obama ha prestato servizio in Marina o è parente di Geppetto?

mercoledì 6 gennaio 2016

Diritto di paravento, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 3/1/16

Carlos Fonseca deve essere stato il lustrascarpe più quotato dell’Avana, all’inizio del XX secolo. Non solo lucidava le scarpe a don Tomás Estrada Palma, allora presidente della Repubblica, ma erano suoi clienti altri tre che col tempo, avrebbero occupato il primo magistero: il maggior generale Mario García Menocal, il laureato Alfredo Zayas e il generale Gerardo Machado. Chairo che non tutti gli utenti del suo seggiolone erano “presidenziabili”. Fonseca prestava servizio anche a gente come Rafael Montoro, figura di spicco dell’autonomia a Cuba e a non pochi veterani dell’Indipendenza, come il generale Sánchez Figueiras che fu con Maceo nel combattimento di San Pedro e che finita la guerra, si sposò con una ragazza bellissima che poteva essere sua nipote e che lasciò vedova cinque anni dopo averla sposata.
Fonseca aveva il suo seggiolone nel cafè El Guanche, in Belascoaín e Neptuno, di fronte al cafè El Siglo XX che esiste ancora e arrivava fino a quell’angolo...col tram, don Tomás.
Risulta che Frank Steinhart, presidente della Havana Electric, l’azienda proprietaria dei tram avaneri, mise a disposizione uno di questi veicoli per Estrada Palma che lo utilizzò per raggiungere la sua presa di possesso come Presidente della Repubblica il 20 maggio del 1902 e poi continuò utilizzandolo in non poche delle sue gestioni ufficiali e private.
Il presidente abbordava il tram nelle vicinanze del Palazzo Presidenziale (gall’altezza giá Palazzo dei Capitani Generali), nella Plaza de Armas; il veicolo usciva dall’Avana Vecchia, si addentrava nel centro della città e nell’entrare in Belascoaín faceva una breve fermata all’altezza di Neptuno perché scendesse il Presidente. Una volta che gli lucidassero le scarpe, don Tomás aspettava che il tram che aveva fatto il giro da Reina, passasse a raccoglierlo, stavolta in Neptuno.

Machado e gli aerei

Gerardo Machado fu il primo presidente cubano che volò in aereo, uno dei primi presidenti del mondo a farlo.
Charles Lindberg, il primo aviatore a sorvolare da solo e senza scalo l’oceano Atlantico, invitò il dittatore a sorvolare l’Avana e Machado non solo accettò la proposta, ma ci prese gusto in tal maniera che a partire da quel momento, ogni volta che avesse necessitá di spostarsi all’oriente dell’Isola, chiedeva a Cubana de Aviación che ponesse a sua disposizione un apparecchio, per risparmarsi la strada.
Il 20 maggio del 1927, Lindbergh partì dall’aeroporto Roosvelt di New York. Pilotava un apparecchio di un solo motore, ridisegnato da lui stesso che aveva per nome Spirit of Saint Louis. Trentatré ore e 32 minuti dopo, arrivava all’aerodromo Le Bourget, vicino a Parigi e consumava l’impresa che lo avrebbe convertito in uno degli aviatori più famosi di tutti i tempi. A partire da questo volo e sempre a bordo del suo monoplano, visitò vari Paesi latinoamericani col proposito di aprire nuove rotte aeree. In tutte le nazioni che visitò venne ricevuto in pompa magna e gli si tributavano gli onori che meritava. Cuba non sarebbe stata l’ecezione. L’8 febbraio 1928, Lindbergh data del suo arrivo all’Avana, proveniente da Haiti, si dichiarò il “Giorno di Lindbergh”. Il popolo avanero si recò a dargli il benvenuto all’aerodromo del campo militare di Colombia e poi lo acclamò alla terrazza nord del Palazzo Presidenziale. Il generale Alberto Herrera, capo dell’Esercito e il dottor Orestes Ferrara, Segretario di Stato, lo condussero immediatamente dal presidente Machado che gli consegnerà un’importante onorificenza. Cuba fu l’ultimo Paese che visitò il famoso aviatore nordamericano a bordo dello Spirit of Saint Loui edello Spazio di Washington. Lindbergh tornerà nella capitale cubana nel febbraio del 1929 a bordo dell’aereo “Aquila solitaria”.
Il 12 febbraio un aereo fu addobbato a festa nell’aeroporto di Boyeros per accogliere il ppresidente di Cuba e il più famos degli aviatori che lo piloterà. Era un Ford a tre motori con capacità per dieci passaggeri e due membri dell’equipaggio. A partire da lì questoi stesso apparecchio o un altro dalle stesse caratteristiche che faceva allora i voli Avana-Santiago de Cuba con scalo nella città di Camagüey, rimase al servizio di Machado ogni volta che il dittatore lo richiedeva. Senza dubbio gli mancò il giorno della fuga, il 12 agosto del 1933. Chiese due aerei, da dodici posti ciascuno, per fuggire alla giustizia popolare con i suoi più vicini collaboratori, ma dovette accontentarsi di un aereo a sei posti.
Questo Ford a tre motori, di proprietà della Pan American Airways e che Cubana de Aviación affittava fu venduto, nei giorni della II Guerra mondiale, all Repubblica Dominicana che lo utilizzò come aereo presidenziale. Dopo che il satrapo Leónidas Trujillo si stancò di usarlo, l’apparecchio tornò negli Stati Uniti e quellaeronave utilizzata da dittatori cominciò a essere utilizzata per lavori di affumicazione, fino agli anni ’60, quando si tolse dalla circolazione, ma...qualche ano fa il vecchio aereo fu restaurato
 E si sta usando per viaggi turistici nella citta di Grand Rapids, in Michigan. Fanno pagare 50 dollari per passeggero in cambio di un giro di 15 minuti.

Menocal e il divino Galimatías

Il dottor Ramón Grau San Martín, presidente di Cuba per la seconda volta tra il 1944 e il 1948 era così. Non per niente si guadagnò il detto di Divino Galimatías. Il suo linguaggio era oscuro e confuso; tipo Cantínflas. Lui, tutto un maestro per evadere impegni e raggirare o evadere i temi dei quali non gli interessava esprimersi o quelli di cui voleva nascondere il suo pensiero.
I commercianti della calle Muralla gli chiesrro un’incontro a fine di riferirgli temi di loro interesse e per i quali cercavano l’appoggio del primo cittadino. Bisogna dire, in onore alla verità che Grau fece diversi tentativi di riceverli e siccome una maggior responsabilità glie lo impediva sempre, decise di includerli nell’agenda della più vicina udienza pubblica, sessione maratonetica di interviste nella quale uno degli aiutanti o il segretario del Presidente stabilivano l’ordine di priorità nel ricevere e nella quale non mancavano quei personaggi che godevano, a quei tempi, quello che si chiamava “diritto di paravento” che gli apriva la porta senza necessità di nessuna attesa.
Alle sei del pomeriggio, i commercianti di Murallas arrivarono al Palazzo ed era oltre l’una di notte quando li fecero passare nello studio del Presidente. Grau, molto serio e con le braccia conserte li aspettava, in piedi, dietro la scrivania.
-So che siete qua da tempo, ma sapete come sono i compiti di un presidente...da sfinimento. La quantità di gente che sono obbligato a ricevere! Immagino, senza dubbio che la vostra attesa non sia stata infruttuosa e che avranno notato il ritratto del presidente Menocal che c’è nellatrio dello studio e visto come cambia espressione a misura che cala la notte.
Nell’udire ciò, i commercianti della calle Muralla rimasero senza parole. Sconforto, scambio di occhiate. Sorrisi forzati. A uno del gruppo scappò uno starnuto. Grau tornava alla carica.
-Non lavete visto? Com’è possibile che abiate sorvolato un dettaglio così evidente? Venite, venite con me.
Il presidente condusse il gruppo nell’atri dello studio presidenziale e li fece mettere davanti al ritratto in questione.
Vedrete come cambia espressione. Osservatelo! – e al punto di svicolare per un corridoio, aggiunse: E continuate osservandolo!
Quella notte i commercianti della calle Muralla non videro più il Presidente, né insistettero più nell’intervista.

Questo è un furto

I dittatori sono taccagni nella loro sconfitta. Fulgencio Batista, a partire dal 1959, non si stancava do declamare la sua povertà, anche se nessuno lo credeva e altrettanto successe con Machado. Il giorno della sua fuga, due dei suoi aiutanti trasportavano lo strano bagaglio del dittatore: otto sacchetti di tela, pesantucci. In essi c’era, in oro, parte della fortuna di Machado. Un’altra parte rimaneva a Cuba, protetta dalle entità bancarie, a quanto sembra sicura.
Nonostante il reclamo popolare, Carlos Manuel de Céspedes che successe a Machado ala presidenza dal 13 agosto, non prese nessuna misura contro i depredatori del tesoro della nazione né confiscò i beni dei malversatori. In cambio, Grau, giunto al potere al calore del colpo di Stato del 4 settembre 1933, raccolse il sentimento della popolazione e nominò un pubblico ministero o accusatore popolare che avrebbe assalito i ladri. Solo in una banca avanera furono dissigillate oltre 12 cassette di sicurezza appartenenti a figure molto vicine alla dittatura sconfitta, far di esse quella di Elvira Machado. Conteneva gioielli di grande valore e oltre un milione di pesos in contanti.
- Questo è un furto! Il contenuto di questa cassetta è la fortuna personale di  mia moglie. I gioielli sono un’eredità famigliare e hanno un valore totale di 106.000 pesos – dichiarò Machado a Montreal, in Canada.
Aggiunse: ”Credo che la storia mi farà giustizia, la mia fortuna attuale non è sproporzionata con quanto avevo quando occupai la presidenza.”
Allora avevo 400.000 pesos per la vendita della Compagnia Cubana di Elettricità e grandi interessi nello zuccherificio Carmita.
Oltre a possedere altre centrali elettriche e fabbriche di ghiaccio in differenti località dell’Isola...” Il processo contro i malversatori proseguiva all’Avana e il capo della Polizia Giudiziaria faceva l’inventario delle cassette di sicurezza aperte e metteva i documenti in mano al dottor Guillermo Montagú, magistrato del Tribunale Supremo e giudice istruttore della causa. Il pubblico ministero o accusatore popolare, da parte sua, trovò e aprì la cassetta di sicurezza dello stesso Machado. ,a questa volta il dittatore si mosse rapidamenbte e corruppe con 150.000 pesos la commissione di incorruttibili che perseguivano i ladri dell’erario.
Siccome Machado non sprecava nessuna opportunità per smentire i commenti sulla favolosa fortuna che gli si attribuiva, assicurando che era “molto povero, come pochi nella mia condizione”, qualcuno decise di giocargli un brutto scherzo. Una sera, una busta indirizzata a suo nome, giunse alla reception dell’albergo canadese dove era alloggiato. Un commesso la port alla stanza dell’ex presidente e Machado ordinò che la aprissero. Sorpresa. Conteneva un centesimo e una nota in cui si leggeva: “ Siccome abbiamo saputo che è così povero, ci compiacia di servirsi di questo modesto aiuto”.
Inutile dire che Machado montò in collera.

Cose del protocollo

Monsignor Manuel Arteaga Betancourt ricevette, a Roma, la porpora cardinalizia, cosa che lo convertì nel primo principe cubano della Chiesa e ritornò all’Avana via mare Quello stesso pomeriggio, il presidente Grau lo ricevette in udienza speciale.
- Eminenza non sa quanto mi spiace di non poter essere stato al porto a riceverla. Ma il protocollo non me lo permetteva.
- Sì Presidente, viviamo schiavi del protocollo – affermò il porporato.
E Grau rispose reapidamente:
- Però non mi negherà che ha anche i suoi vantaggi.
(Fonti: testi di José Oller e Newton Briones Montoto e informazioni orali della stampa)


Derecho de mampara

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
2 de Enero del 2016 21:26:21 CDT

Carlos Fonseca debió haber sido el limpiabotas más reputado de La Habana a comienzos del siglo XX. No solo le lustraba el calzado a don Tomás Estrada Palma, entonces presidente de la República, sino que también eran clientes suyos otros tres que, con el tiempo, ocuparían la primera magistratura: el mayor general Mario García Menocal, el licenciado Alfredo Zayas y el general Gerardo Machado. Claro que no todos los usuarios de su sillón eran presidenciables. Fonseca también daba servicio a gente como Rafael Montoro, figura cimera de la autonomía en Cuba, y a no pocos veteranos de la Independencia, como el general Sánchez Figueras, que estuvo con Maceo en el combate de San Pedro y que, ya acabada la guerra, se casó con una muchacha bellísima que podía ser su nieta y a la que dejó viuda cinco años después de haberla desposado.
Tenía Fonseca su sillón en el café El Guanche, en Belascoaín y Neptuno, frente al café El Siglo XX, que todavía existe, y hasta esa esquina llegaba don Tomás… en tranvía.
Resulta que Frank Steinhart, presidente de la Havana Electric, la empresa propietaria de los tranvías habaneros, puso uno de esos vehículos a disposición de Estrada Palma, que lo utilizó para acudir a su toma de posesión como Presidente de la República, el 20 de mayo de 1902, y siguió utilizándolo luego en no pocas de sus gestiones oficiales y particulares.
Abordaba el mandatario el tranvía en las inmediaciones del Palacio Presidencial (antiguo Palacio de los Capitanes Generales), en la Plaza de Armas; salía el vehículo de La Habana Vieja, se internaba en el centro de la ciudad y al entrar en Belascoaín hacía una breve parada a la altura de Neptuno para que descendiera el Presidente. Una vez que le limpiaban los zapatos, don Tomás esperaba a que el tranvía, que había dado la vuelta por Reina, pasara a recogerlo, esta vez por Neptuno.

Machado y los aviones

Gerardo Machado fue el primer presidente cubano que voló en avión, y uno de los primeros mandatarios en hacerlo en el mundo.
Charles Lindbergh, el primer aviador en atravesar solo y sin escalas el océano Atlántico, invitó al dictador a sobrevolar La Habana y Machado no solo aceptó la propuesta, sino que le cogió el gusto de tal forma que a partir de ese momento cada vez que tenía necesidad de desplazarse al oriente de la Isla pedía a Cubana de Aviación que pusiera a su disposición un aparato para ahorrarse la carretera.
El 20 de mayo de 1927, Lindbergh partió del aeropuerto Roosevelt, en Nueva York. Tripulaba un aparato de un solo motor, rediseñado por él mismo, que tenía por nombre Spirit of Saint Louis. Treinta y tres horas y 32 minutos después arribaba al aeródromo de Le Bourget, cerca de París, y consumaba la hazaña que lo convertiría en uno de los aviadores más famosos de todos los tiempos. A partir de ese histórico vuelo y siempre a bordo de su monoplano, visitó varios países latinoamericanos con el propósito de abrir nuevas rutas aéreas. En todas las naciones que visitó se le recibió con gran pompa y se le tributaron los honores que merecía.
Cuba no sería la excepción. El 8 de febrero de 1928, fecha de su llegada a La Habana procedente de Haití, se declaró el Día de Lindbergh. El pueblo habanero fue a darle la bienvenida en el aeródromo del campamento militar de Columbia y lo aclamó luego en la terraza norte del Palacio Presidencial. El general Alberto Herrera, jefe del Ejército, y el doctor Orestes Ferrara, secretario de Estado, lo condujeron enseguida a presencia del presidente Machado, que le otorgaría una importante condecoración. Cuba fue el último país que visitó el famoso aviador norteamericano a bordo del Spirit of Saint Louis. Al regresar a su país decidió que el avión se conservara y exhibiera en el Museo del Aire y el Espacio, de Washington. Lindbergh volvería a la capital cubana en febrero de 1929 a bordo del avión Águila solitaria.
El 12 de febrero un avión se engalanó en el aeropuerto de Boyeros para acoger al presidente de Cuba y al más nombrado de los aviadores, que lo tripularía. Era un Ford de tres motores con capacidad para diez pasajeros y dos tripulantes. A partir de ahí ese mismo aparato u otro con características similares, que hacía entonces los vuelos Habana-Santiago de Cuba con escala en la ciudad de Camagüey, estuvo al servicio de Machado cada vez que el dictador lo solicitaba. Le falló sin embargo el día de la fuga, el 12 de agosto de 1933. Pidió dos aviones, de doce plazas cada uno, para huir de la justicia popular con sus más cercanos colaboradores, y tuvo que conformarse con un aeroplano de seis plazas.
Ese Ford de tres motores, propiedad de la Pan American Airways y que Cubana de Aviación arrendaba, fue vendido, en los días de la II Guerra Mundial, a la República Dominicana, que lo utilizó como avión presidencial. Después que el sátrapa Rafael Leónidas Trujillo se cansó de usarlo, el aparato volvió a Estados Unidos, y aquella aeronave utilizada por dos dictadores empezó a utilizarse en labores de fumigación, hasta los años 60, cuando se sacó de circulación, pero… Hace algunos años el viejo avión fue restaurado y se está usando en viajes turísticos en la ciudad de Grand Rapids, en Michigan. Cobran 50 dólares por pasajero a cambio de una vuelta de 15 minutos.

Menocal y el divino Galimatías

El doctor Ramón Grau San Martín, presidente de Cuba por segunda vez entre 1944 y 1948, era así. No por gusto ganó el mote de Divino Galimatías. Su lenguaje era oscuro y confuso; cantinflesco. Y él, todo un maestro para eludir compromisos y rodear o evadir los temas sobre los que no le interesaba definirse o sobre los que quería ocultar su pensamiento.
Los comerciantes de la calle Muralla le pidieron una entrevista a fin de referirle temas de su interés y para los que buscaban el apoyo del primer mandatario. Hay que decir en honor a la verdad que Grau hizo varios intentos por recibirlos y como siempre una responsabilidad mayor se lo impidió decidió incluirlos en la agenda de la más próxima audiencia pública, sesión maratónica de entrevistas en la que uno de los ayudantes o el secretario del Presidente establecía el orden de precedencia en el recibo y en la cual no faltaban aquellos personajes que gozaban de lo que en la época se llamaba «derecho de mampara», que les franqueaba la puerta sin necesidad de espera alguna.
A las seis de la tarde llegaron los comerciantes de Muralla a Palacio y eran más de la una de la madrugada cuando los hicieron pasar al despacho del Presidente. Grau, muy serio y con los brazos en jarra, los esperaba de pie detrás del escritorio.
—Sé que están aquí desde temprano, pero ya saben cómo son las tareas de un mandatario… agobiantes. ¡La cantidad de gente que me vi obligado a recibir! Imagino, sin embargo, que su espera no habrá sido infructuosa porque habrán reparado en el retrato del presidente Menocal que está en el antedespacho y     verían cómo le cambia  el
rostro a medida que cae la noche.
Al oír aquello, los comerciantes de la calle Muralla quedaron sin palabras. Desconcierto. Intercambio de miradas. Sonrisas forzadas. A uno de los del grupo se le escapó un estornudo. Grau volvió a la carga.
—¿No lo vieron? ¿Cómo es posible que pasaran por alto detalle tan evidente? Vengan, vengan conmigo.
El Presidente condujo al grupo a la antesala del despacho presidencial y lo hizo situarse delante del retrato en cuestión.
—Verán cómo le cambia la cara. ¡Obsérvenlo! —Y a punto ya de escurrirse por un pasillo, añadió: ¡Y síganlo observando!
Aquella noche los comerciantes de la calle Muralla no volvieron a ver al Presidente ni insistieron más en lo de la entrevista.

¡Eso es un robo!

Los dictadores son tacaños en su derrota. Fulgencio Batista, a partir de 1959, no se cansó de proclamar su pobreza, aunque nadie se lo creyera, y otro tanto sucedió con Machado. El día de su fuga, dos de sus ayudantes transportaban el extraño equipaje del ex dictador: ocho saquitos de lona, pesaditos. En ellos iba, en oro, parte de la fortuna de Machado. Otra parte quedaba en Cuba, al amparo de entidades bancarias, segura al parecer.
Pese al reclamo popular, Carlos Manuel de Céspedes, que sucedió a Machado en la presidencia desde el 13 de agosto, no tomó medida alguna contra los depredadores del tesoro de la nación ni confiscó los bienes de los malversadores. En cambio Grau, llegado al poder al calor del golpe de Estado del 4 de septiembre de 1933, recogió el sentir de la ciudadanía y nombró a un fiscal o acusador popular que les iría arriba a los ladrones. Solo en un banco habanero fueron selladas más de 12 cajas de seguridad pertenecientes a figuras muy vinculadas con la dictadura derrocada, entre ellas la de Elvira Machado. Contenía joyas muy valiosas y más de un millón de pesos en efectivo.
—¡Eso es un robo! El contenido de esa caja es la fortuna personal de mi esposa. Las joyas son una herencia familiar y tienen el valor total de 106 000 pesos —declaró Machado en Montreal, Canadá.
Añadió: «Creo que la historia me hará justicia. Mi fortuna actual no es desproporcionada con la que tenía cuando ocupé la presidencia.
Tenía entonces 400 000 pesos por la venta de la Compañía Cubana de Electricidad y grandes intereses en el central azucarero Carmita.
Además de poseer otras plantas eléctricas y fábricas de hielo en diferentes localidades de la Isla…» El proceso contra los malversadores proseguía en La Habana y el jefe de la Policía Judicial levantaba el inventario de las cajas selladas y ponía los documentos en manos del doctor Guillermo Montagú, magistrado del Tribunal Supremo y juez instructor de la causa. El fiscal o acusador popular, por su parte, localizaba y sellaba la caja de seguridad del propio Machado. Pero esa vez el ex dictador se movió rápido y con 150 000 pesos sobornó a la comisión de insobornables que perseguían a los ladrones del erario.
Como Machado no desaprovechaba oportunidad alguna para desmentir los comentarios sobre la fortuna fabulosa que se le atribuía, asegurando que estaba «más bien pobre, como pocos en mi condición», alguien decidió jugarle una broma pesada. Una noche, un sobre dirigido a su nombre llegó a la carpeta del hotel canadiense donde se alojaba. Un bellboy lo subió hasta la habitación del ex mandatario y Machado ordenó que lo abrieran. Sorpresa. Contenía un centavo y una nota en la que se leía: «Como hemos sabido que está tan pobre, sírvase aceptarnos esta modesta ayuda».
De más está decir que Machado montó en cólera.

Cosas del protocolo

Recibe en Roma el capelo cardenalicio monseñor Manuel Arteaga Betancourt, lo que lo convirtió en el primer príncipe cubano de la Iglesia, y regresa por mar a La Habana. Esa misma tarde, el presidente Grau lo recibe en audiencia especial.
—No sabe cuánto lamenté, Eminencia, no poder ir al puerto a recibirlo.
Pero el protocolo no me lo permitía.
—Sí, Presidente, vivimos esclavos del protocolo —aseveró el purpurado.
Y Grau ripostó, rápido:
—Pero no me negará que también tiene sus ventajas.
(Fuentes: Textos de José Oller y Newton Briones Montoto e informaciones orales y de prensa)


Ciro Bianchi Ross

























martedì 5 gennaio 2016

Isolamento

Sono rimasto tre giorni senza telefono e quindi, senza Internet. La comunicazione mi è appena stata ristabilita e domani pubblicherò la solita colonna di Ciro Bianchi.

giovedì 31 dicembre 2015

Arrivederci all'anno prossimo

Anche il 2015 è andato, solite frasi di augurio e di speranza che si dicono ad ogni scadenza dei dodici mesi e poi...l'anno nuovo è simile a quello vecchio, carico di eventi di ogni tipo, belli o brutti che siano. Ma la speranza, si sa, è l'ultima a morire.
Per il sottoscritto si chiude anche il ciclo di collaborazione con l'agenzia LatitudCuba che si occupa di turismo non convenzionale a Cuba.
Gli anni, di lavoro e anagrafici, cominciano a farsi sentire, è ora di stare a casa anche senza abbandonare completamente gli interessi.
Perderò una connessione lenta a Internet per guadagnarne una...lumaca, spero comunque con i 56k nominali di poter continuare a mantenere questo contatto, con più pazienza e magari dovendo ridurre le immagini. In attesa del realizzarsi delle promesse del ritrovato "amico" del nord per il miglioramento delle telecomunicazioni. Nel frattempo, anche siti come Oracle, per esempio, continuano ad essere inaccessibili per "un Paese sottoposto a sanzioni dal Governo degli Stati Uniti".
Vale la pena di fare richiesta al nascituro 2016 per una reale applicazione dei buoni propositi?
Massì... buon anno a tutti e tante belle cose.

Voluttuoso

VOLUTTUOSO: prova piacere con le disgrazie

lunedì 28 dicembre 2015

Fine anno a Cuba, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 27/12/15

L’anno è esempio di processo ciclico: ha una relazione analogica con processi tali come il giorno, la vita umana, il future di una cultura…tutti con una fase ascendente e un’altra discendente. La fine dell’anno per l’essere umano è sempre un occasione di bilancio e revisione; momento propizio per ripassare successi e sconfitte e contrapporre l’ottenuto con quello che non si è raggiunto. Alle 12 di sera del 31 dicembre si chiude una tappa che apre subito il passo a un’altra che si apre con nuove mete che a volte arrivano sempre prima di questi anelati e invariabilmente inconclusi propositi di abbandonare la sigaretta, visitare la vecchia zia malata o calare di peso corporeo.
Si dice; “Anno nuovo, vita nuova”.
La feste natalizie e di fine anno cominciano con sufficiente anticipo. Da quando inizia dicembre i grandi commerci ci ricordano, con motivi allegorici e timidi ribassi di prezzo, la loro vicinanza, l’installazione dell’alberello con le sue luci e palle colorate è una festa per la famiglia. Cresce l’allegria e cala il ritmo di lavoro. Le malattie danno un respiro. O la gente da un respiro alle sue malattie e nonostante i mali continuino ad esserci, si pospone fino a gennaio la visita medica. Quelli che pomeriggio dopo pomeriggio provano le bevande alcoliche allora non vacillano, in quello che “un giorno è un giorno”, nel mettersi un goccetto, avolte più di uno e quello che guarda da un’altra parte per non salutare nessuno, bisogna sopportarlo perché non stringa fra le braccia il vicino. Arrivano biglietti di auguri. Più o meno dicono lo stesso: “Buone feste e prospero anno nuovo”.
Sono le feste per la nascita del Figlio di Dio. Ma a Cuba, come succede in molti altri Paesi, la celebrazione si è dissacrata e questi giorni sono passati ad essere grato motivo di riunione familiare e di reincontro con amici, anche se i templi cattolici si riempiono di fedeli, non sempre devoti, per ascoltare la Messa di Mezzanotte che si officia alle 11 di sera del 24 e che adesso può essere alle nove o a qualsiasi altra ora.

Quello che è avanzato

La cena del 24, la Vigilia propriamente detta, è il centro della celebrazione. Questo giorno – può essere anche il 31 – per molti rende importante indossare un capo nuovo, sia una giacca che un paio di mutande. La famiglia cubana non ha, per l’occasione, un’ora fissa per cenare. Si impone, sí, nella maggior parte dell’Isola, di farlo con la famiglia e si spera di averla tutta a tavola per cominciare a degustare i fagioli neri “addormentati”  e il riso bianco sgranato e risplendente, la yuca con la salsa, il maiale al forno o il tacchino ripieno o senza ripieno che assieme ai dolci caserecci, come i krapfen di Natale e un’ampia gamma di dolci sciroppati e torroni spagnoli, sono piatti – anche il fagiano in salsa nera – che conformano la spanciata della data che, in un Paese senza tradizione né cultura vinicola, si annaffia generalmente con birra ghiacciata. Non sono frequenti nella Vigilia cubana l‘agnello né il pesce con frutti di mare, nemmeno il baccalà, abituali in altre latitudini.
In una fine evocazione della cucina cubana il poeta Miguel Barnet scriveva:
“Non sfuggono alla mia memoria le vigilie nella mia casa al mare, con il maialino allo spiedo, il tacchino gigante o il pargo arrostito alla catalana, tutto accompagnato dalla banana matura fritta, rotelle di banana tostata rubiconde o yuca con salsa d’aglio”.
Lo scriba sa che nella Cuba di oggi, non tutti mangiano sempre quello che vorrebbero. Me è convinto che non c’è famiglia cubana che vada a letto senza cena. Per modeste che siano le risorse, si riserva sempre qualcosa di speciale o diverso per questa sera.
Uno dei nostri grandi osservatori del costume diceva che per il cubano medio non è tanto importante quello che ha messo in tavola alla Vigilia, ma quello che è avanzato, al fine di poter commentare che c’è stato tanto da mangiare che in casa sua non è stato necessario cucinare il giorno seguente. In realtà la cubana non usa mettersi in cucina il 25 che è il giorno dei cosiddetti avanzi, questo è, mangiare quello che è rimasto dalla sera precedente.
Ci vuole un  25 il più tranquillo possibile, ideale per le visite, finire la bottiglia che è rimasta a metà dalla sera o per alleggerire l’agitazione dei giorni precedenti. Anche se ha guadagnato terreno negli ultimi anni la cena del 31, si preferisce una cena leggera in casa,per celebrare alla grande la data in strada, ricevere l’anno e cominciare un nuovo ciclo con il pranzo del 1° gennaio.
Tanta prodezza metabolica lascia, chi più chi meno, con l’apparato digesto scombussolato. Rimane ancora un giorno, quello dell’arrivo dei Re Magi, i tre savi che appaiono nei Salmi e che, come una rappresentazione omniscente dell’umanità intera, resero omaggio al bambino di Betlemme.
Con loro finiscono le feste. Rimane in un angolo, nessuno sa per quanti giorni ancora, l’alberello già buio e sempre più impolverato. Se si è montato con l’illusione dei giorni a venire, toglierlo diventa una tortura che si pospone di volta in volta fino a che qualcuno, in casa, si riempie di valore e lo si smonta per conservare con cura le palle colorate e le luci che si utilizzeranno di nuovo alla fine di quest’anno.

Il pupazzo e la valigia

Nelle fine anno ci sono usanze che si mantengono e nuove che lottano per perpetuarsi.
Lo scriba che è già alla soglia dei 70 anni, non ricorda di aver visto mai, prima del 1959, uscire nessuno alle 12 di sera del 31 di dicembre, con una valigia in mano per fare il giro dell’isolato. Si tratta di un’usanza che adesso si va estendendo e quelli che la praticano dicono che è il modo di assicurarsi un viaggio all’estero. O di propiziarlo. Lo scriba non ha nemmeno visto bruciare un pupazzo che simbolizzasse l’anno vecchio, come si fa oggi in alcune località col pretesto di eliminare i mali del periodo che termina. Un pupazzo di stracci che modellano i più giovani della zona e che con nuovi annessi, si va ingrossando giorno dopo giorno fino alla fine. In alcune città, come Remedios, nella regione centrale del Paese, il 24 dicembre è la data di celebrazione delle sue celebri “Parrandas”. I remediani, allora, cenano presto per essere nella piazza centrale quando comincia la festa in cui “carmelitas” e “sansariés”   si disputeranno la vittoria a colpi di razzi.
Quando ero bambino, il porcellino che era come lo chiamavamo, o in sua mancanza la zampetta, si arrostiva in panetteria. Giunto il 24, la famiglia toglieva dal ripostiglio il vassoio o l’asse, riposte dall’anno prima che il panettiere metteva nel forno e che, già arrostito l’animale o la sua zampa, officiavano come una specie di barella per trasferirlo a casa. La cosa diventava brutta qyando l’orologio cominciava a correre, giungevano le otto o le nove di sera, l’ansietà cominciava a fare danni e il porcellino non arrivava dalla panetteria anche se dalle prime ore della mattina si era sollecitato il servizio. È che bisognava aspettare il proprio turno. Di quei tempi tornano alla memoria dello scriba i nomi di alcune panetterie, tutte nel reparto Lawton; Il buon Gusto, in Concepción angolo Armas;
Sasn Francisco, nella strada dallo stesso nome fra Delicias e Diez de Octubre; La Princesa al 16 angolo Concepción e El Bombero, in Porvenir angolo B che è, credo l’unico di questi quattro esercizi che è rimasto aperto.
Tanto si arrostisse nella panetteria come a casa, il procedimento aveva le sue complessità. Il giorno anteriore si ammazzava l’animale e si raccoglieva il sangue per i sanguinacci. Gli si gettava acqua bollente, si sfregava con un mattone per togliergli la pelle e sbiancarlo. Si radeva e si sciacquava.
Si apriva, e si toglievano le viscere. Quindi si sciacquava dentro e si appendeva perché scolasse. Si addobbava la sera e il giorno seguente si scolava la guarnitura e si metteva il maiale sulla graticola. Se si era deciso di arrostirlo in casa un’opzione era quella di aprire un buco di un metro quadrato nella terra, rifornirlo di carbone o legna sufficiente e collocare la graticola su quattro sostegni. L’arrosto si allontanava dalle fiamme a misura che l’animale si cucinava. Mentre il maiale si arrostiva, le viscere fritte che erano le prime ad essere mangiate, erano accompagnate da rum o birra. Tutto ciò era parte del folklore.

Aguinaldo

Si avvicinano le feste di fine anno e i raccoglitori di spazzatura e quelli che spazzavano le strade bussavano alle porte delle case per fare gli auguri alle famiglie. Le avevano servite durante i mesi precedenti e col loro saluto suggerivano una piccola ricompensa chiamata “aguinaldo”. La suggeriva anche il postino che lasciava, come gli altri, una piccola cartolina con un messaggio cordiale e speranzoso. Tutto in cambio della classica “peseta”; i 20 centesimi che era generalmente quello che si ossequiava. Giunta la data, il bottegaio regalava ai suoi clienti: una lattina di dolce sciroppato, un torrone, una bottiglia di rum o di vino, una regalia che era in proporzione con le spese che il cliente aveva fatto durante l’anno e che garantiva che il cliente continuasse a fare lì i suoi acquisti.
Allora non eravamo ancora utenti.
Ancora, fino ai primi anni della Rivoluzione, sulla stampa si annunciava il saluto del corpo diplomatico accreditato al Presidente della Repubblica e il cocktail con cui il primo cittadino corrispondeva al saluto, il primo giorno dell’anno, nel Salone degli Specchi del Palazzo. Il 31 dicembre del 1966, si celebrò l’anniversario della vittoria del 1959 con una cena gigante nella Piazza della Rivoluzione, alla quale assistettero i principali dirigenti e funzionari dell Stato.

Il secchio

Una tradizione che ha resistito a tutte le epoche è quella del secchio. Quando l’orologio segna le 12 del giorno 31, il cubano ha già preparato dietro la porta un secchi pieno d’acqua che getta in strada conil dodicesimo rintocco, con la speranza che si porti via tutto il male e che per buono che fosse l’anno che va, sia migliore quello che arriva.
Ci sono i 12 chicchi d’uva e la coppa di champagne o di sidro, una tradizione che è tornata. Ma mai prima che si lanci il secchio in strada con allegria e speranza.
Abbiamo avuto fine d’anno meglio di altri. Il 31 dicembre del 1898 cessò, a Cuba, la dominazione spagnola. La nuova situazione ha provocato sentimenti contrastanti nei cubani più semplici. Alcuni piangevano, altri ridevano, scriveva il cronista Federico Villoch.
Era una commozione nervosa, difficile da contenere, non si lottò per tanti anni perché alla fine fosse la bandiera nordamericana a sventolare in Plaza de Armas e nel Morro. Ma l’uscita della Spagna, dopo 400 anni di dominazione procurava sollievo e allegria.
Sessant’un anni dopo, l’acqua del secchio della fine anno 1958 portava via Batista e la sua banda. E tutto un regime sociale. Per la prima volta nella storia, la frase “Anno nuovo, vita nuova” cominciava a essere una realtà per i cubani.


Fin de año en Cuba
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
26 de Diciembre del 2015 20:19:20 CDT

El año es ejemplo de proceso cíclico; guarda una relación analógica con procesos tales como el día, la vida humana,  el devenir de una cultura… todos con una fase ascendente y otra, descendente. El fin de un año es siempre para el ser humano ocasión de balance y recuento; momento propicio para repasar éxitos y fracasos, y contrastar lo conseguido con lo que no se alcanzó. A las 12 de la noche del 31 de diciembre se cierra una etapa que da paso enseguida a otra que se abre con nuevas metas, que a veces vienen de antes como esos siempre anhelados e invariablemente incumplidos propósitos de abandonar el cigarrillo, visitar a la vieja tía enferma o rebajar el peso corporal.
Se dice: «Año nuevo; vida nueva».
Las fiestas navideñas y de fin de año comienzan con bastante anticipación. Desde que entra diciembre los grandes comercios nos recuerdan, con motivos alegóricos y tímidas rebajas de precio, su cercanía, y la puesta del arbolito, con sus luces y bolas de colores, es una fiesta para la familia. Crece el júbilo y el ritmo laboral decrece. Las enfermedades dan un respiro. O la gente da un respiro a sus enfermedades y, aunque los males sigan ahí, se aplaza hasta enero la visita al médico. Los que muy de tarde en tarde prueban las bebidas alcohólicas, no vacilan entonces,  por aquello de que «un día es un día», en darse su trago, y a veces más de uno, y el que mira hacia otro lado para no saludar a nadie, hay que aguantarlo para que no apurruñe entre los brazos al vecino. Llegan las tarjetas de felicitación. Dicen más o menos lo mismo: «Felices fiestas y Próspero año nuevo».
Son las fiestas por el nacimiento del Niño Dios. Pero en Cuba, al igual que sucede en otros muchos países, la celebración se ha desacralizado y esos días pasaron a ser grato motivo de reunión familiar y de reencuentro de amigos, aunque los templos católicos se llenen de feligreses, no siempre devotos, para escuchar la Misa del Gallo, que se oficia a las 11 de la noche del 24 y que ahora puede ser a las nueve o a cualquier otra hora.

Lo que sobró

La cena del día 24, la Nochebuena propiamente dicha, es el centro de la celebración. Ese día —puede ser también el 31— para muchos es importante estrenar una pieza de ropa, sea una chaqueta o un calzoncillo. La familia cubana no tiene, en la ocasión, una hora fija para cenar. Se impone, sí, en la mayoría de la Isla, hacerlo en familia, y se espera tenerla toda a la mesa para empezar a degustar los frijoles negros dormidos y el arroz blanco desgranado y reluciente, la yuca con mojo, el puerco asado o el guanajo relleno o sin rellenar que, junto con los postres caseros, como los buñuelos de navidad, y una amplia gama de dulces en almíbar y turrones españoles, son los platos —también el guineo en salsa negra— que conforman la comilona de la fecha que, en un país sin tradición ni cultura vinícola, se riega por lo general con cerveza helada. No son frecuentes en la Nochebuena cubana el cordero ni los pescados y mariscos, tampoco el bacalao, habituales en otras latitudes.
En una fina evocación de la cocina cubana escribía el poeta Miguel Barnet:
«No escapan a mi memoria las nochebuenas de mi casa marina, con el lechón al pincho, el pavo gigante o el pargo asado a la catalana, todo acompañado de plátano maduro frito, tostones rubicundos o yuca con mojo de ajos».
Sabe el escribidor que en la Cuba de hoy no todos comen siempre lo que quieren.  Pero está convencido de que no hay familia cubana que se acueste sin comer. Por modestos que sean sus recursos, siempre se reserva algo especial o al menos distinto para esa noche.
Decía uno de nuestros grandes costumbristas, que para el cubano promedio no es tan importante lo que llevó a la mesa en la Nochebuena, sino lo que sobró, a fin de poder comentar que hubo tanta comida que en su casa no se hizo necesario cocinar al día siguiente. En realidad, la cubana no suele meterse en la cocina el 25, que es el día de la llamada montería, esto es, de comer lo que quedó  de la noche anterior.
Se quiere un 25 lo más tranquilo posible, ideal para la visita, acabar la botella que quedó mediada de la noche  o para aliviar el ajetreo de jornadas anteriores. Aunque ha ganado espacio en los últimos años la cena del 31, se prefiere una comida ligera en casa para celebrar la fecha en grande en la calle y recibir el año y empezar un nuevo ciclo con el almuerzo del 1ro. de enero.
Tanta proeza metabólica deja, al que más y al que menos, con el aparato digestivo sobresaltado. Queda aún un día más, el de la llegada de los reyes magos, los tres sabios que aparecen en los Salmos y que, como una representación omnisciente de la humanidad toda, rindieron homenaje al niño de Belén.
Con ellos, se acaban las fiestas. Queda en un rincón, nadie sabe por cuántos días más, el arbolito ya oscuro y cada vez más empolvado. Si se montó con la ilusión de los días por venir, quitarlo se convierte en una tortura que se pospone una y otra vez hasta que alguien en la casa se llena de valor y lo desmonta para guardar con cuidado las bolas de colores y las luces que se utilizarán de nuevo al final de ese año.

El muñeco y la maleta

Hay en esto del fin de año costumbres que se mantienen y nuevos usos que pugnan por perpetuarse.
El escribidor, que está ya a las puertas de los 70 años, no recuerda haber visto nunca antes de 1959 salir a nadie, a las 12 de la noche del 31 de diciembre, con una maleta en la mano a fin de darle la vuelta a la manzana. Se trata de una costumbre que ahora se va extendiendo y los que la practican refieren que es la forma de asegurarse un viaje al exterior. O de propiciarlo. Tampoco vio el escribidor quemar un muñeco que simbolizara el año viejo, como se hace hoy en algunas localidades, con el pretexto de eliminar lo malo del período que termina. Un muñeco de trapo que conforman los más jóvenes de la zona y que, con nuevos añadidos,  va engrosando día a día hasta el final. En algunas ciudades, como Remedios, en la región central del país, el 24 de diciembre es la fecha de la celebración de sus célebres Parrandas. Los remedianos entonces cenan temprano para estar en la plaza central cuando se inicie una fiesta en que «carmelitas» y «sansaríes» discutirán el triunfo a cohetazo limpio.
Cuando yo era niño, el lechón, que era como le llamábamos, o, en su defecto, el pernilito, se asaba en la panadería. Llegado el 24, la familia sacaba del cuarto de los trastos la tártara o  plancha, guardada desde el año anterior, que el panadero metería en el horno y que, ya asado el animal o su pata, oficiaba como una especie de parihuela para trasladarlo a la casa. La cosa se ponía fea cuando el reloj empezaba a correr, llegaban las ocho o las nueve de la noche, la ansiedad comenzaba a hacer estragos y el lechón no regresaba de la panadería, aunque desde temprano en la mañana se había solicitado el servicio. Y es que debía esperar su turno.  De aquella época vienen a la memoria del escribidor los nombres de algunas panaderías, todas en el reparto Lawton: El Buen Gusto, en Concepción esquina a Armas; San Francisco, en la calle del  mismo nombre entre Delicias y Diez de Octubre;  La Princesa, en 16 esquina a Concepción y El Bombero, en Porvenir esquina a B, que es, creo, el único de estos cuatro establecimientos que permanece abierto.
Tanto si se asaba en la panadería o en la casa, el proceso tenía sus complejidades. Se mataba el animal el día antes y se recogía la sangre para las morcillas. Se le echaba  agua hirviendo, y se frotaba con un ladrillo para sacarle la piel y blanquearlo. Se afeitaba y enjuagaba.
Se abría y se extraían las vísceras. Se enjuagaba entonces por dentro y se colgaba para que escurriera. Se adobaba por la noche y al día siguiente se escurría ese adobo y se ponía el cerdo en la parrilla. Si se había decidido asarlo en la casa una opción era de la abrir en la tierra un hueco de medio metro cuadrado, abastecerlo de carbón o leña suficiente, y colocar la parrilla sobre cuatro estacas. El asado se alejaba de la candela a medida que el animal se cocinaba. Mientras el puerco se asaba, las vísceras fritas, que era  lo primero que se comía, acompañaban el ron o la cerveza. Todo eso era parte del folclor.

Aguinaldo

Se aproximaban las fiestas de fin de año y los recogedores de basura y los que barrían la calle tocaban a las puertas de las casas para felicitar a las familias. Las habían servido durante los meses precedentes  y con su saludo sugerían una pequeña recompensa, el llamado «aguinaldo». La sugería también el cartero, que dejaba, al igual que los otros, una pequeña tarjeta con un mensaje amable y esperanzador. Todo a cambio de la clásica peseta; los 20 centavos que era lo que por lo general se obsequiaba. Llegada la fecha, el bodeguero recompensaba a sus clientes: una lata de dulces en almíbar, un turrón o una botella de ron o de vino, una dádiva que estaba en proporción con el gasto en que el cliente hubiera incurrido durante el año y que aseguraba que el sujeto siguiera haciendo allí sus compras.
Entonces, todavía no éramos usuarios.
Todavía hasta los primeros años de la Revolución se anunciaba en la prensa el saludo del cuerpo diplomático acreditado al Presidente de la República y el coctel con que el mandatario correspondía al saludo  el día primero del año en el Salón de los Espejos de Palacio. El 31 de diciembre de 1966 se celebró el aniversario del triunfo de 1959 con una cena gigante en la Plaza de la Revolución, a la que asistieron los principales dirigentes y funcionarios del Estado.

El cubo

Una tradición que ha resistido todas las épocas es la del cubo. Cuando el reloj va a marcar las 12 del día 31, tiene ya el cubano preparado detrás de la puerta un cubo lleno de  agua que lanza a la calle con la duodécima campanada, con la esperanza de que se lleve todo lo malo y que, por bueno que fuera el año que se va, sea mejor el que llega.
Están las 12 uvas y la copa de champán o de sidra, una tradición que ha vuelto. Pero nunca antes que el cubo que se lanza a la calle con alegría y esperanza.
Hemos tenido fines de año mejores que otros. El 31 de diciembre de
1898 cesó en Cuba la soberanía española. La nueva situación provocó sentimientos encontrados en el cubano de a pie. Unos lloraban, otros reían, escribía el cronista Federico Villoch. Era una conmoción nerviosa difícil de contener. No se luchó durante tantos años para que al final fuera la bandera norteamericana la que tremolara en la Plaza de Armas y en el Morro. Pero la salida de España, luego de 400 años de dominación, ocasionaba alivio y alegría.
Sesenta y un  años después, el agua del  cubo del fin de año de 1958 arrastraba a Batista y a su camarilla. Y a todo un régimen social. Por primera vez en la historia la frase «Año nuevo; vida nueva» empezaba a ser una realidad para los cubanos.

Ciro Bianchi Ross


sabato 26 dicembre 2015

Viva, girato all'Avana precandidato all'Oscar

Ricevo su FB questo post della direttrice dei Casting dell'ICAIC, Libia Batista Mora, la segnalazione alla precandidatura all'Oscar del film "Viva", girato completamente all'Avana e interpretato da attori cubani nei ruoli principali.

Amigos nuestro filme VIVA quedo entre las 9 finalistas para los premios OSCAR, poner sus mente positiva para ver si en enero queda entre las 5 que competiran. Aunque para mi ya es un premio. Esta pelicula esta dirigida completamente en La Habana por el cineasta irlandes Paddy Breathnatch, protagonizada por los actores Hector Medina, Jorge Perugorria (Pichi) y Luis Alberto Garcia. Ya se estreno en Los Angeles, en La Habana, en el mes de febrero se pondra en Miami. Gracias

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Visone

VISONE: grossa faccia

venerdì 25 dicembre 2015

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