Naturalmente, essendo appena terminato l’intervento mediatico, era prematuro poter dire “come la gente ha vissuto questo intervento”., Uscendo, poco dopo l'annuncio, non ho trovato un’Avana “diversa” dal solito. Nel pomeriggio invece sono iniziate le manifestazioni di gioia, particolarmente, per la liberazione dei tre anti terroristi in carcere da 16 anni e condannati a pene spropositate, da tribunali sicuramente non imparziali, per reati in alcuni casi nemmeno provati o portati nelle tesi dell'accusa.
Più che altro i cubani sono pieni di speranza che con questo frammento di disgelo si possa progredire oltre ed arrivare alla fine dell’assurdo, anacronistico e controproducente embargo economico, finanziario e commerciale. Qualche ottimista lo da già per scontato e forse ha ragione, ma credo che comunque Obama debba fare i conti con il suo Parlamento che non è detto sia compatto nell’accogliere la proposta. Credo che lui farà di tutto per finire il suo secondo e ultimo mandato con questo asso tolto dalla manica.
Nel frattempo al di la degli aspetti, comunque fortemente positivi il nodo dell’embargo non è stato affrontato e nemmeno si è chiarito se ristabilendo le relazioni diplomatiche cuba verrà tolta dalla “strana” lista dei paesi patrocinatori del terrorismo, redatta dagli Stati Uniti che peraltro non vi si includono...
Nel frattempo, l'amico Luca Lombroso, sempre attento, mi ha inviato l'articolo del giornalista Gennaro Carotenuto che condivido e pubblico
http://www.gennarocarotenuto.it/27748-cuba-usa-se-obama-cita-jose-marti-riconosce-non-americani/
Cuba-USA, se Obama cita José Martí
e riconosce che non solo loro sono americani
Dopo oltre mezzo secolo di fallimentare politica
d’isolamento, come ammette coraggiosamente Barack Obama, le relazioni tra Stati
Uniti e Cuba vivono questo 17 dicembre 2014 un nuovo storico inizio. “Per oltre
mezzo secolo abbiamo fatto la cosa sbagliata sperando che Cuba collassasse, ma
ciò non è accaduto”. Cuba non solo non è collassata ma, come solo gli
informatori onesti hanno raccontato, da oltre due lustri ha rotto l’isolamento
teso dalla superpotenza del Nord e incrudelito dopo la caduta del muro di
Berlino, rendendo quell’embargo inutile e antistorico.
Che piaccia o no, la Rivoluzione cubana è così sopravvissuta non solo al
fallimento del socialismo reale ma anche a quello del neoliberismo reale, le atrocità
del quale, la fame, la violenza, la dissoluzione di parti fondamentali della
convivenza civile date dallo stato sociale, sono state risparmiate in questi
decenni al popolo cubano. Il processo che inizia oggi con il ristabilimento
delle relazioni diplomatiche, e una lunga serie di misure che comportano una
significativa apertura reciproca tra i due paesi, compreso lo scambio di
prigionieri che mette fine alla vicenda dei cinque antiterroristi cubani
detenuti negli USA, e che prosegue con la battaglia parlamentale per
l’eliminazione di un embargo che negli USA è legge dello Stato, è stato reso
possibile da una serie di fattori.
Il primo è che la resistenza del popolo cubano in tutti questi anni si è
dimostrata essere non ideologica ma rispondente a precise esigenze storiche
nazionali. Che piaccia o no, – nonostante in particolare nei primi anni
Settanta abbia vissuto periodi opachi – Cuba non è mai stata il gulag tropicale
descritto dal modello disinformativo mainstream. In un paese dove circolano liberamente
milioni di stranieri non si sopravvive alla crudezza del periodo speciale senza
un consenso di massa, che non può essere basato sulla repressione. Questa
partita, che doveva concludersi con la capitolazione dell’isola e la sua
sottomissione al gigante del Nord, passa invece dal riconoscimento della
dignità e della sovranità di Cuba, qualcosa di elementare che da Kennedy a Bush
nessun presidente statunitense aveva mai pensato di fare.
Quello che muore definitivamente oggi è dunque l’emendamento Platt,
quell’articolo inserito dagli USA nella prima Costituzione dello stato cubano
dopo la fine del colonialismo spagnolo, che sanciva che l’indipendenza di Cuba
fosse condizionata agli interessi degli USA. Gli USA non hanno riconosciuto le
ragioni della Rivoluzione ma oggi si sono dovuti inchinare di fronte alla
dignità del popolo cubano che avevano sempre negato in 116 anni di storia. Non
dev’essere stato facile per Obama citare José Martí e ammettere che «todos
somos americanos» così come Raúl nel chiedere rispetto per Obama comincia a
smantellare una parte della retorica rivoluzionaria.
Ciò non significa né la risoluzione dei conflitti tra i due paesi, né il
declinare di differenze sostanziali su libertà individuali ed economiche, sulla
forma dello Stato e sul concetto di democrazia. In quest’ambito, l’apertura
necessaria per Cuba, un paese che continua a vivere in situazione di notevole
penuria, è appena all’inizio. Cuba, la Rivoluzione, la società cubana saranno
da domani chiamate ad accettare una sfida sulla quale è impossibile fare
pronostici: più interscambio economico e culturale, più contatti, più rimesse,
più facilità di spostamenti modificano oggettivamente la situazione. Si
amplierà un processo che, al di là delle dichiarazioni modificherà nel profondo
il modello socialista provando a salvare le conquiste della Rivoluzione. Solo
tra qualche anno sarà possibile capire in che direzione e se il saldo sarà
positivo. Molti – nei due campi, soprattutto da lontano – possono cominciare a
storcere la bocca fin d’ora. Potremmo costruire un dizionario dei termini sui
quali cubani e statunitensi non trovano un accordo, da libertà a democrazia a
diritti umani. Sapendo che nessuno ha l’esclusiva sulla ragione e sulla verità,
da domani potranno finalmente dialogarne.
TODO CAMBIA
Tutto ciò accade in un momento storico nel quale gli USA devono prendere
atto che il loro ruolo del mondo e nel Continente è quello di una grande
potenza non più onnipotente. Le strutture regionali, da Unasur al Mercosur,
hanno oscurato negli ultimi anni la primazia degli USA e il ruolo della OEA. In
ogni sede Cuba può contare sull’appoggio di tutti i paesi più importanti della
regione, a partire dal Brasile. Prima Hugo Chávez, poi tutti gli altri leader
integrazionisti latinoamericani, da Lula a Correa, da Evo a Kirchner a Mujíca,
avevano riconosciuto a Fidel Castro e alla Rivoluzione cubana una primogenitura
morale che si può ritrovare nella storia delle generazioni che hanno lottato e
perduto contro dittature e regimi neoliberali, per vedere riconosciute le loro
ragioni solo in questo scorcio di XXI secolo.
Un altro attore diplomatico va citato in questa vicenda. Nel 1998 il
viaggio a Cuba di Karol Wojtyla era stato il primo segnale della fine
dell’isolamento; Joseph Ratzinger aveva risolto ogni conflitto tra Santa Sede e
Cuba; Jorge Bergoglio ha riportato la diplomazia vaticana ad un ruolo centrale
nella regione. Paradossalmente la debolezza dell’anatra zoppa Obama ha fatto il
resto, rendendo possibile quanto aveva cominciato a preparare già dal 2006 l’ex
ministro degli esteri cubano Felipe Pérez Roque, che, forse per il passo
eccessivamente veloce, ci rimise la carriera. Per quanto difficile possa essere
ora la battaglia parlamentare negli USA per la cancellazione dell’embargo, il
cammino appare segnato. Comincia un dialogo difficile ma basato sul
riconoscimento dell’altro e della differenza, basato sul rispetto della
reciproca sovranità e autodeterminazione. Nostalgici della guerra fredda
astenersi.
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