Il 29 di settembre del 1933,
in mezzo alla confusione e al fuggi fuggi che causò la sparatoria, si persero le
ceneri di Julio Antonio Mella quando i suoi compagni si apprestavano a
depositarle nel tumulo che avevano preparato, con questo proposito, in uno degli
angoli della Plaza de la Fraternidad.
Sembrava che le spoglie del
leader rivoluzionario avessero la virtù di sparire sempre quando le circostanze
lo richiedessero, per riapparire al momento opportuno. Nelle settimane
precedenti erano sparite in due occasioni, prima del loro trasporto all’Avana.
La prima volta quando, appena uscite dall’inceneritore, Juan Marinello che era
il responsabile di trasportarle, si recò a un’agenzia di viaggio per far credere
alla polizia messicana che sarebbe stata quella la via del trasporto. Quando i
sicari giunsero per impadronirsi della reliquia, toccò al gestore dell’agenzia
dirgli che quello che cercavano non era più nell’esercizio.
Qualcosa di simile successe
la sera in cui gli si rendeva omaggio nell’Anfiteatro Bolivar della Scuola
Nazionale Preparatoria. Numerose truppe, con le spade sguainate, circondarono
l’edificio e occuparono le uscite. Volevano imprigionare sopratutto coloro che
fecero uso della parola nell’atto. La cubana Mirta Aguirre suggerì che tutti,
uniti dietro le ceneri, guadagnassero la strada proteggendo gli oratori. In un
gruppo strettissimo si diressero tutti, con le ceneri nel mezzo, verso la porta
principale. Prima di giungervi, la polizia era già dentro la sala e minacciava
il pubblico con i fucili, mentre gli ufficiali impugnavano le loro pistole.
Lo scontro diventa inevitabile.
Diversi poliziotti cercano di impossessarsi delle ceneri e quelli che le
proteggono danno la risposta adeguata. Lo storico cubano, Gerardo Castellanos,
colpisce con un pugno potente uno degli ufficiali facendolo cadere al suolo. La
confusione dura qualche minuto. C’è una violenta lotta, senza grida, senza
paura, senza spaventi. Quando si ristabilisce la calma ci si rende conto che lo
scrigno è sparito. Allora comincia la conta dei detenuti. L’ufficiale che
comanda il gruppo da ordine ai suoi subalterni e numerosi operai e studenti
vengono spinti con violenza verso i cellulari che attendono in mezzo alla
nutrita cavalleria. Comincia l’identificazione degli oratori e il fiasco
poliziesco è grande quando constatano che gli erano sgusciati per l’uscita
posteriore dell’edificio. In quel momento portano Marinello e lo inviano a un
cellulare già pieno di detenuti, non senza che il capo avverta che si tratti
con attenzione il professore.
I detenuti vanno giungendo
al commissariato e cominciano già a catalogarli con un’operazione lenta e
frustrante. Sono inquadrati in fila e un signore alto,magro e dagli occhi
d’acciaio li scruta uno ad uno per un certo tempo. La polizia insiste nel
sapere quale delle giovani detenute fu quella che fece uso della parola
nell’atto. Nessuna di loro, rispondono tutti, come se si fossero messi
d’accordo. Ci sono altri conciliaboli e consultazioni. Alla fine il capo, con
aria paterna, decide che le giovani vadano a casa. Permette anche l’uscita di
alcuni detenuti e altri, come Juan Marinello, li invita perché vengano la
mattina seguente davanti al Capo
dell’Investigativa. Il resto rimane ingabbiato per tempo indefinito, con
un trattamento umiliante protetto dalla contumacia poliziesca.
Mentre ciò succedeva, alti
dirigenti, non senza solennità, aprivano lo scrigno. Niente. Le ceneri di Julio
Antonio Mella si erano volatilizzate di nuovo. Trovarono, però, una lettera con
un testo eloquente dedicato alle autorità. Questo è il colmo! Esclamarono e
stropicciarono il foglio con disprezzo.
Patto
del silenzio
Nel pomeriggio del 29
settembre, fu Ramón Nicolau che pose in salvo le ceneri di Mella per
consegnarle poi a Marinello. Nicolau, che lo scriba conobbe negli anni ’70, era
già in quel lontano pomeriggio, o lo sarebbe stato col tempo, il capo della
commissione militare del Partito Comunista. Nei giorni della Guerra Civile
spagnola, fu il responsabile del reclutamento e inviò in Spagna più di mille
combattenti cubani volontari per far si che Cuba fosse il Paese che contribuì
con più uomini alla lotta antifascista in quella disputa. Operazione di
successo che trascorse nell’assoluto silenzio.
A partire da lì le ceneri di Mella che si pensavano perdute, percorreranno un cammino azzardato. Marinello,
che giungerà a presiedere quella organizzazione politica, si compromette a
mantenere in segreto il nome del custode e il luogo dove si conservano. Una
sorte di patto del silenzio, come quello che nel 1896 a Santiago de las Vegas
fece la famiglia Pérez con relazione al
luogo dove si conservavano i resti del Maggior Generale Antonio Maceo e
dell’aiutante Francisco Gómez Toro.
Marinello stesso si occupa
della cura della reliquia. Lo fa fino al 10 marzo del 1952. Quando, in questa
data, Batista con il colpo di Stato, rompe il ritmo costituzionale della
nazione, chiede al magistrato Antonio Barreras che le protegga. Barreras, molto
amico anche di Jorge Mañach, era l’uomo che manteneva vivo, a Cuba, il ricordo
del narratore Alfonso Hernández Catá, morto in un incidente di aviazone nel
1940, grazie a un concorso di racconti il cui trofeo – il Premio Henández Catá
– si considera il più importante della Repubblica prima del 1959.
Barreras conservò le ceneri
fino a una data non determinata del 1958. La sua casa smise di essere sicura e
Marinello le riprese fino a che il 2 gennaio del 1959 le portò a casa sua. Tre
anni più tardi, il 10 gennaio del 1962, nell 33° anniversario della morte di
Mella, si proclama ed entra in vigore la legge della Riforma Universitaria e
Marinello assume il rettorato dell’Università dell’Avana. Più tardi, col
Partito Unito della Rivoluzione Socialista di Cuba (PURSC) già costituito,
predecessore dell’attuale Partito, consegna le ceneri all’allora Comandante
Raúl Castro al fine che le custodisca fino a che la nuova organizzazione
politica decida dove depositarle definitivamente.
Nel 1959, tra il 16 e il 22
di agosto, un’urna con le ceneri si espone nell’Aula Magna dell’Università. Si
è già decisa la costruzione del Memorial Mella e si prendono gli accordi affinché le spoglie si conservino in modo transitorio, nel Museo della Rivoluzione. Il
10 gennaio del 1964 si inaugura il giardino Mella di fronte alla Scalinata
universitaria. Questo stesso giorno, nel 1976, si apre il Memorial nel luogo
che occupò il giardino nel 1964. Lì si depositano le ceneri.
Il
giorno in cui lo uccisero
I nemici di Mella credevano
che impedendo il suo omaggio postumo sarebbe rimasta nell’oblio la sua voce
combattente che aveva assunto, con la sua penetrante e implacabile denuncia, una
gerarchia continentale.
Il dittatore Machado
insisteva perché il Messico deportasse Mella. Queste gestioni si
intensificarono nell’estate del 1928. Mella le conobbe dal capo del Distretto
Federale, opposto a detta procedura. C’era un accordo segreto tra i Governi dei
due Paesi che comprometteva i messicani a spiare Mella e ai cubani seguire da
vicino le azioni e i movimenti dei cristeri a Cuba. Si decide di celebrare una
serata cubana in Messico, con cibi e musica dell’Isola e una società ebraica
presta il locale per la festa. La fa in modo gratuito a condizione che non si
utilizzi l’atto con fini politici. Raúl Amaral, un avvocato che fu compagno di
Mella e di sua moglie Oliva Zaldívar all’Università, riceve l’incarico di
adornare la sala. Al contrario di quanto convenuto, Amaral colloca una grande
bandiera cubana, fatta in carta crespata. Si violava così l’accordo fatto con
gli ebrei. Si procedette pertanto a rimuovere la bandiera ed a espellere con
violenza Amaral e i suoi amici dal locale. Questa fu la scintilla che scatenò
l’incendio. Nonostante si comprovò che Amaral fosse un provocatore, al soldo di
Machado, Mella fu accusato di oltraggiare il simbolo della patria.
A questo punto appare un
altro personaggio che disimpegnerà un ruolo importante nell.omicidio di Mella:
il cubano José Magriñat, macrò e proprietario di una sala da gioco che si era
avvicinato agli esiliati cubani con una dubbia donazione pecuniaria che alla
fine fu accettata. Magriñat si vendeva come nemico di Machado e Mella sperava
di carpirgli informazioni utili.
Il 10 gennaio, il giorno in
cui lo uccisero, Mella e Tina Modotti uscirono da una riunione da Soccorso
Rosso Internazionale. Erano le otto di sera e Tina si diresse all’ufficio
postale per inviare all’Avana un telegramma diretto a La Semana, la rivista di
Sergio Carbò, nel quale si smentiva l’oltraggio alla bandiera. Mella camminò un
poco, in un’osteria lo aspettava Magriñat che gli aveva chiesto un appuntamento
urgente per dirgli che dall’Avana erano arrivati dei sicari per assassinarlo.
Si dice che quell’incontro si celebrò per permettere che Mella potesse essere
identificato dai suoi assassini. Mella raccolse Tina all’ufficio postale e
continuarono a piedi la strada verso casa. Due colpi risuonarono quando la
coppia imboccò la calle Abraham González. Julio Antonio era stato ferito alla
schiena. Morirà poco dopo, mentre veniva operato nell’ospedale della Croce Rossa.
Tina, Diego Rivera e altri amici poterono rimanere vicino al cadavere dopo dell’autopsia. Gli si fece la maschera e Tina prese un’ultima foto. Lo avrebbero vegliato nel
locale del Partito Comunista messicano.
Le autorità messicane
vollero dimostrare che si trattò di un crimine passionale data la già conclusa
relazione di Tina col pittore comunista Xavier Guerrero. Non è nemmeno
verosimile la versione che fosse stato assassinato dai suoi propri compagni.
Non ci sono indizi di questo negli archivi del servizio segreto sovietico,
anche se sembra certo che Mella, per le sue idee, non piaceva alle strutture
comuniste. Anche se si dice che Machado apprese del crimine dai giornali all’ora
di colazione, tutti gli indizi lo incriminano, come è stato provato in
abbondanza.
Lo inumarono nel cimitero di
Dolores. La sepoltura fu l'apoteosi, come manifestazione. Ai piedi della tomba,
appena chiusa, il discorso di cordoglio fu celebrato dal segretario generale
del Partito messicano e una rappresentazione di studenti e del Congresso di
questa nazione. Parlarono anche i cubani Antonio Penichet e Sandalio Junco.
Diego Rivera disse le parole finali.
Magriñat fu ucciso, a colpi
di arma da fuoco, al’Avana il 12 agosto 1933, lo stesso giorno della caduta di
Machado. Un altro dei colpevoli, José Agustín López Valiñas, denunciato da sua
moglie, fu accusato ufficialmente dell’assassinio di Mella nel novembre del
1931. Riceveva mensilmente 50 dollari dalla Polizia Segreta di Machado. Fu
condannato a 10 ani di prigione (altri dicono a 20) per il crimine. Lo
beneficiò un’amnistia generale dettata dal presidente Lázaro Cárdenas. Nel
novembre del 1958 fu abbattuto con colpi alla schiena. Non si precisarono i
motivi del fatto. L’altro colpevole, Arturo o Antonio o Miguel Francisco
Sarabia, si installò a Jovellanos, Matanzas, dov’era proprietario di diversi
affari e beni immobili. Lì trovò la morte, pugnalato, nell’ottobre 1942.
Fonti:
Testi di Marinello, Cairo, Hatzky, Dumpierre, Cupull e González
Vedere
inoltre; Le sepolture di mella (I)
Los entierros de Mella (II)
Ciro
Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
4 de Julio del 2015 19:27:45 CDT
El 29 de septiembre de 1933, en medio de la confusión y el correcorre que
originó el tiroteo, se extraviaron las cenizas de Julio Antonio Mella cuando
sus compañeros se disponían a depositarlas en el túmulo que con ese fin
construyeron en uno de los ángulos de la Plaza de la Fraternidad.
Tal parecía que los despojos del líder revolucionario tenían la virtud de
desaparecer siempre que las circunstancias lo requirieran para reaparecer en el
momento oportuno. En las semanas precedentes se habían esfumado en dos
ocasiones antes de su traslado a La Habana. La primera vez cuando recién
salidas del incinerador, Juan Marinello, que era el responsable de traerlas,
las llevó a una agencia de pasajes para hacer creer a la policía mexicana que
esa sería la vía para el traslado. Cuando los sicarios llegaron para apoderarse
de la reliquia, correspondió al gerente de la entidad decirles que lo que
buscaban ya no estaba en el establecimiento.
Algo similar ocurrió en la noche en que se le rendía homenaje en el
Anfiteatro Bolívar de la Escuela Nacional Preparatoria. Numerosa tropa, con el
sable desenvainado, rodeó el edificio y copó sus salidas. Querían apresar sobre
todo a los que hicieron uso de la palabra en el acto. La cubana Mirta Aguirre
sugirió que todos, unidos detrás de las cenizas, ganaran la calle y protegieran
a los oradores. Y en un conjunto apretadísimo fueron todos, con las cenizas en
el medio, hacia la puerta principal. Antes de llegar a esta, ya la policía
estaba dentro de la sala y amenazaba al público con los rifles, mientras que
los oficiales empuñaban sus pistolas.
El choque se hace inevitable. Varios polizontes intentan apoderarse de las
cenizas y los que las protegen dan la respuesta apropiada. El historiador
cubano Gerardo Castellanos propina un puñetazo certero a uno de los oficiales y
lo tira al piso. La confusión dura unos minutos. Hay una pugna ruda, sin
gritos, sin miedo, sin sustos. Cuando se hace la calma se advierte que el cofre
ha desaparecido. Comienza entonces el recuento para los detenidos. El oficial
que comanda al grupo da órdenes a sus subalternos, y numerosos obreros y
estudiantes son empujados con violencia hacia los carros-jaula que esperan
entre la nutrida caballería. Comienza la identificación de los oradores y el
chasco policiaco es grande cuando constatan que se les escurrieron por la
salida trasera del edificio. Traen a Marinello en ese momento y lo remiten a un
carro jaula atestado ya de detenidos, no sin que el jefe advierta que lo traten
con cuidado, que es profesor.
Los detenidos van llegando a la comisaría y empiezan a clasificarlos en una
operación lenta y desesperante. Están formados en fila y un señor alto, seco y
de ojos de acero los escruta uno a uno cada cierto tiempo. La policía insiste
en saber cuál de las jóvenes detenidas fue la que usó de la palabra en el
mitin. Ninguna de ellas, responden todos, como si se hubiesen puesto de
acuerdo. Hay nuevos conciliábulos y consultas. Al fin, el jefe, con aire
paternal, decide que las jóvenes se vayan a sus casas. Permite asimismo la
salida de otros detenidos y a otros, como a Juan Marinello, los emplaza para
que acudan a la mañana siguiente ante el Jefe de Investigaciones. El resto
queda enjaulado, por tiempo indefinido, en trato infamante con los chinches de
contumacia policial.
Mientras esto sucedía, altos jefes, no sin solemnidad, abrían el cofre.
Nada. Las cenizas de Julio Antonio Mella se habían volatilizado de nuevo.
Encontraron, sí, una carta con un texto expresivo dedicado a las autoridades.
¡Esto es el colmo! Exclamaron y estrujaron el papel con desprecio.
Pacto de silencio
En la tarde del 29 de septiembre, fue Ramón Nicolau quien puso a buen
recaudo las cenizas de Mella para entregarlas después a Marinello. Nicolau, a
quien el escribidor conoció en los años 70, era ya en aquella lejana tarde, o
lo sería con el tiempo, el jefe de la comisión militar del Partido Comunista.
En los días de la Guerra Civil española, él fue el responsable del
reclutamiento y envío a España de más de mil combatientes voluntarios cubanos
para hacer de Cuba el país que con más hombres contribuyó a la lucha
antifascista en aquella contienda. Operación exitosa que transcurrió en
absoluto silencio.
A partir de ahí, las cenizas de Mella, que se suponían perdidas,
recorrerían un camino azaroso. Marinello, que llegaría a presidir aquella
organización política, se compromete a mantener en secreto el nombre del
custodio y el lugar donde se guardarían. Una suerte de pacto de silencio, como
aquel que en 1896 hizo en Santiago de las Vegas la familia Pérez con relación
al sitio que guardaba los restos del Mayor General Antonio Maceo y el Capitán
ayudante Francisco Gómez Toro.
Marinello mismo asume el cuidado de la reliquia. Lo hace hasta el 10 de
marzo de 1952. Cuando en esa fecha Batista, con el golpe de Estado, rompe el
ritmo constitucional de la nación, pide al magistrado Antonio Barreras que las
proteja. Barreras, muy amigo también de Jorge Mañach, era el hombre que
mantenía vivo en Cuba el recuerdo del narrador Alfonso Hernández Catá, muerto
en un accidente de aviación en 1940, gracias a un concurso de cuentos cuyo
galardón —el Premio Hernández Catá— se considera el más importante de la
República antes de 1959.
Barreras guardó las cenizas hasta una fecha no determinada de 1958. Su casa
dejó de ser segura y Marinello las retomó hasta que el 2 de enero de 1959 las lleva
a su casa. Tres años más tarde, el 10 de enero de 1962, en el aniversario 33 de
la muerte de Mella, se proclama y entra en vigor la ley de Reforma
Universitaria y Marinello asume el Rectorado de la Universidad de La Habana.
Más tarde, ya constituido el Partido Unido de la Revolución Socialista de Cuba
(Pursc), antecedente del Partido actual, entrega las cenizas al entonces
Comandante Raúl Castro a fin de que las custodie hasta que la nueva
organización política decida dónde depositarlas definitivamente.
En 1959, entre el 16 y el 22 de agosto, una urna con las cenizas se expone
en el Aula Magna de la Universidad. Ya se ha decidido la construcción del
Memorial Mella y se toma el acuerdo de que los despojos se conserven, de manera
transitoria, en el Museo de la Revolución. El 10 de enero de 1964 se inaugura
el parque Mella frente a la Escalinata universitaria. Ese mismo día, en 1976,
abre el Memorial en el lugar que ocupó el parque construido en 1964. Allí se
depositan las cenizas.
El día que lo iban a matar
Los enemigos de Mella creyeron que impidiendo su homenaje póstumo quedaría
olvidada su voz combatiente, que había adquirido, en su denuncia penetrante e
implacable, jerarquía continental.
El dictador Machado insistía en que México deportara a Mella. Esas
gestiones se intensificaron en el verano de 1928. Mella las conoció por el jefe
del Distrito Federal, opuesto a dicho proceder. Había un acuerdo secreto entre
los Gobiernos de ambos países que comprometía a los mexicanos a espiar a Mella
y al cubano a seguir de cerca acciones y movimientos de los cristeros en Cuba.
Se decide celebrar en México una noche cubana, con comida y música de la Isla,
y una sociedad hebrea presta el local para la fiesta. Lo hace de manera
gratuita a condición de que no se utilice el acto con motivos políticos. Raúl
Amaral, un abogado que fue en la Universidad compañero de Mella y de su esposa
Oliva Zaldívar, recibe la encomienda de adornar la sala. Contrario a lo convenido,
Amaral coloca una gran bandera cubana hecha de papel crepé. Se violaba así lo
establecido con los judíos. Se procedió entonces a retirar la bandera en tanto
que Amaral y sus amigos eran expulsados violentamente del local. Fue esa la
chispa que desató el incendio. Aunque se comprobó que Amaral era un provocador
a sueldo de Machado, Mella fue acusado de ultrajar la enseña patria.
A esa altura ha aparecido otro personaje que desempeñará un papel
importante en el asesinato de Mella: el cubano José Magriñat, proxeneta y
propietario de un salón de juegos que se había acercado a los exiliados cubanos
con una dudosa donación monetaria que fue finalmente aceptada. Magriñat se
vendía como enemigo de Machado y Mella esperaba sacarle información útil.
El 10 de enero, el día en que lo iban a matar, Mella y Tina Modotti
salieron de una reunión en Socorro Rojo Internacional. Eran las ocho de la
noche y Tina se dirigió a una oficina de correos a fin de pasar a La Habana un
telegrama dirigido a La Semana, la revista de Sergio Carbó, en que se desmentía
el ultraje a la bandera. Mella caminó un poco más pues en una cantina lo
esperaba Magriñat, que le había pedido una cita urgente para decirle que desde
La Habana habían llegado dos asesinos a sueldo para ultimarlo. Se dice que
aquella entrevista se celebró para que Mella fuera identificado por sus
asesinos.
Mella recogió a Tina en la oficina de correos y continuaron a pie el camino
hacia la casa. Dos disparos sonaron cuando la pareja desembocó en la calle
Abraham González. Julio Antonio había sido herido por la espalda. Moriría poco
después, mientras era intervenido quirúrgicamente, en el hospital de la Cruz
Roja. Tina, Diego Rivera y otros amigos pudieron permanecer junto al cadáver
después de autopsiado. Se le hizo la mascarilla y Tina tomó una última foto. Lo
velarían en el local del Partido Comunista mexicano.
Las autoridades de México quisieron demostrar que se trató de un crimen
pasional dada la ya concluida relación de Tina con el pintor comunista Xavier
Guerrero. Tampoco parece verosímil la versión de que fuera asesinado por sus
propios compañeros. No hay indicios sobre esto en los archivos del servicio
secreto soviético, aunque parece cierto que Mella, por sus ideas, desagradaba
en las estructuras comunistas. Aunque se dice que Machado se enteró del crimen
por los periódicos a la hora del desayuno, todos los indicios lo incriminan,
como ha sido probado con creces.
Lo inhumaron en el cementerio de Dolores. El entierro fue una manifestación
apoteósica. Al pie de su tumba recién cerrada, el duelo fue despedido por el
secretario general del Partido mexicano y una representación de los estudiantes
y del Congreso de esa nación. Hablaron asimismo los cubanos Antonio Penichet y
Sandalio Junco. Diego Rivera dijo las palabras finales.
Magriñat fue muerto a tiros, en La Habana, el 12 de agosto de 1933, el
mismo día de la caída de Machado. Otro de los culpables, José Agustín López
Valiñas, denunciado por su esposa, fue acusado oficialmente del asesinato de
Mella en noviembre de 1931. Había estado recibiendo 50 dólares mensuales de la
Policía Secreta de Machado. Fue condenado a diez años de prisión (otros dicen
que a 20) por el crimen. Lo benefició una amnistía general dictada por el
presidente Lázaro Cárdenas. En noviembre de 1958 fue abatido a tiros por la
espalda. No se precisaron los motivos del hecho. El otro culpable, Arturo o
Antonio o Miguel Francisco Sarabia, se instaló en Jovellanos, Matanzas, donde
era propietario de varios negocios y bienes inmuebles. Allí encontró la muerte,
apuñalado, en octubre de 1942.
Fuentes: Textos de Marinello, Cairo,
Hatzky, Dumpierre, Cupull y González
Vea además Los entierros de Mella (I)
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